Il Sol Levante

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IL SOL LEVANTE

Il Giappone nel dopoguerra abbandona i residui feudali per trasformarsi in una moderna nazione altamente industrializzata. La classe dirigente del paese è rafforzata dall’unione, sotto la bandiera produttivistica e nazionalista, fra i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri e gli alti gradi militari. L’evoluzione politica del paese lo conduce verso un tipo di regime autoritario per certi versi paragonabile ai fascismi. Un elemento in comune con gli stati totalitari europei è l’espansionismo giapponese rivolto in particolare contro la Cina.
La prima guerra mondiale rappresenta per il Giappone l’occasione per estendere e rafforzare la sua posizione di maggiore potenza asiatica. Mentre infatti le potenze occidentali sono coinvolte nello sforzo bellico, il Giappone ha via libera sui mercati asiatici e consolida la sua capacità produttiva in campo economico. La tradizionale società giapponese dai residui feudali lascia il posto a una moderna nazione altamente industrializzata e densamente popolata. La classe dirigente del paese è rafforzata dall’unione, sotto la bandiera produttivistica e nazionalista, fra i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri e gli alti gradi militari. La stessa struttura economico-sociale spinge il paese asiatico a sviluppare tendenze imperialistiche e a porsi come candidata all’egemonia dell’intero continente. Tra i principali obiettivi che essa si pone è la conquista della vicina Cina che rappresenta potenzialmente il più grande mercato continentale.
Nell’immediato dopoguerra il Giappone ha una forma statuale di tipo liberale che lascia un certo margine di iniziativa alle organizzazioni del movimento operaio favorite nella loro crescita dall’impetuoso processo di industrializzazione. Accanto alle forze tradizionali rappresentate dalla monarchia, dall’esercito e dalle oligarchie economiche, si affermano nel dopoguerra due partiti, il liberale e il conservatore, la cui alternanza al potere segna l’adesione, almeno formale, al sistema di democrazia parlamentare. Il processo di democratizzazione del Giappone raggiunge il suo apice nel 1925 con l’istituzione del suffragio universale maschile. Tuttavia il quadro complessivo è ampiamente turbato dalla presenza di forti spinte autoritarie favorite dalla tradizionale cultura giapponese: si formano organizzazioni di estrema destra e si assiste a una stretta governativa sulla società attraverso un ferreo controllo poliziesco che reprime ogni istanza sociale e politica alternativa al sistema vigente: nel corso dello stesso anno in cui viene concesso il suffragio universale maschile il governo vara una legge sul mantenimento dell’ordine pubblico che prevede durissime punizioni per chiunque offenda il "sistema nazionale".
La classe dirigente e i governi “liberali” sono di fatto subordinati alle richieste militariste ed espansioniste degli ambienti economici e militari. Ne è un esempio nel 1918 l’intervento antisovietico nella Siberia evidentemente motivato da spinte economiche e ideologiche. Anche la politica interna è caratterizzata da forti tensioni: numerosi gli episodi di violenza e di assassinii: nel 1922 cade vittima di un’azione terroristica il primo ministro Hara Kei e nel 1930 viene ferito un altro primo ministro, Hamaguchi Osachi.
Nel 1926 muore l’imperatore Yoshihito e gli succede il figlio Hirohito, reggente sin dal 1921, che inaugura il periodo Showa. Con il nuovo imperatore il Giappone, pur presentandosi ancora formalmente come un regime parlamentare, imbocca una strada che lo porta a costituire, intorno al 1930, un regime di tipo autoritario per alcuni versi paragonabile ai sistemi fascisti. A differenza dei sistemi totalitari europei però la vita politica interna della potenza giapponese è ancora basata sul pluripartitismo e sulle elezioni politiche. Il ruolo di primo piano svolto dall’esercito, e in particolare dai giovani ufficiali, impone uno stile di vita militarista e nazionalista che si avvicina alle forme totalitarie. Il nazionalismo giapponese e inoltre fortemente influenzato dalle tradizionali convinzioni religiose.
I militari di destra nel febbraio del 1936 tentano un colpo di Stato finalizzato alla creazione di un "fascismo imperiale" ma falliscono per l’opposizione degli alti gradi dell’esercito, delle forze politiche e dello stesso imperatore Hirohito. Dopo questo tentativo si rafforza la politica autoritaria del governo che nel 1938 scioglie i sindacati e crea una Associazione patriottica industriale tutta orientata a supportare il continuo sforzo bellico del paese. E proprio in questo senso, quello cioè del regime di guerra, che si caratterizza la vita politica giapponese fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Negli anni trenta il Giappone tenta di affermare la propria egemonia politica e militare sul continente asiatico. L’imperialismo nipponico è il frutto delle pressioni interne delle alte gerarchie militari e degli esponenti delle concentrazioni industriali e finanziarie (gli Zaibatsu), ma è benevolmente accolto dall’imperatore Hirohito e dalla classe dirigente del paese.
Espressione massima di questo espansionismo è il tentativo di occupare militarmente la Cina che, dopo una fase di contraddittoria politica diplomatica, si attua nel 1931. L’occasione viene fornita da un evento di poca importanza: il 18 settembre 1931 un attentato dinamitardo provoca lievi danni alla linea ferroviaria della Manciuria, di proprietà giapponese, e i militari di stanza ricevono l’ordine di occupare la capitale Mukden. Dalla capitale l’operazione militare si estende presto al resto della regione e risulta vano il ricorso alle Società delle nazioni del governo di Pechino. Nel febbraio del 1932 nasce il regno del Manciukuò, uno Stato fantoccio ostaggio della potenza giapponese. Nonostante il nuovo regno non venga riconosciuto né dagli Stati uniti, né dalla SdN, la reazione internazionale è assai tiepida e il Giappone si convince di poter continuare liberamente la sua politica espansionista. Negli anni successivi questa assume i caratteri della penetrazione economica nella Cina settentrionale, ma le pressioni degli ambienti militari ed economici spingono nuovamente verso la guerra di conquista. La nuova occasione giunge nella primavera del 1937 quando avviene uno scontro a fuoco tra una guarnigione nazionalista cinese e un distaccamento giapponese spintosi provocatoriamente nelle vicinanze di Pechino. Nel luglio del 1937 l’esercito giapponese attacca la Cina e in pochi mesi occupa Pechino, Shangai e Nanchino. Il conflitto, che negli anni successivi proseguirà intrecciandosi con la seconda guerra mondiale, è la punta estrema di una complessiva politica che colloca il Giappone tra gli Stati autoritari e aggressivi nello schieramento internazionale. Sin dal 1933 la potenza asiatica si era ritirata infatti dalla Società delle nazioni, che aveva condannato l’invasione della Manciuria, nel 1936 stringe con la Germania di Hitler il Patto anti-Komintern e nel 1941 costituisce il Patto tripartito con l’Italia fascista e la Germania nazista.

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