golpe militare del 1973 in cile

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Categoria:Storia

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Testo

11 settembre 1973, Cile
-caduta di una democrazia-

Allende all’uscita della Moneda circondato dalla sua guardia del corpo di volontari, 11 settembre 1973
Introduzione
Le vicende del golpe del 1973 mi hanno sempre colpito molto, sia per le mie origini, sia per l’assurda violenza della repressione. A tutt’oggi molte vicende vengono taciute, e non tutti i cileni hanno ben chiara la gravità dei fatti di quegl’anni. Molti continuano a chiamare Pinochet “mi general” in un assurdo atto di rispetto per il loro aguzzino di 15 anni, pur essendo ormai appurato che gli omicidi e le violenze ci furono, che le fosse comuni esistessero, che era un delitto perseguibile dalla “giustizia” pensare in modo diverso dal regime, che quella che era chiamata “democrazia totalitaria” era a tutti gli effetti una delle dittature piu’ feroci del Sud America. Famosa e’ la frase dell’avvocato difensore di Pinochet pronunciata durante il processo per crimini contro l’umanità intentata contro l’ex dittatore, che spiega in modo cinicamente realista la fine di migliaia di prigionieri politici: “ma che rapiti, i prigionieri sono tutti morti da tempo” e questo perché, a causa di una amnistia promulgata negli anni ’80 dal governo Pinochet, gli omicidi perpetuati dai militari durante i primi sette anni di dittatura non sono perseguibili.
Gli anni di Allende

Nel 1956 nasce in Cile il FRAP (Frente de Acciòn Popular),una formazione di partiti di sinistra (socialisti e comunisti) che ha tra i punti fondamentali del programma politico la riforma agraria, la lotta per l’unificazione delle economie e dei popoli dell’America Latina, la democratizzazione delle istituzioni del paese e una politica estera indipendente dagli interessi e dai dicktat statunitensi. Questo raggruppamento presenta nelle elezioni del 1958 per la presidenza del Cile il dottor Salvador Allende, medico ed esponente del Partito socialista. Allende ottiene il 28,8% del voto popolare, che diventa il 38,6% nelle successive elezioni presidenziali del 1964 risultando in tutte e due le competizioni il secondo candidato più votato. Nel 1969 socialisti e comunisti decidono di allargare la base politica del FRAP aprendo anche a forze che in un clima di radicalizzazione sociale si stavano separando dalla loro origine "borghese" e che erano disposte a lottare per la trasformazione del Cile in una società socialista attraverso gli strumenti democratici previsti dalla Costituzione. Nasce cosi il blocco di Unidad Popular. Nelle elezioni legislative tenute nello stesso anno si crea in parlamento una tripartizione tra il blocco dei partiti di destra, il Partido Demòcrata-Cristiano (PDC) di Frei e Unidad Popular, tripartizione che sarà mantenuta nella presentazione delle candidature per le elezioni presidenziali del settembre 1970. Il 4 settembre gli elettori devono scegliere tra tre candidati: Salvador Allende per UP (la scelta era caduta sull’esponente socialista dopo un intensa trattativa tra i partiti che componevano la coalizione: il partito comunista aveva presentato come proprio candidato il poeta Pablo Neruda), Jorge Alessandri presentato dai partiti di destra ed infine Rodomiro Tomic per il PDC. Lo scrutinio del 4 settembre vede vincitore Allende con il 36,3% dei voti, Alessandri ottiene il 34,9% e Tomic il 27,8%. I risultati evidenziano quanto ormai emergeva da alcuni anni: la società cilena si è fortemente polarizzata con tre raggruppamenti numericamente molto simili; nessuno dei tre candidati risulta eletto al primo turno e quindi è necessario, secondo quanto previsto dalla costituzione cilena, che ad eleggere il futuro presidente debbano essere le due Camere del parlamento riunite in seduta congiunta. I servizi segreti americani avevano organizzato un piano per indurre i militari ad intervenire prima che Allende fosse eletto dalle Camere presidente, ma su consiglio di osservatori interni del Cile parve loro che tale misura non fosse necessaria grazie all'opera di compravendita di voti dei parlamentari democristiani portata avanti da politici della destra e da uomini di affari vicini a questi, con l’avvallo e i fondi di Washington. Di fronte alla scelta tra i due candidati nel PDC prevalgono le correnti progressiste che appoggiano Allende rendendo possibile la sua elezione il 24 ottobre e permettendo che una nuova pagina sia scritta nella storia dei popoli dell'America Latina. La storia di un presidente eletto democraticamente che voleva portare il suo paese verso una società non più segnata dalle diseguaglianze del capitalismo, una società socialista. Grazie ad una riforma (paradossalmente contestata dai partiti di sinistra realizzata l'anno prima), il presidente neoletto si trova ad avere maggior potere dei suoi predecessori, e questo consente al governo di avere qualche chances nel realizzare parte del proprio programma, nonostante l'opposizione democratica e "legittima" del parlamento (la maggioranza del '69 era ostile ad Allende) e quella occulta, ma non meno efficace, realizzata dai poteri forti dell'economia dell'informazione, ecc. allineati agli interessi delle multinazionali americane. Salvador Allende chiede ai giovani del Cile impegno per affrontare quella che si prospetta come una rivoluzione, seppure non violenta, per sconfiggere definitivamente lo sfruttamento imperialista e per controllare il commercio estero, passi che avrebbero reso possibile il progresso del Cile, creando le premesse economiche per il suo successivo sviluppo. Il programma di UP prevede la nazionalizzazione delle grandi miniere di rame, delle banche, delle compagnie di assicurazione e, in generale, di tutte quelle attività che condizionano lo sviluppo economico e sociale del paese. Tra queste la produzione e la distribuzione di energia elettrica, i trasporti ferroviari, aeri e marittimi, le comunicazioni, la siderurgia, l’industria del cemento, della cellulosa e la carta. Si tratta di un programma di recupero, dunque, di quelle ricchezze fondamentali che sono in mano al capitale straniero. I primi interventi del governo sono volti a migliorare le condizioni dei ceti meno abbienti e dei lavoratori, con l’aumento dei salari e con l’attribuzione di un ruolo maggiore dei lavoratori nelle imprese pubbliche o a partecipazione pubblica. Vengono inoltre nazionalizzate le più importanti industrie minerarie del paese, le banche e altre industrie strategiche. Va a passo spedito anche la riforma agraria, in questo caso con procedimenti di espropriazione miranti alla sparizione del latifondo: si verificano i primi scontri violenti con i proprietari che non vogliono rinunciare ai loro vasti possedimenti. Lo stato ora controlla il 30% del credito, l’85% delle esportazioni e il 45% delle importazioni. Si è ridotta la disoccupazione ed è aumentato il livello dei consumi delle famiglie di minor reddito. La mortalità infantile diminuisce, grazie al rilancio del servizio sanitario, a diverse campagne sanitarie e dietetiche, e a provvedimenti come la distribuzione di mezzo litro di latte al giorno ad ogni bambino di età inferiore ai 14 anni. Grazie a questa politica UP vince le elezioni municipali dell’aprile del 1971. A fine 1971 però, le manovre sul piano internazionale degli USA cominciano a sortire i loro effetti. Così si riduce a livello mondiale il prezzo del rame, con le evidenti conseguenze nelle esportazioni del rame cileno. Banca Mondiale e Banco Interamericano di Sviluppo negano aiuti al Cile, rifiutando di finanziare qualsiasi progetto industriale di sviluppo e concedendo soltanto piccoli prestiti. La concessione di credito all’estero, che sotto la presidenza Frei era stata di 300 milioni di dollari, passa a 30 milioni nel 1972 sotto la presidenza Allende. La situazione internazionale porta inevitabilmente a una drastica crisi economica interna in cui la destra si tuffa a capofitto per sottolineare l’incapacità del governo Allende. Nello stesso tempo alcune forze della sinistra (settori del Partito Socialista e il Movimiento de la Izquierda Revolucionaria) spingono per una radicalizzazione del processo di trasformazione socialista della società. Si incrociano così, una serie di scioperi ora proclamati dalla destra con manifestazioni di protesta e di insofferenza, con astensioni dal lavoro, indette dalle forze più radicali della sinistra cilena e che imputano ad Allende una politica che tende a stare "in mezzo al guado", favorendo così il rafforzarsi della destra. Questi settori sostengono che ad un probabile golpe delle forze armate si debba rispondere in anticipo attraverso l'armamento del popolo. In questo contesto le forze armate, sulle quali Allende pone pubblicamente la sua massima fiducia, guardano con crescente preoccupazione l’evolversi della situazione politica, e al loro interno, su pressione della destra e degli USA, inizia a prendere corpo l’ipotesi di un intervento diretto per metter fine all'esperienza del governo di Unidad Popular e soffocare il clima sociale di radicalizzazione. Ad accrescere il loro ruolo e il peso nella vita politica cilena, contribuisce anche la decisione di Allende di chiamare alcuni generali a far parte del governo per "legare maggiormente" le forze armate al rispetto della carta costituzionale.

Il Golpe

Il palazzo presidenziale della Moneda, 1973, durante i bombardamenti

Le elezioni politiche del 4 marzo 1973 si rivelano una cocente sconfitta per PDC e destra si erano presentati insieme e speravano con i due terzi dei seggi di poter cacciare Allende. Le elezioni portano la forza di UP al 44%. E' questo l’evento che induce i circoli politici della destra a decidere di intraprendere la via della forza per riportare il Paese verso l'“ordine”. Nel maggio si tiene il congresso nazionale del PDC che vede eletto Patricio Aylwin, esponente dell’ala più conservatrice del partito che approva una mozione dell’ex presidente Frei, in cui si afferma che il PDC farà tutto il possibile per impedire che il Cile persegua "nella strada che lo conduce a diventare una dittatura marxista". Un tentativo di colpo di stato realizzato nel giugno è il prologo di quanto ormai progetta il PDC, la destra e le forze armate. Nell’agosto viene proclamato un nuovo sciopero dei trasporti che paralizza il Cile, e il 22 Augusto Pinochet viene nominato capo di stato maggiore dopo le dimissioni di Prats a seguito dei contrasti all’interno delle forze armate. Allende dichiara pubblicamente la propria fiducia nei confronti di Pinochet. Intanto, per aumentare il clima di allarme sociale la destra orchestra da settimane azioni violente portate avanti da forze paramilitari fasciste, alle quali UP risponde con manifestazioni di piazza.
L’undici settembre accade quello che ormai era nell’aria. Le forze armate dichiarano illegittimo il governo Allende e decidono di prendere il potere. Il “compagno presidente” rifiuta la proposta di salvacondotto offerta dai militari e si rifugia con i suoi fedelissimi all’interno della Moneda, il palazzo presidenziale, che viene bombardata dagli aerei militari. Muore il sogno cileno di una trasformazione senza violenza verso il socialismo, con il compagno presidente “suicidato”. Il Paese è in mano alle forze armate, governato da una Giunta militare con a capo Augusto Pinochet, capo di stato maggiore dell’esercito che darà vita ad una delle più feroci dittature nella storia del secolo scorso. La giunta militare, formata dai capi delle tre forze armate più il comandante dei carabineros, aveva assunto il potere con l'obbiettivo di restaurare "la cilenità, la giustizia e l'ordine" compromessi a suo dire dal governo della sinistra negli ultimi anni. Le forze armate si autoproclamarono le uniche entità capaci di salvaguardare e difendere l'integrità fisica e giuridica delle istituzioni cilene; la giunta militare si autonominò autorità suprema della nazione, sommando in sé le funzioni costituenti, legislative ed esecutive. Iniziava per il Cile il periodo nero della dittatura del generale Pinochet, l'ufficiale che solo pochi giorni prima del golpe era stato nominato da Allende a capo dell'esercito, e che il presidente socialista riteneva persona fedele ai principi della costituzione, tanto da fargli pensare, allo scoppio dellla rivolta, che il fedele "Augusto" fosse rimasto tra le prime vittime del golpe. L'11 settembre stesso iniziavano le persecuzioni e gli arresti di massa; chiunque fosse ritenuto vicino o coinvolto con il governo di Unidad Popular veniva fermato e portato nei centri di detenzione sparsi in tutto il Paese. Caso emblematico è lo stadio nazionale di Santiago che venne trasformato in una immensa prigione; la Croce Rossa stimò in 7000 circa le persone detenute nello stadio nei primi dieci giorni successivi al golpe, dove molti vennero uccisi o torturati. Il messaggio era inequivocabile: nessuna pietà per i "nemici del Cile", nessun ritorno dei militari nelle caserme magari per lasciare il potere a politici "fidati", perché non si trattava solo di sostituire un ceto politico, ma di sbaragliare una presenza sociale della sinistra che era radicale e diffusa. Il 25 dello stesso mese gli USA, che avevano contribuito in maniera determinante all'abbattimento di Allende, riconoscevano ufficialmente il governo della Giunta legittimando così a livello internazionale il colpo di stato dei militari. La Giunta, o sarebbe meglio dire Pinochet (il capo dell'esercito riusciva infatti ad emergere e ad affermarsi all'interno dell'organo collegiale), procedette con atti normativi a trasformare le istituzioni: sciolse l'Assemblea nazionale, cancellò la personalità giuridica dei sindacati, illegalizzò i partiti legati a Unidad Popular e procedette al sequestro dei loro beni, vennero infine distrutti i registri elettorali, si istituirono norme che permettevano di togliere la cittadinanza cilena e di espellere dal Paese cittadini indesiderati. Accanto alle modifiche legislative Pinochet adottò la violenza fisica come strumento organico della propria azione di governo. La violenza e la scomparsa forzata di persone in Cile non fu causata da qualche individuo che aveva "ecceduto", ma si manifestò in quello che si può definire "terrorismo di stato", con la tortura sistematica dei prigionieri e la desapariciòn, la scomparsa di persone arrestate dal regime. Con la dichiarazione dello stato d'assedio o dello stato d'emergenza si realizzarono le condizioni perché l'apparato militare potesse attuare "legalmente", per via amministrativa. La repressione venne demandata alla giurisdizione penale ordinaria che si basava non sul codice penale del 1874 in vigore nel Cile pre-golpe, ma su una serie di leggi speciali emanate dalla Giunta. Del resto il potere giudiziario era conservatore e aveva mal convissuto con il governo Allende e il suo programma sociale ed economico, e così si era adattato senza troppe difficoltà al nuovo governo dei militari; quest'ultimo, tranne una opportuna epurazione nei primi mesi dopo il golpe, fondamentalmente non ebbe mai la necessità di intervenire presso i giudici, rispettosi delle leggi emanate dal generale. Basti pensare che nel marzo del 1975 il presidente della Corte suprema manifestò la propria convinzione che i desaparecidos erano persone che, o volontariamente avevano scelto la clandestinità come strumento di lotta contro il governo, oppure avevano abbandonato il Paese. La repressione "illegale", veniva gestita autonomamente dalle forze armate. La tortura in Cile fu una pratica portata avanti efficacemente con l'aiuto di professionisti stranieri o con cileni formati all'estero; c'erano ad esempio medici esperti sui limiti della resistenza umana, così da poter assicurare una tortura graduata e controllata per ottenere il massimo risultato. La tortura perse molto della sua tradizionale natura inquisitoria (mezzo per acquisire informazioni) per assumere una nuova valenza intimidatoria e repressiva. Così come per le altre dittature che ci sono state nei paesi dell'America Latina, anche in Cile ci furono dei luoghi deputati alla tortura e alla detenzione di prigionieri politici gestiti direttamente dalla polizia politica: "Josè Domingo Canasî", "La discoteca", "Venda Sexy", "Villa Grimaldi", "Londres 38". Autori di studi sui desaparecidos cileni (la Commissione istituita nel 1990 dal presidente Aylwin arrivò a contarne almeno 2229) hanno individuato due fasi nella gestione della repressione da parte del regime. Un primo periodo andava da settembre a dicembre del 1973: la responsabilità degli arresti e delle scomparse era da ricondurre soprattutto all'esercito e ai carabineros che agirono spesso congiuntamente e accanto ai quali attuarono, nelle settimane immediatamente successive al golpe, anche dei civili (di solito appartenenti ad organizzazioni dell'estrema destra); le azioni consistettero in esecuzioni sommarie o omicidi delle persone sequestrate, disfacendosi poi del corpo (buttandolo in un fiume o seppellendolo clandestinamente), il tutto seguito dalla negazione dei fatti o dal rilascio di false versioni sull'accaduto. Un secondo periodo andava dal gennaio 1974 al novembre 1989: le operazioni venivano compiute principalmente dalla polizia segreta attraverso un preventivo lavoro di informazione e un adeguato e organico dispositivo operativo per effettuare la cattura. Gran parte degli omicidi furono compiuti appunto dalla Dina (Direcion Nacional de Inteligencia) la polizia segreta creata dal regime nel 1974. La Dina operò con ampi poteri in vari centri segreti e di detenzione distribuiti in tutto il Paese facendo riferimento al Ministero degli Interni. Nel 1977 venne sciolta e sostituita con il Cni (Central Nacional de Informaciòn) che svolgeva gli stessi compiti con gli stessi uomini. La modifica, di pura facciata, fu dettata dalla evidente implicazione di uomini della Dina nell'omicidio dell'ex diplomatico Letelier negli Usa, dove aveva perso la vita anche un cittadina americana, la segretaria del diplomatico cileno. La Cni era sotto il controllo del Ministro della Difesa. Tra la fine del '74 e la metà del '75 l'apparato repressivo cileno si scagliò in modo particolare contro il Mir e a ottobre ne venne assassinato il segretario generale: Miguel Enriquez Espinoza. Nel corso della dittatura Pinochet adottò un modello liberista molto spinto, mutuato da Milton Friedman e dalla scuola di Chicago, contando sul pieno appoggio dell'oligarchia e della classe media, ed anche su quello delle multinazionali, cui andò il controllo delle imprese precedentemente nazionalizzate. Grazie alla libera importazione di prodotti, il mercato fu invaso di merci straniere, il che comportò licenziamenti, la perdita del potere d'acquisto e l'accentuarsi delle differenze sociali. In una situazione di pieno controllo della situazione, nel luglio del 1977 il generale Pinochet iniziò un processo volto alla trasformazione della dittatura cilena in una "democrazia protetta" sotto la sua guida, "la nuova democrazia", come ebbe a definirla. Nel gennaio del 1978 l'Onu condannava il Cile per violazione dei diritti umani. L'iniziativa spinse Pinochet a indire un referendum in difesa della "dignità" del Cile, per dimostrare al mondo il consenso popolare di cui godeva il suo regime e ottenne il 75% dei voti a favore, in una consultazione senza registri elettorali e senza la minima garanzia di segretezza del voto. Nel 1980 il regime emanava la legge di amnistia, che prevede l'impunità per tutti quelli che avevano commesso reati, gli autori, i complici e quelli che occultarono i crimini dal giorno del golpe sino al 10 marzo del 1978. Nello stesso anno un plebiscito approvava la nuova costituzione, con il 67% dei consensi, in completa assenza di garanzie democratiche sotto uno stato di assedio proclamato alcuni giorni prima della consultazione. Il progetto prevedeva Pinochet a capo della Giunta per altri otto anni al termine dei quali la stessa Giunta avrebbe indicato il futuro candidato unico, confermato da un plebiscito. Se il plebiscito fosse stato negativo, dopo un anno di attesa sarebbero state indette le elezioni del parlamento e del presidente. Il testo definiva come illecito e contrario all'ordinamento della repubblica ogni atto destinato a diffondere la violenza o una concezione di società fondato sulla lotta di classe. Le organizzazioni, i movimenti e i partiti politici, che per fini e attività dei suoi aderenti avessero perseguito tale visione della società, erano per ciò stesso incostituzionali. L'undici marzo 1981 Pinochet giurava fedeltà in qualità di Capo dello stato ed entrava nella Moneda, otto anni dopo averla bombardata.
militari che mettono in stato d’assedio il palazzo presidenziale
La rinascita dell'opposizione
La politica neoliberale portata avanti dalla Giunta golpista portò tra le altre cose ad un abbassamento dei tassi di importazione, dal 1977 al 1982, che raddoppiarono le importazioni Usa, e, aggiunte alle privatizzazioni, portarono ad una diminuzione del 15% della produzione industriale. Il Cile subì un indebitamento vertiginoso con il FMI e le banche internazionali,e fu costretto a svalutare provocando il collasso del sistema creditizio privato nel gennaio 1983. Da quel momento in poi la situazione economica andò sempre più peggiorando. Alla fine del 1982 si ebbero una serie di manifestazioni contro il carovita e nei primi mesi dell'83 il clima di scontento sociale crebbe fino al punto da indurre la CTC, il sindacato dei minatori del rame a direzione democristiana, a convocare per l'11 maggio 1983 uno sciopero generale. Si trattò della prima giornata di protesta cui, visto il successo, ne seguirono molte altre, caratterizzate dalla ribellione di una nuova generazione di attivisti che era nata nella povertà delle poblaciones (le baraccopoli che circondavano santiago) e che non esitavano a scontrarsi con gli apparati della dittatura anche con costi elevatissimi (morti, feriti, migliaia di arresti). In questa nuova fase di radicalizzazione sociale la sinistra e specialmente il Pc crebbe molto rapidamente lanciando una strategia di "ribellione popolare" che aveva qualche punto di ambiguità dato che comprendeva allo stesso tempo il ricorso alla lotta armata e la rincorsa dell'opposizione moderata capeggiata dalla Dc.
Pinochet, nonostante il crescente isolamento anche presso la sua stessa base sociale, riescì però a resistere a questa ondata di rivolta popolare alternando momenti di dura repressione (stato d'assedio dal 1984 al 1985) a finte negoziazioni che immobilizzavano l'opposizione moderata nella speranza di una qualche riforma della dittatura. Questa dinamica, unita agli errori della sinistra, che approfondiremo in altro momento, fece sì che il dittatore riuscisse in qualche modo a mantenere il suo programma di costruzione di una democrazia autoritaria e a imporre nel 1988 la sua figura come candidato unico alla presidenza. Qui però sbagliò i suoi calcoli: lo scarto tra sì e no fu troppo alto per permettere brogli. Il 54,685% dei cittadini si espresse nel plebiscito del 5 ottobre per il no. Il 14 dicembre del 1989 alle elezioni presidenziali, vinceva il democristiano Alwyn con il 55,2%, la destra pinochetista con Hernan Buchi otteneva il 29%. Pinochet restava a capo dell'esercito. Il Cile cercava faticosamente la via verso un regime diverso da quella dittatura che per ben 16 anni aveva conosciuto e che aveva interrotto nel settembre di quasi trentanni prima il sogno di un Cile socialista.

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