Dalla preistoria all'Impero romano

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Testo

Atene
La città che si sviluppò in modo diverso da Sparta fu Atene. Da monarchia divenne oligarchia, potere di pochi, formata da famiglie aristocratiche. Però molto presto esplose il malcontento del popolo e soprattutto dei contadini, che erano sfruttati dai nobili a causa dei debiti che avevano con loro. Questa situazione avviò la formazione di nuove riforme.
Solone abolì la schiavitù per debiti e divise il popolo in classi secondo le ricchezze di ognuno. Tutto questo favorì l’ascesa al potere di Pisistrato e in seguito di Clistere che continuò a creare nuove riforme, seguendo Solone, per ottenere l’uguaglianza tra i cittadini : divise la popolazione in 10 tribù, i cui membri potevano partecipare alla vita politica. Per questo Atene divenne la prima polis che adottò la democrazia.
Le istituzioni
Inizialmente Atene era una monarchia che fu sostituita in seguito da un’oligarchia. Ottennero il potere i nobili aristocratici e gli eupatridi ( discendenti da padri nobili). Ogni anno l’ecclesia sceglieva 9 eupatridi che sarebbero diventati arconti, cioè magistrati che governavano la città. Dopo un anno che svolgevano la carica di arconte entravano nell’Aereopago, l’assemblea dove si discuteva dei crimini più gravi e del lavoro svolto dai magistrati. L’ecclesia eleggeva i magistrati e esprimeva i suo parere sulle leggi fatte da loro senza esprimere alcuna opinione.
Le donne, i meteci, cioè coloro che non erano nativi della polis e dovevano pagare un contributo per abitarci, e gli schiavi per tutta la storia di Atene non ebbero mai nessun diritto politico. Essi non potevano partecipare a nessuna assemblea cittadina. I meteci inoltre non potevano acquistare terre nell’Attica e nelle guerre dovevano combattere a fianco degli ateniesi.
Le riforme di Dracone e di Solone
Dracone fu fautore delle prime leggi scritte di Atene, che impedivano ai giudici di giudicare in modo arbitrario. Invece Solone abolì la schiavitù per debiti e divise la popolazione in 4 classi basate sul reddito, in cui la maggior parte delle persone poteva partecipare alla vita politica. Queste ricchezze erano basate sui medinmni. Le classi erano composte dai pentacosiomedimni, dai cavalieri, dagli zeugiti, dai teti e rimanevano fuori tutti coloro che non possedevano terre. Quest’ultimi non avevano cariche, ma avevano diritto al voto. Gli arconti venivano eletti tra le prime due classi.
I commercianti e gli artigiani non potevano avere un potere politico, così si ribellarono contro i nobili e per combatterli si affidarono al tiranno Pisistrato, che con un colpo di stato, nel 551 a.C, salì al potere e fu un ottimo tiranno. Sviluppò i commerci, fece costruire una flotta militare e lavori pubblici. Alla sua morte andarono al potere i suoi due figli, che non riuscirono a mantenere il governo nelle loro mani.
Così salì al trono Clistene il quale fu creatore di nuove riforme, però ispirandosi all’idea di Solone privata del reddito agricolo. Divise l’Attica in tre zone costa, città, montagne e la popolazione in 10 tribù attribuite in seguito ad ogni zona. Riuscì così a far partecipare tutti i cittadini alla vita politica, ed a fargli avere gli stessi diritti politici, esclusi gli schiavi, i meteci e le donne.
L’Età DI PERICLE
Le istituzioni democratiche
L’allontanamento di Cimone da Atene lasciò campo libero alle fazione democratiche guidate da Efialte, il quale fu fautore di nuove riforme. L’Areopago perse potere, ma ne acquistò l’ecclesia e la bulè. Dopo l’assassinio di Efialte andò al potere Pericle, che assunse la guida della fazione democratica creando nuove riforme. Iniziò facendo partecipare alle cariche pubbliche anche le classi più povere e per consentirglielo stabilì che i cittadini funzionari venissero pagati. Le cariche pubbliche venivano assegnato per sorteggio e c’era il rischio che venissero incaricate a persone incompetenti nel campo. Solo i 10 strateghi, capi politici e militari, venivano eletti e, infatti, questa divenne una delle cariche più ambite.
Politica imperiale
Pericle pur portando avanti la guerra con la Persia volle fare di Atene la città più importante della Grecia, completando il progetto delle mura iniziato da Temistocle. Gli scontri con Sparta furono a esito alterno e si conclusero con la pace trentennale. Questa prevedeva che i territori conquistati venissero riconsegnati e che Sparta e Atene non dovevano occuparsi degli affari dell’altra.
Successivamente Pericle si mosse contro la Persia, appoggiando l’Egitto contro i persiani, ma non ebbe successo. La cassa della lega venne spostata da Delo ad Atene e molto denaro di questa venne usato per costruire edifici. La lega si stava trasformando nell’impero di Atene.
La lega diventa Archè
Nel 449 a.C Cimone, tornato dall’esilio, ottenne una vittoria a Cipro contro i Persiani. Morì, ma Atene stipulò comunque il trattato di Collia, che prese il nome da colui che ne negozio il contenuto. La guerra contro la Persia finì definitivamente e le città che facevano parte della lega di Delo ne aspettavano lo scioglimento, visto che avevano ottenuto ciò che volevano. Atene non era d’accordo e quindi molte di queste città si ribellarono ma vennero tutte represse con violenza.
Cittadino ateniese
Il cittadino per eccellenza era l’uomo fra i quali c’era distinzione in base alla nobiltà e al patrimonio. I ricchi non lavoravano e vivevano soprattutto della rendita delle imprese. I poveri mantenevano la famiglia lavorando, ricevevano soldi quando partecipavano alle assemblee o cibo, ma questo per lo stato era un grande impegno. Per questo Pericle nel 451 a.C emano la legge che prevedeva che si era cittadini ateniesi solo se si avevano entrambi i genitori ateniesi.
Le donne nel periodo di Pericle
Le donne non avevano nessun diritto, non potevano disporre di una dote che veniva affidata o ai figli maschi o ai mariti. La differenza c’era anche tra donne ricche e povere, mentre le prime amministravano i beni della famiglia e avevano una certa disponenza economiche, le seconde dovevano lavorare anche fuori casa.
L’arte nel V secolo fu importantissima era legata sia alla comunità che agli edifici pubblici: templi, altari, portici, teatri, luoghi per le assemblee o per il consiglio.
Le sculture servivano per abbellire i fregi e i frontoni e vi erano rappresentate per lo più divinità e personaggi famosi, che servivano anche per l’abbellimento delle piazze.
Nel V secolo gli scultori si concentrarono sul corpo umano riproducendolo con molti particolari.
Filosofia e scienza
Nella Ionia del VI secolo ci fu il primo tentativo di studiare i fenomeni naturali usando la razionalità e non i miti. Talete, Anassimene e Anassiandro sono i primi filosofi della natura.
Pitagora proveniva da Samo, ma si trasferì a Crotone dove fondò una scuola di matematici. Insegnava una condotta semplice e spirituale che cercò di imporre a tutta la città, a cui diede un nuovo codice di leggi.
A partire dal V secolo Atene divenne il principale centro della scienza e della filosofia. Qui giunse Anassagora di Clazomene che divenne amico e maestro di Pericle, il quale venne considerato ateo dai suoi nemici.
La sofistica
Nel V secolo ad Atene si formò il gruppo dei sofisti. Erano bravissimi oratori che negavano l’esistenza di un vero sapere perché lo ritenevano soggettivo, discendente dalle persone e dalle circostanze. Il ruolo politico di questi fu enorme perché insegnarono l’importanza della retorica, cioè quella che rendeva capaci di sostenere le opinioni con successo e provocava insuccessi nelle discussioni private e nelle assemblee. Fondarono vere e proprie scuole private, dove i ragazzi, anche quelli non aristocratici, andavano per garantirsi una carriera politica di successo.
CRISI E DECLINO DELLA POLIS
Origine del conflitto
Durante la guerra del Peloponneso incominciarono ad ingrandirsi le preoccupazioni di Sparta nei confronti di Atene, che stava adottando un atteggiamento imperialistico. Il cambiamento da tensione a conflitto avvenne a causa di 3 episodi. Il primo avvenne nel 433 a.c, quando Atene aiutò Corcira nella guerra contro la madre patria, Corinto, città fortemente alleata con Sparta. La città vinse lo stesso, ma il risentimento contro Atene rimase forte.
Il secondo avvenne, quando Atene assediò Potidea una colonia di Corinto, ma membro della lega Delio Attica. Corinto intervenne in aiuto di Potidea e si ritrovò a combattere contro Atene.
L’ultimo episodio si verificò quando Atene negò a Megera, alleata di Sparta, l’accesso a tutti i porti delio-attici, che era molto importante, perché sennò l’economia sarebbe andata in rovina. Allora Sparta chiede di ritirare il decreto, ma non fu accettato, così scoppiò la guerra.
Peste ad Atene
La strategia di Atene era puntata sulla potente flotta Delio Attica, sulle riserve di metalli preziosi e sulla difesa delle mura che circondavano Atene e il Pireo. Sparta invece contava su un forte esercito e sulla supremazia terrena.
Nel 431 a.C le truppe peloponnesiache devastarono le campagne dell’Attica. La popolazione si rifugiò all’interno delle mura col giungere dell’inverno le truppe degli assediatori si ritirarono e ad Atene arrivò la peste. Questa epidemia che si diffuse rapidamente fu la causa della morte di Pericle e la perdita per la città di una forte guida che accentuò le tensioni che affioravano nella cittadinanza.
Gli anni di Cleone
Dopo la morte di Pericle, salì al trono Cleone, che riuscì ad avere le simpatie con leggi gradite al popolo ma disastrose per la città. Dopo la morte di Pericle Atene visse dei momenti di grande difficoltà. Nel 427 a.C la flotta ateniese occupò la città di Pilo e bloccò un gran numero di spartiati nell’isola di Sfacteria. Gli spartiati non potendo più ricevere cibo e aiuti, furono costretti alla resa. I sopravvissuti vennero deportati ad Atene come prigionieri di guerra.
La pace di Nicia
Sparta inviò un contingente, guidato dal generale Brasida, attraverso la Grecia, diretto verso Anfiboli caposaldo di Atene, che lo accolse come un liberatore e lo stesso fecero le altre poleis della zona, perché Atene le opprimeva. Il rischio per questa ultima era altissimo, perché era da quelle zone che si riforniva di grano e senza sarebbe morta di fame. Allora Cleone mandò delle truppe, che si batterono contro quelle di Brasida. Nello scontro entrambi i capi morirono e sia ad Atene sia a Sparta prevalsero le fazioni moderate.
Nel 421 a.C fu stipulata una pace di 50 anni che riportava la situazione come era prima della guerra questa si chiamava pace di Nicia.
Le tendenze imperialistiche
La nuova pace non piaceva a nessuno e le sue clausole non furono mai rispettate. Atene ne approfittò per rendere più saldo il controllo sugli alleati e sul mare e per estendere verso occidente la sua sfera di influenza.
Il principale sostenitore di queste imprese fu Alcibiade. L’occasione per realizzare una grande impresa gli venne data, quando, in Sicilia scoppiò una guerra tra due colonie greche, Segesta e Selinunte. Quando Segesta chiese aiuto ad Atene, sua alleata, Alcibiade convinse gli ateniesi ad accettare dicendo che avrebbero riscosso un ricco bottino e avrebbero avuto il controllo di un ricco paese.
Fu quindi allestita una flotta da 135 trireme, che nel 415 a.C salpò verso la Sicilia sotto la guida di Alcibiade, Nicia e Lameco.
Il disastro della spedizione in Sicilia
La spedizione ateniese in Sicilia non ebbe il successo sperato. Alcibiade fu accusato di aver fatto riti satanici e rispedito ad Atene, ma non ci andò, capendo che questo lo avrebbe portato alla rovina, si rifugiò a Sparta. Così la flotta ateniese fu privata del comandante migliore e Nicia e Lameco essendo in contrapposizione fra di loro non riuscirono a creare una strategia vincente: l’idea di conquistare Siracusa e di avere poi il potere su tutta l’isola si rivelò fatale.
Nell’autunno del 413 a.C le navi ateniese furono bloccate nella baia di Siracusa e ridotte all’impotenza. L’esercito sbarcò a terra per tentare la fuga ma venne catturato. I generali ateniesi vennero giustiziati e i soldati furono gettati nelle latomie. La catastrofe giunse in un momento difficile per Atene, infatti nel 413 a.C iniziò la guerra contro Sparta e l’attico fu di nuovo sotto assedio.
Si riaccende la guerra
Sotto la pressione dei corinzi e dei siracusani, Sparta, con il suo esercito, entrò in Attica e sotto consiglio di Alcibiade occupò la fortezza di Decelea, a 20km da Atene. Tutta la regione si trovò indifesa di fronte ai continui attacchi spartani. Nello stesso tempo Sparta aveva raggiunto un accordo con la Persia, per ricever aiuti economici.
In Grecia gli equilibri politici stavano cambiando e molti approfittarono della debolezza di Atene per uscire dalla lega Delio Attica. Nel frattempo la Persia ristabiliva il controllo sulle città greche dell’Asia minore.
In Atene per rispondere alla situazione di emergenza, fu istituita una commissione formata da 10 consiglieri chiamati probuloi. Per la prima volta i poteri della Bulè e dell’assemblea popolare furono aboliti. Questo fatto diede inizio ad un processo che avrebbe portato alla rivoluzione oligarchica. Del 411 a.C
La rivoluzione oligarchica
L’atmosfera ad Atene era molto tesa. Gli oligarchici accusavano i democratici della sconfitta subita a Siracusa e di pregiudicare gli esiti della guerra. Nel maggio del 411 A.c gli oligarchici fecero un colpo di stato: la Bule venne sostituita con un consiglio di 400 membri e i diritti di piena cittadinanza vennero concessi a 5000 persone, cioè a coloro che avevano abbastanza soldi per acquistare le proprie armi. Contemporaneamente vennero aboliti i sussidi. La democrazia ateniese, però, sopravvisse fra i marinai abitanti all’ancora di Samo, l’unica isola rimasta fedele ad Atene. Quando arrivò la notizia del colpo di stato l’assemblea dei marinai depose i comandanti oligarchici e ne nominò di nuovi, democratici. Il nuovo regime oligarchico non trovando un accordo con Sparta e con la flotta, indispensabile per la difesa di Atene, fu abbattuto e sostituito primamente da un’oligarchia più moderata e in seguito da una democrazia.
Atene sconfitta
Una svolta nella guerra si ebbe quando venne scelto come comandante,Lisandro, con grandi capacità militari e diplomatiche. La flotta ateniese riuscì a sconfiggerlo alle Arginuse e molte navi spartane affondarono, ma ci furono molte perdite anche fra gli ateniesi. Ad Atene le tensioni e la paura si scatenarono contro i generali che vennero condannati a morte, con l’accusa di non aver soccorso i naufraghi, questo non aiutò Atene e nell’agosto del 405 a.C Lisandro schiacciò la flotta ateniese nel Chersoneso nei pressi di Egosfatami: tutte le città della costa settentrionale erano nelle mani di Lisandro che due mesi dopo entrò nel porto del Pireo. Atene resistette fino al marzo del 404 a.C, quando si ritrovò chiusa per mare e per terra e si arrese.
Le condizioni di pace furono durissime: la flotta venne consegnata a Sparta e Atene rimase con 12 trireme e senza mura, dovette anche diventare alleata di Sparta e si sciolse la lega Delio Attica.
L’egemonia di Sparta
La caduta di Atene non significò la libertà sperata dai greci, ma di un passaggio ad una forma di governo più dura. L’egemonia di Sparta si basava sul sostegno economico persiano, anche se era inadatta a controllare altre città avendo una popolazione troppo ridotta per poter controllare vasti territori.
Quasi ovunque gli spartani favorirono l’insorgere di regimi oligarchici, anche aiutati militarmente. Con la fine della lega Delio Attica i mari divennero meno sicuri e rifiorì la pirateria. Il nuovo ruolo di Sparta fu negativo anche all’interno della città, perché aumento la brama di ricchezza, di corruzione e iniziarono ad esserci contrasti sociali tra i cittadini a pieni diritti e quelli che non ne avevano.
I 30 tiranni di Atene
Dopo la conclusione della pace fra Atene e Sparta, quest’ultima continuo a far pressione su Atene in modo che cambiasse la costituzione in oligarchia. Per far questo Lisandro mandò un consiglio di 30 persone, passate alla storia come i 30 tiranni, per cambiare la costituzione. Questi erano guidati da Crizia che divenne per breve tempo capo di Atene. I 30 non solo abolirono di nuovo i sussidi e ridiminuirono a 3000 i cittadini con pieni diritti, ma cominciarono ad utilizzare il loro potere per eliminare gli eventuali avversari e per creare un clima di terrore.
La salvezza per Atene giunse dall’esterno, tutti i democratici scappati da Atene si riunirono, entrarono nell’Attica e si impadronirono della fortezza di File e dopo il Pireo. Poco dopo, ad Atene, venne ripristinato il regime democratico.
Sparta e i Persiani
Per impadronirsi del potere Ciro tramò la morte del fratello maggiore Artaserse II e Sparta lo appoggio inviando un contingente. Il piano fu scoperto e gli eserciti dei due fratelli si scontrarono a Cunassa nel 401 a.C. la battaglia fu persa quando Ciro morì. A questo punto Sparta imbarazzata, abbandonò il suo contingente.
I greci contro Sparta e “la pace del re”
I rapporti fra Sparta e la Persia erano compromessi e i persiani sostennero in Grecia l’odio per gli spartani. Ad Atene furono ricostruite le mura e la flotta. Ben presto tutta la Grecia si rivoltò contro Sparta, che fu costretta a trattare la pace. Nel 387 a.C i rappresentanti di tutte le parti in conflitto per trattare “la pace del re”. Gli spartani riuscirono ad ottenere un accordo a loro favore: i persiani avevano il controllo sulla città d’Asia Minore, mentre le città greche rimanevano autonome.
L’egemonia tebana
Sparta venne di nuovo odiata da tutti. Atene costituì una nuova legge marittima. Tebe era stata occupata dall’esercito spartano perché non voleva riconoscere le clausole della “pace del re” e si ribellò ottenendo la libertà. Ben presto si pose a capo di una lega di città della Boezia divenendo così potente da poter annientare Sparta. Nel 371 a.C a Leuttra Tebe ottenne una vittoria contro Sparta, sotto la guida di Pelopida ed Epaminonda divenendo così la città più importante della Grecia. Nel 362 Tebe si scontro nuovamente con Sparta e nonostante la sua vittoria la morte improvvisa di Epaminonda segnò il declino della città. Dopo la nuove pace la Grecia era ancora più debole.
Socrate
Socrate non ha lasciato testimonianze scritte, di se, ma sappiamo tutto di lui dal suo discepolo Platone. Dai contemporanei è considerato un sofista, ma lui cercò di distinguersi da loro e dai filosofi. Il suo studio si incentro sull’uomo, sul bene e il male, la giustizia dell’uomo e l’uomo nella società. Per questo fermava le persone per strada interrogandoli. Nel 399 a.C fu condannato con l’accusa di corrompere i giovani e di non credere agli dei della città. Socrate morì bevendo la cicuta.
Platone e l’accademia
Gli insegnamenti di Socrate furono raccolti da Platone che scrisse dialoghi, dove riproduceva le discussioni tenute dal suo maestro.
Rimase molto colpito dal disastro della guerra del Peloponneso e dalla ingiusta morte di Socrate. Platone iniziò così a riflettere sulla crisi della democrazia, sul valore dei suoi ideali e ne cercò altri, che potessero garantire all’uomo la felicità personale e alla città una vita giusta e prosperosa. Da questa riflessione nacquero due opere, anche queste scritte in forma di dialogo: la Repubblica e le Leggi.
In questi testi Platone scrisse delle idee per creare la “città dei filosofi”, che cercò di ricreare a Siracusa.
Nel 387 a.C. fondò ad Atene l’Accademia, una scuola filosofica che fu abolita nel 528 per volere di Giustiniano.
L’IMPERO DEI MACEDONI
La monarchia macèdone
La Grecia, così fiera di avere resistito un tempo alla marea persiana, così consapevole di essere la più alta creatrice di civiltà, tanto da chiamare tutti gli stranieri «barbari», non riuscì a resistere all'ambizione di Filippo II di Macedonia, re di un piccolo regno confinante. I suoi abitanti parlavano un dialetto greco, ma vivendo isolati e con scarse risorse in un territorio prevalentemente montuoso e povero, erano molto arretrati rispetto alla grande e ricca Atene. Tuttavia i re macèdoni avevano intrattenuto da secoli contatti culturali e commerciali con le città greche e proclamavano orgogliosi le proprie origini elleniche. La dinastia regnante degli Argèadi dichiarava di essere originaria della città di Argo e discendente addirittura di Eracle: a questo titolo i suoi mèmbri avevano acquisito il diritto di partecipare ai giochi olimpici in quanto Greci.
Con Atene vi erano saldi contatti commerciali, soprattutto dopo le guerre persiane: la Macedonia, coperta di foreste, forniva ad Atene il legno da costruzione per le navi. Lo stesso Filippo da giovane vi aveva vissuto a lungo come ostaggio e ne era un grande ammiratore. Conosceva però anche la debolezza militare della città, e della Grecia in generale, e questa esperienza gli fu di grande aiuto nel mettere in atto i suoi piani di conquista.
Filippo II e la formazione della potenza macedone
Filippo II era il figlio minore di Arminta III e della regina Euricide e quindi non aveva il diritto al trono macédone, ma suo fratello fu ucciso in battaglia, e Filippo ebbe prontezza d’animo ad approfittare della situazione eliminando tutti i pretendenti e diventando re nel 358 a.C.
Filippo rafforzò i confini dello stato contro Iliri ed Epirati e per stabilire buoni rapporti con questi ne sposò la principessa, Olimpiade, che aveva un carattere forte che influì molto sull’educazione di Alessandro. Filippo riorganizzò l’esercito ed ampliò il regno nella regione dell’Esponto. Si impossessò delle miniere d’oro della Tracia ed estese il suo controllo sulle città della Grecia.
La sconfitta delle città greche: la vittoria di Filippo II a Cheronea
Filippo incomincio ad intromettersi nelle questioni greche. Alcune ne accettarono l’interessamento e altre si resero conto della gravità del pericolo. Ad Atene Demostene scrisse le Filippiche per incitare tutte le città ad allearsi in una grande lega, che alla fine si costituì ma in mezzo a diffidenze. Filippo creò la falange macedone, in cui i soldati erano disposti su sedici file che formavano una schiera più compatta e massiccia. Nonostante l’eroismo di greci e tebani i macedoni guidati da Filippo vinsero nel 338 a.C. la libertà della Grecia era finita.
L’improvvisa fine di Filippo II
Filippo agì con tranquillità nei confronti della Grecia, limitandosi a garantire il proprio controllo installando guarnigioni macedoni. Riunì tutti i vinti in una confederazione la “lega di Corinto”. Tutti gli stati membri eleggevano i loro rappresentanti nel “sinedrio”, che aveva il compito di mantenere la pace. Per se Filippo volle il titolo di hegemon, di comandante delle forze alleate, nella spedizione che stava progettando contro la Persia. La guerra fu dichiarata nel 337 a.C. e quando le avanguardie ebbero raggiunto il suolo persiano nel 336 a.C. Filippo venne assassinato, si pensa, dalla moglie.
Il progetto di Alessandro Magno
Con l’ascesa al trono di Alessandro nel 336 a.C. comincia un nuovo periodo della storia del mondo greco: la cosiddetta “età ellenistica”. Questo termine fu scelto per indicare il diffondersi della cultura ellenica in tutto il mondo allora conosciuto.
Alessandro unificò sotto il suo dominio la Grecia, l’Egitto e l’Asia fino all’Indo. Con gli eserciti fuse la cultura ellenica con quelle locali. L’impero rimase unito solo fino alla morte di Alessandro nel 323 a.C. , poi venne smembrato fra i suoi generali. Comunque rimase l’unita culturale: la lingua, koiné, che in greco significa “lingua comune”.
La distruzione di Tebe
La successione al trono di Alessandro non fu facile, perché esso aveva solo 20 anni e non tutti i macedoni erano favorevoli alla sua ascesa al trono. Tuttavia sbaragliò gli avversari e dimostrò grandi doti di generale per questo fu incoronato re nel 336 a.C. e riconosciuto capo della lega di Corinto. Con una serie di spedizioni consolidò i confini del regno. Tebe insorse e cacciò la guarnigione Macedone, ma Alessandro la espugnò, la rase al suolo e vendette i suoi abitanti come schiavi.
La spedizione contro la Persia
Alessandro nel 334 a.C. passò con l’esercito lo stretto dei Dardanelli. Prima di iniziare quella spedizione fece visita alla tomba di Achille, perché amava i poemi omerici e vedeva nella battaglia contro la Persia quella, di Troia. Nelle campagne seguenti sconfisse più volte il re di Persia Dario III costringendolo alla fuga. In poco tempo liberò le città greche d’Asia Minore, poi si recò in Egitto che occupò vittoriosamente, tanto da essere chiamato faraone: Alessandro lasciava libertà di cultura e religione e permetteva i matrimoni misti. Al margine occidentale della foce del Nilo fondò Alessandria. Alessandro era avido di gloria e combatte nuovamente contro la Persia e nel 331 a.C. a Guagamela sconfisse definitivamente Dario III che finì assassinato dai suoi.
Un impero ellenistico – orientale
Dopo la morte dell’ultimo re persiano, gli immensi tesori dell’oriente furono di Alessandro che volle spingersi fino alla favolosa valle dell’Indo. Furono le sue truppe stremate a portare un freno all’indomabile ambizione di Alessandro.
Rientrato nel 324 a.C. a Susa si dedicò alla sistemazione degli sterminati territori che erano sotto il suo controllo. Nel suo progetto anche il popolo persiano doveva fondersi con quello del vincitore: in una cerimonia di grande effetto sposò due principesse persiane. Mentre la civiltà greca si diffondeva dovunque l’occidente accoglieva la cultura orientale; la stessa capitale fu fissata a Babilonia.
Il re – dio
Gia mentre si trovava in Egitto Alessandro si era recato a fare visita al santuario del dio Ammone, dove i sacerdoti gli dissero che il dio lo salutava come un figlio. Quando poi giunse a Susa emanò un decreto con il quale chiedeva l’obbligo di inchinarsi di fronte a lui. Il suo amico Callistene non lo fece e Alessandro lo fece uccidere.
Era la prima volta che un monarca greco esigeva per se questi onori di tipo orientale.
Morte di Alessandro e divisione dell’impero
Nel 323 a.C. , a soli 33 anni, Alessandro morì a Babilonia, probabilmente di malaria. Si narra che stesse gia pensando a nuovi piani di conquista dell’occidente.
Il fragile impero ellenistico – orientale non poté consolidarsi. I generali di Alessandro se lo spartirono e finalmente venne diviso in tre regni: il regni di Macedonia, il regno di Siria e il regno d’Egitto. In tutti questi si sviluppò una cultura ellenistica. Incontreremo questi regni nella storia delle conquiste di Roma che realizzò in maniera duratura un impero veramente universale.
La civiltà ellenistica
La vecchia civiltà delle polis lasciava il posto ad un mondo nuovo in cui le grandi decisioni erano nelle mani dei re. La città perse la libertà di governarsi e di decidere della propria vita politica. Tuttavia alcune mantennero il loro primato culturale, le opere d’arte costituivano un prezioso modello da imitare. La cultura greca dominava nelle corti ellenistiche, che diventarono centri di produzione e diffusione del sapere e del gusto ellenico. Le classi dirigenti conservavano gelosamente le sue origini.
Da un punto di vista economico, i confini del mondo si ampliarono e vennero raggiunte nuove vie di scambio. Si assistette ad una nuova colonizzazione.
Nuove forme di stato: le monarchie ellenistiche e gli stati federali
L’elemento che più caratterizzò l’età ellenistica fu la monarchia territoriale. La struttura politica era basata su stati monarchici nati dalla conquista, amministrati da un ceto dirigente e fondati sul potere dell’esercito. I re ellenistici consideravano la terra e le popolazioni indigene che vi abitavano come possesso personale e giunsero presto ad essere venerati come divinità. In questo quadro le antiche città greche che riuscirono a sopravvivere avevano un’autonomia ed una libertà fortemente limitate.
Sul suolo greco acquistarono una certa importanza i cosiddetti stati federali, confederazioni di città che appartenevano alla stessa stirpe.
Le trasformazioni della vita economica
L’insediamento dei coloni greci in Mesopotamia e fino ai confini dell’Indo attivò nuovi contatti commerciali con regioni rimaste fino ad allora al di fuori dei traffici del Mediterraneo. I mercanti portarono ai sovrani le materie prime di cui avevano bisogno per mantenere i loro eserciti e soddisfare il lusso del loro seguito.
Le grandi vie del commercio si spostarono sempre più verso l’Oriente. Il Pireo perse il suolo ruolo centrale nel mediterraneo. Il nuovo centro commerciale divenne l’isola di Rodi, crocevia delle rotte, dotata di una potente flotta e capace di rimanere neutrale nei confronti di tutti i nuovi sovrani.
La società ellenistica
Nei nuovi regni ellenistici coesistevano due elementi fra loro ben distinti nei ruoli e nei diritti: l’elemento greco-macedone e quello indigeno. Al primo furono sempre riservati i ruoli politici di primo piano e i più importanti incarichi militari o amministrativi. Anche nelle città fondate dai sovrani l’elemento greco rimase sempre chiuso in se stesso, unito dalla sua cultura e dalle tradizioni che aveva portato con se dalla madrepatria. Da questa cultura erano escluse le grandi masse di contadini indigeni.
In Grecia le continue guerre portarono ad un progressivo impoverimento e abbandono delle campagne. La ricchezza si concentrava sempre di più nelle mani di pochi proprietari terrieri o commercianti. Furono questi notabili a controllare in maniera sempre crescente la vita della città.
La vita intellettuale
In Atene continuarono a svilupparsi e a prosperare nuove scuole filosofiche, di filosofi, come Epicureo o Zenone, che vennero chiamati Stoici. Queste correnti filosofiche accomunate dal fatto che hanno come centro della loro riflessione l’uomo e i modi in cui può realizzare la propria felicità. In molti casi il rapporto dell’individuo con la comunità passa in secondo piano o viene ignorato.
Aristotele fondò Perìpato e insieme con i suoi allievi procedette ad una sistemazione dei vari ambiti scientifici e generi letterari oltre che ad una raccolta e analisi dei vari tipi di costituzione.
In età ellenistica i centri in cui fiorì una vivace produzione culturale si moltiplicarono. Di questo fenomeno furono responsabili i sovrani che volevano dar lustro alle loro corti. Le condizioni di vita costituirono per moltissimi un’attrattiva irresistibile.

L’ITALIA PRIMA DI ROMA
Un mosaico di popoli
Le prime tracce della presenza umana in Italia risalgono all’età della pietra. Solo molti millenni dopo gli uomini cominciarono a spostarsi assai meno e a costruire capanne.
L’età del rame portò i primi grandi cambiamenti: comincia ad emergere una classe dominante di guerrieri, identificabili dai ricchi corredi funerari. Con l’età del bronzo gli insediamenti divengono ancora più stabili e in Italia emergono culture particolari: quella delle palafitte, delle terramare e dei nuraghi. Nell’età del ferro, dopo il 1000 a.C. , cominciano ad apparire popoli che abitano le dorsali appenniniche: i Liguri, gli Umbri, i Sanniti, i Latini. Presto al centro comincerà ad emergere la civiltà etrusca e dall’esterno si farà sentire l’influsso dei Greci e dei Fenici.
CELTI, FENICI E GRECI
L’espansione dei Celti in Europa
I Celti erano un popolo che abitava nel bacino del Danubio e del Reno. Intorno al XVI secolo a.C. le genti celtiche cominciarono a dilagare anche nel resto dell’Europa. Agli del I millennio cominciarono ad emergere numerosi centri di potere di signori locali, la cui esistenza divenne a poco a poco nota anche alle più evolute città. Iniziarono così fitti scambi commerciali che contribuirono ad elevare il livello di vita e di cultura della classe dominante celtica; allo stesso tempo però invogliarono queste bellicose popolazioni a volgere lo sguardo anche verso le fertili e prospere regioni a sud delle Alpi.
I Celti a sud delle Alpi
Verso il 600 a.C. alcuni gruppi di celti passarono i valichi alpini per stabilirsi nella nostra penisola. Nei secoli successivi puntarono sui ricchi centri della valle del Po. La maggior parte di questi invasori proveniva dalla Francia orientale, dalla Germania meridionale e da parte della Svizzera. I primi ad arrivare furono gl’Insubri, seguiti dai Boi e dai Sénoni. Quest’ultimi raggiunsero la costa adriatica. Tuttavia solo una parte dei celti si stabilì nelle terre conquistate. Gli altri continuarono ad avanzare seminando terrore ovunque.
La cultura dei Celti
I celti non formarono mai un regno unitario e stabile, anzi erano divisi in gruppi che parlavano dialetti diversi. Cesare li descrive come altissimi, biondi con gli occhi chiari, abituati a gettarsi in battaglia urlando.
I celti erano un popolo guerriero che aveva imparato a lavorare i metalli, con cui fabbricavano sia le loro armi che i monili. Erano abili anche nello sfruttare le risorse del proprio territorio e costruirono solidi carri da trasporto per agevolare gli scambi. Questi sono stati trovati anche nelle tombe dei grandi condottieri.
I Fenici nel mare Tirreno
Alla ricerca di metalli pregiati i fenici cominciarono presto a solcare il Mediterraneo e a creare empori commerciali sulle sue coste, che divennero col tempo vere delle colonie.
Roma si misurerà con Cartagine in tre lunghe guerre.
Da Cartagine i Fenici raggiunsero le coste della Sicilia occidentale e della Sardegna dove entrarono in contatto con gli Etruschi, insieme ai quali fermarono l’espansione greca in occidente.
I greci nell’Italia meridionale
Nell’VIII secolo era iniziata la colonizzazione greca nell’Italia meridionale e insulare. In breve tempo la costa occidentale della Calabria fino alla sua punta furono costellate di colonie, organizzate in città-stato secondo il modello della madrepatria.
Le fondazioni avvennero sulla costa, ma vennero influenzati dalla cultura greca anche molte popolazioni interne. I greci introdussero l’ulivo. La cultura ellenica giunse fino a Roma e riguardo l’arte, la letteratura e la politica.
Greci e Cartaginesi in Sicilia
I greci non riuscirono mai a ottenere la punta occidentale della Sicilia dai cartaginesi, per la quale vi furono duri scontri nel corso dei secoli.
GLI ETRUSCHI
Il problema dell’origine degli Etruschi
Secondo Erodoto, gli Etruschi sarebbero arrivati in Italia alla metà del II millennio a.C. dall’Anatolia, precisamente dalla città di Tirra. Ma una flotta non poteva trasportare un intero popolo.
Secondo Dionigi di Alicarnasso gli Etruschi sarebbero un antichissimo popolo indigeno, sopravvissuto senza fondersi con i vicini. Gli studiosi ritengono più probabile la seconda ipotesi.
Non potremo esserne certi finché non avremo decifrato la loro lingua. Noi la leggiamo benissimo: scrivevano da destra a sinistra con caratteri greci rovesciati. Ci rimangono diecimila iscrizioni, ma brevi e ripetitive, perché per tradurre manca un testo in più lingue che dia una chiave sicura per la comprensione.
Le città etrusche
La potenza degli Etruschi ci è dimostrata dalle città e dalle necropoli ed anche se i romani si sono sovrapposti a questo popolo ne sono rimasti alcuni resti.
L’impiego dell’arco fu un grandissimo progresso in architettura, infatti questo può sopportare sopra di se un grande peso. Gli etruschi furono anche molto abili a scavare canali, a bonificare terreni e a costruire strade. Le conoscenze minerarie consentirono loro di sfruttare a fondo un ricco territorio.
L’organizzazione politica e sociale
Le città etrusche erano città-stato unite in confederazioni. I legami erano però religiosi ed economici.
Le città furono rette inizialmente da un re, il lucumone, in seguito dai magistrati elettivi. Il re era accompagnato da dodici littori che portavano sulle spalle un fascio di verghe legate insieme ad una scure simbolo del potere del re.
La civiltà etrusca ebbe un carattere fortemente aristocratico; il potere era nelle mani di una classe di nobili e di un ceto medio che viveva di traffici e commerci.
L’espansione in Italia e il predominio sul Tirreno
La civiltà etrusca nacque e si sviluppò nel territorio toscano, del Lazio settentrionale e di una parte dell’Umbria. Da questo nucleo si estese sia verso sud che verso nord. Nel periodo del suo massimo splendore le città etrusche erano sparse in tutta Italia.
Gli etruschi furono commercianti e navigatori, entrando in contatto con i greci e con i fenici da cui furono profondamente influenzati. Questi li accusarono spesso di pirateria perché le loro navi erano munite di rostri. In realtà gli etruschi furono per lungo tempo i padroni del mare tanto da lasciare il loro nome al mare Tirreno.
Decadenza degli Etruschi
Le città etrusche raggiunsero la massima potenza nel VI secolo a.C. A Roma per tutto questo secolo regnarono i Tarquini, re appartenenti ad una dinastia etrusca. Poi gli attacchi dei Greci al sud e dei celti a nord ridussero notevolmente il territorio etrusco. Con Roma si susseguirono momenti di guerra e di pace. Ad esempio si scontrarono per il controllo delle saline, infatti il sale era molto importante per quei tempi.
L’ultima città etrusca ad essere conquistata da Roma fu l’odierna Orvieto, poi il popolo etrusco decadde e Roma divenne l’unica protagonista in Italia, anche se accolse molte consuetudini di questo popolo.
La sepoltura dei defunti
I morti venivano adagiati, con i loro abiti e gioielli e con tutto quello che potesse essere utile per continuare a vivere bene, su letti di pietra o chiusi entro sarcofagi di terracotta che li rappresentavano stesi sul letto a banchettare. Gli etruschi costruivano dimore belle e confortevoli per l’aldilà. Pensavano anche che i defunti potessero essere minacciati da demoni malvagi. Questi venivano rappresentati sulle antefisse dei tempi per tenere lontano il male.
La cultura
Gli etruschi erano abili nella lavorazione dell’argilla e dei metalli e molta della loro cultura passera poi ai romani.
Ogni città aveva al suo interno vari templi, almeno uno dedicato a Tinia, Uni e Menrva. Gli etruschi pensavano che con preghiere ed offerte agli dei potessero modificare il loro destino e per questo bisognava conoscere il futuro assegnato, osservando i fulmini o il volo degli uccelli (àuguri) o esaminando con cura il fegato delle vittime sacrificate, dividendolo in 16 zone (auspici).

ROMA DA MONARCHIA A REPUBBLICA
LE ORIGINI DELLA CITTA’ E IL PERIODO DEI RE
Le origini di Roma sono avvolte nella leggenda. Si tratta di miti antichi come: l’Eneide di Virgilio o la storia di Roma dello storico Livio.
Secondo questa tradizione Roma fu fondata nel 753 a.C. da Romolo in una posizione particolarmente favorevole presso un’ansa del Tevere, a pochi silometri dal mare. Dopo di lui altri sei re regnarono sulla città; gli ultimi tre furono di origine etrusca. A Romolo viene attribuita la prima organizzazione della comunità. Al suo successore, Numa Pompilio, l’organizzazione dei culti più antichi. Ma è con i re etruschi che questa comunità di contadini e pastori assunse l’aspetto di una vera città. A Servio Tullio è attribuita una sostanziale riorganizzazione del popolo sulla base della ricchezza personale.
Le risposte dell’archeologia
Si pensa al progressivo costituirsi e crescere della città nel corso del tempo. L’uomo fu presente nel Lazio fin dall’età della Pietra, l’area dei colli di Roma era stabilmente abitata gia dal 1500 a.C. circa.
Tuttavia l’VIII secolo fu un periodo di antichi cambiamenti. In Grecia nasce la polis e nell’Italia meridionale vengono fondate le prime colonie. La loro influenza sul mondo latino sarà grande. I contatti fra le varie culture si moltiplicarono e nel Lazio nacquero nuovi centri. Il Palatino fu uno di questi e qui si aggregarono insediamenti minori, dando vita al nucleo originario della città di Roma.
Una posizione geografica particolarmente felice
La città si trova in una regione dal clima mite, ad una giusta distanza dal mare. Costruita sui colli era facilmente difendibile e al riparo dalle malsane paludi che occupavano la piana del Tevere. Questo costituiva la principale risorsa della città. Il fiume costituiva un’importante via di comunicazione con l’interno e offriva uno sbocco al mare. Alla sua foce vi erano le saline. Così collocata Roma era posta alla confluenza delle vie di comunicazione terrestri e fluviali.
I latini e le risorse della regione
Roma era una delle città fondate dai. Questi centri erano nati dall’associazione di più villaggi e sorgevano su colli sovrastanti la piana del Tevere che era malsana e paludosa. La popolazione viveva dei prodotti della terra e dell’allevamento; fiorente era anche il commercio del legname. I Latini barattavano il bestiame in cambio di quanto era loro necessario o anche di pregiati manufatti della raffinata cultura etrusca. Queste comunità erano indipendenti fra di loro ma riunite in una confederazione, a capo della quale era Albalonga.
La tradizione dei sette re
La tradizione ricorda sette re, dei quali il primo fu Romolo, una figura leggendaria, che secondo la tradizione regnò insieme a Tito Tazio, re dei Sabini. In questo periodo Roma si ampliò. Il re successivo era un Sabino: Numa Pompilio, un sovrano pacifico, che diede al popolo nuove leggi e organizzò gli antichi riti della religione romana.
Con Tullio Ostilio Roma sconfisse Albalonga e le si sostituì alla guida della confederazione. Sotto il Sabino Anco Marzio, estese il suo controllo fino alla foce del Tevere, dove fu fondato il porto do Ostia.
A questo punto ci fu un brusco cambiamento e si susseguirono tre re etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo.
L’ordinamento “romuleo”
Le fonti antiche ci dicono che Romolo divise i suoi compagni in tre tribù, ciascuna delle quali era a sua volta divisa in dieci curie. Le curie erano associazioni di famiglie e l’appartenenza veniva trasmessa da padre a figlio. Le curie avevano una funzione sia politica sia militare. Sempre secondo la tradizione, Romolo riunì i più influenti capifamiglia, i patres, nel senato che aveva il compito di aiutare e sostenere il re.
Il re deteneva il sommo potere ed era nominato dal senato e riceveva l’investitura ufficiale per acclamazione da parte delle curie.
Roma etrusca
Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, fece costruire un tempio a Giove, il Circo Massimo e prosciugò le zone paludose costruendo un grande canale coperto. Introdusse l’uso dei littori.
Servio Tullio introdusse la moneta e riorganizzò l’esercito e lo stato romani. Il suo successore, fu Tarquinio il Superbo, che venne cacciato nel 509 a.C..
Durante la dominazione etrusca Roma s’ingrandì e si abbellì di templi ornati e case di pietra. Ai piedi del Palatino nacque la piazza del Foro per le riunioni dei cittadini e il mercato fisso dei bovini.
La lingua etrusca tuttavia non divenne mai la lingua dominante.
Le riforme di Servio Tullio: l’ordinamento centuriato
Servio Tullio riformò alle radici il sistema dividendo la città in quattro zone “urbane” e altre zone “rustiche”. Riorganizzò la popolazione sulla base del reddito in cinque classi ripartite in centurie. Le prime tre classi fornivano la fanteria pesante, le ultime due la fanteria leggera. Al di sopra della prima c’erano i cavalieri al di sotto della quinta i senza armi.
In questo modo il numero di armati e la potenza militare di Roma erano maggiori. Inoltre il popolo votava diviso per centurie e ognuna di queste disponeva di un voto, cosicché i cittadini più ricchi acquistarono un importante ruolo politico accanto ai patrizi.
DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA CONSOLARE
Alla fine del V secolo a.C. Tarquinio il Superbo venne deposto da un gruppo di aristocratici e venne istituita una repubblica, in cui la più alta carica era affidata a due consoli.
Il passaggio non fu indolore perché Roma fu impegnata in una serie di guerre con gli Etruschi e con i Latini, che volevano estrometterla dalla lega. Ma la città ne uscì vittoriosa grazie ad un esercito reso più forte e numeroso. Le guerre misero in risalto l’importanza delle masse plebee che rivendicarono e ottenerono un maggior peso politico.
Il passaggio dalla monarchia alla repubblica
La leggenda narra che il figlio di Tarquinio il Superbo fece violenza alla nobile Lucrezia, che si uccise per la vergogna. Il marito di lei e con lui altri nobili fecero una rivolta e chiusero le porte di Roma lasciando fuori il re che invano chiese l’aiuto degli Etruschi, perché i romani riuscirono a respingerlo.
In realtà la rivolta fu provocata dall’atteggiamento tirrenico di Tarquinio e dall’insofferenza dei romani verso la dominazione etrusca. La guerra si concluse con la vittoria di Roma, che poteva così rientrare nella lega.
Consoli e senato
I nobili fecero in modo che il potere non fosse affidato più ad un uomo solo, ma ai due consoli che detenevano il supremo comando civile e militare e il loro grado era pari in tutto. Rimanevano in carica un anno solo ed erano assistiti dal senato, di cui diventavano membri alla fine del loro incarico. In circostanze particolarmente difficili i consoli potevano nominare un dittatore unico, che durava in carica sei mesi e aveva poteri assoluti.
Il senato era formato soprattutto dai patrizi. Ai senatori era proibita qualsiasi attività commerciale, in pubblico indossavano la toga ed a teatro e alle cerimonie occupavano i posti d’onore. I senatori restavano in carica tutta la vita.
I patrizi e i plebei
I patrizi erano la classe dominante, appartenevano a famiglie di grandi proprietari terrieri, si riconoscevano come discendenti di un unico capostipite, avevano proprie tradizioni ed erano unite dal culto di antenati comuni.
Tutti gli altri abitanti di Roma erano plebei: erano cittadini romani ma non avevano gli stessi diritti dei patrizi. Furono proprio quest’ultimi a causare la caduta della monarchia perché era cresciuta l’importanza dei singoli cittadini e diminuita quella delle famiglie nobili. Le riforme di Servio rimasero in vigore anche con la repubblica e il popolo contribuiva ai successi di Roma, cosicché cominciò a rivendicare più giustizia.
I clienti
I clienti erano uomini liberi, ma in condizioni economiche disagiate, infatti questi venivano mantenuti dai patroni che chiedevano la loro disponibilità. Gli obblighi dei clienti verso i patroni prevedevano la prestazione di vari servizi e la garanzia di fedeltà assoluta. I patroni obbligavano il cliente a votarlo in sede di elezioni.
Le rivendicazioni dei plebei
Le disuguaglianze fra patrizi e plebei provocarono numerosi scontri ed il segno più evidente era il divieto di matrimoni misti fra le due classi. I plebei non potevano accedere alle più alte cariche dello stato che erano riservate ai patrizi, non ottenevano gli stessi benefici dalle vittorie in guerra e molti di loro erano oppressi da debiti.
Una delle richieste più insistenti era che le terre pubbliche venissero divise fra la plebe.
Quando nel, 494 a.C. , i plebei uscirono di Roma e si ritirarono sull’Aventino, minacciando di non tornare più in città, la vita economica fu paralizzata. A quel punto i patrizi scesero a patti.
Le vittorie dei plebei
I plebei ottennero i tribuni della plebe, incaricati di tutelare i loro diritti e con la possibilità di veto contro ogni legge o provvedimento dannosi per la plebe. I tribuni erano inoltre inviolabili.
La conquista decisiva fu il decemvirato. Nel 451 a.C. furono nominati, i decemviri, che per la prima volta compilarono un codice di leggi scritte, poiché prima venivano usate dai magistrati come volevano. In seguito fu abolito il divieto di matrimoni fra patrizi e plebei e gradatamente questi ultimi poterono ricoprire le cariche più alte. Nel 366 a.C l’elezione del primo console plebeo segnò anche la pacificazione fra i due ordini.
Le magistrature repubblicane
Questori: amministravano le finanze dello stato.
Pretori: amministravano la giustizia.
Edili: rifornivano di viveri la città, curavano le strade e organizzavano i grandi giochi pubblici.
Censori: erano i magistrati che ogni cinque anni si occupavano del censimento, cioè coloro che si occupavano di ripartire i cittadini, in base alla ricchezza, nelle cinque classi. Completavano la lista dei senatori.
Il “cursus honorum”
La sequenza delle cariche da quella più bassa alla massima carica veniva chiamato “cursus honorum”e comprendeva la questura, la pretura e infine il consolato. I magistrati meritevoli venivano inclusi nel senato.
I patrizi riuscivano a farsi eleggere grazie alle loro clientele mentre i plebei non avevano né il tempo né il denaro.
Le assemblee popolari: i comizi centuriati e i comizi tributi
I cittadini romani si riunivano e votavano in comizi. I più antichi erano i comizi curiati. Dopo le riforme di Servio persero tutto il potere che passò a comizi centuriati. In queste assemblee i cittadini-soldati votavano divisi per centurie ed ogni centuria aveva a disposizione un voto. Il voto di questi rispecchiava la volontà dei cittadini più abbienti.
A fianco dei centuriati vi erano i comizi tributi dove il criterio della ricchezza contava molto meno. Proprio per questo i secondi divennero più importanti rispetto ai comizi centuriati.
LA FAMIGLIA E LA VITA RELIGIOSA NELLA ROMA ARCAICA
La sua autorità, la patria potestas, su tutti i componenti della famiglia e sugli schiavi dura finché egli è in vita ed è un potere totale, di vita o di morte. È il pater familias che dispone i matrimoni dei figli e che celebra i culti delle divinità protettrici della casa: i Lari, i Penati e i Mani.
Se il figlio acquisiva una certa autonomia con la scomparsa del padre, la donna aveva comunque bisogno di un tutore. Per il mondo romano le virtù richieste ad una donna erano quelle tradizionali legate alla famiglia e alle attività domestiche.
Quanto agli schiavi erano privi di qualsiasi diritto, ma era loro possibile acquistare la libertà se un padrone benevolo li affrancava. In questo caso passavano alla condizione di liberti. La centralità del ceppo familiare nella vita romana si coglie anche nel modo di assegnare i nomi: quello del ceppo passava come una sorta di cognome a tutti i figli e diventava l’unico nome delle figlie.

L’ESPANSIONE DELLA POTENZA ROMANA
ROMA ALLA CONQUISTA D’ITALIA
Roma poteva contare sul supporto delle città alleate e su una riserva umana quasi inesauribile. Così le fu possibile sconfiggere la potente città etrusca di Veio, stornare la terribile minaccia dei galli che giunsero fino alle porte della città.
Poi fu la volta dei Sanniti che impegnarono Roma in tre lunghe guerre. La vittoria portò Roma a diretto contatto con i trentini e creò i presupposti per un altro scontro. L’intervento di Pirro al fianco dei Greci fu un insuccesso: Roma ebbe ancora una volta la meglio.
Strinse con i popoli sottomessi una serie d’alleanze che li rendevano socii dei romani e titolari di determinati privilegi. A questo si aggiungerà la piena cittadinanza: i buoni rapporti salvarono i Romani dal disastro della guerra contro Annibale.
La guerra contro Veio
Sulla sponda settentrionale del Tevere la città etrusca di Veio costituiva una costante minaccia. Nei primi decenni del V secolo a.C. vi furono numerosi scontri. La guerra finì nel 396 a.C. al termine di un assedio che sarebbe durato ben 10 anni. L’impegno era lungo e logorante e rischiava di portare alla rovina i contadini-soldati. Fu così che il senato decretò che i militari ricevessero uno stipendio. Per pagarlo fu istituito il tributo. Eroe della conquista di Veio fu Furio Camillo che prese la città nel 396 a.C.
Veio venne distrutta e il suo territorio unito a quello di Roma, con assegnazioni di terra ai cittadini.
La minaccia dei Galli
I Galli avanzavano verso l’Italia centrale. Nel 387 a.C. una loro banda scese in Etruria e attaccò Chiusi. Subito dopo si diresse verso Roma.
Una prima volta i romani si salvarono. Un nuovo assalto dei Galli, però, si concluse con un saccheggio e con la resa dei romani che dovettero pagare un riscatto in oro.
I Galli in realtà non volevano conquistare Roma, ma soltanto procurarsi un ricco bottino.
Le guerre sannitiche
I rivali questa volta furono i sanniti. Ci furono tre lunghe guerre dal 343 al 290 a.C. Durante le truppe romane furono sorprese e chiuse nella stretta valle di Caudio. Costrette alla resa, dovettero subire l’umiliazione di passare sotto le “forche caudine”.
La terza guerra fu combattuta contro una lega formidabile di Sanniti, Etruschi, Galli e trentini.
Taranto vedeva con preoccupazione l’espandersi di Roma che avrebbe distrutto il suo controllo sulle città vicine.
Alla fine delle tre guerre i romani avevano conquistato la Campania, l’Etruria, l’Umbria e il territorio dei Galli Sénoni. Taranto si era conquistata un margine di libertà scendendo a patti. Roma però si sentiva controllata dalla potenza di Taranto. Scoppiò presto un’altra guerra.
Le guerre contro Taranto e la conquista della Magna Grecia
Taranto chiamo in suo aiuto Pirro che portò in guerra gli elefanti. I romani non avevano mai visto simili bestioni e ne furono terrorizzati. Ma Roma, attraverso le esortazioni del vecchio Appio Claudio Cieco, vinse la battaglia a Malevento che si trasformò in Benevento (275 a.C.). Pirro tornò in Grecia, ma lasciò un presidio a Taranto che però si arrese.
Nell’ultima fase della Guerra Roma aveva avuto come alleata Cartagine. Ma dopo la vittoria cominciò fra le due potenze una dura lotta per la supremazia sul Mediterraneo.
L’organizzazione dei territori conquistati
Si era cittadini romani per nascita oppure lo si diventava per decisione politica. Un romano poteva essere torturato e giudicato solo da un’assemblea cittadina che garantiva maggior giustizia. Roma concesse agli ex-nemici di diventare cittadini, ed essi non si sentivano sudditi. Si costituì così uno stato federale in cui Roma era la dominatrice.
Le città vinte si chiamarono municipi. Gli abitanti assumevano tutti gli obblighi ma non pieni diritti.
In molte regioni conquistate i Romani fondarono città completamente nuove, le colonie, popolate dai veterani ai quali era stata distribuita la terra.
Il contatto con la cultura greca
La conquista dell’Italia meridionale trasformò la civiltà romana: l’influenza greca divenne predominante negli oggetti d’uso quotidiano, nei dipinti e nelle sculture. I Romani cominciarono a copiare nel marmo le splendide statue di bronzo greco. Anche sulla religione l’influsso greco fu notevole. I Romani infatti si accorsero che un loro dio era simile a un dio greco e finivano con identificarlo, attribuendo al dio romano le molte storie che i greci avevano inventato intorno al loro dio. I romani non avevano un tipo di religione che li coinvolgesse nel profondo. Ritenevano che, affinché le loro richieste fossero esaudite, bastasse eseguire i riti perfettamente. Non ebbero perciò difficoltà ad acquisire le religioni dei popoli conquistati.
LO SCONTRO FRA ROMA E CARTAGINE
La potenza di Cartagine
Cartagine era la più importante fra le colonie fenicie. Fondata in un’ottima posizione sul golfo di Tunisi, era diventata presto una potenza economica. La ricchezza si basava soprattutto sul commercio di: materiali preziosi, prodotti e manufatti del Mediterraneo. Alla prosperità contribuiva anche l’agricoltura: le fertili pianure del suo territorio erano coltivate con cura secondo sistemi efficaci. Inoltre le popolazioni dell’interno versavano ogni anno pesanti tributi sui loro raccolti. Quando giunse allo scontro con Roma, controllava le coste di tutto il Mediterraneo e invano aveva tentato di strappare la parte orientale della Sicilia ai greci.
La società e la politica di Cartagine
A capo dello stato cartaginese erano due suféti, che erano eletti ogni anno e avevano poteri supremi. Però non guidavano l’esercito, che era affidato a generali di professione che potevano subire dure punizioni in caso di sconfitta. I suféti erano affiancati dal senato, che sceglieva i rappresentanti dell’aristocrazia cittadina, che promulgava le leggi, stabiliva la politica estera, stringeva le alleanze e decideva della guerra e della pace. L’assemblea dei cittadini era interpellata solo in caso di divergenze tra i suféti e il senato. Si trattava dunque di un governo oligarchico. L’esercito era la maggiore debolezza perché era composto da mercenari che non lottavano con lo spirito di salvaguardare la patria.
La prima guerra punica (264-241 a.C.): le fasi iniziali
La crescente potenza di Roma rese lo scontro con Cartagine inevitabile. La causa delle prima delle tre guerre dette “puniche” fu l’appoggio dato da Roma a dei mercenari campani in lotta contro Siracusa che si alleò con Cartagine. Roma allora dichiarò guerra a Cartagine. I romani riuscirono a trasformare i combattimenti navali in combattimenti terrestri, grazie all’invenzione del “corvo”, una passerella imperniata a prua della nave romana e con un poderoso unico uncino di metallo, questo veniva calato sulla nave nemica. Inoltre le navi di battaglia romane erano ,unite di rostri. A Milazzo nel 260 a.C., il console Caio Duilio riportò la prima vittoria di Roma sul mare e venne onorato nel foro con una “colonna rostrata”.
La fine della guerra e il dominio di Roma sull’Italia
Il tentativo di spostare la guerra sul suolo africano finì male e il console Attilio Regolo fu ucciso insieme a molti dei suoi soldati. Roma compì uno sforzo tremendo: allestì una nuova flotta e al largo delle isole Egadi il console Lutazio Càtulo concluse la prima guerra punica con una grande vittoria navale sull’esercito nemico che era guidato da Amilcare Barca, il padre del grande Annibale. Così la Sicilia divenne la prima provincia romana. Seguì la conquista della Sardegna e della Corsica. Poi i romani combatterono i Galli, conquistando l’Italia settentrionale. Tutta la penisola italiana era ormai sotto il controllo di Roma, che snidò anche i pirati. Intanto Cartagine aveva avviato la conquista della Spagna. Roma bloccò le conquiste cartaginesi in Spagna all’altezza del fiume Ebro.
La nascita delle province
La provincia fu privata di tutte le libertà. I siciliani si ritrovarono ad essere sudditi di Roma; perciò dovettero versare tributi assai consistenti e cedere molte terre. Dopo la Sicilia fu il turno della Sardegna e della Corsica. Sul suolo delle province era stanziato un contingente militare. Il governo fu affidato a consoli e pretori che avevano terminato il loro mandato. Il loro incarico durava un anno, ma in realtà veniva rinnovato per lunghi periodi. Questi governanti spesso si arricchivano enormemente.
La seconda guerra punica (219-201 a.C.): una prima sconfitta dei romani a Canne
Comandava le truppe cartaginesi Annibale che dedicò tutta la sua vita alla lotta contro Roma. Annibale attaccò la città di Sagunto e l’espugnò. Roma dovette allora dichiarare guerra a Cartagine. Annibale la sciò la Spagna e col suo esercito attraversò le Alpi portando con se anche gli elefanti: l’impresa lasciò i romani sbigottiti. Dopo tre sfolgoranti vittorie sui fiumi Trebbia e Ticino e sul lago Trasimeno, con l’aiuto dei Galli, Annibale giunse alle porte di Roma. I romani distrussero i ponti sul Tevere e nominarono un dittatore, Quinto Fabio Massimo, che sarà ricordato come il temporeggiatore. Riuscì infatti ad evitare lo scontro frontale, logorando l’esercito cartaginese. Annibale evitò Roma e si diresse in Puglia. Scaduto il tempo della dittatura i nuovi consoli decisero di dare battaglia a Canne nel 216 a.C. La cavalleria nemica era molto abile e veloce. Annibale finse di far ritirare il centro dello schieramento attirando a se gli inseguitori poi le ali dell’esercito accerchiarono i soldati romani e fu un massacro.
Le difficoltà di Annibale
Annibale e i suoi erano stanchi e provati dallo scontro; risalirono la penisola e si fermarono a Capua. L’impresa di Annibale aveva due punti deboli. Cartagine non mandava con continuità gli indispensabili aiuti e rinforzi. Inoltre la ribellione delle popolazioni italiche non era avvenuta. Annibale si basava sul comportamento di Cartagine che trattava malissimo i popoli conquistati, ma la politica di Roma era contraria e gli alleati le restarono fedeli. Annibale finì per diventare quasi prigioniero. Nel 208 a.C. le nuove truppe portate dal fratello Asdrubale furono vinte dai romani presso il fiume Metauto, nelle Marche; Asdrubale morì in battaglia.
La battaglia di Zama (202 a.C.) e la fine della seconda guerra punica: definitiva vittoria dei romani
Intanto Roma aveva riconquistato Siracusa, mentre un giovane generale, Publio Cornelio Scipione, accumulava nuove vittorie in Spagna. Eletto console nel 205 a.C. convinse i romani a riportare la guerra in Africa, in modo da costringere Annibale a lasciare l’Italia. Dopo accese discussioni l’idea venne accettata dal senato. Scipione rimise insieme un grande esercito con l’aiuto degli alleati italici e del re Massinissa. Questo era stato spodestato da Cartagine e Scipione gli promise il nuovo regno. Annibale tornò in africa e a Zama, nel 202 a.C., i romani vinsero in una battaglia decisiva. Cartagine fu costretta a rinunciare a tutti i suoi possedimenti al di fuori dell’Africa, alla sua flotta e a pagare una pesantissima indennità di guerra. La Spagna fu divisa in due province. Scipione non volle che i cartaginesi gli consegnassero prigioniero Annibale. Questo fuggì prima in Siria e poi in Bitinia e alla fine, nel 183 a.C., si uccise temendo di essere consegnato ai romani. A Scipione Roma decretò il “trionfo”, un onore specialissimo.
LA CONQUISTA DELL’ORIENTE MEDITERRANEO E LA FINE DI CARTAGINE
La prima e la seconda guerra macedonia
Nel 215 a.C. Annibale aveva stretto un’alleanza con il re Filippo V e Roma aveva inviato in Grecia una flotta per evitare l’arrivo di contingenti macedoni in aiuto del generale cartaginese. La campagna militare si era conclusa nel 205 a.C. La seconda guerra scoppiò quando Filippo V attaccò Atene, alleata di Roma. Il desiderio di nuove conquiste e di ricchi bottini prevalse sulla stanchezza dei lunghi anni di guerra. Nel 200 a.C. Roma mandò una flotta in Grecia; suoi alleati erano l’isola di Rodi e pergamo. Dopo una serie di scontri, nel 197 a.C. si giunse alla battaglia, sulle colline di Cinocefale. Qui la falange macedone ebbe la peggio nei confronti dei romani. Il console Tito Quinzio Flaminio ottenne una schiacciante vittoria.
Flaminio e la “liberta dei greci”
Filippo V fu costretto a consegnare la flotta, a rinunciare a tutti i presidi militari che aveva posto nelle città greche e a pagare un’indennità di guerra. Ma l’atto più clamoroso di questo conflitto fu compiuto dal console Tito Quinto Flaminio: durante i giochi Istmici del 196 a.C., fra l’entusiasmo incontenibile della folla proclamò la libertà della Grecia. Flaminio era sia un abile generale, sia un profondo stimatore della cultura greca, che conosceva assai bene, essendo stato governatore a Taranto. Roma si limitava così a non intervenire negli affari politici della Grecia.
La prima guerra siriana
Il pericolo, veniva dal potente re di Sicilia , Antioco III. Durante la seconda guerra macedonia il sovrano aveva esteso il suo potere in Asia minore e minacciava ora la libertà del regno di Pergamo e di Rodi. Quando Antioco, nel 192 a.C., attaccò la Grecia, Roma gli dichiarò guerra. Un primo scontro fu vinto dal console Acilio Glabrione al passo delle Termopili. Il tribuno militare M. Porzio Catone piombò sul nemico percorrendo la stessa strada dei persiani che aveva consentito loro di sorprendere di sorpresa gli spartiati 300 anni prima. Antioco III lasciò la Grecia e il teatro delle operazioni militari e si spostò in Asia minore. Lucio Cornelio Scipione ottenne la vittoria decisiva a Magnesia. Le trattative di pace si tennero ad Apamea nel 188 a.C.
La terza guerra macedonia e la fine della libertà greca
La terza guerra macedonia scoppiò dopo l’ascesa al trono di Filippo, Perseo, nemico di Roma, ricambiato da sentimenti ostili. Timorosi di un’eccessiva crescita della Macedonia i romani giunsero allo scontro nel 171 a.C. Nei primi tre anni Roma registrò solo fallimenti, ma nel 168 a.C. il console Lucio Emilio Paolo sbaragliò l’esercito di Perseo a Pidna. Perseo fu fatto prigioniero e la Macedonia venne divisa in quattro repubbliche autonome. Il bottino inviato a Roma fu così ricco da permettere ai romani di non pagare più tasse fino alle guerre civili del 43 a.C. nel 418 a.C Quinto Cecilio Metello sconfisse Andrisco che spacciandosi per il figlio di Perseo aveva tentato di ricostruire il regno macedone. La Macedonia fu trasformata in provincia romana. Poco dopo gli achei attaccarono Sparta provocando l’intervento di Roma. Il console Lucio Mummio annientò l’esercito acheo a Corinto; la città fu rasa al suolo e gli abitanti venduti come schiavi. La Grecia perdeva così la sua libertà.
La terza guerra punica (149-146 a.C.) e la fine di Cartagine
Cartagine si risollevò rapidamente dalla sconfitta. Il trattato di pace le impediva qualsiasi azione bellica senza il consenso di Roma. Fu inviata però una delegazione a verificare le accuse. Fra i membri vi era il vecchio Marco Porzio Catone, che rimase colpito dalla prosperità raggiunta da Cartagine. Tornato in patria pronunciò in senato parole di fuoco contro la rinascita del nemico. Ogni opposizione fu vinta: Roma voleva ora un dominio incontrastato sul Mediterraneo e l’esistenza di Cartagine costituiva una minaccia. Quando l’esercito romano sbarcò in Africa impose lo spostamento della città verso l’interno. Fu organizzata così una vana e disperata resistenza: nel 146 a.C. Scipione Emiliano espugnò Cartagine: la città fu rasa al suolo e cosparsa di sale; gli abitanti furono venduti come schiavi e il territorio organizzato nella nuova provincia d’Africa.
Le guerre contro i Galli nella pianura Padana e contro gli Iberi in Spagna
I romani s’impegnarono in altre operazioni belliche sul fronte europeo. Nel 197-96 a.C. venne condotta una serie di spedizioni contro i liguri e contro le tribù galliche insediate nella fertile valle del Po. La vittoria decisiva presso Mediolanum garantì a Roma il definitivo consolidamento delle sue autorità in queste regioni. Negli stessi anni Roma si volse verso la Spagna, gia nel corso della seconda guerra punica i romani avevano acquisito il controllo di buona parte del suo territorio. Lo sfruttamento e le ruberie dei pretori romani portarono presto i popoli iberici alla rivolta. Roma intervenne con diverse spedizioni militari e opere di sistemazione. L’ultimo atto di guerra fu la distruzione di Numanzia nel 133 a.C. da parte di Scipione Emiliano. A Roma prevaleva ora uno spirito violento, alimentato dalla cupidigia di nuove ricchezze.
Roma e la cultura ellenistica: il circolo degli Scipioni
Con la conquista della Grecia si fece ancora più forte l’influsso della cultura ellenica, perché molti giovani nobili cominciarono a recarsi nei più grandi centri di cultura del mondo greco e perché iniziarono ad affluire a Roma intellettuali greci. Come Polibio di Megalopoli che fu accolto nell’esclusivo circolo degli Scipioni. Si trattava di un circolo di intellettuali riunito intorno alla figura di Scipione Emiliano, che era un grande amante della cultura greca. L’Emiliano e gli intellettuali erano convinti che solo la diffusione della cultura ellenica avrebbe aiutato l’aristocrazia romana ad elevarsi e ad uscire dal livello provinciale in cui era relegata.
Mare nostrum
Il Mediterraneo era ormai mare nostrum, un mare romano. I territori che vi si affacciavano erano entrati nell’orbita di Roma. L’Italia, percorsa dalle grandi strade consolari che portavano il nome del magistrato sotto il cui mandato erano state costruite era al centro di quello che sarebbe presto diventato il più grande impero dell’antichità.

Esempio



  


  1. PAOLA BIVI

    CERCO VERIFICHE GUERRE PUNICHE- STRADE ED ESERCITO ROMANO.SONO INSEGNANTE DI SCUOLA PRIMARIA.

  2. paola bivi

    Cerco verifica su conquista dell'Italia da parte di Roma,guerre puniche,esercito e strade romane.Insegnante di scuola primaria.