Comuni e cittadinanza

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Testo

La cittadinanza indica l’appartenenza di una persona alla massima organica collettività politica, cioè lo Stato. Si può far coincidere la nascita del contemporaneo concetto di cittadinanza con l’affermazione dello Stato- nazione, in virtù del quale il popolo fa da riferimento giuridico fondamentale . Storicamente, tale concetto ebbe una sua anticipazione nella costituzione dell’antica Roma ( Senatus PopulusQue Romanus…) ma non conobbe poi uno sviluppo adeguato, per quanto il principato avrebbe voluto essere, teoricamente, la rivalutazione della volontà popolare contro il potere del senato. Le vicende ebbero invece evoluzioni ben diverse e l’idea di una cittadinanza come qualità politica di un individuo giunse quasi a scomparire. Infatti, nel corso dei mille anni di Medioevo, sia nella fase alta,sia in quella feudale sia poi nell’età dei Comuni e in quella successiva dei grandi Stati cosiddetti “patrimoniali”, l’individuo fu spesso considerato come una specie di pertinenza del territorio di residenza e quindi l’appartenenza alla comunità era data esclusivamente dal domicilio. Solo con la rivoluzione francese ai cittadini, persone con diritti politici, venne data la possibilità di eleggere i propri rappresentanti che durante le assemblee avrebbero parlato in loro vece. Verso la fina dell’egemonia romana nel 212 Caracalla estese a tutti il diritto di cittadinanza. Nel medioevo si inizia a parlare di cittadinanza solo quando le città iniziarono a guadagnare autonomia e potere,quindi dopo il Mille; in questo periodo i cittadini erano gli aventi un diritto, ed erano dopo varie vicissitudini coloro che risiedevano o operavano all’interno delle mura. Spesso tra borghesi e cittadini ci furono varie contese riguardo lo stesso diritto, ma con il tempo "borghesia" e "cittadinanza" finirono per assumere lo stesso significato. In generale, alla cittadinanza erano connessi numerosi vantaggi di tipo economico, giuridico e culturale. I privilegi come i doveri del cittadino erano molti, i più importanti furono: partecipare alla guerra, difendere la città pagare le tasse, avere assistenza medica da parte del governo cittadino in caso di malattia e eleggere o essere eletti magistrati. Infatti sin dai sec. IX-X, con la crisi delle istituzioni carolingie, i più influenti ceti urbani si trovarono a esercitare un ruolo politico importante. Dall’ altra parte nacquero forme di associazione fra gruppi di cittadini, a tutela di certi determinati loro interessi, o di quelli più generali della città; il rapido sviluppo economico che si verificò a partire dalla seconda metà del sec. X favorì l'ascesa e il rafforzamento di ceti nuovi, artigiani e proprietari fondiari; verso la fine del sec. XI compaiono i primi comuni, come organismi dapprima provvisori, volontari, giurati e costituiti da pochi membri, anche se da li a poco si imporranno come maggior centro di potere e unica forma di governo per tutti gli abitanti della città e capaci di ottenere dalle autorità esterne (re e imperatori) riconoscimenti di autonomia amministrativa e privilegi fiscali, fino ad ottenere un autonomia da Città-Stato. Inoltre la doppia investitura di una stessa persona, cioè a vescovo e a vassallo contemporaneamente, che per altro produsse uno scontro fortissimo fra papato ed impero, accentuò ed innalzò il peso della posta in gioco e fece sì che la città che risultava anche sede vescovile svolgesse compiti di direzione del territorio.
Ciò che rese la città meglio del castello fu la specializzazione del lavoro, infatti nei castelli, tutte quelle funzioni che servivano alla diocesi spesso erano concentrate sulle stesse persone le quali facevano buona un po’ tutto; senza professionalità e senza specializzazione produttiva. Nella città invece la cose a poco a poco conobbero le vere e proprie specializzazioni. Nel poco spazio disponibile si concentrarono molte attività. La città divenne luogo franco, non slegato dal territorio certamente, tuttavia uno spazio nel quale svolgere attività a titolo diverso da quello territoriale. Tuttavia la cittadinanza come status giuridico privilegiato cominciò ad essere qualcosa di palpabile, tangibile, per molti desiderabile, infatti il diritto di cittadinanza e quello di costruirsi un palazzo in città il tutto benedetto dal vescovo, vera ed unica autorità che i cittadini fino al secolo XI vollero riconoscere era per molti una meta ambita.
Più tardi però quando la città iniziò a espandersi molto di più vi fu bisogno di manodopera ed allora per le famiglie più numerose del contado, con tante bocche da sfamare, l’emigrazione verso la città divenne quasi scontata. In altri casi la popolazione proveniente dal contado affluì spontaneamente attirata da possibilità di migliore sistemazione; altre volte accadde che la manodopera dovesse essere ricercata da parte delle autorità comunale che andarono offrendo persino dei vantaggi concreti e delle vere e proprie immunità a chi si trasferisse in città.
A causa del surplus di persone che lavoravano nella città nacque l’esigenza di ampliare le entrate alimentari, in modo da poter garantire il cibo alla popolazione,ma in questo periodo tutto il territorio era ben suddiviso tra persone crudeli e forti, perciò il contadino che andava a coltivare la campagna chiese al signore un appezzamento di terra incolto da disboscare e quindi da rendere produttivo.
A causa della grande espansione dei terreni dei contadini per il signori non fu facile il controllo e la gestione del territorio ecco perche il numero dei controllori assoldati dal signore aumentò, i quali guardavano prima degli interessi del signore i suoi.
Ad un certo punto per i contadini le possibilità di ottenere la libertà furono due o produrre di più in modo da comprarsi la libertà oppure fuggire.
Tutto il secolo XI fu un continuo braccio di ferro fra contadini che cercavano di sottrarsi alla signoria bannale e signori che si impegnavano a riportarli sotto il loro controllo.
In questo periodo vennero applicate numerose innovazione nell’campo dell’ agricoltura, infatti vennero introdotte nuove coltivazioni come i fagioli e vennero potenziate le colture preesistenti come l’ulivo o la vigna. La produzione aumentò ovunque nella Penisola e questa crescita, coniugata come si è detto con quella della popolazione in un circolo virtuoso conferì in Italia al mercato un ruolo nuovo, probabilmente tanto rilevante da sopportare l’aggettivo rivoluzionario
Per questi motivi il signore che volesse reggere una competizione con un feudatario cosiddetto maggiore era costretto ad acquistare attrezzi, sementi, ed in genere strumenti e non a disporne in quanto troppo piccolo il suo dominio per contenere borghi e castelli; ma la cosa cambia se il piccolo feudatario si appoggia alla città dove intanto vanno trasferendosi ogni tipo di artigiani e dove comunque è possibile reperire ciò di cui ha bisogno; tale fu la scelta dei piccoli signori territoriali italiani del nord ed in parte del centro della Penisola.
Naturalmente questo comportamento rese più debole in Italia centro-settentrionale il commercio di piccolo raggio ma favorì la crescita del mercato puntuale , agglomerato cioè in punti e non più polverizzato. Dunque un mercato che poteva finalmente conoscere una conformazione stabile ed una affermazione razionale, prevedibile del movimento domanda offerta; un mercato che sopporta finalmente un investimento a medio termine perché l’investitore è in grado di operare in un punto dello spazio e dunque con costi ragionevoli e con discrete possibilità di controllo; ne deriva una circolazione monetaria sensibile, il richiamo di nuove professioni legate al denaro e specialmente la necessità di fissare regole chiare che tutelino l’investimento. Per altro le rendite feudali in natura, dato lo sviluppo di cui si è detto, crescono e non solo perché si produce di più e si è in più a costituire la base della domanda di consumo ( crescita demografica ) ma anche perché le nuove possibilità di commercializzazione cancellano i residui lasciati sul mercato locale che,i in questo modo razionalizzato, diventa parte di sistema e consente ai proprietari maggiori introiti secchi dato che fino al secolo precedente queste derrate da eccedenza non facevano gioco.
Con l’eclisse della funzione monarchica e dunque proprio con l’affermazione della signoria territoriale la Chiesa intraprese un’opera di riforma anche organizzativa imponendo norme severe e chiare sulla trasmissione dei beni lasciati.
Tale opera comportò una diversa articolazione del controllo territoriale della Chiesa sui beni di cui era in possesso.
I parroci vennero strutturati ed il loro mantenimento codificato, anche attraverso la riduzione o abolizione dei diritti di patronato che i laici vantavano sulle parrocchie ed anche i cappellani trovarono i cespiti dei loro sostentamenti in una destinazione specifica dei beni lasciati alla Chiesa.
Ad avvantaggiarsene fu non solo la struttura complessiva della Chiesa ma specialmente la gerarchia e specialissimamente il Vescovo il quale con l’inizio del secolo XI assunse sempre più importanza anche come fonte e soggetto di potere economico.
In altri termini ogni prelato a partire dal secolo XI poteva contare su una rendita.
Inoltre i signori furono costretti, pena una durissima emarginazione, a rinunciare alla proprietà delle chiese private ( cioè costruite secoli prima su iniziativa signorile ) e ubicate nel loro territorio a favore dei vescovadi cioè a favore e delle città, detto in parole povere; ciò fu in qualche modo compensato dal riconoscimento ai signori del diritto di presentare al vescovo un candidato a reggere la parrocchia ( giuspatronato ) .
In questo modo i Vescovi da un lato incamerarono beni economici ingenti ma dall’altro si trovarono legati in modo particolare alla società del territorio; insomma città e territorio cominciarono a diventare un unico soggetto.
Da questo passaggio l’economia cittadina ricevette indiscutibili vantaggi ad esempio costringeva alla monetarizzazione di ogni attività di accumulazione e dunque induceva e richiamava la traduzione in moneta di ogni tipo di prestazione o diritto e dunque persone che sapessero gestire, persone che producessero nella filiera di quella gestione. Infine, fatto tutt’altro che secondario i vantaggi alla città derivavano dalla obbiettiva libertà di movimenti che il Vescovo aveva rispetto alla pesante macchinosità delle letali controversie feudali.
Con l’insediamento del vescovo in città i centri urbani videro stabilizzarsi quartieri con una caratterizzazione per arti e mestieri che, se non nuova in assoluto, specie per l’Italia, tuttavia conobbe un rilancio ed una ridefinizione sostanziale: le gilde ,le hanse , le fraternitates, questi erano legati da un giuramento comune, essi avevano pari dignità e attraverso una definizione giuridica di doveri e diritti queste associazioni riuscirono progressivamente persino a costituire una sorta di giustizia interna, un tribunale che sbrigava all’interno eventuali controversie.
si formarono associazioni di mercanti che predisposero una serie di norme di diritto atte a tutelare la propria attività anche a costo di modificare la stessa titolarità del potere giudiziario, vennero introdotti elementi di diritto privato, specie in ordine alla materia delle obbligazioni, sui beni immobili, sul diritto di famiglia progressivamente, le città videro l’ ergersi di nuove mura, il costruirsi di magazzini e perfino un timido vagito di ‘mecenatismo’ ,visto che nei centri urbani più attivi le corporazioni non lesinarono contributi ad edificazione di immobili pur di sottolineare il livello di prosperità conseguito. Così i consumi conobbero più che una impennata una vera propria nascita; infatti il concetto stesso di consumo, fino al secolo XI legato quasi esclusivamente al sistema dei bisogni. Le merci cominciarono ad essere richieste perché poterono essere pagate ed i guadagni andarono ancora in altri investimenti, non tanto fondiari quanto immobiliari e, specialmente, commerciali. Infatti l’importanza del commercio di lungo raggio soppiantò in buona parte il mercato locale mentre parallelamente l’affermazione di un sistema creditizio che se non può essere definito del tutto efficiente , tuttavia consentì il superamento dei più tradizionali ostacoli all’investimento.

Esempio



  


  1. giovanni

    1°rivoluzione industriale