Il "Ma" giapponese

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IL MA COME PRINCIPIO ISPIRATORE IN ARCHITETTURA ED IN URBANISTICA

Cerchiamo di analizzare nel campo che più ci interessa, quello dell'architettura, il significato specifico del concetto del ma. Per far ciò possiamo partire da un'espressione, ancor oggi molto usata: ma-dori (lett. via del ma), che potremmo tradurre come conoscenza del ma. Nel linguaggio architettonico contemporaneo si usa tale termine per indicare la pianta di un edificio e la sua disposizione interna.
Uno degli aspetti più importanti dell'architettura giapponese è, infatti, il modo di disporre le stanze all'interno dell'edificio, modo questo che non risponde solo a criteri funzionali, ma che cerca di soddisfare dei fattori estetici che non possono essere spiegati in termini di pura e semplice funzionalità. È per questo motivo che all'interno dell'architettura classica giapponese troviamo degli spazi privi di ogni apparente funzionalità, spazi silenziosi per appartarsi o per favorire la concentrazione, quali la veranda (engawa), l'alcova d'onore (tokonoma) e lo studio (shoin). Ma niente, per quanto ci sembri a prima vista disadorno e senza utilità, è affidato al caso nella progettazione dell'interno di un'abitazione; tutto è dovuto all'abilità nel disporre i vari elementi al fine di raggiungere l'armonia dell'insieme, secondo la filosofia dell'inserimento del ma (altro modo per tradurre ma-dori). Nell'abitazione tradizionale giapponese tutto è calma, ombra silenzio, poiché i ma sono ritenuti spazi carichi di significati spirituali e filosofici, in grado di soddisfare il riposo mentale e l'isolamento dell'individuo. L'importanza attribuita a questo bisogno di intimità e quiete viene enfatizzata anche nel carattere di una persona, la quale, se priva di queste caratteristiche, viene definita priva di ma e bollata come manuke, o persona stolta.
Possiamo concludere, in base a quanto detto sopra, che il termine ma-dori sta proprio ad interpretare il ruolo di design. Se lo si compara con un altro vecchio termine cha-no ma, letteralmente il ma del tè, usato per indicare il soggiorno (luogo preposto alla particolare atmosfera di rilassamento della cerimonia del tè), risulta chiaro come l'architettura sia stata da sempre in Giappone l'arte di creare un particolare ma nella forma fisica. Nello sviluppo dell'architettura residenziale la colonna centrale, nata in un primo momento come necessità strutturale, alla quale si è aggiunto più tardi un significato simbolico, viene man mano soppiantata dai muri perimetrali, che portano ad una grande ingegnosità nel disegno delle mensole e delle travi, al fine di coprire grandi luci. Gli spazi interni sono abitualmente collegati con l'esterno tramite piattaforme, balconi o verande, corridoi aperti, poiché la loro funzione non è quella di contrapporsi con gli esterni, bensì di fondersi con essi. In tale contesto il discorso a mura solide, come divisorio, è piuttosto raro. Il risultato di tutto ciò è quel continuum spaziale che tanto ci affascina e che viene raggiunto grazie anche a porte scorrevoli e all'arredamento rimovibile.
Questo modo di mettere in relazione l'interno con l'esterno, è qualche volta esteso, con procedimenti più complessi, ad interi gruppi di edifici, come nel caso del vecchio Palazzo Imperiale di Kyoto. Ancora oggi gli architetti cercano di sviluppare questo concetto del ma creando uno spazio fluido, vago, di interpretazione, che non si caratterizza né come interno né come esterno, e cercando di ricreare le condizioni perché chi abita la casa avverta quella sensazione di continuità spaziale tra lo spazio pubblico della strada e quello privato all'interno dell'edificio. Questo ma, o zona grigia non può quindi essere creato facendo ricorso solamente al razionalismo e al funzionalismo. Anzi, è proprio questa consapevolezza del ma che apre delle nuove frontiere nel simbolismo e nel pluralismo in architettura. En, ku e ma sono concetti chiave che esprimono un territorio di interpretazione tra gli spazi, temporali, fisici o spirituali che siano, e in ciò essi contengono quella qualità grigia della cultura giapponese e che forse l'hanno resa così flessibile ed aperta a ricevere nuovi stimoli, ad assimilare e fare propri i contributi provenienti da altre culture.
La parola città non è propriamente intesa in Giappone come entità fisica, dal momento che la forma visibile non è considerata come realtà. Certamente siamo in un contesto totalmente diverso da quello nel quale siamo abituati a progettare nelle nostre città, tenuto conto anche del diverso sviluppo storico della città giapponese, al quale hanno contribuito concetti a noi sconosciuti. Città infatti come Kyoto (l'antica Heian-Kyo) o Nara (Heijo-Kyo), le due antiche capitali del paese, sono state costruite sulla base di criteri derivanti dalla geomanzia e dal disegno del mandala, vere e proprie mappe del cosmo, i quali, nelle loro rappresentazioni pittoriche, riassumevano in sé la duplice essenza dell'universo. In tutto l'Oriente il disegno di una città rifletteva un ordine cosmico, ed è proprio attraverso i mandala, derivanti dall'induismo delle origini e dal tardo buddismo, che si ha un riflesso dell'ordine del mondo intero in una scala più piccola, la scala della città, in cui tale riflesso sarà l'attuale, profonda conoscenza da parte dell'uomo, dei segreti del cosmo. Attraverso il simbolismo dei mandala risulta chiaro come lo spazio, per gli orientali, possieda una qualità immaginaria, creata e percepita attraverso il dislocamento di determinati simboli. Nel disegno di una città non era la dimensione o la forma dei simboli che rivestiva importanza, ma le loro reciproche relazioni, la loro collocazione all'interno dell'insieme ed il loro orientamento, secondo il quale, già nella fase iniziale dovevano tenere presenti considerazioni religiose, come quelle derivanti dall'antica credenza cinese del sistema della quattro divinità: Seiryu (est), Byakko (ovest), Shujaku (sud) e Gembu (nord), ognuna delle quali si credeva abitasse in un determinato luogo della natura. In Occidente, tutto risulta capovolto: la città è costituita da una serie di oggetti che servono a formare gli spazi, cosicché la sua realtà sta nel suo aspetto esterno. In questo modo molti occidentali accusano i giapponesi di non essere stati capaci di sviluppare, attraverso tutta la loro storia, un'organizzazione urbana o architettonica che uguagli quella dell'Occidente, non comprendendo che è proprio questa incapacità di estendere la loro consapevolezza dello spazio (come formato dagli oggetti) ad una diversa consapevolezza nella quale l'intero gioco della messa a fuoco immaginativa è loro richiesto, a permettergli di esprimere un loro, pur diverso, giudizio. E dunque, dopo uno studio più approfondito, non è difficile accorgersi che proprio i giapponesi sono maggiormente in grado di creare e comprendere la realtà di una città in tutto il suo insieme di flussi di traformazioni.

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