Colbert e il colbertismo

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Testo


Jean Baptiste Colbert nacque a Remi nel 1619 da una famiglia agiata: suo padre, infatti, era un ricco mercante di panni. Funzionario nella pubblica amministrazione dal 1643, dovette la sua rapida carriera al Mazzarino che, dopo averlo sperimentato come suo amministratore privato (1651; intendente dal 1656), morendo lo raccomandò a Luigi XIV. Dopo aver provocato la caduta del sovrintendente Fouquet, Coulbert fu chiamato nel 1661 a far parte del Consiglio delle Finanze, divenendo poi controllore generale (1665), segretario di Stato della casa del re e della marina (1669). Ebbe così in mano tutta l’organizzazione centrale della Francia. La sua opera ebbe larghe e benefiche ripercussioni e da lui si disse “colbertismo” l’indirizzo di politica economica tendente a proteggere le industrie nazionali. Morì a Parigi nel 1683. Fu anche appassionato collezionista: le raccolte di pitture e di medaglie andarono disperse tra collezioni varie; i manoscritti della sua biblioteca, che era ritenuta la terza d’Europa, furono venduti dagli eredi a Luigi XV.
Per comprendere il senso dei provvedimenti attuati da Coulbert nella Francia di Luigi XIV bisogna prima capire cos’è il mercantilismo, l’indirizzo politico-economico a cui si rifà questo grande personaggio.
Con il termine “mercantilismo” si indica il complesso di principi in materia politico-economica, corrispondente alla prassi seguita dalle grandi monarchie assolute, che con il loro intervento nell’economia miravano a dare più solide basi all’unità statale e a fare dell’incremento della ricchezza nazionale strumento per accrescere la forza dello Stato nei suoi rapporti con l’estero. Il mercantilismo può anche essere considerato come una mentalità diffusa in larghissimi strati della popolazione, persuasi dal diritto e dovere dello Stato di intervenire per difendere, equamente distribuire e promuovere la ricchezza nazionale, e in tal senso è di tutti i tempi.
Non vi fu mai una trattazione sistematica e razionale del mercantilismo come dottrina. Gli scrittori mercantilisti, tutti inglesi, si occuparono infatti di problemi singoli, soprattutto monetari e commerciali, e sempre da un punto di vista essenzialmente pratico. Come indirizzo di politica economica il mercantilismo ha avuto invece assai maggiore importanza e attraverso successive evoluzioni ha dominato tutta l’età moderna, raggiungendo il suo culmine verso la metà del sec. XVII nell’Inghilterra di Cromwell e nella Francia di Coulbert, dove si trasformò in un vero sistema protettore dell’industria nazionale e fu detto colbertismo. Alcuni degli elementi fondamentali della politica mercantilista si incontrano già nei maggiori comuni medievali, specialmente italiani, in cui andava crescendo l’intervento del potere politico in materia industriale, commerciale e monetaria e quindi si andava sviluppando un certo protezionismo, ma fu soprattutto la trasformazione del potere sovrano da potere feudale in assoluto che determinò il sorgere di nuove funzioni e conseguentemente di nuove esigenze finanziarie. La creazione di una burocrazia professionale stipendiata al centro e alla periferia, di rappresentanze diplomatiche all’estero e di un esercito permanente, la necessità di rinnovare le opere di difesa e di provvedere a qualche opera e servizio pubblico di interesse generale imponeva grandi spese che le rendite patrimoniali della corona e i donativi dei parlamenti erano insufficienti a fronteggiare; di qui il bisogno di nuove fonti di entrate che spinse i governi a interessarsi dei problemi economici nazionali, subordinando l’economia alle finalità dello Stato e, in particolare, alla necessità di cementare la coesione e l’indipendenza nazionale.
Grande è però la varietà di mezzi cui si può ricorrere e si è di fatto ricorso nei vari periodi per realizzare lo stesso fine; ed è questa varietà di mezzi che dà aspetti diversi alle singole politiche mercantilistiche, per quanto siano tutte ispirate alle stesse errate premesse, alla identificazione cioè della moneta posseduta da un paese con la ricchezza e alla convinzione che un paese possa in definitiva esportare senza importare. Infatti, dato che si credeva che la ricchezza dello Stato si fondasse sulla quantità di moneta pregiata accumulata nelle casse dello Stato e circolante nel territorio nazionale, ne derivava la necessità di promuovere le esportazioni e limitare al massimo le importazioni in modo tale che la quantità di moneta pregiata che entrava nel paese fosse nettamente superiore a quella che ne usciva. Le esportazioni venivano incoraggiate mediante facilitazioni e premi concessi ai produttori e ai commercianti esportatori, mentre le importazioni venivano limitate con l’imposizione di pesanti dogane sui prodotti stranieri e anche con il divieto di importazione di certi prodotti non indispensabili; analogamente veniva frenata o impedita l’esportazione di materie prime, la cui lavorazione era invece incoraggiata entro i confini nazionali (le pure e semplici “materie prime” valgono infatti assai meno del “prodotto finito”, arricchito dal valore aggiunto del lavoro). Si trattava, come si vede, di un vero e proprio sistema protezionistico che finiva col danneggiare pesantemente l’agricoltura, i cui prodotti non venivano esportati per mantenere basso il costo dei cereali e quindi i salari che l’industria doveva pagare agli operai. Tuttavia, la potenza dei grandi Stati nel complesso cresceva e ciò confermava per i più l’efficacia del sistema.
Nel complesso il mercantilismo si può dividere in tre fasi:
1) prima della scoperta dell’America, caratterizzata da divieti di esportazione monetaria e di metalli preziosi; [U1]
2) fase della bilancia dei contratti, si cerca di incrementare la disponibilità di metalli preziosi attraverso l’obbligo imposto ai mercanti di riportare in moneta nel paese almeno parte del prezzo ricavato all’estero;
3) fase dei dazi all’importazione, premi all’esportazione e divieti all’uscita di materie prime, mirava a creare una bilancia commerciale favorevole.
Perduto un po’ di vista il fine originario di accrescere il saldo attivo in moneta, durante il XVII secolo il mercantilismo andò poi sempre più trasformandosi in un sistema tendente a sviluppare le industrie nazionali e a proteggerle dalla concorrenza straniera. Da questo periodo in poi i fini che le grandi monarchie europee si proporranno sul piano economico saranno:
1) politica demografica: misure indirizzate a favorire l’aumento della popolazione per arrivare alla creazione o ad accentuare la formazione di un unico mercato nazionale;
2) politica produttiva: sempre più stretta disciplina della produzione, con la concessione a privati di esenzioni fiscali, privilegi e monopoli e con la creazione di industrie di stato;
3) politica commerciale: creazione di grandi compagnie commerciali, incremento della marina mercantile, politica coloniale.
Nel XVIII secolo gli economisti rifiutarono le teorie del mercantilismo e sostennero la necessità di una maggiore libertà economica che favorisse l’agricoltura.
Ricordiamo ora quali furono i principali obiettivi politici-economici di Luigi XIV, per capire come Colbert gli poté essere d’aiuto nel suo progetto di assolutismo regio.
Luigi XIV aveva della regalità un concetto altissimo e intendeva realizzare fino in fondo il più alto assolutismo e annientare, secondo la tradizionale politica accentratrice del Richeliu e del Mazzarino, ogni forza particolaristica, nobiliare o ecclesiastica, che cercasse di contrastarlo. Con una politica dura e spregiudicata mirò anche a imporre il predominio della Francia su tutta l’Europa del tempo, orgogliosamente sicuro che questo fosse a buon diritto il destino del paese.
Compito fondamentale del sovrano fu quello di ridurre e annullare la potenza dell’aristocrazia, che, specie quella terriera, fino agli inizi del ‘600 aveva cercato in ogni modo di contrastare il potere del sovrano e dei suoi ministri e che era abituata a spadroneggiare nelle provincie dove il potere centrale era ancora debole: fu definitamente prostata dalla politica e dai metodi del Re Sole, che, attirando molti nobili negli splendidi palazzi di Versailles, trasformò la vecchia nobiltà politica in nobiltà cortigiana, semplice elemento decorativo della nuova monarchia accentrata.
Luigi XIV portò inoltre al più alto grado di perfezionamento il sistema burocratico e amministrativo del paese, già imposto dai suoi predecessori. L’amministrazione centrale venne da lui affidata ai cosiddetti Consigli del Re, che avevano solo poteri consultivi ed erano quotidianamente presieduti dal sovrano in persona; alcuni tra i membri dei vari Consigli avevano particolari responsabilità ed erano i veri e propri ministri della Corona, sempre però passivi esecutori degli ordini regi, poiché compito del “monarca professionista” era quello di interessarsi direttamente di ogni branca dell’amministrazione dello Stato. Luigi XIV provvide anche a riorganizzare e a centralizzare le amministrazioni provinciali in modo che queste, sotto il profilo amministrativo, finanziario, giudiziario e militare, fossero costantemente legate al governo centrale, senza che si profilasse il rischio di iniziative locali, pericolose per il potere monarchico. Per raggiungere questo obiettivo Luigi XIV rafforzò la posizione degli intendenti i quali, se inizialmente erano stati solo degli ispettori centrali sia pure dotati di alti poteri di sorveglianza, adesso divennero, nelle provincie, i rappresentanti del potere centrale in quanto assommarono in sé ogni potere amministrativo, giudiziario e militare.
Per raggiungere gli obbiettivi che si proponeva, Luigi XIV seppe circondarsi di uomini onesti e capaci tra i quali, come controllore generale delle finanze, emerse Colbert, che occupò l’altissima carica con grande competenza dal 1669 al 1683. Colbert, soprattutto per appoggiare la politica assolutistica del sovrano, applicò in modo rigoroso e razionale le regole economiche del mercantilismo, che già la monarchia francese tendeva a mettere in atto fin dai tempi di Enrico IV. Colbert porta questo sistema al più alto grado di perfezione, dato che, come egli spesso afferma, “le Compagnie di Commercio sono gli eserciti del re e le industrie di Francia sono le sue riserve”. L’economia della Francia viene così fondata sull’esportazione di manufatti, il cui valore è incrementato dal lavoro, e la politica mercantilistica è anche occasione per favorire l’incremento demografico, ottenuto con le esenzioni fiscali concesse alle coppie giovani e alle famiglie con dieci figli.
Per Colbert il nodo centrale del problema è quello di creare nuove industrie, affinché la Francia non sia costretta a comprare dall’estero. Se le industrie non hanno un mercato all’interno perché i contadini sono poveri e non acquistano manufatti e attrezzi agricoli in ferro, dato che nelle campagne francesi si usa ancora il vomere dell’aratro in legno duro, il problema sarà di far intervenire lo stato stesso come cliente che abbisogna di navi, armi in genere, munizioni e strutture in ferro per l’edilizia; l’intervento statale mette allora in moto tutto il circuito economico perché lo stato impone le tasse e con il ricavato provvede all’acquisto all’estero di materie prime e paga i fornitori e i salari agli operai delle manifatture di stato, che al tempo di Colbert divengono centinaia. Così in un circuito in cui la massa di denaro, in conseguenza delle esportazioni all’estero, aumenta continuamente, viene assicurata una sempre più larga disponibilità finanziaria alla politica di potenza di Luigi XIV, per il quale il vero scopo di ogni attività economica è e rimane quello politico. Lo sforzo più importante è diretto a ottenere buoni prodotti a basso prezzo per battere la concorrenza straniera e in particolare quella olandese. Perciò il Colbert incoraggia l’immigrazione di operai stranieri specializzati, che portano in Francia nuove e più economiche tecniche di fabbricazione, come i fonditori tedeschi e i vetrai veneziani. Nascono allora le grandi “manifatture” di proprietà dello Stato, come la fabbrica di tappeti e di mobili dei Gobelins, o comunque sovvenzionate dallo stato anche se appartenenti a privati, come le grandi vetrate di Saint-Gobain. In tal modo si sviluppa un’industria di nuovo tipo, e cioè fortemente accentrata, anche se in molti casi, il padrone dà il lavoro a domicilio agli artigiani sparsi un po’ dovunque. La Francia diventa così produttrice di ottimi articoli, prodotti da un alto artigianato del vetro, dei tessuti, delle porcellane; ma i salari degli operai rimangono molto bassi, appunto perché il Colbert intendeva vendere a prezzo concorrenziale i prodotti francesi all’estero, a tutto scapito dei salariati. Un’organizzazione rigorosa fissa i processi tecnici ed economici ed è personalmente seguita da Colbert attraverso gli ispettori delle manifatture: essa sorregge lo sforzo gigantesco inteso a dare alla Francia i mezzi per sostenere l’ambiziosa politica estera del sovrano.
In questa situazione finisce con l’aggravarsi la condizione degli operai: impegnati ad assicurare la grandezza del loro paese, essi devono lavorare a ritmo sempre più rapido per produrre di più e devono accontentarsi di salari decisamente bassi per mantenere concorrenziali i prezzi del prodotto. Per ottenere questo risultato le autorità impongono un’ideologia del lavoro di tipo addirittura monastico, e la stessa religione ne diviene un elemento essenziale: in molte fabbriche controllate dallo stato gli operai vanno a messa tutti i giorni; il lavoro, che ha orari compresi tra le dodici e le sedici ore al giorno, deve sempre iniziare con una preghiera e il segno della croce; persino il breve intervallo di quaranta minuti, concesso per il pasto, è accompagnato da letture devote. La disciplina della fabbrica è simile a quella di una caserma se non di una galera; il direttore esercita un’autorità assoluta e i lavoratori sono esposti anche a punizioni corporali come la gogna, la frusta e addirittura la forca per disobbedienza, lavoro malfatto, ritardi e anche per comportamento non irreprensibile al di fuori della fabbrica, perché, secondo questa ideologia del lavoro, tutto ciò che può ridurre le attività lavorative (come frequentazione di bettole, bordelli e simili) deve essere severamente impedito. Ogni tentativo di associazione operaia viene punito e magistrati, quando sono chiamati a dirimere una contesa, devono sempre favorire gli imprenditori.
Colbert cercò di migliorare le sorti dell’agricoltura importando dall’Inghilterra e dalla Spagna nuove razze di ovini, e incoraggiò le colture utili all’industria, come quelle del lino, della canapa, del gelso e del baco da seta; nelle annate di carestia fece in modo che le popolazioni rurali potessero godere di qualche donativo regio in semente o in bestiame e fossero esentate dalla taglia, la tassa che appunto pesava sui contadini; infine, per stimolare la produzione agricola, fece acquistare dallo stato vini, salumi e bestiame per l’esercito regio e per le industrie. Sotto la sua amministrazione continuarono i dissodamenti di nuovi terreni, e in linea di massima vennero incoraggiate nelle campagne iniziative di privati e di associazioni di villaggio al fine generale di incrementare la produzione. Furono anche migliorate le vie di comunicazione e in particolare quelle d’acqua come il Canale di Mezzogiorno, aperto alla navigazione in questo periodo, che, attraverso la Francia meridionale, collega il Golfo di Biscaglia col Golfo del Leone, ossia l’Atlantico al Mediterraneo.
Naturalmente la marina e le colonie furono oggetto delle maggiori cure del ministro, che fece ogni sforzo sia per aumentare il numero delle navi da guerra allo scopo di imporre dovunque il prestigio francese, sia per potenziare le compagnie commerciali già esistenti, come la Compagnia del Nord, la Compagnia del Levante e soprattutto la compagnia delle Indie Orientali e quella delle Indie Occidentali, destinate a gettare le basi delle future colonie del paese. Sotto la direzione di Colbert la Compagnia delle Indie Orientali, che era in piena crisi, riprese vigore e riuscì a creare in India le basi commerciali di Pondichéry e di Chandernagor; la Compagnia delle Indie Occidentali organizzò la colonia del Canada, consolidò l’occupazione delle Antille e –sulle tracce dell’esploratore Robert Cavalier de la Salle che aveva esplorato l’immensa vallate del Mississippi- diedero vita nel 1683 all’immensa colonia della Luisiana.
BIBLIOGRAFIA
AUGUSTO CAMERA e RENATO FABIETTI, Dal Comune alle Monarchie nazionali, Bologna, Zanichelli, 1987.
FRANCO GAETA e PASQUALE VILLANI, Corso di Storia 2, Milano, Principato Editore, 1974.
SCIPIONE GUARRACINO, L’età medievale e moderna, Edizioni Bruno Mondadori, 1998.
Per il mercantilismo, Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, volume III, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1970.
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