Illuminismo e dispotismo illuminato

Materie:Tesina
Categoria:Storia

Voto:

1.5 (2)
Download:1471
Data:06.10.2006
Numero di pagine:14
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
illuminismo-dispotismo-illuminato_1.zip (Dimensione: 13.66 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_illuminismo-e-dispotismo-illuminato.doc     49.5 Kb


Testo

L’ILLUMINISMO
E
IL DISPOTISMO ILLUMINATO

Tra il 1600 e il 1700 si diffonde in Europa un nuovo modo di pensare e interagire con la natura; si presenta un nuovo modo di osservare, capire e analizzare la realtà effettiva. Un movimento, che viene comunemente chiamato dagli storici ILLUMINISMO. Con questo termine si indica dunque quel movimento letterario filosofico diffusosi in Europa e in America dall’inizio del XVIII secolo. Si tratta di una tendenza storico letteraria abbastanza complessa e non povera di sfaccettature, dilemmi e punti oscuri. Al fine di comprendere meglio quello che è il punto centrale dell’illuminismo, il suo evolversi e le sue conseguenze in ambito politico-religioso, risulta necessario applicare un’attenta analisi ad un quadro storico-sociale a dir poco complesso che caratterizzava lo scenario europeo nella 1° meta del 1600.
Le radici della nascita dell’illuminismo sono da ricercarsi a ritroso nel tempo a quelli considerati gli anni bui della cultura scientifica: il Medioevo.
Nonostante la fase rinascimentale del 1500, ancora molto occorreva essere attuato per poter affermare con decisione di essere diretti verso il giusto processo di sviluppo economico e culturale. In effetti, solo nel 1700, con l’illuminismo, si può parlare di punto d’arrivo di un processo avviato già a partire dal XVII con il razionalismo cartesiano e il pensiero scientifico.
Il clima politico europeo è infuocato da pesanti battaglie tra eserciti rivali che trasformano la guerra in un fatto quotidiano. Le dispute religiose, tra Chiesa ufficiale e minoranze avevano ormai essenzialmente modificato i termini standard che sino ad allora avevano caratterizzato l’equilibrio politico religioso.
Paesi maggiormente influenzati da questi radicali cambiamenti dovuti proprio alle idee illuministiche furono essenzialmente l’Inghilterra, la Spagna e la Francia.
In Inghilterra, in seguito alle diverse forme di protesta del Parlamento, degli eserciti delle minoranze puritane si venne a creare il primo governo repubblicano, ponendo cosi i fondamenti democratici dell’Europa moderna.
Al contrario in Francia, con la salita al potere di Luigi XIV si afferma un potere del tutto opposto a quello democratico, dunque un sovrano dotato di poteri assolutistici. Proprio la sua presenza, che rappresenta per la Francia una radicale modifica all’apparato amministrativo in cui le signorie locali detenevano, di fatto ancora il potere, una riforma attuata nascondendosi dietro l’esigenza primaria di porre fine a una situazione politica e sociale estremamente precaria (casse vuote dello Stato, debito pubblico alle stelle, frazionamento del potere…)
E proprio in questa varietà di ambienti politici che si individuano le cause prime dell’ILLUMINIMO.

Negli stati nazionali, ma in particolare in Inghilterra e successivamente in Francia, iniziano a diffondersi idee di un’ipotetica uguaglianza di classi, almeno in ambito culturale. Con l’affermarsi sempre maggiore di una classe borghese, che aveva avviato la sua presa di potere gia a partire del XXII secolo, si creano in Europa le prime associazione laiche. Cellule di un movimento culturale sempre più ampio e profondo; sono infatti il fertile terreno in cui nascono le prime idee di cambiamento, in cui per la prima volta si parla di uguaglianza sociale, di cultura, di teoricità applicata al lato pratico della realtà.
Già prima esistevano dei luoghi di incontro tra le diverse personalità dei diversi stati sociali, ma nel 1700 per la prima volta si partecipa in maniera attiva, ponendo la ragione e l’uomo al centro di tutto, cercando di scoprire l’effettiva realtà e non subendo passivamente leggi dettate da una strumentalizzazione dei testi sacri o aristotelici.
Ma perché ci si dirige verso un mondo effettivo, verso una vera e propria scienza, trascurando finalmente l’ignoranza e la superstizione?
I fondamenti erano puramente pragmatici; l'uomo del 1700 intuisce finalmente che il suo successo non deriva da una fatalità predestinata, bensì da un’attenta analisi della realtà da cui poi capire quali sono le giuste conclusioni per giungere alla propria realizzazione personale. L’uomo non si limita più a considerare la ragione come semplice organo di conoscenza, ma vuole trarre nuovamente dei concetti, le più radicali conseguenze pratiche nel campo politico e sociale. Al pubblico dunque interessavano fondamentalmente obiettivi pratici per esempio l’introduzione di tecniche agrarie produttrici, di cure mediche che allontanavano lo spettro della morte. Occorreva dunque utilizzare la ragione al fine di scoprire la motivazione all’impedimento della felicità, attraverso essa si potevano scoprire empiricamente le leggi naturali, e poterla così modificare agevolando l’attività dell’uomo. Per poter procedere in questa direzione si rendeva lecita la sperimentazione con la convinzione che il mondo e le sue leggi fossero ancora tutte da scoprire e che anzi la critica e la scienza non erano soltanto lecite, ma anzi indispensabili per accedere alla verità. Ecco che allora in questo campo spiccano successori dei promotori di questa tendenza sperimentale (Newton e Galilei) quali Francis Bacon, secondo cui la natura andava osservata e solo a qual punto sarebbe stato possibile giudicarli nei suoi fatti effettivi. In questa maniera risultava impossibile l’impedimento alla nascita di pesanti controversie con la chiesa, in particolare quella ufficiale. I risultati raggiunti dalle ricerche promuovevano infatti una smentita totale dei dogmi religiosi che da secoli reggevano e amministravano una vita sociale essenzialmente religiosa. Il pericolo per le istituzioni religiose nasceva soprattutto però dalla natura del suo potere. Sino ad allora basato sull’ignoranza popolare e di conseguenza sul suo consenso. Dal momento in cui lo spettro dell’ignoranza si avviava verso un lento cammino della scomparsa, cresceva il timore nella Chiesa cristiana di perdita di consenso.
Ulteriore conseguenza dell’ormai diffusa pragmaticità sono una serie di filosofie ben lontane dal teorico e dal religioso. Molti filosofi, spinti dal clima confuso di una religione ormai corrotta, cercano di cogliere oltre ai dogmi e ai riti caratteristici di ogni singola confessione, una sorta di religiosità naturale che poteva attingersi all’interno di ogni singolo individuo.
Nascono movimenti come il DEISMO che trova poi una sua estremizzazione nel MATERIALISMO. Secondo alcuni illuministi infatti, tutto ciò che esiste non è altro che materia, contestando dunque l’esistenza dell’anima e di conseguenza affermando la non veridicità della dottrina religiosa. Si parte, in particolare con personaggi come Voltaire, con una politica anticlericale o avversione a tutte le religioni positive, sino ad arrivare, con altri autori, a una lotta aperta contro ogni forma di religione, deismo incluso, in base alla pretesa che solo una concezione rigorosamente materialistica ella realtà potesse considerarsi criticamente fondata e atta a liberare gli uomini da ogni deformazione superstiziosa.
L’illuminismo come movimento non ebbe le sue ripercussioni solo nel mondo religioso, ma anche e soprattutto, come già si è detto, in ambito scientifico. Di particolare importanza fu però il ruolo che ben presto assunse una nuova scienza, nata con la ricerca della “felicità sociale”. È nel 1700 che nascono le prime teorie economiche con scuole come la Fisiocrazia o la Classica. In particolare con Quesny, principale esponente della fisiocrazia, si presuppone l’esistenza di un ordine naturale economico delle cose. Dunque compito dell’economista era quello si scoprire le leggi che stanno alla base della produzione e della distribuzione dei beni. Da ciò ne deriva che “per determinare la massima felicità per il maggior numero di persone” era necessaria una massima libertà di scelta economica, per il semplice fatto che il mercato avrebbe da solo provveduto al raggiungimento del benessere comune. Le idee di Quesny saranno poi riprese e approfondite alla fine del 1700 con Smith il quale, per la prima volta parlerà di liberismo economico nel suo “Ricchezza delle Nazioni”.
Dunque in sintesi si potrebbe definire illuminismo quel vasto moto culturale che rappresenta il punto d’arrivo del processo di rinnovamento avviato dal razionalismo cartesiano e dal pensiero scientifico già durante la prima metà del XVII secolo.
Carattere fondamentale e predominante nell’Illuminismo è la fede assoluta nella regione umana, considerata “sempre identica a se stessa, in tutti gli uomini, in tutte le epoche nonostante il variare dei tempi”. Lo stesso Kant afferma che “l’Illuminismo è l’ uscita dell’uomo dallo stato di immortalità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità si servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.L’Illuminismo può essere dunque considerato un risveglio da quel mondo buio, oscuro che per secoli aveva dominato la collettività: un’antitesi del Medioevo.
Tuttavia il razionalismo Illuminista è stato spesso considerato come essenzialmente incapace di comprendere i valori positivi della storia, perché esso assunse nei confronti del passato un atteggiamento prevalentemente polemico, inteso a liberare gli uomini dal peso delle tradizioni; ma in realtà esso avviò anche ad una miglior interpretazione del processo storico, perché concentrò la propria attenzione sugli sviluppi etici-politici e culturali, anziché sui puri fatti diplomatici, dinastici e militari.
Nel campo politico gli Illuministi, benché tutti favorevoli ad una profonda razionalizzazione della società umana, ebbero opinioni divergenti: taluni come il Voltaire, teorizzando il dispotismo illuminato, che si limitava a proporre nuovi contenuti al tradizionale assolutismo dei principi; altri, come il Montesquieu, elaborando dottrine intese a limitare gli arbitri del sovrano; altri ancora, come il Rousseau, rivendicarono al popolo la più piena e completa sovranità, in nome di ideali decisamente democratici.
Ed è proprio il dispotismo illuminato teorizzato dal Voltaire che ebbe grande accoglienza fra i sovrani dell’epoca. Grazie ad esso la filosofia illuministica, secondo quanto essa stessa si proponeva, non rimase confinata nell’ambito teorico dell’astratta ideologia, ma si tradusse in realizzazione pratica. L’importanza delle nuove idee illuministiche fu compresa dai sovrani di alcuni Stati, che le attuarono in modo graduale e parziale, cercando di conciliare la critica all’assolutismo con l’esercizio di quello stesso potere assoluto. In questo tentativo di conciliazione essi finirono però con lo snaturare la portata democratica dell’illuminismo.
Da questo compromesso ebbe origine il fenomeno del cosiddetto ASSOLUTIMSO ILLUMINATO. Il termine dispotismo illuminato si riferisce al governo assolutista di un monarca illuminato (o despota illuminato).
I sovrani, infatti, sotto la spinta dei tempi, andarono sempre più incontro alle esigenze di libertà e di eguaglianza, ma nel senso di mantenerli tutti uguali sotto di loro, mantenendo quindi quasi intatto il proprio potere. Ciò fu possibile anche per una grave mancanza degli illuministi che da un lato criticavano l’origine divina del potere regio e dall’altro diffidavano di ogni programma troppo democratico, temendo l’irrazionalità e la disordinata passionalità del popolo. Ecco perché accettarono l’autorità regia purché venissero messi in atto le proprie riforme. I despoti illuminati erano monarchi che si distinguevano dai precedenti, governavano, infatti, in base ai principi dell'Illuminismo. Questo significa che gestivano il loro regno con lo scopo di badare allo sviluppo di tutti i loro sudditi, non solo per compiacere la nobiltà.
Tuttavia, rimaneva ancora qualche rimasuglio di quelle idee che per lungo avevano dominato l’Europa: anche se i loro regni erano basati sulle idee dell'Illuminismo, il loro pensiero circa i poteri reali era simile a quello dei loro predecessori, credevano, cioè di avere ottenuto per nascita il diritto di governare.Infatti fino alle soglie del Settecento il fondamento ideale dell'assolutismo era stato il diritto divino dei re, ossia il presupposto che Dio investisse i sovrani del loro potere. Molti usi e istituti ereditati dal medioevo erano sopravvissuti al processo d'accentramento monarchico del potere. Nobiltà e clero conservavano parte dei privilegi tradizionali, le città continuavano a godere di particolari autonomie, le classi sociali erano ancora distinte secondo i vecchi criteri. Anche se sottoposti al controllo dei funzionari regi, questi residui poteri particolaristici ostacolavano l'esercizio dell'autorità sovrana e minacciavano l'unità e la compattezza degli stati. All'inizio del '700 tali sopravvivenze medievali intralciavano l'attività dei principi e ostacolavano lo sviluppo economico, infatti la nobiltà e il clero erano esenti dalle imposte, che gravavano invece sulle classi più attive della società, sottraendo capitali agli investimenti produttivi. Gran parte della terra era nelle mani dei ceti privilegiati che non la sfruttavano secondo i più produttivi criteri capitalistici, inoltre la libertà dì scambio, essenziale allo sviluppo della società borghese, era disturbata o impedita da dogane e pedaggi, relitti anacronistici del feudalesimo.La critica illuministica e le prime formulazioni scientifiche dell'economia indicarono chiaramente le linee essenziali di un programma di riforma. I filosofi e l'opinione pubblica più avveduta non credevano più al "diritto divino dei re", ma accettavano un programma di riforma della società e dello stato affidato ad un principe guidato dagli ideali filosofici dell'epoca e capace di operare il trapasso dal dispotismo arbitrario del sovrano, al dispotismo legale, fondato sulle norme della morale e vincolato al compito di provvedere alla "felicità dei popoli".
L’ambiente riformatore interesso principalmente i due campi, divenuti la base della società settecentesca: la Chiesa e la politica, intesa però come quell’insieme di istituzioni, prevalentemente di origine medioevale e di conseguenza tutta quella serie di diritti e “liberta” di cui godevano le classi ecclesiastiche e nobiliari. Le innovazioni si esplicarono principalmente nel campo giuridico, nell'amministrazione e nella struttura politica abolendo privilegi e disuguaglianze nel sistema fiscale, che divenne più equo e più efficiente.
Tra le riforme nel campo economico si possono annoverare invece: l’abolizione dei dazi, il libero commercio dei grani, l’abolizione delle corporazioni, che impedivano la creazione di una libera concorrenza tra i produttori ed un regime di prezzi regolati dal mercato
I rapporti fra Chiesa e Stato, secondo le tesi del giurisdizionalismo (tendenza dello Stato ad allargare la propria sfera d'azione limitando quella della Chiesa) furono profondamente modificati a favore del potere politico.
La potenza economico-politica della Chiesa nei singoli regni fu avversata, i sovrani, con opportune iniziative statali cercarono di ostacolare l'influenza dei religiosi sull'insegnamento, inoltre intervennero in campo patrimoniale abolendo privilegi ed immunità, stabilirono che la pubblicazione degli atti pontifici e l'insediamento dei vescovi fossero subordinati alla loro approvazione. Gli ordini religiosi furono ostacolati o soppressi, i gesuiti furono cacciati dal Portogallo e da altri Paesi europei a causa della potenza raggiunta dalla Compagnia di Gesù nella politica, nell'educazione delle classi superiori, nel campo degli affari. In Portogallo, Paese fervidamente cattolico, la situazione era aggravata da una soverchia potenza del clero. Esso possedeva circa due terzi della proprietà immobiliare, controllava le università, mentre l'Inquisizione esercitava un'autorità quasi illimitata e la Corona doveva spendere gran parte delle sue entrate per il mantenimento di un numero spropositato di sacerdoti.
Tale dispotismo, illuminato dagli ideali razionalistici, sembrava corrispondere alle necessità oggettive di molti paesi e coincideva con il proposito dei sovrani di continuare con maggior coerenza ed efficacia l'azione di accentramento del potere, fino allora condotta con troppe concessioni alle condizioni di fatto.
Fra le grandi potenze rimasero estranee al movimento riformatore l'Inghilterra e la francia. La prima aveva una costituzione con Guglielmo III d'Inghilterra (1689 – 1702), il quale fu costretto ad accettare una Dichiarazione dei diritti, dettata dal Parlamento, che poneva precisi limiti all'esercizio della sua autorità, pertanto il nuovo regime era una monarchia costituzionale, controllata dalla borghesia e dalla nobiltà; in Francia, invece l’ indugio del sovrano portò alla rivoluzione.
Ambiente fertile delle riforme risulta però essere in particolare, l’impero degli Asburgo, che si estendeva dalle regioni dell’Europa centrale: un impero costituito dalle regioni della Boemia, dell’Austria, dell’Ungheria, della Lombardia e dei Paesi Bassi.
Il periodo riformatore è da ricondursi gia al governo di Maria Teresa d’Austria, salita sul trono degli Asburgo nel 1740 alla morte del marito, la quale intuì facilmente le straordinarie potenzialità del suo impero se sfruttate con la massima efficienza. Tuttavia in esso (come in molti paesi europei) erano presenti istituzioni riconducibili al periodo medioevale che impedivano la crescita economica. Risultava, dunque necessaria, un’ampia e decisiva riforma istituzionale e soprattutto fiscale.
Anni di guerre avevano infatti ridotto le casse dello stato quasi in bancarota e i proventi dalle tasse cittadine risultava di molto inferiore rispetto a ciò che effettivamente i sudditi versavano. Alla precaria situazione economica statale si aggiungeva dunque una situazione di malcontento comune, causato fondamentalmente dal malessere sociale in seguito all’insistente oppressione del potere locale che preesisteva da ormai troppo tempo. L’aristocrazia e il clero godevano infatti di particolari trattamenti (al tempo definite come libertà) quali l’immunità fiscale, considerato come un attributo connesso al proprio rango. Di conseguenza, considerati come l’anello fondamentale dell’attuale situazione politica, l’opera riformatrice si rivolse, soprattutto contro questi due stati sociali e mirò a porre lo Stato nella condizione di attingere anche dalle loro ricchezze. Così gia nel 1740 si stabilì che i contributi fiscali di ogni territorio venissero concordati ogni dieci anni e che a riscuotere i tributi fossero dei funzionari pubblici. Inizia in questo senso l’opera di ridimensionamento del potere locale, sia ecclesiastico che nobiliare.Si crea nelle regioni della Boemia e dell’Austria un efficiente apparato burocratico, stipendiato e competente nelle sue funzioni. Il territorio è suddiviso nelle due regione e ciascuna di essa in distretti. Ad ogni regione con i suoi rispettivi funzionari faceva capo una città capitale con il compito di controllare i suddetti funzionari e da fare da tramite con lo stato centrale.
Nonostante Maria Teresa d’Austria inizio il suo piano riformatore solamente con suo figlio Giuseppe II si può finalmente parlare di un vero e proprio mutamento sociale e istituzionale. Utilizzando le basi poste da sua madre, inferse un attacco decisivo all’apparato nobiliare e clericale in particolare abolendo o comunque diminuendo le immunità di questi due corpi privilegiati.
Per prima cosa attua radicali modifiche alla spartizione delle terre: attuò il sistema catastale al fine di attuare una tassazione uniforme per colpire nella stessa misura tutti e tre gli stati sociali siano essi nobili, clero o semplici sudditi comuni. Queste riforme vennero pero aspramente combattute in particolare in regioni quali l’Ungheria dove la nobiltà era stata sino a quel momento esente da ogni tributo fiscale.
Per ciò che riguarda invece i rapporti tra stato e chiesa Giuseppe II attua un particolare sistema riformistico teso ad abolire il potere locale che l’autorità ecclesiastica, negli anni precedenti, era riuscita a conquistare. Essa infatti rappresentava una sorta di ostacolo al potere assoluto sui sudditi, in quanto considerata da molti come “prima” legge, dunque era per il sovrano una stato nello Stato. Principali dilemmi che il sovrano asburgico risolse furono fondamentalmente di natura fiscale e istituzionale: il clero venne privato del potere giudiziario e recensivo, considerato sino ad allora priorità della chiesa,; vennero abolite una serie di feste di precetto che rappresentavano per l’economia delle soste inutile se non a impedire la crescita economica della nazione; si abolì il diritto d’asilo dei locali ecclesiastici, i beni degli ordini religiosi femminili e maschili vennero espropriati per renderli produttivi e aiutare dunque la crescita economica del paese;si vietarono forme di devozione che istigavano alla superstizione; si stabilì che gli uomini di chiesa ricevessero un’educazione in seminari statali.Tutte queste riforme vennero attuate dal sovrano seguendo sempre e comunque i principi generali delle sacre scritture. Si pensi all’eliminazione dei ceti religiosi: vennero infatti aboliti solo quelli non menzionati nel mandato di cristo agli apostoli. L’obiettivo del sovrano rimaneva però sempre unico: allontanare la chiesa dal suo enorme potere di fatto. A tal fine, già quando ancora era regnante Maria Teresa venne istituita l’istruzione elementare obbligatoria e la sua statalizzazione con l’obiettivo, sempre, di una promozione della cultura laica e competente (si pensi anche all’inserimento di funzionari laici nei seminari).
Le reazioni a queste riforme non tardarono a presentarsi. Immediatamente la soppressione delle immunità nobiliare la classe aristocratica manifestò dissenso nei confronti del sovrano tanto che il successore di Giusepe II, Leopoldo II si vide costretto alla revoca di quasi tutte le misure antinobiliari. D'altro canto il resto del popolo non vide un concreto miglioramento delle proprie condizioni, ancora quasi semi schiavili in certe zone d’Europa, la stessa istruzione elementare obbligatoria non venne capita per ciò che affettivamente era. Inoltre si era passati da un controlla locale gia pesante di suo a un potere ancora più forte e più generale quello dello stato centrale.
Se l’Austria rappresenta l’emblema del dispotismo illuminato e dello stesso dispotismo inteso come tale, non possiamo certo dire lo stesso dell’Italia in cui l’ambiente politico istituzionale, non era di certo favorevole alla diffusione di governi ad ispirazione francese o asburgica, tuttavia anche la nostra penisola fu investita da un’ampia ondata di riforme, entusiasticamente appoggiate o proposte dagli uomini di cultura.
In Italia si apre la strada verso uno straordinario potere la casata dei Savoia, grazie agli eventi militari particolarmente favorevoli ( le varie guerre di secessione spagnola e asburgica…)
In Lombardia vennero attuate riforme in ambito fiscale, la riscossione delle imposte divenne assai più equa e più precisa grazie ad un censimento generale delle proprietà fondiarie. Anche i residui del passato (per altro di origine comunale e non feudale) vennero rimossi dall’azione del governo imperiale, cui gli intellettuali logicamente plaudirono. L’azione di Maria Teresa nel lombardo-veneto venne poi intensificata e conclusa con l’avvento del figlio Giuseppe II.
Nel Regno di Napoli grazie ad una prodigiosa collaborazione tra sovrani e intellettuali poté iniziarsi lo svecchiamento del mezzogiorno. Venne attuata principalmente una cultura anticurialistica, che ebbe la sua principale manifestazione nella diminuzione delle esenzioni fiscali delle curie o talvolta nella loro completa scomparsa. L’azione della riforma divenne più intensa dopo il passaggio della corona al minorenne Ferdinando IV: appunto allora si ebbe la cacciata dei gesuiti e la confisca dei loro beni, mentre l’azione riformatrice cercava di scalfire anche l’altro e più grave problema delle giurisdizioni feudali e di abbassare le prerogative e i privilegi dei baroni. Tuttavia non si attuò in egual decisione ma ci si limitò ad erodere i privilegi feudali nei loro aspetti più paradossali e anacronistici: per esempio, si limitarono il numero degli armati dei signori e si rese obbligatorio il loro reclutamento.
Diversa era la situazione nello stato pontificio. Sotto la bufera dell’anticlericalismo internazionale fu costretto sulla difensiva, e tenta una revisione delle condizioni della chiesa in modo che sia almeno concordata anziché imposta con la forza senza alcun riguardo per le libertà religiose.
Nella nostra penisola dunque, con l’illuminismo si inizia a parlare di libertà e serietà morale. Non c’è ancora il concetto di patria, esso verrà pensato e vissuto nel secolo successivo, ma c’è già la formazione di un’elite culturale che preannunzia le generazioni del risorgimento, ponendo dunque, l’illuminismo del 1700 come un antefatto delle aspirazioni indipendentiste ottocentesche.

Esempio