Domande e risposte di storia

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Testo

1. L’assetto politico e territoriale dell’Europa e dell’Italia nell’età della Restaurazione
• Com’è stabilito al Congresso di Vienna e come si modifica prima del 1848

Con il termine “Restaurazione” si indica il periodo di storia europea compreso tra il Congresso di Vienna (1815) e gli avvenimenti rivoluzionari del 1830-1831 (rivoluzione di luglio in Francia, rivoluzione belga, polacca, e rivoluzioni del 1831 nell’Italia centrale). Il termine definisce una situazione caratterizzata dal ritorno all’ancien regime (prima della rivoluzione francese del 1789), quindi dei sovrani spodestati, delle classi sociali tradizionali e degli ordinamenti pre-rivoluzionari.
Al Congresso di Vienna si riunirono tutti i sovrani d’Europa, ma le decisioni fondamentali vennero prese dai rappresentanti delle potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna); anche Talleyard, ministro francese, riuscì a far valere i suoi diritti con il principio di legittimità, con il quale dovevano essere rispettati i diritti violati dalla rivoluzione, e in particolare quelli dei Borbone in Francia.
I mutamenti del 1815 dovevano anche cercare di stabilire un equilibrio stabile all’interno dei singoli Stati e tra le varie potenze d’Europa, oltre che cancellare tutto ciò che si era conquistato con 25 anni di guerre; ecco perché fu firmata la Santa Alleanza (1815), che si fondava su ideali cristiani, dalla Russia, dalla Prussia e dall’Austria; l’Inghilterra, invece, aderì solo alla Quadruplice alleanza, che era più di carattere politico.
I cambiamenti più evidenti si ebbero nell’Europa centrale e settentrionale: la Prussia si espanse verso ovest, occupando territori di grande importanza economica; anche la Russia estese il suo dominio occupando gran parte della Polonia. Gli stati tedeschi, invece, si ridussero e furono riuniti nella Confederazione germanica, presieduta dall’imperatore d’Austria, che ritornò ad avere il controllo su gran parte d’Italia: in particolare la sua egemonia interessò la zona Lombardo-Veneta, dove esercitò uno stretto controllo sulla vita politica e intellettuale, ma riuscì ad avere influenze anche sul Regno di Napoli, chiamato ora Regno delle due Sicilie (Territorio dei Borbone), attraverso legami militari e dinastici. Solo il Regno di Sardegna, ingranditosi grazie alla Liguria, riuscì a mantenere la sua autonomia nei confronti dell’Impero Asburgico, anche se la Restaurazione comportò l’abolizione della legislazione napoleonica. In tutta l’Italia il ritorno delle antiche dinastie portò a un rallentamento del processo di unificazione e di sviluppo civile, iniziato nell’età napoleonica, solo nel Granducato di Toscana ci fu una parziale tolleranza sul piano culturale, che permise il diffondersi della rivista “L’Antologia”, punto di riferimento per gli intellettuali liberali.
Il Belgio, il Lussemburgo e l’Olanda formarono il Regno dei Paesi Bassi, mentre nella penisola iberica e balcanica non si ebbero grandi cambiamenti; la Gran Bretagna si preoccupò solo di impedire il sorgere di ulteriori ambizioni da parte degli altri Stati.
Mentre negli Stati dell’Europa continentale dopo il Congresso di Vienna fu confermato il vecchio assolutismo settecentesco e fu negata ogni evoluzione in senso liberale, come in Spagna, in Gran Bretagna il controllo dello stato fu detenuto nelle mani del partito conservatore tory, che, siccome aveva le sue basi nell’aristocrazia terriera e nell’alto clero anglicano, impose un forte dazio sull’importazione del grano, favorendo gli interessi dei grandi proprietari terrieri.
In Francia, invece, il re Luigi XVIII promulgò una costituzione (Charte octroyee), che garantiva le libertà fondamentali, proclamava l’uguaglianza giuridica di tutte le classi sociali, e prevedeva la presenza di un Parlamento formato da due camere, la Camera dei Pari, nominata direttamente dal re, e la Camera dei deputati, che era elettiva. Il potere della Camera dei deputati, però, era molto ristretto, e anche la legge elettorale limitava il diritto di voto solo a una misera parte della popolazione, infatti la possibilità di votare era legato all’età (30 anni) e al censo. Nonostante tutte queste restrizioni, il re conservò molte innovazioni del periodo napoleonico, come l’inviolabilità delle proprietà private.
Dopo il Congresso di Vienna, tra il 1820 e il 1840, la monarchia inglese attuò varie riforme liberali come quella che permetteva ai lavoratori di unirsi in libere associazioni (Trade Unions 1824), che servivano per la tutela dei loro diritti. Un’altra innovazione fu la riforma elettorale (1832), che estendeva il diritto di voto a gran parte del ceto medio e ridisponeva le circoscrizioni aumentando il numero di quelle urbane, a scapito di quelle rurali; ci fu anche la riforma sociale, che diminuiva il numero di ore di lavoro per i ragazzi, e prevedeva assistenza per i poveri. Tra gli anni 30 e gli anni 40 gli intellettuali progressisti insorsero, appoggiati dal partito liberale whig, per chiedere l’abolizione del dazio sul grano, che danneggiava sia le masse popolari, sia la grande borghesia industriale; nel 1846 il capo del governo Peel decise di abolire il dazio grazie ad una carestia.
Al contrario di Francia e Gran Bretagna, la Russia e l’Austria si rifiutarono di modificare i vecchi ordinamenti agrari e di modificare il loro assetto politico, perciò furono intense le rivolte contadine (Russia) e le spinte autonomistiche delle varie popolazioni sottomesse (croati, sloveni, italiani, ecc).

2. Quali sono i principali moti liberali in Europa e in Italia prima del 1848 ( quando e dove si svolgono)?

A causa del malessere economico e per affermare gli ideali liberali, democratici e nazionali, si formarono organizzazioni clandestine o società segrete, la più importante delle quali era la Carboneria (Italia e Spagna), che traeva la sua origine dalla Massoneria e s’ispirava a ideali di liberalismo moderato. Ma a causa della scarsa unità e organizzazione delle società segrete, e soprattutto a causa della mancanza di legami con le masse popolari, i moti liberali del 1820-21 non ebbero grande successo, infatti solo la Grecia riuscì a ottenere gli scopi prefissati, cioè l’indipendenza, grazie al coinvolgimento del popolo, al sentimento di nazione e alla difesa della propria religione.
La Grecia era sotto il dominio dell’impero ottomano, e come per la Serbia, la Macedonia, la Romania, l’Albania, e la Bulgaria, la maggioranza della popolazione era cristiana ortodossa; per questo motivo questi stati erano discriminati sul piano politico e sociale, infatti non potevano essere proprietari terrieri, ma solo servi della gleba, contadini o anche mercanti. Quando nel 1821 la setta patriottica greca Eteria insorse, coinvolgendo anche la massa, i turchi attuarono una dura repressione, tale da indurre all’intervento militare della Gran Bretagna, della Francia e della Russia, per solidarietà nei confronti di chi combatteva per la libertà, per difendere dei cristiani e uno stato dalle origini antiche. Nel 1829 i turchi furono costretti a firmare la pace di Adrianopoli, con cui riconoscevano l’indipendenza della Grecia.
Nel resto d’Europa le rivolte erano condotte solo da intellettuali, studenti e soprattutto da militari, senza un coinvolgimento delle masse: così avvenne in Spagna nel 1820, quando il re Ferdinando VII dovette riportare in vigore la costituzione liberale del 1812 e indire le elezioni per le Cortes, non essendo riuscito a reprimere la sommossa, causata dal malgoverno monarchico. Perciò in Spagna si stabilì un regime liberaldemocratico molto fragile, a causa dell’ostilità del sovrano e della mancata adesione delle masse.
Anche in Portogallo e nel Regno delle due Sicilie si stabilì una condizione simile a quella spagnola: a Napoli il re e il governo austriaco erano ostili alla costituzione e alla situazione che si stava formando; il re del Portogallo, invece, fu costretto a concedere una costituzione.
In Piemonte l’insurrezione scoppiata nel 1821 portò all’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice, che però era distante dal regno; la reggenza fu presa da Carlo Alberto, che in un primo momento favorì i ribelli, ma subito dopo si unì alla dura repressione attuata dallo zio Carlo Felice. Sia in Spagna, sia in Portogallo, sia in Italia nel marzo 1821 le potenze aderenti alla Santa Alleanza si unirono per riportare l’ordine e reinstaurare le monarchie assolute.
Tra il 1830-1831 scoppiò in Europa una nuova ondata di moti liberali meno violenta di quella del 1820-21, ma che ottenne maggiori risultati, infatti in Francia si riuscì a cacciare la dinastia dei Borbone, dopo che Carlo X tentò di limitare ulteriormente le libertà concesse nella carta del 1814 da Luigi XVIII. Carlo X in questa occasione dapprima sciolse la Camera, nella quale la maggioranza si schierò a favore delle forze di opposizione, poi attuò un colpo di Stato emanando quattro ordinanze, con le quali eliminava la libertà di stampa, scioglieva la Camera appena eletta, e modificava la legge elettorale. Ma le masse popolari costrinsero il re ad abbandonare la capitale, e le Camere elessero al suo posto Luigi Filippo d’Orleans, che aveva idee liberali moderate; in seguito fu varata una nuova costituzione, che aumentava il potere del Parlamento sul potere esecutivo, allargava il diritto di voto e separava ulteriormente Stato e Chiesa. La parte della società che appoggiava la monarchia di luglio era solo l’alta borghesia, perciò fu molto forte l’opposizione repubblicana; la monarchia, e in particolare Guizot, reagirono intensificando i caratteri oligarchici del regime, provocando una forte divisione tra ceto dirigente e resto della società.
Seguendo l’esempio francese anche il Belgio insorse, riuscendo a ottenere l’indipendenza dall’Olanda nel 1831 (fine equilibrio stabilito al congresso di Vienna).
Nel 1831 le insurrezioni che scoppiarono in Italia (Ducato di Modena, di Parma e Legazioni dello Stato Pontificio) erano il risultato di una cospirazione, che tentò di coinvolgere anche il duca Francesco IV, il quale voleva approfittare delle sommosse per diventare sovrano di un Regno dell’Italia centrosettentrionale. Egli dapprima entrò in contatto con alcuni esponenti delle società segrete, come Ciro Menotti, ma quando si accorse che si sarebbe opposta l’Austria, allora fece arrestare i capi della congiura. Le insurrezioni scoppiarono ugualmente a Bologna e nelle legazioni pontificie (Pesaro e Urbino, e Ferrara), per poi diffondersi a Parma e a Modena. I protagonisti di queste rivolte non furono più i militari, bensì i ceti borghesi, appoggiati dall’aristocrazia liberale e dal popolo, ma l’Austria riuscì ugualmente a reprimere le sommosse.

3. Spiega le differenze fra il pensiero politico di Mazzini e quello di Gioberti (l’idea e a cosa porta la loro idea)

Giuseppe Mazzini era un patriota di orientamento democratico, repubblicano, che aveva aderito alla Carboneria nel 1827; grazie all’esilio subì l’influenza dei maggiori esponenti democratici italiani all’estero, così entrò a far parte della sua concezione politica anche una componente mistico-religiosa, che identificava Dio con l’intera umanità e ammetteva l’esistenza di un disegno divino, in base al quale gli uomini dovevano svolgere la propria missione. Per esempio l’Italia aveva il compito di sconfiggere l’Impero asburgico e lo Stato pontificio e di iniziare un sommovimento per l’indipendenza e la libertà. Mazzini credeva anche ne principio di associazione, in base al quale sia il singolo individuo, sia la famiglia, sia la nazione (intesa come entità culturale e spirituale, oltre che politica ed etnica), sia l’umanità dovevano associarsi per collaborare al bene comune; per questo egli metteva da parte le idee materialistiche e i problemi legati alla lotta di classe.
Secondo Mazzini, l’unico mezzo per conquistare l’indipendenza e per arrivare a una forma di governo unitaria e repubblicana era l’insurrezione di tutto il popolo, che si doveva unire in un’organizzazione, che rendesse noti a tutti i propri ideali, e svolgesse nel frattempo un’opera di educazione politica. Questo progetto si concretizzò con la fondazione della Giovine Italia, che permise di organizzare rivolte tutta la penisola (Regno di Sardegna 1833; Savoia 1834; Legazioni pontificie 1843; Calabria 1844), anche se fallirono.
Vincenzo Gioberti, invece, era il principale rappresentante della scuola neoguelfa; egli, come aveva scritto nel suo libro “Del primato morale e civile degli italiani”, proponeva una confederazione di Stati italiani retta dal papa e dal Regno di Sardegna, e non l’unita nazionale, che riteneva irrealizzabile.

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