Gli intellettuali in Italia nel 900

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Testo

GLI INTELLETUALI IN ITALIA
Le vicende degli intellettuali italiani del Novecento furono largamente dominate forze e dinamiche sia esterne sia interne.
Tra quelle esterne sono da ricordare i grandi eventi sociali e politici, come le guerre, le trasformazioni economiche, i conflitti fra le classi, l’instaurazione della dittatura fascista, la rifondazione della repubblica.
L’intellettuale si proponeva un doppio atteggiamento: o una funzione di direzione etica e di coscienza critica della società, affiancata ad una promozione che questa sia giusta o, rassegnarsi ad una posizione subalterna rispetto alle forme di potere dominanti, assumendo ideologia e comportamenti di scetticismo e distacco nei confronti dell’azione politica.
L’avvento del fascismo a determinare rispecchia quest’atteggiamento: gli intellettuali si trovarono a dover scegliere se schierarsi rispetto al regime o respingerne la politica di costruzione del consenso, che fu rivolta soprattutto alle grandi masse.
La posizione degli uomini furono diverse: dal fiancheggiamento dichiarato, all’estremo opposto della militanza clandestina, alla fronda interna al regime, alle posizioni d’indifferenza e astensionismo, che furono abbracciate da fasce non ristrette d’intellettuali, i quali opponevano alla politica ufficiale del regime una scelta silenziosa.
Durante il periodo fascista numerose furono le trasformazioni: gli sviluppi dei nuovi mezzi di comunicazione, la riforma scolastica operata nel 1923 da G. Gentile che ebbe conseguenze contraddittorie perché, se da una parte incoraggiò l’estensione dell’alfabetizzazione, dall’altro introdusse meccanismi di selezione, l’utilizzo della radiofonia nel campo culturale.

FASCISMO E ANTIFASCISMO. LA GUERRA CIVILLE E LA RESISTENZA
Le ideologie degli intellettuali italiani, che venivano da almeno tre aree di pensiero (quella cattolica, quella liberale e quella marxista) furono investite completamente dall’avvento del fascismo. Secondo la posizione assunta, le ideologie subirono una diversa sorte.
1. L’area del marxismo era quella di più recente formazione e la sua repressione fu dura, senza offerte concilianti. Per conseguenza il marxismo cessò di essere una corrente attiva: si deve solo a Palmiro Togliatti, il restauro di quest’ideologia, e dandogli prestigio riuscì ad inserirla nel contesto delle altre tradizioni culturali.
2. L’area del cattolicesimo era forte nella società italiana in quanto più antica e resistente fra le tradizioni culturali. Fascismo e cattolicesimo si trovarono ad essere concorrenti e alleate nella loro opera d’educazione delle masse e di direzione del comportamento sociale. Il momento decisivo fra queste due fra queste due correnti fu il 1929, l’anno del Concordato: la Chiesa fu quella che più ne giovò, perché le fu riconosciuta la superiorità, della quale il fascismo aveva bisogno, e riconoscendo un proprio punto di debolezza ammise l’impossibilità di costituire uno Stato compiutamente totalitario. Da Patti lateranensi derivarono la sanzione del primato cattolico, che si manifestò sia nel largo spazio lasciato alla Chiesa cattolica nell’ambito dell’educazione pubblica, sia nello stato d’inferiorità perpetua degli altri culti. I Patti inoltre decretavano la vittoria, dalla parte dei cattolici, delle correnti che optavano per una società autoritaria. Tale opzione aveva una sua ideologia i cui punti fondamentali erano: giudizio negativo sullo sviluppo della società moderna, rigetto della tradizione borghese e della democrazia rappresentativa, con un richiamo invece ad una società “organica” dove il singolo è subordinato all’ordine gerarchico. Su tale base si formò il cosiddetto “clerico- fascismo”, e potè essere giustificato l’intervento militare in Etiopia (paese da evangelizzare) e in Spagna (un paese da difendere contro il bolscevismo).
3. Mentre i cattolici e il fascismo entravano in conflitto su un terreno di massa, l’area liberale s’interessava di fasce più ristrette. Negli anni Trenta, quando era più appariscente l’organizzazione del consenso intorno al fascismo, la figura di Croce continuò ad avere prestigio e influenza, e a svolgere una funzione di guida e d’orientamento tra i giovani studiosi non allineati. Egli riconfermava, nella pratica, la distinzione dell’attività intellettuale da quella politica anzi, la superiorità della prima sulla seconda. Anche gli intellettuali liberali furono colpiti da misure repressive quando tentarono di farsi politici, promuovendo movimenti ostili al regime. Soprattutto fra i giovani il liberalismo prendeva nuove forme: insoddisfatti del dottrinarismo comunista e della povertà teorica del socialismo, si raccolsero in gruppi, come Giustizia e Libertà e il Partito d’azione, che introducevano nel quadro politico italiano un carattere nuovo e duraturo.
Per quanto riguarda la dinamica interna del fascismo e ai suoi rapporti con gli intellettuali conviene utilizzare la distinzione fra intellettuali militanti e intellettuali funzionari; questi ultimi formano il personale addetto ai vari settori della burocrazia e dell’amministrazione e contribuiscono anch’essi alla trasmissione del linguaggio e dell’ideologia fascista. Indubbiamente differente è la posizione dei militanti che al fascismo legano le loro sorti, essendo teorici e collaboratori attivi. Ci fu una linea di dissenso e critica, che però non andava nella direzione antifascista tradizionalmente intesa, ma che avrebbe voluto >, reclamando quel rovesciamento della società moderna, liberale, borghese, che era stato tra le parole d’ordine nel movimento ai suoi inizi.
Un altro settore dell’intellettualità fascista puntava invece allo sviluppo di una cultura nazionale, collegata alla gran tradizione filosofica dell’idealismo, incentrata sulla teoria dello Stato: uno degli ispiratori di questa linea d’intervento fu G. Gentile.
Il tipo del funzionario e del militante non esauriscono la varietà dei possibili percorsi degli intellettuali italiani sotto il fascismo. Si devono accennare almeno due altri fenomeni: l’uno quello dei molti scrittori e artisti che ritennero di poter adottare un atteggiamento di doppiezza, rinunciando a manifestare apertamente il proprio dissenso e talora fingendo di tributare il regime, l’altro dei giovani che crebbero in una scuola ormai fascista e incominciarono le loro attività nelle istituzioni culturali del regime.

L’ERMETISMO
Il termine ermetismo cominciò ad essere applicato nella prosa italiana verso il 1930, ma divenne qualifica precisa di una corrente poetica, se non di un vero e proprio movimento, solo dopo che Francesco Flora lo usò in sensi dispregiativo, per condannare la poesia d’Ungaretti e altri contemporanei di essere volontariamente oscura e incontrollata, rarefatta, scarna e provocatoria.
I poeti ermetici operarono soprattutto a Firenze, fra le due guerre, distinguendosi in tre successive generazioni: la prima generazione ermetica (Ungaretti, Montale), la seconda (Quasimodo, Penna), e la terza, distinta fra il gruppo milanese e quello fiorentino. La prima generazione, nata in un momento difficile, rappresenta il tentativo degli ermetici di ritagliarsi uno spazio letterario e poetico all’interno della cultura fascista.
Da un punto di vista culturale e letterario, l’ermetismo filtrò e fece proprio molte correnti di pensiero e molti dei temi e dei procedimenti della tradizione poetica europea. Da Baudelaire riprende l’arcana corrispondenza fra le cose; da Rimbaud e Mallarmé, la concezione della poesia come illuminazione, mediante improvvise folgorazioni della più segreta essenza della realtà; da Verlaine, il rifiuto dell’eloquenza e dell’enfasi oratoria dei poeti dell’ottocento; da Valèry, la concezione di un’arte rigorosa, frutto di una scaltra sapienza tecnica e stilistica.
Questi temi e procedimenti furono portati nel linguaggio degli ermetici ad un grado massimo d’intensità e assolutezza, in una ricerca di purezza e selettività, che spesso finì con l’avere un effetto riduttivo.
La poetica di Mallarmé si diffuse in Italia alcuni decenni dopo il suo sorgere, per il generale ritardo della cultura italiana rispetto a quell’europea, dovuto sia alle condizioni d’arretratezza del nostro paese, sia all’argine poderoso opposto per decenne dal carduccianesimo, e dall’irriducibile avversione del Croce a tutte le forme del Decadentismo. Solo dopo la prima guerra mondiale, in mutate condizioni psicologiche, morale, politiche e sociali, si favorì anche in Italia la conoscenza e la diffusione degli aspetti più profondi del Decadentismo europeo. Quindi nonostante i suoi limiti, la poesia ermetica è di grande importanza perché, ha messo in contatto la letteratura italiana con quell’europea, contribuendo a liberare la poesia italiana dei residui della retorica e dell’oratoria tradizionale, sostituendole con una purezza priva d’ogni finalità pratica, didascalica, celebrativa e narrativa.
Si tratta dunque di una poesia diversa sia da quell’ottocentesca, sia dalla recente esperienza crepuscolare e futurista.
Il motivo centrale dell’Ermetismo è il senso della solitudine disperata dell’uomo moderno: perduta la fede negli antichi valori, nei miti della civiltà romantica e positivista, egli non ha più certezze cui ancorarsi saldamente. Ne segue una visione della vita sfiduciata e desolata, priva d’illusioni: da Ungaretti, che si sente in esilio in mezzo agli altri uomini, a Montale, che vede negli aspetti quotidiani della realtà il male di vivere, a Quasimodo, che ricorda il destino d’ogni uomo (sta solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole).
Ad aggravare il senso di solitudine e del mistero ci sono altri due elementi: l’incomunicabilità, cioè la possibilità e la volontà di instaurare un colloquio aperto e fiducioso con gli altri, l’alienazione, ossia la coscienza di essere ridotti ad un ingranaggio nella moderna società di massa e, la frustrazione, ossia la coscienza del contrasto tra una realtà quotidiana banale e deludente e l’ideale di una vita diversa.
A causa di questo ripiegamento su se stessi, di quest’angoscia esistenziale, gli ermetici non poteva utilizzare il linguaggio romantico o quello positivistico, ma andarono alla ricerca di nuove forme, fatte di parole secche, scabre, essenziali.
Caratteristica della poesia ermetica è l’uso dell’analogia, cioè l’accostamento immediato di due immagini, fondato su un rapporto di somiglianza o eguaglianza (sono pioggia di nube, Ungaretti). Riscontriamo anche l’uso della sinestesia, cioè l’accostamento di sensazioni diverse avvertite simultaneamente.
La poesia ermetica, a causa dell’arditezza e del linguaggio spesso oscuro e involuto, restò difficilmente comprensibile per il grosso pubblico. Ecco perché alla fine della guerra, con l’irrompere sulle scene delle grandi masse popolari, essa è andata gradatamente affievolendosi.
• Differenza tra il Decadentismo e l’Ermetismo: il primo è frammentario, occasionale , superficiale, e ricco d’elementi ottocenteschi, romantici e positivistici; l’ermetismo è in completa rottura con la realtà romantica e positivista, spesso anzi è in polemica con questa.
• Differenza fra poeti ermetici e quelli crepuscolari: i primi hanno una più matura coscienza artistica; i crepuscolari sono per lo più dimessi, sciatti e a volte anche banali.
• Differenza fra o poeti ermetici e quelli futuristi: i poeti ermetici sono impegnati più seriamente sul piano artistico e morale; i futuristi sono ambigui, cambiando più volte sponda.
GIUSEPPE UNGARETTI
Ungaretti concepisce la poesia come strumento di conoscenza della realtà. Egli sostiene che sia la conoscenza dalla realtà interna, sia di quell’interna non avviene per via razionale, filosofica o scientifica, ma per via analogica: questa permette, attraverso improvvise illuminazioni, le relazioni intercorrenti fra gli esseri, e attraverso una travagliata esperienza perviene alla coscienza di sentirsi in armonia con l’universo
Formatosi nella scuola del simbolismo europeo, ha cercato per tuta la vita, di fermare nei suoi testi poetici gli slanci e le angosce dell’uomo che vive nella modernità, puntando sull’essenzialità della parola, la forza e la vitalità del ritmo, la suggestione profonda del mito.
I caratteri principali della personalità e della voce poetica d’Ungaretti sono stati una forte carica vitalistica, l’applicazione decisa e costante per costruire, attraverso immagini e moduli espressivi, da un testo poetico all’altro, alcuni grandi miti personali: il porto sepolto, il viaggio, il naufragio, la terra promessa; l’impegno nell’elaborare un proprio linguaggio, nel quale si alternano i momenti espressionistici con i momenti simbolisti.
Lo svolgimento dei contenuti e delle forme ungarettiane si può riassumere in quattro periodi:
• Il porto sepolto: contiene le prime poesie scritte sul fronte di guerra in trincea, su pezzi di carta occasionali, conservati dal poeta nello zaino. Il titolo, anche se allude ad un porto reale nei pressi d’Alessandria, ha soprattutto un significato simbolico: il porto sepolto è il mistero, l’assoluto, alla cui ricerca il poeta si pone con la speranza di
approdarvi.
• L’Allegria: successivamente le liriche del primo periodo confluiscono nella raccolta Allegria di naufragi che poi diventerà Allegria. Anche questo titolo è provocatorio: la guerra è come un naufragio della vita; i superstiti del naufragio sono presi da una sorta d’ebbrezza per lo scampato pericolo e superano lo sgomento con la fede e la speranza di un domani migliore. I temi dell’allegria sono quelli tragici e violenti della guerra, del dolore, della morte: il cuore ormai straziato dalle case sbriciolate e dalla morte di tanti amici che gli corrispondevano (San Martino del Carso), il sentimento di precarietà della vita (Soldati), eppure anche nella tragedia si leve la coscienza della necessità del nostro esistere. Così il poeta vicino ad un compagno massacrato, sente più che mai il richiamo della vita, e la necessità di scrivere lettere piene d’amore (Veglia).In contrasto con la retorica dannunziana, Ungaretti sente la guerra non come momento d’esaltazione o d’eroismo, ma come una fatalità che si abbatte sull’umile, il quale subisce con virile rassegnazione. Altri temi sono il paesaggio, quello desolato che sembra immerso in una contemplazione stupita e riverente, l’innocenza e la memoria cosmica.
L’innesto dell’ispirazione ungarettiana sul solco della poesia simbolista francese ha degli esiti d’eccezionale maturità, attraverso modi stilistici d’avanguardia. Essi sono: il verso libero, che nasce da una concezione della poesia come frammento libero da ogni oratorietà, il titolo, considerato parte integrante e inscindibile del testo (Soldati), l’uso dell’analogia (Stasera), e soprattutto, l’estrema scarnificazione del dettato (Mattina).
• Sentimento del tempo: nasce in un diverso clima storico. La guerra è ormai lontana, e la meditazione d’Ungaretti si sposta dalla vita all’uomo: il titolo allude al sentimento del veloce scorrere del tempo, dal rapido fluire delle cose e delle persone che si amano. Si distinguono tre periodi: il primo dove grande importanza hanno il paesaggio e il mito, il secondo, fortemente influenzato dal viaggio a Roma, che mette in contatto Ungaretti e la cultura barocca, caratterizzato da una profonda meditazione sulla morte e sulla religione, e un terzo quello dell’amore.
• Il dolore: l’ultimo Ungaretti è stato fortemente influenzato da due eventi: la seconda guerra mondiale e la morte del figlio Antonello. In queste poesie si alterna il dolore personale ad un dolore universale, che ha permesso all’autore di restaurare quel dialogo perso durante il periodo del Sentimento.
EUGENIO MONTALE
Il motivo di fondo della poesia di Montale è una visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, in cui crollati gli ideali romantici e positivistici, tutto appare senza senso, oscuro e misterioso. Vivere per lui è come camminare lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, che impediscono di vedere il vero scopo della vita. A differenza d’Ungaretti, che trovò nella fede religiosa uno sbocco alla crisi, e di Quasimodo, che nel secondo dopoguerra prese una precisa posizione politica, Montale non assunse precisi impegni sul piano ideologico.
Lo sviluppo del linguaggio e della poetica di Montale si può dividere in due periodi:
• Ossi di seppia: per una verifica esteriore, basta guardarsi attorno per rendersi conto del male di vivere. In tutto questo il paesaggio ha un ruolo fondamentale: non ha nulla d’idilliaco e il suo carattere adombrato si evince già dal titolo, gli ossi sono una delle tante forme della vita che si sgretola. Nel deserto del paesaggio ligure, affiorano alcuni fantasmi consolatori: i limoni, le palme e il mare con le sue scaglie, ma questo è un mare remoto e inattingibile. Anche la vita come assenza e fondamentale, l’incapacità dell’uomo di aderire ad un mondo privo di significato. Forse l’unico modo per consolarsi è l’indifferenza e il ricordo: la memoria, le sue funzioni o è provocata dalle occasioni dell’esperienza o riaffiora misteriosamente. Fatta di ricordi personali, di presenze femminili, degli incontri intellettuali, la memoria si rileva vana, perché all’uomo è impossibile tornare indietro nel tempo: balena il ricordo ma subito si dissolve.
• Le Occasioni: la verifica interiore dell’intuizione tragica della vita, avviene nella seconda raccolta di liriche. In essa Montale rievoca le occasioni passate della sua vita, ricordate non per nostalgia del passato a consolazione del presente, ma per analizzarle e capirle nell’oro valore simbolico. Come nel primo, anche nel secondo periodo particolare importanza ha il ricordo, che fa restringere lo sguardo del poeta alla sua particolare pena. Con l’approfondimento della sua meditazione, il poeta avverte sempre più in sé l’ansia di un miracolo, di una salvezza. L’attesa tormentosa di questo miracolo, insieme con quella del ricordo, è il tema di fondo delle Occasioni: si spiega così la costante presenza di metafisiche figure femminile, d’amuleti.
A volte capita che i segnali linguistici e i riferimenti ai simboli della poesia di Montale, non siano semplici da decifrare. E’ nota la predilezione per un linguaggio poetico nel quale gli oggetti sostituiscano gli stati d’animo e ne sono gli equivalenti. Montale evita la psicologia e i sentimenti espliciti, esprimendosi mediante scelti d’oggetti, gesti, figure; non parla per astrazione, ma costruisce scene che evocano esperienze colte di volta in volta, nella loro unicità e diversità, e ciò sempre con un’estrema precisione di linguaggio, con un lessico molto ampio, che si estende dalla tradizione letteraria alle parole esatte della prosa e della tecnica.
A Montale, come a tutti i grandi scrittori attivi della prima metà del secolo, fu posto dall’esterno in termini drammatici e necessitanti il problema della contingenza storica, il dilemma della scelta politica, in un duplice aspetto: sul piano dell’impegno personale e su quello specifico dell’attività di poeta. La propensione dichiarata di Montale fu per una poesia, che, ponendosi come valore a sé, prendesse le distanze dalla pratica sociale e politica.

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