Il rapporto tra il sapere e i luoghi pubblici

Materie:Tesina
Categoria:Storia

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Testo

Relazione di Calderai Azzurra, Fornasier Mauro, Meneghin Giulia, Peruzzet Patrick
INTRODUZIONE
L’illuminismo è una corrente letteraria che nasce in Inghilterra e matura in Francia nel ‘700 e che si diffonde in Europa fino alla rivoluzione francese.
Illuminismo è detto anche età dei lumi, in quanto gli illuministi pensavano che fosse necessario, per mezzo della luce della ragione, eliminare la superstizione, l’ignoranza e i pregiudizi del medioevo.
Si può perciò affermare che venne distrutto il vecchio mondo feudale e la vecchia cultura, per cui furono criticati e abbattuti, attraverso la ragione, i principi del passato.
Infatti autorità, intolleranza, schiavitù, disuguaglianza tra gli uomini, ingiustizie sociali, barriere doganali, religioni rivelate vennero sostituiti da libertà, uguaglianza, tolleranza, cosmopolitismo, fratellanza e antistoricismo (la storia passata è un cumulo di errori, non sono conquiste progressive).
L’illuminismo, ideologia della classe borghese, rivoluzionò molti campi della vita dell’uomo:
SOCIALE – Nasce completamente una nuova società.
Viene combattuta la nobiltà e il clero, protetto dall’assolutismo monarchico. Si afferma la classe borghese. Si affermano libertà, uguaglianza, solidarietà perché in base alla ragione si pensa che tutti gli uomini sono uguali (Cosmopolitismo)
CULTURALE – Gli illuministi sapevano che ci vuole un uomo nuovo per un mondo nuovo. Per questo l’arte deve essere utile e finalizzata alla denuncia degli errori, alle ingiustizie passate, alla divulgazione delle nuove idee. Nacquero settimanali, quotidiani, enciclopedie e romanzi. Viene redatta per 20 anni da Diderot e D’Alambert “L’Enciclopedia” (delle scienze, delle arti, dei mestieri). Gli illuministi non si chiudono nello studio individuale nella loro biblioteca, ma sono inseriti nella civiltà, sono operatori culturali che si propongono di divulgare della nuove idee. L’arte deve essere utile, deve giovare all’uomo, deve cambiare il mondo.
POLITICO – Voltaire riteneva che il sovrano doveva essere il popolo, però sapeva anche che il popolo non può comandarsi da solo e perciò affermò che tutto doveva essere fatto per il popolo, ma non attraverso il popolo.
Fu perciò teorico del DISPOTISMO ILLUMINATO cioè la necessità di una monarchia assoluta, in cui il sovrano, illuminato dalla luce della ragione, si avvalga della collaborazione dei migliori intellettuali del paese alla fine di attuare una serie di riforme x il bene del popolo. Furono sovrani illuminati Maria Teresa d’Austria, Caterina II di Russia, Federico II di Russia, Leopoldo Granduca di Toscana.
VOLTAIRE ED IL CONCETTO DI DIALOGO
Voltaire François Marie Arouet, nacque a Parigi nel 1694. Studiò dai gesuiti, dove ebbe un'eccellente educazione. Era profondamente cartesiano come tutti i giovani intellettuali dell'epoca, ma lui a scuola si distinse più degli altri con la sua notevole intelligenza. Nel 1711 ci fu il suo ingresso in società, dove si fece notare grazie allo spirito sagace e brillante e fu avviato all'avvocatura ed alla carriera diplomatica. Ma lui non volle divenire avvocato o notaio come avrebbe voluto suo padre, lui voleva conquistare Parigi e la corte con i suoi versi e le sue tragedie. Il soggiorno a Londra era stato prezioso; ha scoperto il liberismo e il filosofo francese non resta indifferente a quella libertà di pensiero che l'Inghilterra stava offrendo agli uomini di cultura, mentre questi nel resto d'Europa, ma soprattutto in Francia, sono criminalizzati. Intanto l'attività intellettuale e politica di Voltaire divenne sempre più intensa e culminò con le opere Trattato sulla tolleranza (1763) e Dizionario filosofico (1764), nonché la pubblicazione di libelli contro l'intolleranza religiosa della Chiesa cattolica, di satire, di opere teatrali e di racconti filosofici.
Ateo convinto. La concezione deistica di Voltaire viene ora apertamente finalizzata alla critica del cristianesimo , inteso come fonte di intolleranza e di guerra e , quindi ostacolo allo sviluppo storico dell' umanità: una religione del tipo di quella cristiana impedisce all' uomo di servirsi della propria ragione imponendogli di compiere assurdi atti di fede.
Analogamente, in ambito politico, Voltaire difende il diritto di ogni cittadino alla libertà civile e politica (in primo luogo alla libera espressione delle proprie idee) , in contrapposizione a un assolutismo dal quale egli non si attendeva ormai più alcuna collaborazione . I diversi aspetti della polemica illuministica di Voltaire trovano quindi il loro centro unificatore nella difesa della tolleranza come valore imprescindibile per garantire pace , giustizia e progresso civile , come egli sostiene accortamente nel Trattato sulla tolleranza del 1763; ' disapprovo ciò che dici, ma difenderò alla morte il tuo diritto di dirlo ' egli afferma .
ILLUMINISMO ITALIANO E LOMBARDO: DISPOTISMO ILLUMINATO
L’illuminismo in Italia
Rispetto all’illuminismo francese, l’Illuminismo italiano presenta caratteri propri e originali, connessi con la particolare condizione politico-sociale della penisola, caratterizzata dall’assolutismo illuminato. Mentre in Francia il dibattito illuministico si era sviluppato particolarmente sul piano teorico affrontando una gamma amplissima di tematiche filosofiche, politiche, morali, economiche, religiose) e giungendo talvolta a formulazioni radicali e rivoluzionarie i cui frutti sarebbero poi stati raccolti dalla Rivoluzione Francese, in Italia la cultura illuministica apparve fin dall’inizio più decisamente orientata a scopi pratici e si sviluppò soprattutto nel campo dell’economia e del diritto. Inoltre gli illuministi italiani non misero in discussione i principi su cui si basava l’assolutismo, anzi videro nella monarchia lo strumento più idoneo a combattere i privilegi del clero e dell’aristocrazia e a promuovere il benessere generale. Questa stretta connessione tra gli illuministi italiani e le autorità politiche spiega, da un lato, le particolari caratteristiche del movimento italiano (concreto, pratico, riformista piuttosto che teorico, radicale e rivoluzionario) e, dall’altro, la sua dislocazione geografica: i centri maggiori dell’Illuminismo italiano furono, infatti, Milano, Napoli e la Toscana, proprio quelli dove furono più sensibili la volontà e l’azione riformista dei sovrani.
L’Illuminismo Lombardo
Grazie agli stretti rapporti che intrattenne con la cultura francese e grazie alla presenza e all’attività culturale di alcuni tra i maggiori intellettuali del tempo, Milano fu indubbiamente il centro principale dell’Illuminismo italiano. Questa sua posizione di primo piano fu agevolata anche dalle sue particolari condizioni politiche e sociali. Infatti, sotto il regno dell’Imperatrice Maria Teresa D’Austria e di suo figlio Giuseppe II, Milano e la Lombardia vissero un periodo di intensa modernizzazione e di generale sviluppo, favoriti dalla politica di riforme dei 2 sovrani. Inoltre, diversamente da quanto accadeva in altre regioni italiane, l’aristocrazia lombarda assecondò sempre le trasformazioni economiche, svolgendo un ruolo che negli altri stati europei era garantito dalla classe borghese: molti nobili divennero imprenditori e iniziarono a sfruttare in senso capitalistico le loro proprietà terriere; altri cooperarono all’amministrazione dello Stato; altri si dedicarono allo studio di riforme in ambito economico,giuridico e scolastico.
Anche i centri di produzione e di coordinamento culturale già esistenti, come le ACCADEMIE, cercano di ampliare i propri interessi e obiettivi, uscendo dal campo strettamente letterario per affrontare argomenti di vasta portata sociale, e sostenere idee e iniziative di carattere innovativo; ma ben presto appaiono inadeguati al compito: sorti come associazioni per dibattere e approfondire discipline e argomenti specifici, non possono essere rinnovati in modo tale da rispondere ad esigenze diverse e tanto più vaste. Per questo motivo un gruppo di letterati, fonda a Milano, nel 1762, la battagliera Società dei Pugni. Guidata da Pietro e Alessandro Verri e da Cesare Beccaria, essa si ribella all’impostazione ancora fortemente letteraria propria delle accademie ed elabora un concreto programma di riforma basato su un generoso impegno civile e politico.
In Italia la diffusione delle teorie illuministiche avvenne su piani e livelli diversi: coinvolse aree specifiche e certamente più preparate a ricevere il dibattito dei lumi (tra queste Milano, Venezia e Napoli). Molti scrittori considerano arcaici, inutili e pedanti i generi e gli stili letterari del passato, e conducono una dura battaglia contro di essi. La polemica è particolarmente accesa per quel che concerne la questione della lingua, e acquista toni aspri soprattutto nei confronti del purismo e dell’Accademia della Crusca.
IL CAFFE’ COME LUOGO PUBBLICO
Nel 1702 un gentiluomo palermitano inaugurò a Parigi un nuovo locale dandogli il nome di Caffè Procope.
Divenne il primo luogo d’incontro prediletto degli enciclopedisti e il primo grande caffè letterario. Ebbe poi molti rivali. In Germania il primo caffè fu aperto a Francoforte nel 1689. In Italia la prima “bottega del caffè” si apri a Venezia, nel 1683 e, nonostante qualche soppressione temporanea, la moda di questi locali ebbe larga diffusione nella città, tanto che nel 1759 se ne contavano 206. L’ambiente vivacissimo del caffè italiano del ‘700, caratterizzato dalle conversazioni e dalle dispute culturali che vi si tenevano, è testimoniato da parecchie opere letterarie. Nel corso dell’800, il caffè, come istituzione si diffuse in tutto il mondo occidentale.
Indizio di una più fervida vita intellettuale fu il moltiplicarsi dei giornali e dei periodici, spettacolare soprattutto in Inghilterra e in Germania.
Per alcuni Paesi si può parlare addirittura di nascita della stampa periodica.
In Polonia “Journal Litteraire de Polonie”, in Inghilterra nacque il modello da cui molti poi si ispirarono: lo “Spectator” di Addison e Steele. in austria il settimanale “der Mann ohne vorurteil” (l’uomo senza pregiudizi), in Russia la stampa periodica si apri alla fine degli anni ’60, con Caterina II attraverso la rivista “un po di tutto”.
un panorama giornalistico assai vivace presenta la Spagna con “El Espectador”; per quanto riguarda l’Italia, che vantava tradizioni giornalistiche ben radicate, esempio insigne di periodico impegnato nella battaglia riformatrice fu “Il Caffè” (1764-1766).
IL CAFFÈ ERA FREQUENTATO DALLE GENTE DI MONDO E VI SI RIUNIVA LA SOCIETÀ ELEGANTE, MA RAPPRESENTAVA ANCHE IL LUOGO, NEL QUALE AVVENIVANO GLI SCAMBI D'IDEE E OPINIONI DA PARTE DI PENSATORI E ARTISTI, CHE DISCUTEVANO SULLE MODE, SULLA CULTURA E SUI GUSTI ESTETICI DEL LORO TEMPO.
Due anni dopo, i suoi membri danno vita al primo periodico italiano, di ispirazione illuminista, “Il Caffè”, un vivace mezzo di intervento intellettuale che apre prospettive davvero originali di divulgazione e di confronto delle idee, cercando di interessare e di coinvolgere un pubblico vasto e composito.
“IL CAFFE”
I proprio dalle file di questa aristocrazia colta e preparata, operosa e progressista che provengono gli esponenti più illustri dell’Illuminismo milanese,come CESARE BECCARIA e I FRATELLI VERRI, gli stessi a capo della Società dei Pugni. Essi furono i fondatori e i principali animatori del periodico “Il Caffè: ossia brevi e vari discorsi distribuiti in fogli periodici”. La rivista “Il caffè”,di cui uscirono complessivamente 74 numeri tra il 1764 e il 1766, si ispirava al giornalismo inglese del ‘700 e in particolare a “The Spectator” di Joseph Addison. Il titolo, che allude alle conversazioni tenute tra gli avventori di una bottega di caffè, esprime programmaticamente lo scopo che il periodico si propone: promuovere una cultura moderna e dinamica e vicina a un pubblico più vasto. Gli interventi della rivista furono animati da un notevole fervore intellettuale ed etico e,infatti, investono i temi più vivi della società del tempo: la battaglia contro la legislazione feudale riguardo le proprietà e il fisco, lo sviluppo dei commerci e delle manifatture, la modernizzazione dei sistema scolastico,la polemica contro l’accademismo inconcludente in favore di una cultura nuova. Al di là del contributo che effettivamente diede all’assolutismo illuminato, “Il caffè” è il frutto della convinzione illuministica che la battaglia per il progresso materiale era anche una battaglia per il trionfo della ragione e della dignità umana. Per questo il periodico segnò una tappa importante nel clima culturale italiano del secondo ‘700: propose una forma di comunicazione letteraria innovativa sia nel contenuto sia nel linguaggio, ponendo con forza l’obiettivo di una cultura intrisa dei problemi reali della società.
Il periodico non ebbe un seguito, né fu ripreso come idea da altri, anche se fu un avvenimento pubblicistico assolutamente originale, sia per la novità di linguaggio e di intenti, che per la serietà e l'organicità dell'impegno, senza nulla concedere alle formule giornalistiche allora in auge. Per questi motivi il periodico diventò un classico dell'illuminismo italiano, anche se la fama degli scritti del Verri e del Beccaria hanno nuociuto alla sua fortuna. Il Caffè venne ristampato integralmente nel 1804.
Ciò che contraddistingue Il Caffè da tutte le riviste coeve (e precedenti) sono tre cose:
• il pubblico di riferimento. Verso la metà del '700 cambia la sociologia dei lettori: da un mondo di eruditi, di intellettuali per nascita, si passa alla costruzione di un pubblico alfabetizzato fatto di professionisti, di artigiani, di ceti medi urbani e, parzialmente, di donne. Questo pubblico non chiede la recensione colta, lo studio erudito, ma conoscere le mode, i dibattiti intorno alle arti meno individuali e più capaci di comunicare emozioni, immagini, problemi a gruppi sociali;
• l'oggetto che lo costituisce. Non più estratti, memorie, ma interventi su temi immediati, su questioni dirette, non senza riflessioni curiose, mondane. Il Beccaria parla del gioco visto come calcolo delle probabilità; il Verri da argomenti come il caffè, la medicina, la coltivazione del lino sa trarre spunto per riflessioni filosofico-empiriche; il saggio sui contrabbandi di Beccaria verrò considerato da Schumpeter uno dei grandi testi economici scritti in Italia. Ma i temi trattati sono veramente tanti: dal cacao alla tecnica moderna, dal vaiolo all'organizzazione delle poste, dai cimiteri alla sanità, dalla questione dei fedecommessi al federalismo nazionale;
• le modalità di comunicazione. Messaggi in cui viene superato il modello di comportamento tradizionale (aristocratico) con l'esigenza di nuovi stili (borghesi). No quindi alle Accademie, con la loro erudizione inutile e pesante, ma no anche alla conversazione frivola dei slotti.
La redazione aveva di mira due cose:
• una politica di riforme illuminate, liberali, progressiste, in direzione dello sviluppo capitalistico;
• un uso intelligente, a tale scopo, della scienza e della tecnica.
La questione del lusso, sollevata dal Verri, è emblematica di questa direzione editoriale. Egli rovescia il giudizio morale che vede il lusso come un "male" e lo propone anzi come una "molla" che può scuotere la staticità di un sistema sociale basato essenzialmente sulla rendita. Egli contrappone all'immobilismo della "corte" i traffici della borghesia, che creano ricchezza per tutti.
I redattori del periodico, chiedendo l'abbattimento delle barriere doganali interne, l'adozione di un'unica legislazione e di sistemi unificati di pesi e misure, in sostanza auspicavano la fine della frantumazione politica della penisola. Cosa che seconda la redazione sarebbe dovuta avvenire attraverso la politica illuminata dei sovrani.
La redazione si sciolse a causa delle inimicizie sorte tra i fratelli Verri e il Beccaria in occasione della pubblicazione del libro Dei delitti e delle pene, cioè sostanzialmente per rivalità personali.
citazioni:
"È ridicola cosa il raccomandarsi alla benevolezza del pubblico, conviene meritarsela".
Essi intendevano rivolgersi al pubblico per "spingere sempre più gli animi italiani allo spirito della lettura, alla stima delle scienze e delle belle arti, e ciò che è più importante all'amore delle virtù, dell'onestà, dell'adempimento de' propri doveri". Ma senza presunzione o pedanteria, anzi "con ogni stile che non annoi" e con "qualche lampo di buon umore". Occorreva guardarsi dai rigori della censura, occorreva grande vigilanza, da parte di Pietro e Alessandro Verri, sui propri e sugli altri articoli; e l'accesso all'Archivio Verri, che sta alla base della presente edizione critica, ha permesso di scoprire -a riprova della grande riflessione che l'impresa comportò - che "Il Caffè" era stato preparato per un buon tratto della prima annata quando ancora non era uscito il foglio d'apertura. Tanto più che in quegli anni la "piccola e oscura società di amici" che si riuniva nell'Accademia dei Pugni non era "niente stimata nell'opinione pubblica". Tutto il lavoro di quegli amici si realizzava in un rapporto complesso tra patria, nazione e cosmopolitismo, che del periodico costituisce uno dei punti di forza, e che, insieme con la dichiarazione che contano i meriti reali e non il loro vanto a parole, sottolinea l'ancora grande attualità della lezione dei Verri e dei loro collaboratori.
I FRATELLI VERRI
Pietro Verri nacque nel 1728 da una nobile famiglia milanese. Educato nelle migliori scuole di gesuiti del tempo, entrò presto in urto con il padre, presidente del Senato milanese, di mentalità nettamente conservatrice e con la parte più retriva della nobiltà milanese.
Animatore del gruppo dei Giovani Intellettuali che si riunirono nel 1761 nell’Accademia dei Pugni e diedero vita all’esperienza del “Caffè”, avviò la maggior parte dei collaboratori, alla conclusione dell’impresa giornalistica, ad un approfondimento sistematico dei temi dibattuti sul periodico. Morì nel 1797 all’età di 68 anni.
Alessandro, fratello minore di Pietro, nacque a Milano nel 1741; aderì giovanissimo all’Accademia dei Pugni e fu tra i collaboratori più assidui del Caffè. Nei 32 articoli pubblicati dalla rivista mirò a dimostrare l’inadeguatezza del sistema giuridico, le pecche del costume letterario e i pericoli del tradizionalismo accademico, rappresentato il ambito linguistico dai seguaci della Crusca.
CESARE BECCARIA
Tra gli illuministi italiani il personaggio più originale fu Cesare Beccarla (1738-1794).
Ispirato dal giusnaturalismo di Hobbes e Locke, pubblicò nel 1764 il saggio “Dei delitti e delle pene”, subito tradotto in francese e accolto con entusiasmo da Voltaire e dagli enciclopedisti. In questo scritto i concetti di reato e colpa sostituirono quello di peccato in un ambito in cui il giudice risultava un tutore umano che garantiva i diritti dei cittadini secondo un preciso ordinamento. La giustizia doveva educare il reo che, per quanto colpevole, restava sempre un uomo. Sulla base di queste premesse Beccaria poteva condurre una condanna alla tortura e alla pena di morte considerate non sole illegittime, ma anche inefficaci. Sostenuto dall’idea di una società tesa a eliminare la precondizioni che inducono al crimine, Beccaria valorizzò la prevenzione rispetto alla punizione, considerando necessarie pene anche gravi, ma strettamente commisurate all’entità del reato.
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