Chiesa e regni tra XIV e XV secolo

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CHIESA E REGNI TRA XIV E XV SECOLO
La Guerra dei Cent’Anni
Il conflitto che nel XIV e XV secolo oppose i re di Francia e d’Inghilterra è ricordato come Guerra dei Cent’Anni. L’ostilità tra i sovrani francesi e inglesi, vassalli dei primi, si era manifestata all’epoca di Bouvines e l’espulsione degli Inglesi dalla Francia, nel 1453, pose fine alla rivalità franco – inglese.
Dopo la morte nel 1314 di Filippo IV, il Bello, si susseguirono sul trono di Francia i suoi figli; alla morte dell’ultimo, Carlo IV, nel 1328, richiamandosi alla Legge salica, si elesse al trono il parente più prossimo del defunto, Filippo VI. La sua incoronazione scontentò Edoardo III, nipote di Filippo IV il Bello; il re di Francia gli confiscò i possedimenti della Guascogna e appoggiò la Scozia in guerra con lui, mentre Edoardo rivendicò la corona francese, contando sugli aiuti delle grandi casate feudali francesi; nel 1337 scoppiarono le ostilità.
Gli Inglesi sbaragliarono l’esercito francese a Crecy nel 1346, a Calais nel 1347 ed a Poitiers nel 1356 e catturarono il re di Francia Giovanni II; la pace di Bretigny nel 1360 assegnò al re inglese vastissimi territori. Il nuovo re di Francia Carlo V affidò il comando a Bertrand du Guesclin, che adottò una strategia di logoramento che costrinse gli Inglesi ad abbandonare parte dei territori occupati.
In Inghilterra la rivolta del 1381 fu seguita da una crisi politica; Riccardo II tentò di governare servendosi di consiglieri di sua nomina: la reazione del Parlamento portò alla detronizzazione del sovrano e all’incoronazione di Enrico IV dei Lancaster; le guerre contro la scozia e la ribellione del Galles impedirono di riprendere l’iniziativa militare in Francia. Anche la Francia conobbe numerose rivolte popolari; la minorità e l’infermità mentale di Carlo VI diedero spazio alle ambizioni degli aristocratici, divisi nelle fazioni degli Armagnacchi, sostenitori del duca d’Orleans, e dei Borgognoni, sostenitori del duca di Borgogna.
Quando Enrico V d’Inghilterra riaprì le ostilità contro la Francia, questa non era in grado di opporre resistenza: ad Azincourt, nel 1415, la cavalleria francese subì una sconfitta.
Col trattato di Troyes del 1420, Enrico V sposò la figlia di Carlo VI e fu riconosciuto erede al trono di Francia; alla sua morte, il figlio venne proclamato, con il nome di Enrico VI, re di Francia e di Inghilterra, mentre il figlio di Carlo VI assunse il nome di Carlo VII e ripiegò a sud della Loira.
Il lealismo dinastico, la fede religiosa e l’insofferenza verso gli stranieri Inglesi animarono la resistenza delle popolazioni francesi; Giovanna d’Arco si presentò come inviata dal Cielo a salvare la monarchia francese: quando fu arsa dagli Inglesi come eretica, i Francesi liberarono Orleans e Carlo VII fu consacrato re.
Nel 1453, gli Inglesi abbandonarono la Francia, dove conservarono solo la piazzaforte di Calais.
Caratteristiche e conseguenze della Guerra dei Cent’Anni
Nel corso della guerra i Francesi subirono sconfitte disastrose, anche se disponevano di un territorio più vasto, popolato e ricco dell’Inghilterra e i loro eserciti erano più numerosi di quelli traghettati dagli Inglesi; gli Inglesi vinsero le battaglie principali, ma persero la guerra.
L’esercito inglese aveva la sua forza negli arcieri; l’arco inglese consentiva di scagliare una pioggia di frecce che apriva vuoti nelle file della cavalleria francese: i cavalieri inglesi assalivano i superstiti cavalieri francesi e li finivano.
La diversità militare era il riflesso di una diversa struttura sociale: la supremazia dei signori – cavalieri di Francia non consentiva una collaborazione militare con i sottoposti, cosa che era possibile in Inghilterra, dove la soggezione a funzionari statali aveva attenuato l’orgoglio di casta dei cavalieri.
Carlo V affiancò al reclutamento feudale un sistema di reclutamento mercenario, dando maggior efficacia all’esercito francese, ma creando i problemi del finanziamento per pagare le truppe e di renderle innocue una volta licenziate; Carlo VII, nel 1445, formò le prime compagnie di ordinanza, potenziate poi da Luigi XI. Questo richiedeva un impegno finanziario crescente; i re non potevano contare solo sul patrimonio personale, così imponevano tributi ai sudditi, puntando sulle imposte indirette, gravanti sulla commercializzazione e il consumo di determinate merci. Nel corso della guerra, si fece ricorso alle imposte dirette, concretizzando il principio che tutti gli abitanti erano obbligati a sostenere le spese necessarie alla vita del Regno, e dimostrando l’importanza del ruolo dello Stato.
In Inghilterra la lingua parlata dalle classi dirigenti era stata il francese ma, durante la guerra, nelle scuole si iniziò a insegnare l’inglese; Geoffrey Chaucer e John Wycliffe furono i padri della letteratura inglese.
Francia e Inghilterra dopo la Guerra dei Cent’Anni
In Francia, l’avvenimento del regno di Luigi XI, figlio di Carlo VII, fu il conflitto con Carlo il Temerario, duca di Borgogna, che aspirava a riconquistare la Lorena e ad unificare la Borgogna e le Fiandre. A Nancy, nel 1477, Carlo il Temerario fu sconfitto dagli Svizzeri alleati con il re di Francia, permettendo a Luigi XI di incorporare diversi territori borgognoni; ma i grandi feudatari di Francia sollevarono problemi anche sotto Carlo VIII e Luigi XII, e il Regno restava un agglomerato di territori dalla giurisdizione non uniforme.
Le leggi consuetudinarie locali furono lasciate in vigore e nelle singole regioni furono creati dei parlamenti provinciali, ma tutti i sudditi riconoscevano uno stesso re; unità del Regno e autonomia delle province.
In Inghilterra, dei disordini opposero le diverse fazioni aristocratiche per il potere e il possesso della Corona; la guerra civile che oppose i Lancaster e gli York, nota come Guerra delle Due Rose, decimò l’aristocrazia inglese e ne ridusse la potenza; dalla guerra emerse vincitore, nel 1485, Enrico Tudor. Enrico VII si dedicò a restaurare il potere della Corona; governò attraverso un Consiglio della Corona e nell’amministrazione locale impiegò i giudici di pace, scelti tra la piccola nobiltà di provincia, la gentry.
La penisola iberica
Il Regno di Castiglia fu travagliato da lotte dinastiche, per cui l’organizzazione di un solido apparato statale non riuscì ad avere la meglio sul particolarismo dei grandi signori; i re dovettero appoggiarsi alla piccola feudalità e alle borghesie cittadine coalizzate nelle hermandades.
In Aragona il potere regio dovette venire a patti coi particolarismi municipali e nobiliari; le Cortes furono riconosciute come un organo istituzionale che affiancava il sovrano. L’Aragona, nel XIV secolo tolse la Sardegna ai Pisani e assunse il controllo di alcuni territori greci.
I disordini interni, le rivalità, le difficoltà economiche e gli orientamenti diversi della politica estera impedirono alla Castiglia e all’Aragona di riprendere la lotta contro i resti del dominio musulmano; nel 1469 avvenne il matrimonio tra Isabella, sorella del re di Castiglia, e Ferdinando, erede al trono aragonese, realizzando l’unione delle due regioni: non ne derivò l’unificazione delle istituzioni dei due Regni, ma fu possibile riprendere la reconquista, che culminò con la caduta del regno di Granada nel 1492.
L’Europa centrale ed orientale
La Bolla d’Oro aveva sancito, in Germania, il frazionamento della sovranità, la costruzione di apparati statali regionali, la permanenza di signorie indipendenti e l’inadeguatezza dell’Impero a svolgere un ruolo di unificazione.
Brandeburgo, possesso boemo, fu assegnato alla famiglia degli Hohenzoller; alla morte di Sigismondo, i suoi possessi boemi e ungheresi passarono, con il titolo imperiale, al genero Alberto II d’Asburgo, duca d’Austria, che ebbe come successore Federico III d’Asburgo, che dovette rinunciare alla Boemia e all’Ungheria; questo fu compensato dal matrimonio di Massimiliano d’Asburgo con la figlia di Carlo il Temerario, duca di Borgogna, che implicò l’appropriamento dei Paesi Bassi.
L’Ungheria mirò ad estendere l’egemonia sui territori circostanti, ma essa fu sconfitta dai Turchi a Nicopoli; dopo la temporanea unione con la Polonia e con l’Impero, l’Ungheria si ricostituì come regno indipendente con Mattia Corvino, che condusse una politica finalizzata alla conquista del titolo imperiale, ma, alla morte di Federico III di Asburgo, gli elettori tedeschi gli preferirono Massimiliano d’Asburgo. Mattia Corvino riuscì ad arginare la marcia espansionistica dei Turchi, senza riuscire ad infliggere loro sconfitte decisive. Le sue riforme tributarie e amministrative fecero dell’Ungheria uno dei regni meglio amministrati d’Europa e il suo mecenatismo favorì una fioritura artistico – culturale; alla sua morte, il Regno d’Ungheria si unificò con quello di Polonia.
La Boemia, grazie alle miniere d’argento, conobbe uno sviluppo economico, politico e culturale, sotto i sovrani della casata di Lussemburgo, a cui corrispose una presenza di elementi tedeschi nella vita del Paese; l’opposizione della popolazione boema alla preponderanza tedesca si espresse nella partecipazione alle guerre hussite, condotte sotto le bandiere della religione, che portarono ad un indebolimento del predominio tedesco sulla regione boema. Dopo la morte di Sigismondo, la Boemia si trovò unita alla Polonia e poi ai territori della casa d’Austria; riacquistò la propria indipendenza nel 1452, quando Giorgio I Podebrady fu eletto re nel 1458. Dovette combattere contro le forze cattoliche e Mattia Corvino, uscendone sconfitto, ma salvaguardò l’indipendenza boema; designò come successore Ladislao Jagellone di Polonia, che divenne, nel 1471, re di Boemia e che proseguì la lotta contro Mattia Corvino, fino a divenire, nel 1490, anche re d’Ungheria.
La Polonia conobbe nel ‘300 un certo sviluppo economico, che si accompagnò ad una maggiore stratificazione sociale e alla nascita di città; il solidificarsi della compagine sociale e la sua espansione ad oriente furono suggellati dallo spostamento della capitale a Cracovia e dai risultati conseguiti da Casimiro III il Grande. Sotto di lui furono stabiliti i confini occidentali del Regno e si intensificò la spinta espansiva verso le altre direzioni; a nord, la potenza dei Cavalieri Teutonici fu ridimensionata; a sud – est, il regno polacco arrivò a toccare il Mar Nero. Casimiro ottenne questi risultati ponendo fine all’anarchia interna e alle guerre private fra i magnati polacchi, grazie all’appoggio delle borghesie cittadine e degli strati inferiori della nobiltà. La corona polacca passò a Ladislao II Jagellone; la Lituania era diventata una grande potenza, capace di resistere ai Cavalieri Teutonici e il cui territorio si stendeva dal Baltico al Mar Nero. La partita con i Cavalieri Teutonici si risolse nel 1410 con la battaglia di Grunwald, che spezzò la potenza dell’Ordine e diede alla Polonia il controllo del litorale baltico.
I successori Jagelloni consolidarono la potenza territoriale polacca, un agglomerato di terre prive di effettiva unità, in cui il potere delle casate aristocratiche si era rafforzato in seguito alla recensione economica; la potenza della Chiesa e le ferite della rivolta hussita costituivano dei limiti alla potenza jagellonica.
Nelle pianure russe non esisteva alcuna configurazione stabile; l’impero dei Tartari, l’Orda d’Oro, coordinava i principati indigeni, ma l’arretratezza della vita economica non rendeva necessaria un’unificazione maggiore; i grandi principi, gli aristocratici più potenti e la Chiesa avevano il monopolio della terra. I granduchi di Mosca condussero verso i Khan tartari una politica ora di guerra, ora di collaborazione; dei progressi si ebbero nella seconda metà del ‘400 con Ivan III, che sottomise Novgorod e rafforzò le istituzioni del potere centrale moscovita. Il peso politico di Mosca fu una conseguenza del fatto che il patriarca di Mosca divenne il principale esponente della Chiesa greco – ortodossa. Si introdusse il termine imperiale di czar, o zar, e Ivan III sposò la figlia dell’ultimo imperatore bizantino; il potere politico dei boiari fu limitato dall’azione legislativa dello czar, che sancì l’esistenza della servitù della gleba.
L’Oriente mediterraneo
Dopo che gli Stati cristiani d’Oriente erano caduti sotto la sovranità dei sultani mamelucchi d’Egitto, i soli baluardi che gli Occidentali avevano nel bacino orientale del Mediterraneo erano Rodi, Cipro, gli scali genovesi e veneziani e alcuni lembi dell’ex Impero latino d’Oriente.
Fra i potentati della regione vi era l’Impero bizantino, la cui restaurazione non ne aveva risollevato le sorti: sotto la dinastia dei Paleologhi, il commercio rimaneva nelle mani di operatori stranieri, le casse dello Stato erano vuote, l’aristocrazia spadroneggiava e le rivolte contadine si susseguivano.
Nella Penisola Balcanica, Bulgari e Serbi avevano costituito Stati indipendenti e le popolazioni rumene si erano organizzate nei principati semiautonomi di Moldavia e Valacchia; dopo l’ondata mongola, nel ‘300 si affacciarono i Turchi Ottomani.
I Turchi Ottomani (da Othman, il loro primo condottiero) erano stati dei mercenari al servizio dei confratelli Selgiuchidi in Anatolia; si costruirono un dominio nella parte nord – occidentale della penisola anatolica e cominciarono ad occupare alcuni territori balcanici. Conquistarono Adrianopoli e vi posero la loro capitale, con a capo il sultano; Bulgari e Serbi subirono nel Kossovo, al Campo dei Merli, una sconfitta che aprì ai Turchi la via della vallata del Danubio, sconfiggendo gli Stati cristiani.
La forza militare era costituita dalla fanteria dei giannizzeri, un corpo costituito da ragazzi prelevati nelle regioni cristiane sottomesse e educati secondo la fede islamica, in uno spirito di confraternità militare e religiosa.
Il trionfo ottomano fu ritardato da una nuova ondata mongola, guidata da Tamerlano e dalla sconfitta subita presso Ankara nel 1402; la morte di Tamerlano e la disgregazione del suo Impero restituirono agli Ottomani libertà di manovra.
Il sultano Murad II sconfisse gli eserciti ungheresi e polacchi a Varna nel Kossovo; quando salì al potere Mehmed II il Conquistatore, che intraprese una politica imperiale, esistevano molte forze che si opponevano alla costituzione di un potere centralizzato nelle mani del sultano. Nel 1453, Costantinopoli fu cinta d’assedio e presa; nella difesa trovò la morte l’imperatore Costantino XI Paleologo.
Le vittorie degli Ottomani furono dovute a diversi fattori: la struttura feudale fu tenuta sotto il controllo del sovrano; ai contadini furono garantite sicurezza e condizioni di vita migliori di quelle godute nei paesi cristiani; gli Ottomani non violarono le coscienze religiose dei sudditi, ma solo ai convertiti all’Islam erano aperte le carriere civili e militari; la condizione più importante fu la disunione tra gli Stati cristiani.
Quando Mehmed morì nel 1481, gli Ottomani erano padroni di un immenso territorio che andava dai confini orientali dell’Anatolia all’Adriatico e al Danubio.
La Chiesa: dalla “cattività avignonese” agli scismi
Tra il 1305 e il 1377, sette papi francesi tennero residenza ad Avignone: vi furono momenti in cui l’azione del papato parve caratterizzata dal fasto della corte e dal nepotismo e momenti in cui si cercò di restaurare un clima austero e di eliminare privilegi e fanatismi.
La Curia si arrogò il diritto di decidere su un numero crescente di questioni e di intervenire nell’assegnazione dei benefici ecclesiastici; per far funzionare questa amministrazione, le entrate non erano mai sufficienti.
Le accuse contro la corruzione del papato si facevano insistenti, tra cui gli appelli di Santa Caterina da Siena per l’abbandono della sede avignonese, e si configurò la speranza che un ritorno dei pontefici a Roma potesse favorire la riforma.
Gregorio IX riportò la sede papale a Roma nel 1377, ma alla sua morte si riaprì una nuova crisi: il popolo romano minacciava di ricorrere alla violenza qualora non fosse stato eletto un pontefice italiano come successore, che fu poi Urbano VI. I cardinali che avevano eletto Urbano VI si riunirono a Fondi e nominarono un altro papa, il vescovo di Ginevra, con il nome di Clemente VII. A sostegno di Urbano VI si schierarono Impero, Inghilterra, Polonia Ungheria e Italia settentrionale, a sostegno di Clemente VII, che riportò la residenza ad Avignone, Francia, Scozia, Castiglia ed Aragona; le motivazioni politiche e contribuirono ad irrigidire la contrapposizione: i due papi elessero nuovi cardinali e la loro morte non risolse il Grande Scisma, perché entrambe le Chiese nominarono dei successori.
I cardinali convocarono un Concilio a Pisa, che nominò un nuovo pontefice e dichiarò decaduti gli altri due, che non dichiararono legittima questa decisione. La cristianità ebbe tre papi; il pontefice pisano, Alessandro V, si impegnò a procedere ad una riforma ecclesiastica, poiché lo scandalo della divisione dava adito alle richieste della riforma della Chiesa.
John Wycliffe sviluppò una critica delle gerarchie ecclesiastiche e rivalutava il ruolo dei poteri laici nelle cose di Chiesa; i Lollardi, seguaci di Wycliffe, ebbero un grande peso nella rivolta contadina in Inghilterra nel 1381 e sopravvissero fino al XV secolo.
Jan Hus incentrò la sua predicazione sulla riforma morale del clero e sulla difesa del popolo ceco ed esortò a ribellarsi contro la vendita delle indulgenze; il movimento hussita sopravvisse in Boemia e, dopo l’esecuzione di Hus, formulò i quattro articoli di Praga.
L’imperatore Sigismondo di Lussemburgo convocò a Costanza, nel 1414, un Concilio universale, che risolse lo scisma con l’elezione di Martino V e che proclamò la condanna di Jan Hus; la riforma affermò che il governo della Chiesa spettava al Concilio e stabilì che ogni 10 anni doveva riunirsi un Concilio generale. Quando fu convocato, nel 1431, a Basilea, il Concilio, il pontefice Eugenio IV lo trasferì a Ferrara e poi a Firenze; molti padri conciliari elessero un altro papa: nacque il Piccolo Scisma, che si risolse con la vittoria del Papato, la cui superiorità fu sancita nella bolla Execrabilis di Pio II.
Il Concilio di Firenze aveva sancito l’unificazione delle Chiese d’Occidente e Oriente: i rappresentanti delle Chiese orientali riconobbero il primato romano sperando che ciò servisse a mobilitare la solidarietà dell’Occidente cristiano. Alcuni esponenti delle Chiese d’Oriente si allontanarono dal Concilio e, tra coloro che respinsero il progetto di unificazione, vi fu il patriarca di Mosca, Giona.
Cristianità e religiosità tra Tre e Quattrocento
Il risultato del turbamento ecclesiastico fu il manifestarsi di dubbi sulle gerarchie tradizionali; si diffuse un atteggiamento anticlericale, attraverso la denuncia della corruzione ecclesiastica e dell’ignoranza del clero. La polemica anticlericale non segnò la caduta della fede, ma questa si era fatta più bisognosa di rassicurazioni. Si accentuarono la discriminazione e la persecuzione degli Ebrei, si diffuse la credenza nella stregoneria e i movimenti di penitenza collettiva, attaccandosi in modo superstizioso ai gesti, alle parole e agli oggetti di culto.
In alcune occasioni, la sfiducia nelle pratiche religioso – sacramentali si risolse nella ricerca di un rapporto immediato con Dio, attribuendo un potere minore all’ordine sacerdotale. A ciò si collegano i Fratelli del Libero Spirito, i mistici tedeschi del XIV secolo e i movimenti della Devotio moderna.
I Fratelli del Libero Spirito seguivano l’insegnamento di Margherita Porete, che aveva prospettato la via dell’amore estatico e del rapimento mistico; questi temi ebbero larga circolazione, nonostante il rogo Di Margherita nel 1310. Ebbero larga diffusione anche i testi del domenicano Johannes Eckart, che aveva trattato il tema della riunificazione mistica con Dio. La mistica eckartiana si collega alla Devotio moderna, che prese le mosse da Geert de Groote e si diffuse nelle regioni del Reno e dei Paesi Bassi. La Devotio moderna accentua il momento personale dell’esperienza religiosa, mirando a ritrovare Dio nell’intimità dell’animo, attraverso raccoglimento e meditazione.
All’epoca del Grande Scisma i papi rivali cercarono l’appoggio dei sovrani attraverso concessioni; i provvedimenti che riconobbero ai re di Francia e Inghilterra diritti di ingerenza negli affari ecclesiastici, la predicazione di Wycliffe e Hus, il ruolo dell’imperatore durante nel Concilio di Basilea, la diffusione di traduzioni della Bibbia in idiomi nazionali, erano segni che l’universalismo del Medioevo stava cedendo il passo al particolarismo degli Stati.
Il Papato, riuscito ad affermare la sua autorità nella Chiesa, conservò un potere temporale solo nei territori direttamente soggetti.
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