I decreti del concilio di Trento

Materie:Appunti
Categoria:Storia

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Testo

I DECRETI DEL CONCILIO DI TRENTO

Nella redazione dei decreti i padri tridentini sono condizionati dalle esigenze controriformatrici e dalla volontà di riaffermare, in una prospettiva antiprotestante, tutti i dogmi contestati dalle nuove dottrine,
Tuttavia la Chiesa con questi decreti abbandona la semplice condanna delle dottrine eretiche per definire in positivo il dogma cattolico, tentando così di risolvere l’ormai radicata confusione dogmatica.

• Si respinge uno dei cardini del protestantesimo, in nome del quale Lutero riconosce come unica autorità quella della Scrittura e respinge riti e consuetudini religiose: si riafferma infatti il magistero della Chiesa inteso come sviluppo della Rivelazione e si ribadisce l’idea di un rapporto uomo-Dio mediato dalla Chiesa e dai Sacramenti che solo essa può dispensare;
• si respinge la concezione protestante dell’assoluta corruzione della natura umana e si mantiene il concetto di libero arbitrio che con-sente all’uomo di cooperare alla grazia che gli viene concessa da Dio gratuitamente,
• si riafferma il valore dei sette sacramenti veicoli effettivi della grazia che viene conferita attraverso la loro amministrazione;
• si riafferma il carattere sacrificale della Messa e si conserva l’uso del latino nell’amministrazione dei Sacramenti e nella celebrazione della Messa;

• travagliate misure disciplinari colpiscono privilegi e interessi che sovente hanno tra gli stessi padri conciliari e nella curia \‘ari difensori, pronti ad invocare il diritto consuetudinario o passate concessioni papali:
• incompleta resta la riforma dei principi, cioè quella riforma che avrebbe dovuto eliminare i privilegi dell’autorità secolare (partecipazione alle rendite ecclesiastiche, controllo delle nomine vescovili,...);
• l’indirizzo fondamentale al quale sono informate le misure disciplinari è quello di affermare nella cura delle anime l’obiettivo e la funzione essenziale della Chiesa (centralità dell’ufficio pastorale, divieto di cumulo di benefici, obbligo di residenza, piena responsabilità del vescovo nel controllo della diocesi, convocazione obbligatoria di sino di provinciali e diocesani,...);
• si sanciscono misure che impediscono la riproposizione degli abusi controllando il reclutamento e la formazione del clero.

A CHIESA POST-TRIDENTINA

Gli indirizzi di rinnovamento deliberati dall’assemblea tridentina si collocano però entro la struttura della Chiesa medievale, ovvero di una Chiesa che, pur ridimensionata dallo scisma protestante, mantiene un peso considerevole a livello europeo e che conserva i fondamenti materiali della propria potenza:

• la Chiesa post-conciliare non può fare a meno dell’appoggio del potere secolare nell’attuazione della Controriforma, mentre l’autorità laica non può ancora prescindere dalla legittimazione religiosa della propria sovranità. Si configurano così sia elementi di profonda solidarietà tra Chiesa e stati cattolici (le connessioni tra dissenso religioso e mancato lealismo politico), sia notevoli elementi di conflittualità (la messa in discussione dei privilegi di cui le monarchie hanno sempre goduto, soprattutto nel controllo delle nomine vescovili);

• in questo contesto frequenti sono i conflitti giurisdizionali tra Chiesa e Stato, difficili sono le rigide applicazioni delle disposizioni di riforma, ricorrenti sono le vecchie pratiche nepotistiche e le pretese temporali del Papato;

• la nuova immagine della Chiesa trova comunque un tratto caratterizzante nell’affermazione progressiva della centralità del Papato, funzionale per affrontare il protestantesimo e per piegare le resistenze alla Riforma. E innegabile che questa però sia una riorganizzazione autoritaria in una prospettiva difensiva, che soffoca le nuove ini2iative con un giuridicismo e un autoritarismo spesso ripagato da un esteriore conformismo;

• il clero post-conciliare attua comunque, tra varie resistenze, le disposizioni tridentine. E un clero che, emancipandosi in parte dalla compromissione con interessi finanziari e dinastici, trova la forza di rinvigorire il Cattolicesimo attraverso i pontificati di Pio IV (1559-1565), di Pio V(1566-1572), di Gregorio XIII (1572-1585), di Sisto V(1585-1590), di Clemente VIII (1592-1605) e attraverso l’opera di vescovi come Carlo Borromeo arcivescovo di Milano (1560-1584);

• in questo periodo lo slancio missionario trova nuove ragioni di intensificazione: è l’esito naturale di una rinvigorita vocazione apostolica:riafferma la natura universale della Chiesa; è una reazione alla diffusione del protestantesimo; si realizza nelle iniziative di apostolato già consolidate, sia verso i protestanti, sia verso i territori di confine nei quali l’Occidente si va affermando (colonie).

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