Etruschi

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Testo

Etruschi
popolo dell'Italia antica affermatosi, nell'area corrispondente alla Toscana e al Lazio sett., a partire dal sec. VIII a. C. Nella loro lingua si chiamavano Rasena o Rasne, in greco Tyrrenoi. Sulla loro origine e provenienza non ci sono not izie sicure. Secondo la tradizione, rappresentata da Erodoto, sarebbero emigrati in Toscana dall'Asia Minore (Lidia); secondo altra tradizione, adombrata in Livio, vi sarebbero invece arrivati dal nord; secondo una terza tradizione, appoggiata dallo storico Dionigi d'Alicarnasso, sarebbero invece autoctoni.
STORIA
Gli studiosi moderni hanno valorizzato l'una o l'altra tradizione. Probabilmente c'è del vero in ognuna nel senso che dall'Asia Minore si effettuò un'immigrazione in Toscana di gruppi isolati, apportatori di una civiltà evoluta, attratti dalle ricche miniere della regione, e questo spiegherebbe l'improvviso esplodere della civiltà etrusca tra il sec. VIII e il VII a. C. e le molte affinità che si rilevano nei costumi, nella lingua, nell'arte e nella religione degli E. con il mondo egeo-anatolico. Fa contrasto il costume nei rapporti col mondo femminile. Si sa infatti che presso gli E. le donne assistevano alle feste con gli uomini. In Toscana tali gruppi si sovrapposero, sfruttandone, valorizzandone, stimolandone le energie latenti, sugli elementi villanoviani, che, conoscitori del ferro, vi erano giunti dal nord, o dall'opposta sponda adriatica, all'alba del 1000 ca. a. C., sovrapponendosi a loro volta agli abitanti insediati nella regione fin dall'età neolitica. In altre parole, gli E. possono essere risultati dalla fusione di tre componenti etniche, quella orientale, quella nordica, quella autoctona, cioè costituirono un popolo del tutto nuovo. Un popolo che però non arrivò mai a formare un'unità politica compatta, che non agì mai come nazione. Era invece costituito da numerose città tra le quali erano importanti, a S della Toscana, Cere, Tarquinia, Vulci, Veio, Volsini; al centro Chiusi, Cortona, Arezzo, Perugia, Roselle, Vetulonia, Populonia; a N Pisa, Fiesole, Volterra, governate prima da re (lucumoni), poi da oligarchie. Tali città si raggruppavano talora in confederazioni o leghe di natura religiosa. Fattesi col tempo opulente per i prodotti delle terre circostanti, coltivate specialmente a frumento e con fiorenti allevamenti animali, e grazie alle miniere e ai traffici, riuscirono ad affermarsi rapidamente, creando grande prosperità dappertutto, così da condizionare, tra il sec. VII e il V a. C.: a N l'espansione nella valle Padana, dove si affermarono specialmente le città di Felsina (Bologna) e Marzabotto, collegate, verso l'Adriatico, con Spina, mediatrice degli influssi del mondo greco, e propizianti da nord il ricco commercio dell'ambra e dello stagno; a S la supremazia nel Lazio e la forte presenza in Campania; sul mare la gara serrata con le marinerie cartaginesi e greche. Anche se Roma non fu mai in stabile dominio etrusco, tuttavia la dinastia dei Tarquini, re di provenienza etrusca, riflette il prestigio e l'importanza delle città etrusche merid., con tante tracce incancellabili lasciate nella religione, negli usi, istituti, edifici di Roma, largamente confermate anche dall'archeologia. Il massimo di prosperità e di espansione fu raggiunto dagli E. verso la metà del sec. VI a. C., tanto che, nel 535, alleati dei Cartaginesi, sconfissero, nella battaglia di Alalia, davanti la Corsica, i Focesi di Marsiglia, potentissimi sul mare. Il loro arresto cominciò invece sul finire del secolo e fu seguito da declino nel sec. V a. C. Prima fu Roma a liberarsi dalla loro supremazia con la cacciata, verso il 510, dei Tarquini; poi se ne liberarono i Latini, che, sostenuti da Aristodemo di Cuma, ad Aricia, nel 506, li sconfissero in battaglia. Gli avamposti degli E. in Campania rimasero così isolati e si indebolirono dopo la sconfitta navale che essi subirono a Cuma nel 474, andando del tutto perduti nel 423 con la conquista di Capua da parte dei Sanniti. Al nord la discesa dei Galli travolse i centri etruschi della Valle Padana all'inizio del sec. V a. C. Nel 396 Roma conquistava Veio estendendo la sua influenza su tutta l'Etruria meridionale. Per più di due secoli gli E., su iniziativa dell'una e dell'altra città, ostacolarono l'ulteriore espansione romana. Nel 295, coalizzati con gli Umbri, i Galli e i Sanniti, furono sconfitti dai Romani in una grande battaglia a Sentino: nel giro di qualche decennio furono completamente assoggettati da Roma che li incluse, mediante trattati particolari, nella serie dei suoi alleati nella penisola, finché non concesse loro la cittadinanza romana con la guerra sociale del 90 a. C. Nonostante la perdita dell'autonomia politica, gli E. continuarono però a esercitare anche in seguito una grande influenza in Italia, sul piano culturale, religioso, artistico. Roma, che sotto Augusto aveva fatto dell'Etruria la settima regione d'Italia, assorbì molto da essi nelle istituzioni, nei modi di vita, nella lingua, nei gusti, l'amore per il lusso, i banchetti, le danze, la musica, come si trova attestato nelle pitture tombali. Lo spirito creativo del popolo etrusco (l'abile artigianato, la tecnica approfondita) riemergerà dopo molti secoli nella Toscana dell'età rinascimentale.
RELIGIONE
Reperti epigrafico-archeologici e fonti latine forniscono un buon numero di nozioni sulla religione degli E., e tuttavia non è possibile darne un quadro organico, data la frammentarietà della documentazione: era certamente una religione di tipo politeistico, però di gran parte degli dei si conosce soltanto il nome, e spesso non si sa neppure se si tratti effettivamente di nomi divini. L'identificazione approssimativa, e in qualche caso soltanto ipotetica, di alcune divinità si fonda sulla loro raffigurazione mediante modelli iconografici greci: Tinia appare così assimilato a Zeus, Turan ad Afrodite, Fufluns a Dioniso, Turms a Ermete, Sethlans a Efesto, Thesan a Eos (Aurora); Cautha o Usil potrebbe essere Elio (Sole) e Tiv Selene (Luna); Mantus e Mania sembrano corrispondere alla coppia infernale Ade e Persefone, che però si trova indicata anche con i nomi etruschizzati Aite e Persipnei. Altre divinità hanno chiaramente nomi latini: Menrva (Minerva), Uni (Iuno, Giunone), Maris (Marte), Nethuns (Nettuno), Ani (Ianus, Giano); o nomi greci: Latva (Latona), Aplu (Apollo), Artume o Aritimi (Artemide), Hercle (Eracle). Tinia, identificato col romano Giove e col greco Zeus, era il dio supremo, che governava il mondo affiancato da due consessi divini: gli dei consentes, in numero di 12 (numero canonico, probabilmente importato dalla Grecia), e gli dei detti involuti (segreti) dagli autori latini, in quanto non se ne conosceva né il numero né il nome. Varrone indica in Vertumno (identificabile con il Voltumna delle iscrizioni etrusche) il dio supremo, ma o si tratta di un epiteto di Tinia, o Vertumno ebbe una supremazia di tipo politico e limitata alle città dell'Etruria merid. che, riunite in lega, tributavano a questo dio un culto comune. Tinia manifestava la volontà degli dei soprattutto per mezzo delle folgori, che venivano interpretate da speciali indovini detti probabilmente trutnvt. La scienza di questi indovini era raccolta in libri detti dai latini «folgorali» ispirati, secondo il mito, dalla ninfa Vegoe. La volontà degli dei veniva letta anche nelle viscere degli animali sacrificati, da indovini chiamati probabilmente netsvis. La scienza degli aruspici era raccolta nei Libri haruspicini che un mito attribuiva a Tagete, eroe culturale etrusco. Tra i visceri osservati aveva un'importanza particolare il fegato, la cui osservazione veniva insegnata anche mediante modelli (p. es. il Fegato di Piacenza, un modello in bronzo che riproduce schematicamente il fegato di una pecora, suddiviso in zone assegnate alle varie divinità). La sapienza sacerdotale etrusca era tramandata anche a mezzo di altri libri, chiamati dai Romani Libri rituales. Essi contenevano la descrizione di riti purificatori, espiatori e di fondazione. Inoltre vi si raccoglievano predizioni sul destino degli uomini e delle città (i cosiddetti Libri fatales), nonché sul destino ultimo dopo la morte (Libri Acheruntici). Complesse erano le nozioni sull'oltretomba dominato dalla coppia Mantus-Mania e dalla loro corte di demoni, tra cui si ricorda Charun (il greco Caronte) raffigurato come un genio alato, dal naso adunco e armato di un maglio, e Tuchulcha dai piedi e dal becco di uccello rapace e dalle chiome serpentiformi. I morti, a mezzo di sacrifici offerti dai superstiti alle divinità infere, ottenevano da queste la sopravvivenza e diventavano dii animales (traduzione latina di un'espressione etrusca a noi ignota; forse dei fatti di «anima», o derivati dalle «anime» dei morti); i Romani li equiparavano ai loro dei Penati. In funzione della sopravvivenza del morto va considerata la dovizia con cui si costruivano e si arredavano le tombe, che costituiscono la principale, se non l'unica, fonte di nuove informazioni sulla cultura etrusca.
ARTE
Molto esaltata nel 1700, al tempo delle prime importanti scoperte archeologiche, e considerata in seguito soltanto un fenomeno provinciale dell'arte greca, l'arte etrusca è stata rivalutata in questo secolo soprattutto per la sua «aclassicità» (cui non è certo estraneo il substrato italico della popolazione), testimoniata da un realismo espressionistico, a volte drammatico, dal quale emerge il carattere più tipico dellavisione d'arte degli Etruschi. L'arte etrusca, il cui corso, in base agli influssi provenienti prima dall'Oriente e poi dalla Grecia, si suole dividere in varie fasi (periodo delle origini o età villanoviana, periodo orientalizzante, periodo ionico e attico, periodo di mezzo, periodo ellenistico), ebbe la sua maggior fioritura nei sec. VII e VI a. C., con una ripresa dopo il sec. IV anche in coincidenza con la conquista romana. Essa presenta varie caratterizzazioni sia nelle sue diverse fasi, sia nelle diverse località (Chiusi è famosa per i suoi canopi arcaici e, nel periodo ellenistico, per le urne policrome; Tarquinia per le tombe dipinte scavate nella roccia; Cerveteri per i tumuli arcaici e le necropoli monumentali tarde; Palestrina per le ricche tombe orientalizzanti, ecc.). Le manifestazioni più importanti si ebbero nell'ambito del culto per l'aldilà, e architettura, pittura e scultura si associarono sovente nella realizzazione delle dimore funebri. Secondo la tradizione, i Romani appresero dagli E. la costruzione di strade e fognature, l'uso dell'arco e della volta, l'architettura del tempio a tre celle, la forma dell'atrio detto tuscanico e di altri ambienti della casa patrizia, lo stesso impianto urbano e la divisione dei terreni (agrimensura). Ma le conoscenze delle città etrusche e dei loro monumenti sono piuttosto scarse. L'abitato di Acquarossa presso Ferento (sec. VI a. C.) presenta pianta in parte regolare, in parte irregolare, con ampi spazi liberi fra le case, dei cui interni si ha un'idea dalle tombe ipogee a più ambienti. Di impianto irregolare sembrano Vetulonia e Roselle, regolare e di tipo ippodameo è invece la più tarda città presso Marzabotto, forse Misa e, a quanto sembra, anche Spina, città di tipo lagunare impostata su palafitte. I templi erano sia del tipo descritto da Vitruvio, a tre celle e a largo impianto, sia a una sola cella. Caratteristico dei templi etruschi è il rivestimento in terracotta policroma, che nella fase ionica, intorno alla metà del sec. VI a. C., presenta fregi continui a rilievo di ispirazione greco-orient. e grandi tegole terminali (Vignanello, Velletri); nella fase successiva ha, come a Veio nel tempio dell'Apollo (nonché a Falerii Veteres, Cerveteri, Satrico, Tarquinia, Pyrgi), grandi acroteri figurati e antefisse a conchiglia; nella fase ellenistica è caratterizzato da grandi rilievi frontonali (Talamone, Luni, Civitalba). Le cinte murarie sono databili, in genere, tra il sec. VI e il IV a. C. Di età ellenistica sono le porte delle città, aperte ad arco (Volterra, Perugia), più volte riprodotte, insieme alle mura merlate, nelle contemporanee urnette funerarie. Ma, come si è detto, sono soprattutto le tombe, con le loro ricche suppellettili, con i sarcofagi scolpiti, con le pitture murali, a consentire di seguire l'evoluzione dell'arte etrusca, di individuarne i rapporti prima con l'Oriente e poi con la Grecia, di comprenderne le motivazioni e il significato. Le origini sono connesse (metà del sec. VIII a. C.) all'evoluzione dell'arte villanoviana, nota soprattutto dalle necropoli dell'Emilia, con lo sviluppo della lavorazione del bronzo e le prime importazioni dall'Oriente di scarabei egiziani, di figurine fenicie di terracotta invetriata, di paste vitree, di ornamenti d'oro a sbalzo e filigrana. Nel periodo orientalizzante (sec. VII a. C.), accanto a semplici tombe a fossa compaiono le tombe a corridoio o a camera (talora con copertura a falsa volta o a falsa cupola) e i grandi tumuli circolari. Ricchi i corredi funerari, tra cui eccezionali quelli delle tombe Regolini-Galassi di Cerveteri (Roma, Museo di Villa Giulia), Bernardini e Barberini di Palestrina (Roma, Museo Pigorini; Villa Giulia; Vaticano), del Circolo degli Avori alla Marsiliana d'Albegna (Museo di Firenze): grandi pettorali, fibule, armille auree, pettini e scatolette di avorio per uso personale, e inoltre calderoni di bronzo laminato su tripode e loro imitazioni in terracotta. Molto usate nell'oreficeria le tecniche della filigrana, della granulazione, del pulviscolo. Assieme a vasi importati da Rodi e Corinto si trovano vasi di imitazione, italo-geometrici ed etrusco-corinzi. A Chiusi compaiono i primi canopi e il bucchero, la caratteristica ceramica nera etrusca. Il periodo seguente (600-474 a. C.) è di influenza greca, prima ionica e poi attica. Direttamente dalla Grecia gli E. importarono per le loro tombe vasi a figure nere e rosse dei più noti maestri, mentre le anfore «pontiche» e le idrie ceretane sono probabilmente opera di artisti ionici immigrati. Nella plastica eccellono le grandi statue fittili del 500 a. C. ca. (Roma, Museo di Villa Giulia) del Tempio del Portonaccio di Veio – il famoso Apollo, l'Ermete, l'Eracle, la Dea con bambino – attribuite alla scuola di Vulca, il solo grande artista etrusco a noi noto dalla tradizione letteraria, chiamato a ornare il tempio di Giove Capitolino a Roma. Contemporaneo è il Sarcofago degli sposi di Cerveteri, dalla linea incisiva ed elegante, tra i più belli di un'ampia serie di opere analoghe; l'inquietante espressione dei volti dei coniugi, in cui si rispecchia la consapevolezza di chi è ormai al di là del mistero della morte, si ricollega all'enigmatico sorriso dell'Apollo di Veio, che anche nella drammatica tensione interna evidenziata dalla voluta stilizzazione dei panneggi mostra l'originalità della scultura etrusca pur modellata sullo stile greco. Particolare importanza hanno i metalli lavorati, tra cui i bronzi laminati e decorati a rilievo di un carro da parata (musei di Perugia e Monaco), una lamina con amazzoni di argento e oro pallido (Londra, British Museum), i tripodi detti Loeb, forse ceretani (Museo di Monaco). Della zona di Chiusi sono diverse statue in pietra fetida, nonché rilievi su cippi, urne, sarcofagi. Degli ultimi decenni del sec. VI a. C. sono anche le più antiche tombe dipinte, soprattutto a Tarquinia, importanti per la conoscenza della vita e dei costumi etruschi. Alla più antica tomba dei Tori (ca. 530 a. C.) seguono quella degli Auguri, con crudeli scene di giochi funebri; della Caccia e della Pesca, con ampio motivo paesistico; del Barone, di compostezza pienamente greca. Il sec. V a. C. è caratterizzato in Etruria da un arcaismo attardato. Oltre a numerose pitture tombali (a Tarquinia le tombe delle Bighe, dei Leopardi, del Triclinio e la più tarda tomba della Nave; a Chiusi le tombe della Scimmia e del Colle) sono importanti le decorazioni fittili templari, tra cui quelle di Pyrgi (ca. 480-470 a. C.). Tra le statue bronzee, che le fonti ricordano numerose, famose la Lupa Capitolina e la Chimera di Arezzo (Firenze, Museo Archeologico). Nel sec. IV a. C., quando Roma inizia la conquista dell'Etruria, l'arte etrusca ha nuovo sviluppo attingendo in ritardo al classicismo greco; il filone popolare italico trova espressione in alcune figure della decorazione del tempio del Belvedere a Orvieto (350-330 a. C.). Di questo periodo sono i sarcofagi di Tarquinia, con la figura del defunto a tutto tondo distesa sul coperchio. Col sec. III a. C. inizia il lungo periodo ellenistico in cui, anche sotto il dominio di Roma, le fabbriche etrusche continuano a produrre, in forma quasi industrializzata e stereotipata, le numerosissime urnette di pietra e alabastro che a Perugia e a Volterra giungono fino all'età augustea, i sarcofagi di Tuscania, le diffuse terrecotte votive a stampo. Di maggior impegno sono gli altorilievi dei frontoni dei templi di Talamone, Luni e Civitalba con scene mitologiche e storiche (lotta coi Galli). Del sec. III a. C. è anche la famosa tomba dipinta François (Roma, Collezione Torlonia), con episodi dell'epopea etrusca. Tra le altre tombe ellenistiche si ricordano quelle tarquiniesi dell'Orco e degli Scudi, quella dei Rilievi a Cerveteri, del sec. III a. C., quella più tarda del Tifone a Tarquinia. Ellenistici sono infine alcuni importanti ritratti bronzei, tra cui il famoso Arringatore (Firenze, Museo Archeologico), con il quale l'arte etrusca mostra di essersi volta al potente realismo figurativo che sarà proprio dell'arte romana.

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