Islamismo: sottomissione a Dio

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Testo

Islamismo (dall'arabo Islām, sottomissione [a Dio]).
Con il termine I. si intende anzitutto la religione fondata da Maometto all'inizio del sec. VII e, con accezione più ampia, la storia dei popoli convertiti alla fede di Maometto e le espressioni culturali connesse con la religione islamica.
▪ Nascita e diffusione dell'islamismo. ► MAOMETTO Alla nascita di Maometto ( Muhammad), verso il 570 d. C., varie religioni erano professate in Arabia: a sud e nord si trovavano cristiani, a Yathrib (Medina) e Khaibar si era stabilito un forte numero di ebrei, mentre il resto del paese seguiva culti locali, che si possono definire globalmente come una sorta di politeismo primitivo. Questa religione aveva uno dei suoi centri alla Mecca, dove erano venerate parecchie divinità (la principale era Hubal, a cui veniva attribuito talora l'epiteto di allāh , dio per antonomasia); la città era occupata dalla tribù dei banu Quraiš (o coreisciti) i quali, secondo la posteriore tradizione musulmana, facevano risalire le proprie origini direttamente al biblico Ismaele (Isma'īl ), figlio di Abramo e della schiava egizia Agar (Hağar ). I coreisciti avevano in custodia il santuario più venerato della città e di tutta l'Arabia, la Ka'ba. La Mecca con il suo santuario era inoltre meta di un pellegrinaggio annuale, che interessava tutte le diverse tribù abitanti la penisola, e durante il quale cessavano le frequenti ostilità che le contrapponevano, affinché i fedeli potessero con sicurezza adempiere alle loro pratiche di devozione: notevoli residui di queste ultime si conservano nelle forme islamiche dell’ hāğğ. Quando nacque Maometto la società meccana cominciava a risentire delle contraddizioni causate dalla sua struttura commerciale che provocava estremi di ricchezze e povertà, barriere sociali e di classe, schiavitù. La critica di Maometto verso questo mondo sfociò nel sentimento religioso. L'opposizione dei suoi concittadini, che temevano gli influssi negativi della nuova predicazione sui propri interessi economici (quali il diffuso timore che il monoteismo predicato dal Profeta danneggiasse l'assetto economico dei loro santuari) spinse Maometto a trasferirsi a Medina, città dilaniata da un prolungato conflitto tra tribù rivali, i cui capi speravano in una funzione positiva dell'intervento mediatore di una personalità estranea. A Medina la religione predicata da Maometto assunse nuove forme e il movimento islamico si costituì in una comunità organizzata su criteri politici sotto un singolo capo. Da allora in poi l'azione pratica di Maometto si incentrò sul consolidamento interno del gruppo dei suoi fedeli. Dopo la conquista (630) della Mecca, ottenuta con le armi e la diplomazia, il Profeta cessò ogni azione militare, dedicando il resto della sua vita (morì nel 632) al rafforzamento della comunità islamica (umma ), in modo che questa fosse in grado di svilupparsi anche dopo di lui.

► I SUCCESSORI DEL PROFETA Maometto non lasciò discendenza maschile; alla sua morte quindi si presentò il problema della successione. Abū Bakr, uno dei seguaci di Maometto oltre che suo suocero, sostenuto dalla tribù coreiscita, riuscì ad imporre la sua candidatura come califfo (ossia vicario). Egli dovette anzitutto reprimere le rivolte interne, specialmente a Medina dove risorgevano le vecchie rivalità sopite da Maometto; malgrado ciò nel medesimo tempo riuscì a concretizzare quella spedizione in Siria, a cui già il Profeta aveva pensato, tanto da vedere prima della sua morte, avvenuta a due anni dall'elezione (634), tutta la penisola araba sottomessa al dominio califfale. Gli successe ‘Omar (634-644), il califfo conquistatore: egli aggiunse ai suoi domini l'impero sasanide di Persia, conquistò Gerusalemme e tutta la Siria contro Bisanzio, sottopose al suo dominio l'Egitto e la Cirenaica. ‘Omar cadde pugnalato nella moschea di Medina nel 644, lasciando il califfato a ‘Othman, il cui governo fu caratterizzato più che altro dalle contese intestine in mezzo alle quali egli, vecchio e debole, non seppe prendere partito, morendo assassinato nel 656. Sotto di lui si ebbe però la prosecuzione dell'espansione islamica in Nordafrica, e al suo volere risale la redazione finale del Corano. Alla morte di ‘Othman il califfato passò nelle mani del genero di Maometto ‘Alī ibn Abī Talib (656-661) il quale, ritenuto da molti l'erede designato, aveva un numeroso seguito (šī‘a ) all'interno dell'ormai strutturata organizzazione religioso-statale islamica. La successione di ‘Alī non fu però accettata da larghi settori del mondo islamico, che si raccolsero intorno ad un parente del califfo ucciso, Mu‘āwiya governatore di Siria. La guerra tra ‘Alī e Mu‘āwiya conobbe varie fasi, finché dopo soli 5 anni di governo anche ‘Alī morì assassinato. Si radicalizzò una violenta scissione: sorta su di un problema preminentemente politico, quello del criterio di successione al ruolo califfale (che i seguaci di ‘Alī intendevano riservare ai membri della famiglia del profeta e ai loro discendenti), questa frattura del mondo islamico tra sciiti (il partito dei seguaci di ‘Alī) e sunniti doveva poi colorarsi di motivi più strettamente religiosi. Con la morte di ‘Alī si chiuse il ciclo iniziale della vita interna dell'Islām, noto come epoca dei Rashīdūn o [Califfi] ben guidati. Si inaugurò invece con Mu‘āwiya la dinastia degli Omayyadi, sotto la quale l'impero musulmano unitario raggiunse la sua massima estensione. La storia del califfato arabo è connessa con le lotte tra i vari partiti che intendevano ciascuno a proprio modo la successione all'eredità religioso-politica del Profeta. Infatti sotto Yazīd (680-683), successo a Mu‘āwiya nel 680, avvenne il massacro di Husain, secondo figlio di ‘Alī, e dei suoi pochi seguaci a Kerbalā, massacro che suscitò ovunque deprecazione ed orrore, e che segnò una svolta decisiva nel processo di radicalizzazione delle tendenze sciite. Sotto Walīd (705-715) si registrò la conquista della Spagna, dove per alcuni secoli si ebbero una vita e una cultura musulmane molto vivaci, con centro a Córdoba. Dopo ‘Omar (717-720) il califfato omayyade decadde per cessare definitivamente nel 750 dopo ca. 90 anni di esistenza. La suprema autorità islamica passò a questo punto nelle mani di uno dei discendenti di ‘Abbās, zio del Profeta, il quale diede vita alla dinastia degli ‘Abbāsidi, che posero la loro capitale a Baghdād, dove essi rimasero fino al 1258, quando anche le ultime vestigia — ormai puramente formali — furono cancellate dalle invasioni di Gengis Khān. Allo sterminio degli Omayyadi scampò però ‘Abd ar-Rahmān, che diede vita in Spagna ad un califfato autonomo da quello di Baghdād, sancendo così la prima frattura nell'unità della compagine statale islamica. Gli ‘Abbāsidi, il cui governo fu caratterizzato da uno sforzo di centralizzazione e di controllo sotto la guida di un unico capo, ebbero califfi di grande abilità e splendore, specialmente al- Mansūr (754-775), Hārūn al-Rashīd (786-909) e al- Ma'mūn (813-833). Sotto di loro però il califfato si andò sempre più diversificando da quello omayyade, abbandonando innanzitutto il carattere puramente arabo, mentre aumentavano gli apporti da altre culture, prima fra le quali quella persiana. Andavano inoltre crescendo nelle varie regioni dell'immenso impero, a partire da quelle periferiche, istanze autonomistiche che sfociarono presto nella formazione di compagini statali rette da dinastie formalmente sottomesse al potere califfale, ma di fatto indipendenti. Il califfato ‘abbāside, indebolito dalle lotte interne e dalle rivalità delle dinastie ormai a vario livello indipendenti che gli contendevano l'autorità e gli strappavano a brani a brani il dominio, cessò — come detto — a causa dell'invasione mongola di Hülagü, nipote di Gengis Khān, che uccise l'ultimo califfo, al-Musta'sim (1242-1258). Da ultimi gli Ottomani (1281-1924) cercarono di restaurare questa carica proclamandosi califfi; con la loro scomparsa tuttavia si ebbe infine il definitivo tramonto della istituzione. Da questa rapida esposizione si rileva quindi che l’Islām si estese alla Siria, alla Persia, alle steppe centroasiatiche, all’Egitto, a tutta la costa settentrionale dell’Africa, da dove penetrò all’interno, alla Spagna, all’Asia occidentale, all’Europa, alla Cina, all’India.

▪ Dottrina e precetti. La dottrina islamica si fonda principalmente sulla rivelazione di Dio (Allāh) a Maometto espressa principalmente nel Corano , che è considerato non semplice scrittura ispirata ma vera manifestazione della divinità, o suo attributo, visibilmente concretizzato in una forma modellata secondo un archetipo celeste ('Umm al-Kitāb, Madre del Libro) e nei «Detti», o Hadīth, attribuiti al Profeta e raccolti nella Sunna o Tradizione. Cardine del pensiero religioso di Maometto è il concetto di un Dio unico, che non tollera uguale vicino a sé, giusto, di tremenda maestà, retributore delle azioni degli uomini, che gradisce la quotidiana preghiera e l'offerta di opere buone e vuole la fratellanza di tutti gli uomini, i quali devono essere convertiti, se necessario, anche con la forza (e a iğtihād, propriamente sforzo, è connesso il termine tecnico Ğihād, designante la cosiddetta «guerra santa» islamica), a meno che non appartengano ad una delle religioni rivelate (cristianesimo, giudaismo e, secondo alcune interpretazioni, mazdeismo). Allāhnella predicazione di Maometto ha i medesimi attribuiti che ha presso gli ebrei e i cristiani. Egli comunica con gli uomini non direttamente, ma solo per mezzo di inviati che possono essere investiti di missioni speciali (come Maometto stesso, che è detto rasūl , inviato, messo) o semplicemente «profeti» (nabī ). Tra Dio e l'Uomo ci sono gli angeli, tra cui Gabriele, il rivelatore del Corano, contrapposti ai diavoli capeggiati da arabo, «Iblī s» (probabile corruzione del greco diàbolos ); in posizione intermedia tra angeli e demoni stanno i Ğinn o genii. Il dogma dell'unicità di Dio, con la conseguente esclusione di altri dogmi cristiani come la Trinità e l'Incarnazione, tacciate di politeismo (Cor V, 76-77), costituisce il perno di tutta la dottrina islamica e la sua eccezionale novità nel panorama religioso dell'Arabia del sec. VII d. C. In nome di esso Maometto s'oppose al politeismo tribale arabo, mentre la semplicità del contenuto della sua predicazione fu certo uno dei motivi centrali della diffusione incredibilmente rapida dell'Islām. Le prescrizioni fondamentali (arkān al-Islām o arkān ad-dīn , pilastri della fede), necessarie e sufficienti affinché il fedele assolva ai suoi doveri e si conquisti la vita eterna, sono cinque.

1) La professione di fede nel monoteismo e nella profezia detta šahāda : essa, che costituisce un atto legale, consiste nel pronunciare di fronte a testimoni la formula, in lingua araba, la ilāha il-Allāh wa-Muhammad ar-Rasūl Allāh (non c'è dio se non Dio, e Maometto è il suo nviato). Tale formula fa entrare a tutti gli effetti chi la pronuncia nella comunità musulmana.
2) La preghiera (salāt ) di cui il Corano proclama ad ogni passo la necessità e offre spesso l'esempio. Si deve fare cinque volte nella giornata. Tale obbligo incombe su ogni musulmano, il quale, prima di compierlo, deve porsi in stato di purezza rituale tramite abluzioni.
3) Il digiuno (saum ), istituito da Maometto sul modello di quello ebraico (sŌm ), consiste nell'astenersi, durante il mese di Ramadān, dal mangiare, bere, fumare, avere rapporti sessuali, dall'alba fino al tramonto compiuto.
4) La decima (zakāt ): il precetto dell'elemosina è uno di quelli sui quali Maometto ha più insistito, con nobili parole. Essa è duplice: la zakāt (purificazione) che risponde più o meno al nostro concetto di decima e la sadaqa o elemosina volontaria che da principio si confuse con l'altra.
5) Il pellegrinaggio (o hāğğ ): ogni musulmano che ne abbia la possibilità è tenuto a fare almeno una volta in vita sua il pellegrinaggio alla Mecca, ma all'osservanza di questa prescrizione, resa più ardua dalla grande espansione territoriale dell'Islām, si può supplire o inviando altri o con elemosine. La cosiddetta «guerra santa» (ğihād ), infine, è un dovere non personale, ma collettivo, prescritto in vari passi del Corano e da alcuni avvicinato ai cinque arkān di cui sopra.
▪ Calendario. L'era musulmana si inizia con l'Égira (hīğra ), anniversario del giorno in cui avvenne l'emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, il 16-VII-622. L'anno musulmano è lunare, per complessivi 354 giorni con mesi di 29 e 30 giorni: in tal modo esso risulta più corto di ca. 11 giorni rispetto a quello solare. Ne deriva che tutte le feste musulmane sono mobili rispetto al susseguirsi delle stagioni, sulla base di un ciclo di ca. 33 anni. I giorni della settimana sono contraddistinti non da nomi astrali, ma-secondo un uso già biblico-da un numero progressivo. Il settimo giorno (venerdì) ha luogo l'adunanza religiosa nella moschea principale. Le festività cominciano tutte di notte perché per i musulmani, come per gli ebrei, il giorno comincia al calar del sole. Le feste principali sono: la piccola festa (al-‘īd as-saqīr ), detta anche ‘īd al-fitr (festa della notte del digiuno); la solennità dei sacrifici (‘īd al-adha ), che si celebra durante il pellegrinaggio alla Mecca (chi non partecipa al pellegrinaggio compie il rito in casa propria, in unione di spirito con i pellegrini); il 12 rabī‘ , giorno della nascita del Profeta (mawlid an-nabī ); il 27 rağab, per celebrare il mi‘rāğ, l'ascensione di Maometto al Cielo in sella alla cavalcatura angelica buraq ; la notte di metà sha’bān (sha'b-e barāt ) durante la quale Dio ridetermina i destini degli uomini. In ambiente sciita è anche particolarmente festeggiato il 1o Muharram in cui è ricordato il martirio di Husain.

▪ Culto. Di per sé ogni luogo legalmente puro è adatto alla preghiera rituale: tuttavia l'Islām ha saputo dar vita ad una tradizione architettonica originale che servisse come luogo speciale del culto. Questa creazione è la moschea (, e dall'arabo masğid, luogo in cui ci si prostra), ambiente cultuale derivato dalla disposizione della casa araba. La moschea, che non ammette altra decorazione all'infuori degli arabeschi (motivi vegetali e grafici con esclusione della figura umana o animale), contiene all'interno essenzialmente il mihrāb o nicchia, che indica la qibla, ossia la direzione della Mecca verso la quale il fedele deve rivolgersi a pregare. Non manca mai il minareto, altissima torre sulla quale sale il muezzin per invitare i fedeli alla preghiera. Nell'Islām non esiste sacerdozio, in quanto i riti sono celebrati individualmente senza la mediazione di ministri del culto: vi è soltanto l' imām (guida), o presidente della funzione religiosa collettiva del venerdì. Ciò che risponderebbe di più al concetto di clero nell'Islām sarebbe il corpo dei dottori in legge, o ulamā , e in particolare la categoria dei muftī ciascuno dei quali ha il potere, nei limiti del territorio di sua competenza, di emettere pareri (fatwā , o fetvā ) su quesiti di condotta a lui sottoposti dai fedeli. Errato è considerare come equivalente al papa cattolico il califfo, il quale non aveva autorità per regolare e determinare la credenza e la pratica islamica, ma solo il compito di far rispettare e osservare entrambe La suprema autorità religiosa nell'impero ottomano era costituita dallo Sheikh al-Islām di Costantinopoli, a cui facevano capo tutti i muftī dell'impero. Nello sciismo invece, data l'importanza attribuita da questa tendenza all'iğtihīdā (lo sforzo personale del singolo nell'interpretare la legge divina), si è formata una struttura religiosa più complessa, comprendente vari gradi, dai semplici mullā agli hoğğat al-Islām (testimoni dell'Islām), agli āyatollāh (segni di Dio), fino ai cinque massimi marğa'al-taqlī d (fonti d'imitazione).
Il giorno sacro di ogni settimana è il venerdì: in questo giorno il califfo si recava alla moschea e recitava la preghiera rituale, i fedeli assistevano alla lettura di un sermone (khutba ) fatto da un dottore (khātib ) che parlava da una specie di pulpito (minbar).

▪ Escatologia. Nel Corano (II, 262) si fa cenno alla resurrezione finale (qiyām ) raffigurata con termini che ricordano la visione del profeta Ezechiele. Subito dopo la morte, il defunto sarà interrogato nella sua tomba dagli angeli Munkir e Nakīr (Cor L, 16) assisi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Quando passerà l'ultima ora del mondo, Dio giudicherà gli uomini mediante una grande bilancia che farà giusto peso delle loro azioni: se l'esito è favorevole, il buon musulmano potrà passare sul ponte di Sirāt, sottile come un capello, teso sull'abisso, ed entrerà in paradiso (il Ğannāt), concepito come un luogo di delizie per i sensi e per lo spirito; se si tratta di un infedele o di un cattivo musulmano, precipiterà dall'alto del ponte nell'abisso dell'inferno (o Ğahannam).

▪ Correnti moderniste. Restano da segnalare alcune correnti d'opinione moderniste che hanno percorso in quest'ultimo secolo il mondo musulmano. Nate essenzialmente da una polemica con la civiltà occidentale, possono essere sintetizzate come tentativi di dare significati moderni alle parole dette da Dio. Le principali correnti di questo pensiero sono la scuola egiziana e quella indiana, alle quali va affiancata la turca, che finisce per sboccare in un vero e proprio laicismo. La figura più rappresentativa della scuola indiana fu Sayyid Ahmad Khān di Delhi (1817 - 1898) che tentò di colmare l'abisso tra Oriente e Occidente proclamando la non opposizione dell'Islām alla civiltà occidentale. Il modernismo egiziano nasce invece dalle teorie predicate da Ğamāl ad-dīn al-Afghānī (1839 - 1897) : filosofo, scrittore e giornalista, fu fondatore del movimento panislamico che cercò di unire tutti i popoli musulmani sotto la sovranità spirituale del califfo ottomano. Fra i suoi discepoli spicca la figura di Muhammad ‘Abduh (1849 - 1905) che non portò grosse innovazioni alla struttura tradizionale della fede, ma fu un incitatore della ricerca del pensiero moderno, convinto che questo non potesse che confermare la verità dell'Islām. Il più acuto tra i modernisti musulmani deve però essere considerato il poeta e pensatore indiano Muhammad Iqbāl.
▪ Sette. L'originaria unità del mondo islamico subì assai presto una grave lacerazione con la formazione della Šī‘a (fazione), il «partito» dei seguaci del califfo ‘Alī; lo sciismo si frazionò in una miriade di tendenze diverse, sostenute da sette che conobbero diversissima fortuna e diffusione. Accanto ai movimenti che genericamente appartengono al grande raggruppamento sciita, nacquero poi altre sette considerate eretiche dall'ortodossia sunnita; alcune di queste diedero vita a vere e proprie religioni a sé stanti. Esamineremo qui di seguito solo alcune delle più note sette dell'I. non sunnita.

► LO SCIISMO La Šī'a , come detto, si formò nel corso della contesa per il califfato tra ‘Alī e Mu‘āwiya alla metà del sec. VII: i sostenitori di ‘Alī affermavano che il capo della comunità musulmana doveva appartenere alla famiglia di Maometto e che tale carica doveva venire attribuita per designazione e non per elezione. Ben presto lo sciismo si divise in tre tendenze fondamentali — una moderata (gli zaiditi), una mediana (la cui comunità più numerosa fu quella dei duodecimani) ed una estremista, articolata in una miriade di movimenti — sorte principalmente dalle diverse interpretazioni circa due punti qualificanti della dottrina sciita: la dottrina dell'imām, il capo della comunità islamica cui gli sciiti attribuiscono una particolare sacralità e quella del Mahdī, personaggio messianico che, interrottasi la successione dei legittimi imām, verrà per ristabilire la vera religione e salvare il mondo. Lo sciismo ha conosciuto una enorme diffusione: il nucleo più consistente è oggi quello dei duodecimani (così detti perché affermano essere 12 gli imām legittimi), o imamiti, la cui religione è religione di stato in Iran dal sec. XVI; consistenti gruppi sciiti si trovano in Afghanistan, India, Medio Oriente (Iran, Iraq, Siria, Libano) e Arabia meridionale. Gli ismā‘īliti (o bātiniti , in quanto ponevano l'accento sul senso interno, bātin , dei testi sacri islamici) costituiscono una importante ramificazione dello sciismo estremista. Essi si richiamano ad Ismā‘īl ibn Ğafar, pronipote di Husain, figlio di ‘Alī, e fissano a 7 il numero degli imām legittimi; il loro I. è intriso di un esoterismo di origine gnostica. Filiazione dell'ismailismo è il movimento dei carmati sorto in Siria intorno all'865, violentemente avverso al califfato Abbaside contro cui fomentò varie rivolte. La loro dottrina, anch'essa assimilabile a una forma di gnosticismo islamico, si colorò di contenuti accentuatamente comunistici: essi raggiunsero la massima fortuna nel sec. XI, al termine del quale vennero poi dispersi. Dall'ambito del ismailismo carmata sorse la dinastia Fatimita, che governò sull'Africa nordorientale e su parte del Medio Oriente nei secc. IX-XII. Ismailita fu anche la celebre setta degli assassini , nata alla fine del sec. XI da una scissione dei Fatimiti. Dallo stesso eterogeneo mondo ismailita si formò la setta dei drusi (inizio sec. XI), ancora oggi stanziata nella regione del Libano ed Antilibano, la cui complessa dottrina, che accoglie elementi religiosi e filosofici eterogenei (tra cui, p. es., la credenza nella trasmigrazione delle anime), si pone per molti aspetti fuori dal mondo musulmano. Tra le sette sciite estremiste, ancora oggi presenti con piccole comunità, citiamo gli ahl-i haqq iraniani; gli yazidi della Mesopotamia, adoratori del «Satana redento», il cui legittimismo non va ad ‘Alī ma agli Omayyadi; i nusayri o alawiti della Siria la cui dottrina mescola l'islamismo sciita con elementi pagani, cristiani ecc., e che venerano la triade Maometto-‘Alī-Salman (un compagno del Profeta).

► I KHARIGITI La setta kharigita sorse nel 657 ad opera di alcuni partigiani di ‘Alī che rifiutarono di accettare il tentativo di patteggiamento con il rivale fatto da ‘Alī stesso. Si caratterizza come espressione di gruppi rimasti legati all'I. rigorista e «democratico» praticato dalle tribù beduine.

► I WAHHāBITI La setta wahhābita, sorta agli inizi del sec. XVIII in Arabia per opera di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhāb, la cui dottrina fu adottata dalla dinastia dei Sa‘ūd, emiri del Neged (l'odierna famiglia reale dell'Arabia Saudita), si distingue per il suo rigorismo hanbalita, caratterizzato fra l'altro da un atteggiamento inflessibilmente anti-mistico ed anti-modernista.

► IL BABISMO E IL BAHā‘ISMO Nell'ambito dell'I. iraniano nel sec. XIX si ebbe un particolare fervore mistico, che sboccò nella nascita di due sette la cui dottrina si allontanò molto dallo sciismo, sia duodecimano che estremista. Il babismo sorse ad opera di ‘Alī Muhammad, che affermò di essere il Bāb , ovvero la «Porta» per la conoscenza dell'ultimo imām scomparso, quindi lo stesso imām tornato e l'iniziatore di un nuovo ciclo profetico, essendosi quello precedente concluso con Maometto. Più radicale ancora le novità del bahā'ismo, movimento sorto dal babismo, che si pone apertamente fuori dall'I.

▪ Mistica e confraternite. Nella religione islamica è presente fin dai primi tempi una corrente mistica, designata genericamente con il nome di sufismo: essa si è manifestata in una grande eterogeneità di forme, le più radicali delle quali si pongono fuori dall'ortodossia. Il sufismo è stato praticato fondamentalmente in tre modi: come semplice ascesi (zuhd ), come misticismo individuale (il vero e proprio tasawwūf ) e come misticismo collettivo, tramite la formazione di confraternite (tarīqa ). Le principali confraternite espresse dal misticismo islamico nacquero in gran parte nei secc. XII e XIII, ma se ne formano continuamente di nuove. Ciascuna ha i suoi istituti, le vesti, i distintivi, il fondatore che considera come santo e la cui genealogia, apocrifa, è fatta risalire a uno dei califfi ortodossi e per essi a Maometto. Le più note confraternite sono quelle dei qādirīya (sec. XI), dei rifāiya , dei naqšbandīya , dei mawlawīya , dei bektāshīyya (sec. XIII) di spirito militare, la cui potenza declinò con quella dei giannizzeri, degli ’ï'sawīya (sec. XVI), dei sanūsiyya (sec. XIX).

▪ Diritto. Secondo l'I. la šari‘a (legge positiva) disciplina tutta l'attività umana in quanto si esplica nel mondo esterno, prescindendo da quella fede e da quelle credenze di cui, nel foro interno, è giudice solo Dio. I trattati impropriamente chiamati di «diritto musulmano» (fiqh ) si aprono con una prima parte detta ‘ibādāt (servizio, atti del culto), includente cioè la regolamentazione degli atti fisici che mettono l'uomo in rapporto con Dio, per poi continuare con le mu'āmalāt , regolamenti riguardanti i rapporti degli uomini con gli altri uomini. La legge islamica considera solo capitoli susseguentisi di uno stesso tipo di agire, non atti situati su piani organicamente differenti, le modalità della preghiera e la quantificazione dell’eredità per il proprio figlio. Per il musulmano la legge non è se non la diretta e personale volontà di Dio, espressa in chiare lettere al Profeta. Si chiama «diritto di Dio» tutto quanto trascenda il privato interesse. Le fonti (usūl ) della legge sono per i giuristi islamici quattro, e cioè: il Corano, la Tradizione (sunna ), il Consensus omnium (iğmā‘) e l'Analogia (qiyās ). Il Corano dal punto di vista legale contiene moltissimo materiale di ogni genere, da regole di buona creanza a disposizioni su cibi interdetti e permessi, dalla legge del taglione a disposizioni su come trattare le proprie mogli. La Tradizione è l'insieme (non codificato in un solo libro) dei Hadīth , detti (o fatti) attribuiti al Profeta, considerato, secondo espliciti passi coranici (Cor. XXXIII, 21) come modello da seguire nella condotta («condotta» è il senso più preciso della parola sunna ). I musulmani sunniti ritengono particolarmente autentiche (sahīh ) due grandi raccolte di tradizioni, opera di al-Bukhārī (morto nell'870) e di Muslim ibn al-Hağğāğ (morto nell'875), pur attribuendo grande valore ad altre raccolte. Il consenso (iğmā‘ ) va inteso come consenso dei dotti. Particolare valore come fonte di legge ha il consenso dei compagni (ashāb ) del Profeta e, man mano, quello delle due generazioni seguenti. In seguito il consenso valido è quello degli esperti di diritto che lavorano direttamente sulle fonti (muğtahid ), benché tale lavoro diretto (iğtihād, letteralmente «sforzo, ricerca») sia considerato ormai chiuso fin dal sec. X e sia ora raccomandata in ambienti ortodossi l'imitazione (taqlīd ) del materiale già ampiamente codificato in trattati. L'analogia (qiyās ) non va scambiata per un'indiscriminata applicazione del criterio personale razionale del giurista, ma è solo un ragionamento analogico basato su un ristretto numero di casi già risolti o risolvibili con l'ausilio delle tre fonti precedenti. Nell'ambito dell'ortodossia sunnita esistono ora quattro scuole (madhab , impropriamente tradotto «riti») giuridiche (altre sono scomparse con il tempo) e cioè la anafita, la malikita, la sciafeita e la hanbalita. Fondatore della prima fu l'oriundo persiano Abū Hanīfa (morto nel 767) di Kūfah nell'Iraq: essa è relativamente più «liberale» delle altre e più disposta all'uso del qiyās. Il caposcuola dei malikiti è Mālik ben Anas (morto nel 795), autore della più antica raccolta di hadīth , un altro esponente è Aš-Šāfi‘ī (morto nell'820) che, in quanto più tardo e avendo quindi a disposizione già un ricco materiale precedente, è forse il più preciso codificatore della scienza del fiqh . La scuola hanbalita, fondata dall'ultratradizionalista Ibn Hanbal (morto nell'855) o, più precisamente, da suoi discepoli, è la più rigorosamente tradizionalista: essa restringe al minimo l'uso dell'analogia razionale. L'ortodossia ammette il passaggio del musulmano da una scuola giuridica a un'altra e le differenze sono relativamente secondarie. Chiuso l'iğtihād verso il sec. X, attualmente il diritto islamico è codificato nei trattati di fiqh , ma siccome non tutti possono ricavare da tali trattati con sufficiente cognizione di causa le decisioni necessarie per la loro vita religioso-giuridica, specialmente in casi nuovi e complicati, si usa chiedere una fatwā o parere giuridico a un faqīh (esperto di diritto) specialmente addetto a questo compito e noto come muftī («datore di fatwā »). Fin da tempo antico i governi musulmani istituirono muftī ufficiali nelle varie regioni Il muftī non innova nulla, ma semplicemente spiega o rende applicabili a casi speciali le prescrizioni dei trattati di fiqh . Per il fiqh esistono cinque categorie legali: ogni atto cioè non è semplicemente o lecito o proibito, ma può essere doveroso (fard ), la cui esecuzione è premiata e la cui omissione è punita; raccomandabile (mustahabb ), la cui omissione non è punita ma la cui esecuzione è premiata; permesso (mubāh ), per la cui esecuzione od omissione non è previsto premio né pena; riprovevole (makrūh ), cioè non punibile ma religiosamente non commendevole; proibito (harām ), punibile cioè a termini di legge. Fra gli atti della prima categoria si distingue fra obbligatori per tutti personalmente (fard al-'ain ), come, p. es., le cinque preghiere canoniche (salāt ), e obbligatori per la comunità in generale (fard al-kifāya ) quando, come, p. es., nel caso della guerra santa, basta, per assicurare l'adempimento dell'obbligo, che solo un numero sufficiente di musulmani lo eseguano. Un atto legale può inoltre essere valido (sahīh ) o nullo (bātil ) prescindendo dal suo grado di liceità: così, p. es., se uno compie la preghiera dopo l'abluzione con acqua rubata, l'atto è valido, benché proibito e punibile. Nello schizzo sommario che segue, tratteremo, trascurando i cinque «pilastri» (arkān) dell'Islãm, che fanno parte con i precetti sulla purità rituale (tahāra ) delle già citate'ibādāt (culto), della parte più precisamente giuridica, nel senso occidentale, dei trattati islamici di fiqh , pur non essendo possibile nemmeno in questo caso, data la peculiare impostazione del diritto islamico, fare troppo precise distinzioni fra religione, vita pubblica e privata. Pressoché in nessun paese del mondo islamico la šari‘a è oggi integralmente in vigore ed esistono differenze anche molto forti nell’applicazione dei precetti giuridici nei diversi paesi, in molti dei quali di ha una notevole combinazione tra i principi giuridici tradizionali e quelli del moderno diritto europeo. In linea di massima si può dire che la šari‘a è osservata con maggiore scrupolo nei paesi nei quali è seguito l’I. sciita e in quelli dell’area arabica.

► LO STATO MUSULMANO È nettamente teocratico, ma per il fatto stesso dell'assenza di sacerdoti professionali si potrebbe chiamare, in teoria, una teocrazia democratica. Capo della comunità islamica, che è nel contempo chiesa e stato, è l'imām , «praepositus», più noto in ambiente sunnita come halīfa («vicario» del Profeta) o, con corruzione europea, «califfo». Eleggibile al califfato (si tratta di elezione fatta con sistemi patriarcali, in cui il diritto di scelta spetta alle persone dotte, onorabili, che offrano garanzie sufficienti di equità, ecc.) è ogni musulmano maschio della tribù dei coreisciti (a cui appartenne il Profeta), libero, giuridicamente capace, fisicamente adatto, moralmente degno, colto, energico, prudente. Il patto di accettazione del nuovo sovrano si chiama bai'a . Con essa il califfo resta obbligato a vegliare sugli interessi spirituali e materiali dell'Islām, adempiendo, difendendo e facendo adempiere la legge canonica, difendendo le frontiere, mantenendo in ordine lo stato, giudicando secondo giustizia, ripartendo con equità le cariche e facendo la guerra santa agli infedeli. In teoria il califfo non ha alcun potere legislativo, perché la legge è stata già fatta e fissata da Dio. Egli non fa che custodirne l'integrità e farla applicare. Il califfato autentico è cessato nel 1258 con l'assassinio da parte dei mongoli dell'ultimo califfo abbaside di Baghdād: il califfato ottomano (secc. XVI-XX) fu una finzione legale senza vero valore giuridico (un turco non può essere califfo secondo la legge).

► GUERRA SANTA E BOTTINO Secondo la legge canonica il mondo è diviso in due zone: dār al-Islām , «casa dell'Islām», sottoposta all'impero del califfo, e dār al-harb , «casa della guerra», cioè tutti i paesi non musulmani. La guerra santa (ğihād), letteralmente «sforzo», è un fard al-kifāya per la comunità musulmana. Essa diventa obbligo personale solo in caso di aggressione. È raccomandata teoricamente almeno una campagna l'anno contro gli infedeli. L'attacco deve essere preceduto da un chiaro invito a convertirsi. In questo campo vanno distinti i veri e propri kuffār (plurale di kāfir) cioè «politeisti», per i quali la scelta è solo fra l'Islām e la spada, e gli ahl al-kitāb (la «gente del libro», cioè ebrei, cristiani e forse zoroastriani) per i quali la scelta è fra la conversione all'Islām, la spada e la sottomissione all'Islām come «protetti» (dimmī): solo dopo un esplicito rifiuto del nemico a convertirsi o a sottomettersi si deve procedere all'attacco. La guerra non fatta secondo queste modalità (p. es., per puro scopo di bottino o politico) è considerata dai giuristi alla pari dell'omicidio. La legge proibisce inoltre in guerra l'uccisione di donne, fanciulli, monaci, vecchi e in genere, uomini inermi, e inoltre la distruzione di beni immobili di ogni specie.

► I dimmī La legge canonica non è territoriale, fondandosi sulla professione di fede religiosa. Il concetto di «nazione» vi è sconosciuto: i dimmī , cioè la «gente del libro» vivente sotto un capo musulmano, rappresentano, anche se della stessa etnia e lingua e viventi nello stesso territorio dei musulmani, una categoria distinta, e legalmente inferiore, di popolazione, sottoposta a un diritto speciale. La protezione è un patto bilaterale che dà diritto al dimmī di risiedere in territorio musulmano, gli garantisce ampia libertà di culto, la protezione della sua persona e dei suoi beni e la difesa contro i nemici esterni. In cambio egli deve pagare un'imposta di capitazione (ğiziyya ) che grava solo sugli uomini liberi e abili e un tributo (harāğ ) sulle terre possedute. In caso che un musulmano sposi una donna della «gente del libro» è obbligato a lasciarla libera nella pratica della sua religione. Le cause civili e penali fra dimmī sono considerate di competenza della loro comunità religiosa, i cui giudici possono, secondo le proprie leggi e prescindendo completamente dal ricorso a tribunali musulmani, condannare alla pena capitale. Ai dimmī è proibito far parte dell'esercito, sposare donne musulmane, tenere schiavi musulmani, far da testimoni in giudizi fra musulmani, ecc. Inoltre i dimmī tradizionalmente usavano portare uno speciale distintivo della loro condizione: una pezza colorata o una cintura (zunnār ).

► PERSONALITà E CAPACITà GIURIDICA. LA SCHIAVITù Stato naturale dell'uomo è considerata la libertà. La piena capacità giuridica appartiene nell'Islām al maschio libero, pubere, sano di corpo e di mente e di buona condotta secondo la morale islamica. La donna, rispetto alla sua situazione nell'Arabia pagana preislamica, fece con l'Islām notevoli progressi ed è quasi equiparata all'uomo (Cor. II, 228): ma non può, p. es., fungere da giudice o fare da testimone in certi processi gravi. In altri casi la testimonianza di due donne vale come quella di un uomo e, anche nell'eredità, la parte della donna è metà di quella dell'uomo. La schiavitù nasce dall'esser fatti prigionieri in guerra, o l'esser nati da madre schiava (salvo il caso in cui il figlio sia del padrone della schiava, nel qual caso è libero). Non è ammesso per nessuna ragione che un musulmano passi dallo stato di libertà a quello di schiavitù. Lo schiavo, secondo la legge islamica, ha molti più diritti di quelli degli schiavi che esistettero in paesi cristiani fino al sec. XIX avanzato: egli gode di piena libertà religiosa, può sposarsi legittimamente, ed è permesso il matrimonio fra liberi e schiavi salvo quello della schiava con il proprio padrone, il quale può sempre coabitare con lei, se non sposata. Lo schiavo può possedere un suo peculio e schiavi propri che non sono gli schiavi del padrone; può ricevere legati o rifiutarli anche contro la volontà del padrone. Questi è obbligato a trattarlo con umanità, a fornirgli il necessario per vivere e a curarlo nelle sue malattie e nella vecchiaia. In caso contrario il padrone può essere punito dal giudice e lo schiavo liberato. La liberazione degli schiavi è considerata dal Corano e dalla tradizione una delle opere più meritorie possibili. Con l'atto di emancipazione (che si opera con certe modalità previste dalla legge) si crea fra il liberto e il patrono (detti ambedue maulā ) un legame equiparato a quello di parentela, con effetti giuridici simili

► ESTINZIONE DELLA PERSONALITà. APOSTASIA DALL'ISLāM L'estinzione della personalità giuridica si ha con la morte, con un'assenza prolungata o con l'apostasia dall'Islām. Dato il concetto religioso teocratico della legge islamica, l'apostasia cosciente dall'Islām equivale alla morte civile della persona (il matrimonio dell'apostata è automaticamente sciolto, nullo è il suo testamento, i suoi beni passano al fisco, ecc.) seguita, se essa non si ravvede dopo un brevissimo periodo di pii ammonimenti, dalla morte anche fisica, che tutte le scuole unanimi decretano all'apostata (salvo, nella anafita, alla donna apostata, condannata alla prigione finché non cambi opinione).

► IL MATRIMONIO Il Corano ammette, pur con qualche restrizione (Cor. IV, 3 e 129), la poligamia, fissando però a 4 (quindi limitandolo, rispetto alle usanze del paganesimo preislamico) il numero massimo delle moglie legittime. Il matrimonio è un contratto giuridico semplicissimo fra lo sposo e il walī , o rappresentante legale della sposa, della quale però è per legge obbligatorio il consenso al matrimonio. In teoria non v'è alcun bisogno di rappresentanti della legge per concludere un matrimonio: bastano lo sposo (o il suo walī , se minorenne), il walī della sposa e due testimoni. In pratica però il contratto avviene davanti a un giudice (qādī ) o persona da lui delegata. Nel contratto lo sposo si impegna a versare alla sposa una dote (mahr ). La legge non conosce in teoria un limite d'età per la conclusione del contratto matrimoniale. Fra i vari impedimenti c'è anche la parentela di latte fra gli sposi. La legge ammette il matrimonio di un musulmano con donne della «gente del libro», ma non viceversa. Il divorzio è semplicissimo e assume piuttosto la forma di ripudio da parte dell'uomo (talāq ), benché esista anche la possibilità del hul'(riscatto della moglie dal marito pagando una certa somma concordata). Raro è lo scioglimento del matrimonio per fash , dichiarazione di nullità legale da parte del giudice.

► PRECETTI PENALI Le pene si dividono in categorie secondo gli atti a cui si riferiscono. Atti illeciti contro la vita e l'integrità corporale dànno diritto alla vittima o al suo rappresentante di eseguire anche personalmente sull'aggressore la legge del taglione (qisās ) con l'alternativa di poter esigere da lui la diyya o «prezzo del sangue». Per non fare che un esempio delle numerose e minuziose prescrizioni, diremo che il «prezzo del sangue» di un maschio adulto è di 100 cammelli, per una donna 50, per un cristiano o un ebreo un terzo. Atti la cui sanzione è tassativamente ed esplicitamente prevista nel Corano, e per i quali in generale (dato che si tratta di un ordine preciso e personale di Dio) la pena deve applicarsi anche in caso di perdono della parte lesa o di rifiuto a procedere da parte della medesima, sono l'apostasia, l'adulterio, la calunnia, il furto, il banditismo, la ribellione e l'ubriachezza. Abbiamo visto già che l'apostasia, in caso di ostinazione, implica la pena di morte. L'adulterio (zinah ), se il reo (o la rea: uomo e donna sono in questo caso del tutto equiparati) è un muhsan (adulto sposato e pienamente capace), implica la pena di morte per lapidazione (di cui non si parla affatto nel Corano attuale ma che la tradizione unanime vuole prevista da un versetto andato perduto); in caso che non sia muhsan si applica una fustigazione di 100 colpi. Se l'accusato (o accusata) non confessa, necessitano 4 testimoni che concordino nei particolari. La calunnia (più specificamente accusa di adulterio di una persona onesta senza fondamento) è punita da 80 colpi di frusta. Il furto è punito con l'amputazione della mano destra, poi, in caso di recidiva, prima della mano sinistra e poi del piede destro. Per la quarta volta si dà una pena ad arbitrio del giudice e la prigione a vita. Per i ladroni da strada e i briganti il Corano (V, 33) stabilisce che siano uccisi o crocefissi o che vengano loro tagliate alternativamente le mani e i piedi o che vengano esiliati. Il bere vino o sostanze inebrianti è punito con la fustigazione: da 40 a 80 colpi in caso di un libero, la metà se si tratta di uno schiavo (gli schiavi ricevono in generale dal diritto islamico pene più miti che i liberi). In mancanza di confessione si richiedono due testimoni per la prova. La durezza di queste pene è molto limitata sia dalla grande difficoltà in certi casi di avere la prova evidente, sia da alcune facilitazioni che la legge consente al colpevole (il giudice consiglia l'imputato di non confessare, ecc.) per evitargli tali durissime conseguenze del suo misfatto.

► PROCEDURA GIUDIZIARIA È molto agile e pratica, e contrasta con la pesantezza e primitività del diritto penale. Il giudice (qādī ) è nominato dal principe e deve essere un musulmano, pienamente capace, di condotta irreprensibile e di notevole scienza giuridica: la nomina implica la delimitazione del territorio di sua competenza e l'accettazione della carica da parte del giudice davanti a due testimoni. Il giudice, giudicando secondo una legge direttamente divina, non è mandatario del principe. Accanto al giudice, e nominati da lui, ci sono in genere un nā’ib (sostituto), dei giurisperiti con cui si consiglia, un muzakkī , perito che giudica dell'idoneità legale dei testimoni e ne riferisce al giudice in segreto, e i periti sulla divisione dell'eredità (qassām ). Le prove sono per lo più orali. Nel diritto islamico manca ogni «appello»: il giudice è unico e la sua sentenza è definitiva e inappellabile. In qualche caso, però, lo stesso giudice o il suo successore possono ritornare su quanto hanno sentenziato: il giudice si prende anche cura dell'esecuzione della sentenza.
▪ Distribuzione e statistiche. La religione islamica è praticata dalla quasi totalità della popolazione, o da significative percentuali, nella maggior parte dei paesi africani, nell'Asia occidentale, centro-meridionale e sudorientale, in alcuni paesi dell'Europa meridionale, in sparuti lembi dell'Oceania (isole Figi): il numero complessivo dei musulmani nel mondo superava agli inizi degli anni'90 il miliardo.

ARTE. È al 622, ossia al passaggio di Maometto da Mecca a Medina, che si fa risalire l’inizio dell’era e quindi anche dell’arte islamica. Dapprima venne assimilata la lezione delle due grandi civiltà antecedenti (quella tardo-antica bizantina in Occidente e quella persiana-sasanide in Oriente), in seguito venne elaborato un più specifico linguaggio artistico. L'enorme importanza rivestita dal Corano nel mondo islamico, accanto ad una spinta iconoclasta di derivazione forse cristiana e anche ebraica, si traduce in un uso decorativo della scrittura che è caratteristica peculiare dell'arte musulmana. La decorazione si basa infatti principalmente, oltre che sulla parola, su forme floreali astratte (note come arabeschi) e sulla geometria.

▪ Architettura e urbanistica. ► I PRIMI DUE SECOLI L'edificio più tipico dell'architettura islamica è la moschea che si trasformò nel corso della conquista delle regioni limitrofe. Così, p. es., le chiese siriane erano orientate ad est, mentre la Mecca, rispetto alla Siria, si trova a sud, per cui le basiliche sarebbero state utilizzate ortogonalmente alle navate. Questa circostanza è menzionata a giustificazione di uno sviluppo orizzontale della sala di preghiera con navate parallele al muro qibli , preferito rispetto all'impianto basilicale cristiano.
Del primo periodo islamico ricordiamo le moschee di Kufah (638) e di ‘Amr a Fustāt (Cairo, 641-642). Il più celebre edificio del periodo omayyade (661-750) è senza dubbio la Qubbat as-Sakhra (Cupola della roccia o moschea di Omar, 687-691), a Gerusalemme. A pianta ottagonale il monumento, che riecheggia i classici martiria cristiani e la chiesa del Santo Sepolcro, sorge sopra la roccia ritenuta quella del sacrificio di Abramo, la medesima da cui ebbe inizio il viaggio celeste (mirağ) di Maometto. All'interno due ambulacri attorno alla roccia rendono possibile il tawaf , cioè la circoambulazione rituale (che si svolge anche attorno alla Ka'ba meccana), mentre la decorazione epigrafica e floreale è in mosaico e utilizza gli stilemi propri delle due grandi culture precedenti, bizantina e sasanide. Numerosi sono stati nei secoli gli interventi e i restauri: il più importante fu quello voluto dal sultano turco Solimano il Magnifico che nel 1552 fece ricoprire l'esterno di mattonelle di maiolica. Ancora il mosaico è protagonista della decorazione della grande moschea di Damasco (706-15) che sorge nell'area della basilica di San Giovanni, a sua volta riutilizzante un tempio di Giove. I mosaici di Damasco con architetture e paesaggi floreali, sono di grande rilievo artistico e costituiscono il precoce apice di questa forma d'arte.
Dopo una prima fase siriana, l'asse politico e artistico-architettonico si spostò con la dinastia abbaside (750-1250) a Oriente, nei territori mesopotamici, e ancora più a levante in Persia. Il califfo al-Man ãr volle costruire una nuova città, che sorse nei pressi dell'attuale Baghdād (762-67) ed ebbe una pianta a settore circolare. Due ampie mura circondavano i quartieri e all'interno sorgevano soltanto la moschea e il contiguo palazzo califfale. Pochi anni dopo i successori del califfo fondarono Samarra (836-883) e Ja'fariya, nell'860 (nota la moschea di Abu Dulaf). La città era immensa e fu costruita in pochi anni; la grande moschea congregazionale (847) aveva una grande corte, porticati su tre lati e la sala di preghiera a copertura ipostila. Il minareto è di forma elicoidale, alto 54 m. La grande rapidità di costruzione e le dimensioni delle opere favorirono l'uso dello stucco e del legno quali materiali decorativi, preferiti alla pietra e al mosaico.
Contemporaneo alla fase di spostamento del centro politico da Damasco a Baghdād sarà il consolidamento dell'espansione del potere islamico verso occidente. Sono pietre miliari architettoniche la moschea di Sidi Okba a Kairouan (Tunisia; fondazione omayyade ma ripetutamente riedificata nell'836, nell'862 e nell'875), con una grande corte e portici su tre lati. La sala di preghiera è ipostila con navate perpendicolari al muro qibli e la navata centrale e quella che precede il mihrāb stesso più larghe e sopraelevate. La moschea di Ibn Aulun al Cairo (876-879) non è dissimile per pianta da quella di Kairouan: molto interessanti sono il minareto (elicoidale nella parte terminale) e le decorazioni lignee e in stucco degli archi, che ricordano l'arte di Samarra. Fra i più formidabili monumenti islamici d'Iberia è la moschea di Córdoba (edificata nell'833, completata fra 987 e 988) con la selva di colonne (ca. 850) e il sistema di arcature, a ferro di cavallo, doppie e incrociate, che paiono derivare dall'architettura idraulica romana, forse con mediazione visigotica. Particolare è il mihrāb , solitamente una nicchia, che qui diviene quasi un ambiente separato con una copertura in splendido mosaico realizzato da artisti damasceni.
Accanto all'architettura religiosa se ne è sviluppata subito un'altra, civile, che ha il suo fulcro nelle strutture fortificate erette tutte nel deserto siro-palestinese (ad eccezione del palazzo di Ukhaydir del 755 che si trova nell'odierno Iraq). Fra i siti più celebri ricordiamo quelli di Qusayr'Amra (712-715), di Qasr al-Hayr (729), Khirbat al-Mafjar (744) e M'shatta (metà sec. VIII). La vivace decorazione di questi complessi ornati con pitture murali, stucchi, pietre scolpite, mosaici pavimentali, offre un repertorio assai ricco di forme e motivi che saranno ripresi ed elaborati in tutta la storia dell'arte islamica.

► URBANISTICA E ASSETTO DEL TERRITORIO Sia che le città fossero costruite ex-novo , sia che venissero trasformate, per le esigenze politiche, culturali e commerciali musulmane è importante che la moschea congregazionale con l'annesso palazzo governativo siano in posizione centrale e circondati da ampi mercati come avviene a Damasco, Il Cairo, Aleppo, Baghdād. Edifici importanti sono anche i bagni, ripresi dalla tradizione romano-bizantina (celebre quello di Bursa) e via via trasformati. Istituzione tipicamente cittadina è la madrasa o scuola coranica: quella del sultano Hassan al Cairo (1356-63) è un imponente e severo edificio che ha anche ispirato moderne architetture occidentali. In relazione all’importanza del pellegrinaggio nella religione islamica non è difficile comprendere la grande cura posta nella costruzione della rete viaria, con i caravanserragli, i ponti e le altre strutture necessarie. Importanti sono anche i lavori di idraulica, quali gli acquedotti o i bacini idrici (fra i più notevoli quelli aghlabidi nei pressi di Kairouan, dell'862) o il Nilometro posto sull'isola di Rodha, risalente all'861-862.

► DOPO GLI OMAYYADI Dell'epoca fatimide (969-1171) ricordiamo al Cairo le moschee di al-Azhar (970-972), di al-Hākim (990-1003) e soprattutto al-Akhmar (1125) con il portale e la facciata decorati, oltre gli archi che denunciano un'influenza siro-iranica. Della medesima epoca sono anche le mura del Cairo con le grandiose porte di Bāb al-Futuh, Bāb al-Nasr e Bāb az-Zuwaila. In epoca ayyubide (1171-1250) e mamelucca (1252-1517) si assiste al Cairo ad un notevole sviluppo architettonico: citeremo il complesso di Kalaoūn (dal 1284), la madrasa di Sultan Hassan (1356-63), il mausoleo-madrasa di Kaiyt Bay (1463-69). Dopo l’invasione ottomana (1517-1805) continueranno (sia in Egitto sia in Siria) la costruzione di opere secondo la tradizione locale per poi introdurre nella loro architettura lo stile sovranazionale imposto da Sinan. In Siria sono assai significativi gli edifici fortificati costruiti per osteggiare l'avanzata crociata; notevolissima è la struttura urbanistica di Aleppo e della sua cittadella (1209-12), capolavoro dell'architettura militare. Le madrasa (molte ne restano a Damasco) sono di derivazione persiana con i loro quattro īwān . Nel Maghreb e in Spagna si sviluppò uno stile architettonico particolare, con grande uso dell'arco a ferro di cavallo. Monumenti degni di rilievo sono in Marocco la moschea grande di Tlemcen (1136), la Kutubiyya a Marrakech (1150) e la moschea di Hassan a Rabat (1195).
In Spagna il monumento più celebrato e meritatamente famoso è l'Alhambra a Granada (1369), complesso di palazzi con padiglioni, cortili, giochi d'acqua e una straordinaria decorazione di stucchi, legni, marmi e mattonelle. Le strutture sono prive di cupole, ma si basano su colonne, trabeazioni e cassettoni lignei; da segnalare pure la moschea congregazionale di Siviglia (1172-76). Notevole è stata anche l'influenza islamica in Sicilia, riscontrabile nella Cuba (1180), nella Zisa (1154-66; 1166-89), nel soffitto ligneo a muqarnas (stalattiti) dipinte della cappella Palatina a Palermo (sec. XII), o nel celebre duomo di Monreale (1174) e nei Bagni di Cefalù (sec. XI).
Una provincia assai interessante dal punto di vista dell'architettura è inoltre quella yemenita dove, oltre alle moschee di San‘ā e di Zafar, sono ben conservate anche le strutture di centri urbani (a Sa‘dah, ma anche nella stessa San‘ā e in altre località); notevoli sono le alte case dipinte di bianco, grattacieli in mattone crudo, con decorazioni in stucco e grate lignee di notevole originalità.

▪ Arti decorative. Gli artisti musulmani hanno avuto diversi stili di scrittura, tutti molto ornamentali; quello cufico (dalla località di Kufah) dei Corani dei secc. VIII e IX si osserva nella scuola maghrebina fiorita a Kairouan nei primi secoli dopo la conquista. L'illustrazione miniata del manoscritto, pur raggiungendo le vette più alte nell'arte iranica, darà buoni frutti anche nei territori propriamente arabi. Testi naturalistici come il Libro degli animali , versione araba del Fysiologos greco, di medicina come la Materia Medica di Dioscoride o il Libro degli Antidoti dello Pseudo-Galeno; volumi di storia quali al-Athār al-baqiya ani'l-qurūm al-khāliya (Monumenti superstiti dei secoli andati) di al-Bīrūnī, sono illustrati con semplicità e dovizia di particolari.
L'incisione, l'intaglio e la scultura in legno (mai a tutto tondo) sono state praticate fin dagli inizi del periodo islamico: basti citare le trabeazioni della moschea al-Aqsā di Gerusalemme, i legni di Samarra e i capolavori di età fatimita più libera nelle figurazioni naturalistiche. La grande tradizione tecnica continuerà in Egitto anche con gli Ayyubidi e si affermerà una lavorazione mista di legni di varia natura, avorio o osso e madreperla. L'avorio, sarà ben lavorato in Egitto e in Spagna ove nei secc. X e XI si svilupperà una scuola di intaglio straordinaria (scrigno della regina Bianca di Navarra, 1004-05, Museo della cattedrale Pamplona). A influenza «arabo-moresca» sono da ricondurre anche gli olifanti o corni da caccia e i cofanetti prodotti nei secc. XI e XII in Italia meridionale.
Altro materiale prezioso fu il cristallo di rocca, la cui lavorazione ebbe grande impulso presso la corte fatimita. I più grandi capolavori di quest'arte si trovano in Europa (Londra, Parigi, Vienna, Leningrado, Venezia, Firenze). Il vetro non fu meno valutato. Per rimanere all'epoca fatimita i vetrai sperimentarono tecniche particolari quale la decorazione a lustro o con colori assai simili agli smalti. Il periodo d'oro sono i secc. XII-XIV; i centri più importanti sono in Siria e si ricordano per la loro insuperata abilit† gli artigiani di Aleppo e Damasco.
Di non minor considerazione è degna l'arte fittile. La sottile ceramica di Samarra, opaca con decorazioni in blu cobalto e verde ramina, denuncia i contatti col mondo cinese. Ma sarà la decorazione a lustro metallico il prodotto più tipico dell'arte ceramica islamica; se la sua origine fu egiziana, essa si diffuse ovunque; a Fustāt vicino al Cairo e poi a Raqqah in Siria e a Ray e Kashan in Persia e ad Occidente, in Spagna, a Valencia, Malaga e Manises. Musulmana è anche la diffusione dell'uso della mattonella per decorare interni ed esterni di edifici.
L'arte del metallo fu ugualmente praticata nel mondo islamico: la scuola di Mossul (Iraq settentrionale) fiorita nel sec. XIII, era specializzata nella lavorazione di oggetti in bronzo od ottone finemente cesellati e incrostati in oro e argento. In alcuni casi l'artista ha firmato l'opera: Muhammad Ibn al-Zaiyn è l'autore del celebre bacile noto come «battistero di San Luigi», oggi al Louvre. Di buon livello erano anche le opere eseguite al Cairo e a Damasco (porta dell'ospedale di Nur al-Din, 1154), che era giustamente conosciuta per i suoi insuperati acciai. Non va infine dimenticata la notevole produzione fatimita (Egitto e Spagna) che ha eseguito quei pochi oggetti a tutto tondo che possiamo considerare quali sculture; si veda, p. es., il grande (150 cm) grifone del camposanto di Pisa. I tessuti sono stati la merce più scambiata nel Medioevo e per tutto il Rinascimento; accanto ai centri d'Asia centrale e Asia orientale che tramite la Via della seta inondavano i mercati europei giù ai tempi di Roma, esistono centri mediterranei responsabili di una corrente affatto diversa. In Egitto la comunità cristiana copta per secoli ha rappresentato l'avanguardia tecnica e decorativa nella produzione di tessili. Con la conquista araba poco o niente cambia sulle prime; si istituiscono manifatture tessili dar al-Tiraz , e il termine tiraz sta anche a designare una fascia iscritta posta in una veste da cerimonia. L'Egitto e la Siria erano famosi per la produzione di lino il primo, e di sete l'altra. Una manifattura di tiraz fu istituita anche a Palermo ed è notevole prodotto siciliano il manto eseguito per Ruggero II (1133-34, oggi a Vienna). L'influenza esercitata dall'arte fatimita in Sicilia ha varcato i confini dell'isola, tant'è che importanti contatti, tecnici e decorativi, si ebbero con i setaioli lucchesi. Sebbene l'arte dell'annodatura dei tappeti si sia esercitata soprattctto in Persia, Turchia, Caucaso, Asia centrale e India, non mancano esempi di produzione in area mediterranea meridionale e occidentale. In Egitto e nel Maghreb si producevano, nei secc. XV e XVI, tappeti in lana (noti come mamelucchi) che ebbe larga fortuna in Venezia e in Europa ove erano conosciuti col nome di caiarini. Ben documentata è anche la situazione della Spagna, nei secc. XV e XVI, con tappeti con stemmi nobiliari.

Imam (arabo Imām; ««capo, guida»»). Indicante dapprima, nel mondo islamico, colui che presiede un'assemblea o dirige la preghiera collettiva, divenne poi titolo degli antichi teologi musulmani e dei fondatori dei quattro riti ortodossi, nonché sinonimo di califfo. È termine usuale per indicare chi accudisce a mansioni religiose d'ordine inferiore o giuridico( Islamismo). Nell'islamismo sciita, l'I. è il capo supremo della comunità.

Corano. È il Libro sacro dei musulmani, codice religioso, fonte principale del diritto e opera letteraria. Contiene le rivelazioni che Maometto ricevette in tempi diversi in lingua araba da Dio per mezzo dell'arcangelo Gabriele. L'originale del libro, che secondo l'ortodossia è «increato», si troverebbe in cielo in una tavola «ben custodita». Il vocabolo arabo qu'rān significa «leggere» o meglio «recitare ad alta voce», e in particolare nel suo significato liturgico indica la recitazione dei testi sacri, e infine anche la raccolta dei testi stessi. Per i credenti il C. è la parola di Dio. Il fedele tra le sue preghiere recita sempre qualche parte di esso, e nella liturgia sono determinate le regole di pronuncia e di modulazione per la recitazione. Il C. non è un libro organico e ordinato. Maometto non era un letterato, ma aveva quella calda eloquenza, fatta di grandi idee e di forti passioni, che va al cuore e trascina le folle. Egli ebbe le sue rivelazioni in parte alla Mecca e in parte a Medina e ne comunicò il contenuto ai suoi fedeli. Il suo racconto fu raramente dettato da lui a degli scrivani, più spesso fu tramandato a memoria, e solo dopo la morte del Profeta se ne fecero redazioni complete, senza tenere più conto, e non sarebbe stato possibile, della successione cronologica delle rivelazioni che Maometto aveva avute. Cosicché il C., nella sua redazione definitiva, è formato da capitoli o sure radunate in ordine decrescente di lunghezza, con l'eccezione della prima (detta Fātiha o Aprente). Le redazioni iniziali furono parecchie e spesso anche discordanti tra di loro; la più famosa è dovuta a Zayd ibn Thābit che la presentò al califfo Abū Bakr (m. 634/13 dell'egira). Lo stesso Zayd ebbe poi incarico dal califfo 'Othman (m. 644/23 dell'egira) di stendere la redazione definitiva, che costituì il testo ufficiale diffuso in tutto il mondo musulmano, e non più modificato. I manoscritti più antichi, in caratteri cufici, non risalgono oltre il sec. VIII.
Il contenuto è molto vario: la rivelazione della nuova fede e l'ordine a Maometto di predicarla; la missione divina a lui affidata; l'unità e l'onnipotenza di Dio; le minacce contro i nemici del Profeta; la descrizione delle pene e soprattutto delle gioie della vita futura; storie di patriarchi e di personaggi biblici; racconti di castighi terribili con cui furono colpiti gli infedeli del passato; norme giuridiche e prescrizioni di culto che tutti i fedeli devono osservare, ecc. ( Islamismo). Fonti dell'ispirazione religiosa di Maometto, che ebbero larga influenza sulla composizione del C., furono tanto l'ebraismo quanto il cristianesimo orientale e gnostico, oltre, naturalmente, alle credenze religiose vive nella penisola araba del sec. VII.
Dal sec. VIII (II dell'egira) ebbe grande sviluppo l'opera degli esegeti, che diedero ampissimi e numerosi commenti (detti in arabo tafsir ) contenenti anche tradizioni orali che si facevano risalire a Maometto o ai suoi primi seguaci; aggiunte necessarie e utili per rispondere a nuove esigenze che si presentavano nel corso dello sviluppo dell'Islām, sia per motivi religiosi e sia per cause sociali.

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