Cavour Mazzini Garibaldi e Pellico

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Testo

Cavour, Camillo Benso conte di
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INTRODUZIONE
Cavour, Camillo Benso conte di (Torino 1810-1861), statista piemontese e primo ministro del Regno d'Italia; fu uno dei principali protagonisti del Risorgimento italiano.
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L'APPROCCIO ALLA CULTURA LIBERALE
Figlio del marchese Michele e della ginevrina Adele di Sellon, fu avviato alla carriera militare, ma prese la decisione di abbandonare l'esercito, nel quale peraltro era guardato con sospetto a causa delle sue idee liberali, maturate nel corso dei soggiorni all'estero e degli studi di economia e di politica. Una serie di viaggi nei principali paesi dell'Europa occidentale lo mise in diretto contatto con alcune personalità del mondo della cultura e con le trasformazioni economiche provocate dalla rivoluzione industriale. Cavour collaborò con alcune riviste italiane, svizzere e francesi con una serie di articoli nei quali analizzò temi quali il pauperismo, il liberismo doganale, le ferrovie, la modernizzazione dell'agricoltura, maturando il convincimento che l'indipendenza nazionale fosse per l'Italia un obiettivo storicamente fondato.
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L'APPRENDISTATO POLITICO
In Piemonte iniziò la sua attività politica negli ultimi anni del regno di Carlo Alberto, contrassegnati dall'esperienza dello Statuto e dalle riforme liberali, a cui aveva fatto seguito la partecipazione del Regno di Sardegna alla prima guerra d'indipendenza. Cavour fondò con alcuni moderati piemontesi il giornale "Il Risorgimento", che diresse per un anno (1847-48), continuando poi a collaborarvi fino al 1850, quando venne nominato ministro dell'Agricoltura nel governo di Massimo d'Azeglio. Dopo essere stato ministro delle Finanze, il re Vittorio Emanuele II lo nominò capo del governo (1852), carica che gli permise di adottare misure per lo sviluppo economico del Piemonte e per la costruzione di una rete ferroviaria.
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L'ABILITÀ DIPLOMATICA
In politica estera si associò al re, deliberando nel 1854 la partecipazione dell'esercito sardo alla guerra di Crimea: il congresso di pace di Parigi del 1856 consentì a Cavour di attaccare lo Stato pontificio e il Regno delle Due Sicilie e di ottenere l'attenzione della Francia e della Gran Bretagna alla questione nazionale italiana. I rapporti da lui intrecciati con l'imperatore Napoleone III sfociarono negli accordi di Plombières (1858), che prevedevano l'intervento militare francese in appoggio al Piemonte, nel caso l'Austria avesse dichiarato guerra al regno sabaudo, e reciproche acquisizioni territoriali nella penisola. Nel frattempo Cavour intensificò i rapporti politici con gruppi di patrioti democratici, ex mazziniani, raccolti intorno alla Società nazionale.
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L'INTERVENTO NEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE ITALIANA
Nel 1859 riuscì a rendere operative le clausole degli accordi di Plombières, costringendo l'Austria a dichiarare guerra al Piemonte: iniziate nell'aprile del 1859, le operazioni militari franco-piemontesi della seconda guerra d'indipendenza portarono alla liberazione della Lombardia dal dominio austriaco, mentre contemporaneamente sorgevano, ispirati da Cavour, movimenti annessionistici in Toscana, a Modena, a Parma e nelle Legazioni pontificie. L'improvvisa decisione presa da Napoleone III di ritirarsi dal conflitto, che condusse all'armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) tra Austria e Francia, provocò la reazione di Cavour, che si dimise da presidente del Consiglio.
Ritornato a occupare la carica nel gennaio del 1860, Cavour persuase l'imperatore francese a riconoscere i risultati dei plebisciti che si erano tenuti in Emilia e in Toscana, con esiti ampiamente favorevoli all'unificazione al Piemonte, concedendogli in cambio Nizza e la Savoia. Nell'estate dello stesso anno sostenne l'intervento dell'esercito sardo al comando del re, che fu inviato a occupare le Marche e l'Umbria e a raccogliere il frutto dell'impresa che Garibaldi e i suoi volontari stavano portando a termine con la liberazione del Sud dal dominio borbonico (Spedizione dei Mille). Cavour fu il primo presidente del Consiglio del nuovo Regno d'Italia, proclamato il 14 marzo 1861; morì nel giugno di quello stesso anno.

Garibaldi, Giuseppe
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INTRODUZIONE
Garibaldi, Giuseppe (Nizza 1807 - Caprera 1882), patriota italiano; con le sue imprese e il suo esempio fu uno dei principali artefici dell'unità e dell'indipendenza nazionale e una delle figure più popolari dell'Ottocento romantico in tutto il mondo.
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L'EROE DEI DUE MONDI
Figlio di un capitano della marina mercantile sarda, trascorse la giovinezza navigando sulle rotte dell'Oriente e del Mediterraneo. Nel 1833 entrò a far parte della società segreta Giovine Italia, fondata da Giuseppe Mazzini con l'obiettivo di conseguire l'unità politica della penisola italiana e l'indipendenza dal dominio straniero, e di costituire un governo democratico e repubblicano. Falliti i moti rivoluzionari mazziniani nel 1834, Garibaldi venne condannato a morte in contumacia dalle autorità sabaude.
Si rifugiò allora in Francia, a Marsiglia, e qui nel 1835 ottenne il comando di un brigantino diretto in Brasile. Lì giunto, non esitò a sostenere, praticando la tattica corsara, l'insurrezione repubblicana scoppiata nella provincia di Rio Grande do Sul contro il governo imperiale brasiliano. La sconfitta di quell'impresa lo costrinse, nel 1842, a riparare a Montevideo, in Uruguay, dove sposò Ana Maria Ribeiro da Silva, detta Anita, che si era unita a lui dal 1839. Poco dopo prese parte, facendo le sue prime prove di comando alla testa di una legione italiana, alla guerra civile in Uruguay, a fianco dei ribelli che combattevano contro le truppe governative sostenute dal dittatore argentino Juan Manuel de Rosas, distinguendosi per il valore mostrato in battaglia e per le sue doti di trascinatore di uomini.
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IL RIVOLUZIONARIO
Quando l'ondata rivoluzionaria che travolse l'Europa nel 1848 raggiunse l'Italia, Garibaldi fece ritorno in patria con altri 84 volontari della Legione italiana in Uruguay e si precipitò in Lombardia per partecipare alla prima guerra d'indipendenza, che già volgeva al peggio per le truppe piemontesi. La giunta del governo provvisorio di Milano lo inviò a organizzare la difesa di Bergamo, ma in seguito all'armistizio Salasco, firmato il 9 agosto 1848, egli fu costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore; poco dopo, approfittando della propria crescente popolarità, lanciò un proclama per la prosecuzione della guerra e infranse la tregua marciando su Varese.
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La difesa di Roma
La controffensiva austriaca lo costrinse tuttavia a riparare in Svizzera, da dove ripartì subito dopo, per fermarsi prima nella Toscana in rivolta contro i Lorena e passare poi a Roma per partecipare alla fondazione della Repubblica Romana, di cui fu eletto deputato alla costituente. Egli fu il principale organizzatore e il capo militare della difesa contro i francesi, alleati di Pio IX, riuscendo a resistere agli assedianti per un mese (giugno 1849): quando i francesi entrarono in città, Garibaldi, con 4000 uomini, si diresse a Venezia, ancora libera ma posta a sua volta sotto assedio dagli austriaci.
Durante la fuga Anita, stremata, morì nelle Valli di Comacchio. Pochi giorni dopo anche Venezia cadeva, rendendo inutile la lunga e angosciosa traversata dell'Appennino e del delta del Po per raggiungerla, durante la quale molti volontari si erano dispersi. Garibaldi si rifugiò quindi a Genova, dove accettò senza protestare la condanna all'espulsione. Dopo varie peregrinazioni raggiunse l'anno seguente gli Stati Uniti, dove lavorò per qualche tempo a New York, come operaio nella fabbrica di candele di Antonio Meucci, del quale fu ospite.
Nel 1854, dopo aver incontrato il maestro d'un tempo, Mazzini, si allontanò definitivamente dal suo programma insurrezionale antisabaudo pur senza rinnegarne gli ideali repubblicani. Tornò in patria, dove la sua fama era ormai divenuta tale che il primo ministro del Regno di Sardegna, Cavour, accettò di avere un colloquio segreto con lui (1856): dopo il loro incontro Garibaldi dichiarò pubblicamente che riteneva indispensabile, per il raggiungimento dell'indipendenza e dell'unità nazionale, sostenere il re Vittorio Emanuele II. L'anno dopo aderiva, come molti altri ex mazziniani, alla Società nazionale, filosabauda, assumendone la vicepresidenza.
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IL FAUTORE DELL’UNITÀ D’ITALIA
Nel 1858 Cavour affidò a Garibaldi la formazione di un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, a cui il comando supremo piemontese affidò, durante la seconda guerra d'indipendenza (1859), il compito di sostenere l'estrema ala sinistra dello schieramento, lungo l'arco prealpino. Riportate le vittorie di Varese e di San Fermo e liberate Como, Bergamo e Brescia, Garibaldi fu bloccato dalla firma dell'armistizio di Villafranca (8 luglio 1859), che provocò un raffreddamento dei suoi rapporti con il governo sardo, dove Cavour era stato sostituito dal generale Alfonso La Marmora.
Passato al comando dell'esercito formato dalle truppe regolari congiunte di Romagna, Parma, Modena, Bologna e Toscana, ribelli ai rispettivi governi, Garibaldi entrò nelle Marche per cercare di estendere i territori liberati, ma Vittorio Emanuele, timoroso delle reazioni internazionali, lo fermò. Garibaldi allora si ritirò nella modesta tenuta acquistata nell'isoletta sarda di Caprera; ciò non gli impedì di venire eletto deputato in rappresentanza della città natale, Nizza, proprio poco prima che essa, non senza sua grande amarezza, venisse ceduta a Napoleone III, insieme con la Savoia, a compenso dell'alleanza vittoriosa contro l'Austria.
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La spedizione dei Mille
Nell'aprile del 1860, quando a Palermo scoppiò la rivolta antiborbonica, con il tacito consenso e sostegno di Cavour, tornato a capo del governo piemontese, e di Francia e Gran Bretagna, Garibaldi organizzò la spedizione dei Mille. Salpò da Quarto, presso Genova, il 6 maggio con due brigantini sottratti alla compagnia Rubattino e, dopo una sosta al forte toscano di Talamone per rifornirsi di armi e imbastire un diversivo contro lo Stato Pontificio, raggiunse la Sicilia, protetto da navi inglesi, e sbarcò a Marsala. Il primo scontro con le truppe borboniche sulla via di Palermo fu a Calatafimi: tra il maggio e l'agosto del 1860 i garibaldini – detti, dal loro abbigliamento, "Camicie rosse" – riuscirono a occupare tutta l'isola, raccogliendo lungo la strada migliaia di volontari, e vi instaurarono un governo provvisorio, con Garibaldi dittatore, in nome di Vittorio Emanuele II.
L'esercito borbonico fu incapace di organizzare la resistenza e di impedire che Garibaldi passasse nel continente e occupasse anche Napoli il 7 settembre. Al Volturno, il 2 ottobre, egli sbaragliò definitivamente le truppe borboniche e il 26 a Teano consegnò a Vittorio Emanuele, giuntovi con l'esercito del generale Cialdini, che era sceso a occupare Romagna e Marche, l'intero Regno delle Due Sicilie. Quindi, colui che ormai tutti chiamavano l'"eroe dei due mondi", rinunciando a ogni onorificenza, si ritirò nuovamente a Caprera.
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LE ULTIME IMPRESE
Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento nazionale, al quale Garibaldi fu eletto deputato, proclamò Vittorio Emanuele re d'Italia. Il nuovo regno però non comprendeva ancora il Veneto, il Trentino, Roma e il Lazio. Inoltre, i governi succeduti a Cavour avevano Garibaldi e i suoi volontari in gran sospetto e respingevano la proposta di farne il nerbo di un esercito di popolo per completare l'unità d'Italia, di cui l'eroe presentò il progetto; egli divenne quindi ancor meno di prima rispettoso dei calcoli diplomatici sabaudi.
Nell'estate del 1862, dopo un vano tentativo di annettere il Trentino con un'operazione militare, Garibaldi, al motto di "Roma o morte", organizzò una nuova spedizione diretta contro lo Stato Pontificio. Quando però Napoleone III rese pubblica la sua decisione di impedire un attacco contro Roma, Vittorio Emanuele si vide costretto a sconfessare l'impresa e inviò contro i volontari garibaldini un reparto dell'esercito regolare. Nella battaglia dell'Aspromonte (29 agosto 1862) Garibaldi, ferito, venne arrestato e imprigionato per alcuni giorni. L'episodio costrinse l'Italia a garantire, con la Convenzione di settembre stipulata nel 1864 con la Francia, il rispetto di Roma papale.
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La terza guerra d’indipendenza
Nel 1866, nella terza guerra d'indipendenza, Garibaldi tornò alla testa dei volontari e il 21 luglio ottenne contro gli austriaci l'unica vittoria italiana, a Bezzecca, nel Trentino. Ricevuto l'ordine di fermarsi in seguito all'armistizio, telegrafò la famosa risposta: "Obbedisco". Poco tempo dopo, però, nonostante l'aperta disapprovazione del governo italiano, tornò a progettare una spedizione per liberare Roma, ma per la seconda volta venne intercettato dalle truppe italiane e costretto a fermarsi. Sfuggito al loro controllo, il 3 novembre 1867 si scontrò con le truppe francesi e pontificie a Mentana e, dopo un breve combattimento, fu sconfitto e costretto a rifugiarsi a Caprera.
Nel 1870, dopo la caduta di Napoleone III, Garibaldi lasciò il confino forzato nell'isola per offrire i suoi servigi alla Repubblica francese impegnata nella guerra franco-prussiana e sconfisse i tedeschi a Digione, unica vittoria francese di quella guerra. Nei suoi ultimi anni si avvicinò alle teorie socialiste, che andavano affermandosi in Italia e all'estero, e accettò la presidenza onoraria di molte Società di mutuo soccorso in tutta Italia. Pur sobbarcandosi numerosi viaggi, accolto ovunque, anche a Londra, con straordinarie manifestazioni di ammirazione, non abbandonò mai la semplicità della sua vita di contadino e pescatore a Caprera.
Tra i suoi scritti, di notevole interesse, più che gli ingenui e grossolani romanzi (Clelia o il governo del mondo, Cantoni il volontario e I Mille), sono le vivide e per nulla letterarie Memorie.
Mazzini, Giuseppe
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INTRODUZIONE
Mazzini, Giuseppe (Genova 1805 - Pisa 1872), uomo politico, patriota e rivoluzionario italiano, uno dei principali sostenitori dell'unità d'Italia.
La sua formazione politica maturò nell'ambiente familiare e nella lettura delle opere dei giacobini francesi e del poeta Ugo Foscolo. Il fallimento dei moti del 1820-21 orientò e incentrò la sua riflessione sugli ideali di patria e libertà. Affiliato nel 1827 alla Carboneria, contribuì a rafforzarne l'organizzazione cospirativa in Liguria, Toscana e Lombardia fino a che, nel 1830, non venne arrestato a Genova in seguito a una delazione. Dopo aver trascorso alcuni mesi in carcere in attesa di processo, al momento della scarcerazione gli fu imposta dalle autorità la scelta tra il confino e l'esilio. In questo periodo operò il distacco dalla Carboneria e cominciò a delineare un nuovo progetto di unità nazionale, da realizzare con il consenso di tutta la popolazione italiana.
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LA GIOVINE ITALIA
Scelto l'esilio, si recò prima in Svizzera e quindi a Marsiglia dove fondò la Giovine Italia (1831), associazione politica che si poneva come obiettivo l'educazione del popolo in vista di un'insurrezione generale, che portasse a un'Italia unita, repubblicana e democratica. Attraverso il periodico della Giovine Italia propagandò le sue idee finalizzate a superare il modello rivoluzionario delle sette, da lui giudicate elitarie, a favore di una più ampia adesione popolare al moto risorgimentale: i concetti di popolo e di nazione furono al centro della sua analisi politica, che si sviluppò in direzione della scelta repubblicana. Per un breve periodo la sua attività clandestina tra i fuoriusciti italiani lo avvicinò al rivoluzionario Filippo Buonarroti e alle sue organizzazioni politiche, da cui tuttavia dovevano in seguito separarlo forti divergenze sul piano ideologico.
Nel 1833 Mazzini fece opera di propaganda fra i soldati dell'esercito sardo, ma il complotto venne scoperto e vi furono decine di arresti e numerose condanne a morte. Una seconda azione rivoluzionaria, basata sull'intervento di un esercito di volontari che avrebbe dovuto penetrare in Savoia passando dalla Svizzera, fallì nel 1834 e lo stesso Mazzini venne condannato a morte in contumacia. La Giovine Italia subì un duro colpo ma Mazzini, per il quale gli ideali patriottici si fondevano con quelli religiosi, era ormai certo che il popolo fosse il depositario della provvidenza divina e che il raggiungimento dell'unità nazionale dovesse essere solo il primo passo verso un'Europa composta da nazioni libere, democratiche e repubblicane. Ispirato da questi princìpi, ampliò il proprio obiettivo e unendosi ad altri rivoluzionari stranieri fondò a Berna la Giovine Europa (1834).
Nel 1835 pubblicò il saggio Fede e avvenire, in seguito più volte ristampato, che rappresenta un importante manifesto teorico delle sue idee. Alla fine del 1836 dovette lasciare la Svizzera, dove si era rifugiato, e si trasferì a Londra, dedicandosi a studi letterari, all'attività di giornalista e conferenziere, e organizzando scuole per i figli degli emigrati italiani. Il soggiorno londinese fu decisivo nella maturazione del suo pensiero politico, che si aprì alla questione sociale, assumendo i diritti dei lavoratori tra i punti di forza della sua lotta, come teorizzò negli scritti raccolti sotto il titolo I doveri dell'uomo: sintesi del pensiero mazziniano, l'opera ebbe grande fortuna.
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L'ATTUAZIONE DEGLI IDEALI MAZZINIANI
Nel biennio rivoluzionario 1848-49 Mazzini, dopo un soggiorno in Francia dove fondò l'Associazione nazionale italiana, fece ritorno in Italia per partecipare insieme con Carlo Cattaneo al movimento patriottico di Milano, quindi per dar vita a un governo democratico a Firenze e dirigere poi la breve esperienza della Repubblica Romana, durante la quale prese parte con Aurelio Saffi e Carlo Armellini al triumvirato che governò Roma fino al 30 giugno 1849, quando la Repubblica dovette arrendersi all'esercito francese. Nuovamente costretto a fuggire si ritirò in Svizzera, dove nel 1850 fondò un'associazione patriottica europea chiamata Comitato democratico europeo, insieme con l'ungherese Lajos Kossuth e il francese Ledru-Rollin. Rientrò quindi a Londra nel 1851, da dove continuò a organizzare l'opera di propaganda per l'indipendenza e l'unità italiana attraverso l'associazione Friends of Italy. Diede il suo appoggio all'insurrezione antiaustriaca scoppiata nel Regno Lombardo-Veneto tra la fine del 1852 e l'inizio del 1853, il cui fallimento costò la vita a molti patrioti (vedi Martiri di Belfiore): a questa ennesima sconfitta Mazzini reagì fondando il Partito d'azione, tramite il quale ispirò e appoggiò alcuni tentativi insurrezionali, tra cui la spedizione di Carlo Pisacane in Campania.
Nel 1857, recatosi a Genova, cercò con un colpo di mano di impadronirsi di un deposito di armi, ma l'azione venne scoperta e gli fruttò una seconda condanna in contumacia. Mazzini riparò nuovamente a Londra e allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza, pur deprecando l'alleanza franco-piemontese (vedi Accordi di Plombières), che a suo giudizio asserviva l'Italia allo straniero, invitò il popolo a combattere contro l'Austria. Nel 1860 raggiunse Giuseppe Garibaldi a Napoli, nell'infruttuoso tentativo di spingerlo a continuare l'impresa dei Mille e liberare Venezia e Roma. Di nuovo in esilio a Londra, nel 1864 partecipò alla fondazione della Prima internazionale, ma presto si trovò in aperto contrasto con le tesi di Karl Marx e se ne allontanò; egli esercitò una forte influenza nelle società operaie italiane che si stavano organizzando all'inizio degli anni Settanta, e al cui interno era rappresentata una forte corrente repubblicana che si ispirava al pensiero e all'azione di Mazzini.
Nel 1870 organizzò e condusse personalmente una spedizione militare per liberare Roma, che nelle sue intenzioni doveva partire dalla Sicilia: fermato a Palermo, venne incarcerato a Gaeta; uscì poco dopo grazie a un'amnistia, ma fu di nuovo costretto all'esilio, prima a Londra e poi a Lugano. Stabilitosi in Italia nel 1872 sotto il falso nome di dottor Brown, trascorse i suoi ultimi giorni a Pisa, circondato dagli amici a lui più vicini.
Pellico, Silvio
Pellico, Silvio (Saluzzo, Cuneo 1789 - Torino 1854), scrittore e patriota italiano. Dal 1809 frequentò l'ambiente romantico milanese. La tragedia Francesca da Rimini, destinata a grande fortuna, fu stampata nel 1817, quando Pellico era già tra i collaboratori del "Conciliatore", giornale portabandiera dei romantici. Pubblicò qui, tra l'altro, il romanzo satirico Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro (1819), lasciato incompiuto per l'intervento della censura.
Iscritto alla società segreta della Carboneria, diventò amico del patriota Piero Maroncelli. L'arresto, l'esperienza della prigionia allo Spielberg (fu graziato nel 1830), il conforto della ritrovata fede religiosa sono raccontati in Le mie prigioni (1832), romanzo che ebbe enorme successo a livello europeo e che secondo Metternich avrebbe arrecato all'Austria più danni di una battaglia perduta. Nel periodo della reclusione scrisse buona parte delle tredici cantiche pubblicate tra il 1830 (Tancreda, Rosilde, Eligi e Valfrido, Adello) e il 1844 (Tasso e tre amici). Parecchie sue opere di vario genere sono rimaste inedite, come pure un ricco epistolario.

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