Carlo V

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Testo

CARLO QUINTO
IL PIGLIATUTTO
L'AVVENTURA STORICA, POLITICA E UMANA DEL MONARCA SPAGNOLO CHE COSTRUÌ UN IMPERO
"SUL QUALE NON TRAMONTAVA MAI IL SOLE"
L'amore era una faccenda assolutamente irrilevante nei fidanzamenti e nei matrimoni fra i rampolli delle grandi monarchie e delle grandi famiglie nobiliari dei secoli passati. Il matrimonio era considerato una specie di joint venture, ossia un’alleanza economico-finanziaria (e militare) costituita dall'unione fra la figlia, o il figlio, di sua maestà Caio e di sua maestà Sempronio. Dall'operazione nasceva un "polo" di potenza superiore a quella delle due monarchie prese singolarmente… e dal momento del fatidico sì anche i due Stati interessati erano vincolati dal giuramento di essere uniti "nella buona e nella cattiva sorte" (leggasi gravi crisi, guerre, contenziosi territoriali di vario tipo portati da un terzo contro uno dei Paesi "sposi").
Così accadde nel 1479 quando ci fu l'unione delle due corone di Spagna, avvenuta nel 1479 a seguito del matrimonio intercorso tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia, unione che apportò nuova forza e linfa all'interno del fervente cattolicesimo spagnolo. Questo rafforzamento arrivò quasi a dare uno slancio "nazionalistico" alla cosiddetta impresa della "Reconquista"; ovvero l'occupazione dei territori a sud della penisola ancora nelle mani dei "moriscos" (così gli spagnoli erano soliti definire gli arabi). Infatti, con la caduta di Granada (1492), venne ad esaurirsi la presenza araba nella penisola iberica e nello stesso tempo si sancì l'inizio di una ascesa della potenza spagnola in Europa, che culminò con un periodo di egemonia che si protrasse dalla seconda metà del '500 fino alla prima metà del '600.
Il 1492, come noto, fu determinante per la Spagna non solo in quanto si completò la "Reconquista", ma anche perché la scoperta del "Nuovo Mondo", diede il via ad una enorme campagna di sfruttamento delle ricchezze dei territori del "nuovo impero", certamente basilari per comprendere la rapida ascesa dell'iper-potenza iberica dei decenni seguenti. La figlia di Ferdinando e Isabella, Giovanna di Castiglia e Aragona detta la Pazza andò in sposa a Filippo il Bello d'Asburgo, figlio di Massimiliano I d'Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero e di Maria Bianca di Borgogna. Questa unione fu una delle operazioni di politica matrimoniale meglio riuscita della storia: infatti, in questo modo il figlio di Giovanna e di Filippo sarebbe divenuto possessore di un territorio di proporzioni incredibili. In verità, nell'acquisizione di una tale eredità il figlio primogenito di Giovanna e Filippo, Carlo, fu anche molto aiutato dal fato e dalla fortuna.
Infatti, l'unico figlio maschio di Ferdinando e Isabella morì nel 1497 senza prole; poco dopo muore di parto la sorella maggiore andata sposa, in seconde nozze, a Emanuele I del Portogallo (1495-1521) e nel 1500, lo stesso anno in cui nasce Carlo, scomparve suo figlio erede della corona di Castiglia, Aragona e Portogallo. Nel 1504 morì Isabella, provocando una crisi tra Castiglia e Aragona, in seguito alla quale la figlia Giovanna, madre di Carlo, venne proclamata "señora natural proprietaria de estos reinos" (signora naturale proprietaria di questi regni); Giovanna poco dopo venne colpita da follia, mentre suo marito erede di Massimiliano d'Asburgo e padre di Carlo, muore nel 1506.
Carlo nasce il 24 febbraio del 1500 a Gand, città che gli rimase sempre profondamente nel cuore. Infatti, Gand e più in generale le Fiandre rimasero il luogo in cui si sviluppò il giovane Carlo e il luogo che più di ogni altro lo influenzò sia dal punto di vista culturale che sociale. Certamente fiamminga fu l'educazione impartitagli dalla zia Margherita d'Austria, che si preoccupò di circondare il Principe di una grande atmosfera meditativa, con larga presenza di maestri spirituali e dotti umanisti, di cui era ricca la terra di Fiandra. Accanto alla zia un'altra grande figura influì sull'adolescenza di Carlo, Adriano di Utrecht, futuro papa Adriano VI, che infuse una forte religiosità sul giovane. Questo tipo di formazione profondamente meditativa e contemplativa unita al suo carattere già profondamente introverso (Carlo nacque con il sole splendente nei primi gradi del segno dei Pesci, segno considerato dagli astrologi come profondamente riservato e riflessivo) diede vita ad un personaggio di buon spessore culturale, anche se intriso di un fervente cattolicesimo, quasi mistico-bigotto, che lo portò (in casi di particolare difficoltà) anche a lunghi periodi di abbandono eremitico e di preghiera.
Durante la sua gioventù Carlo si sentì attratto più dagli esercizi fisici e dagli sport che dai libri e dalle lingue,(conosceva solo il francese, solo alla fine del suo regno cominciò a parlare anche un ottimo spagnolo) si dedicava con impeto e successo all'equitazione e alla caccia.
Eppure anche se amante degli esercizi fisici, era spesso malato, ed in gioventù fu persino epilettico. A sei anni Carlo, dopo la morte di Filippo il Bello, avvenuta il 25 settembre 1506, il 16 novembre diviene erede presuntivo dei beni spagnoli e di quelli asburgici. A sedici anni venne proclamato re di Spagna, succedendo al nonno materno Ferdinando il Cattolico. Tre anni dopo muore anche il nonno paterno, l'imperatore Massimiliano, in conseguenza di ciò Carlo pone la sua candidatura al titolo imperiale, che ottenne(nonostante molte opposizioni) grazie al denaro dei banchieri tedeschi Fugger, già finanziatori di Massimiliano, con il quale compera il voto dei principi elettori.
I domini di Carlo di Gand (che poi divenne imperatore con il nome di Carlo V) erano, quindi un complesso blocco eterogeneo frutto di quattro eredità distinte: dal nonno paterno Massimiliano I d'Asburgo ereditò i domini aviti degli Asburgo nella Germania sud-orientale, una costellazione di principati e città libere, dall'estensione assai ridotta rispetto all'impero medioevale, dalla nonna paterna Maria Bianca ereditò i territori borgognoni compresi nell'area dei Paesi Bassi, un agglomerato di repubbliche mercantili urbane e di signorie feudali, spesso travagliate da lotte intestine; dalla nonna materna, Isabella, Carlo ottenne la Castiglia e le conquiste castigliane, nell'Africa settentrionale, nell'area caraibica e nell'America centrale; dal nonno materno ereditò l'Aragona e i domini aragonesi d'oltremare e cioè Napoli, la Sicilia e la Sardegna. Carlo erediterà prima i territori delle Fiandre, acquisendo il nome di Carlo di Gand, poi in seguito ad un lungo e travagliato viaggio (la traversata dai Paesi Bassi alla Spagna, fu segnata da burrasche che non davano tregua) si recò per la prima volte in Spagna per prendere possesso dei suoi domini, senza però essere accolto in maniera entusiastica. Ecco come Jonh Elliot ci racconta l'incontro di Carlo con i suoi sudditi ispanici: “Il nuovo re, che era allora un giovane goffo e sgraziato, con una mascella insolitamente pronunciata, alla sua prima comparsa in Spagna non fece una buona impressione. A parte il fatto di sembrare un semplice di spirito [frutto della gioventù passata in assoluta spensieratezza dovuta alla sua permanenza tra le genti dei Paesi Bassi di indole gioiosa], egli aveva l'imperdonabile difetto di non saper parlare castigliano. Inoltre era totalmente all'oscuro delle cose spagnole ed era circondato da uno stuolo di fiamminghi rapaci”. Come accenna l'Elliot, l'arrivo della corte fiamminga in Spagna al seguito di Carlo provocò non pochi problemi. I favoritismi che il re accordò ai suoi fedelissimi, sommate alle ruberie e alle sperequazioni dei fiamminghi, irritarono profondamente la suscettibile e orgogliosa nobiltà spagnola, che non sopportò di vedersi soppiantata da uno stuolo di stranieri.
Tutto ciò portò in seguito a quello che divenne il primo grave problema da affrontare per Carlo: la rivolta dei comuneros (gli abitanti dei comuni). Anche per Elliot, infatti, "la scintilla per lo scoppio della rivolta fu l'odio furente per gli stranieri e per un governo straniero che prosciugava il Paese della sua ricchezza". Per Guido Gerosa l'odio spagnolo verso il nuovo imperatore fu dato soprattutto dal fatto che il re "non teneva" alcun conto della personalità e degli usi degli orgogliosi spagnoli; spagnoli che quindi continuavano a considerare l'imperatore come un oppressore straniero". La rivolta dei comuneros fu una voluta in gran parte dalla nobiltà spagnola che facendo leva sulla presenza di un governo straniero giudicato oppressivo, e accusandolo di tiranneggiare la Spagna, incitò alla ribellione gli strati più poveri della popolazione castigliana. La rivolta scoppiò nel 1520, (in seguito ad una richiesta di denaro fatta da Carlo alle Cortes [corti] castigliane, per potersi recare in Germania) si affermò soprattutto nelle città della Castiglia e non nelle campagne (in particolare Valencia, Toledo e Salamanca) fu certamente cruenta e in alcuni casi, i rivoltosi arrivarono a cacciare i residenti regi di alcune città.
La svolta si ebbe nella primavera del 1521, quando il movimento anti-fiammingo e anti-regio, si trasformò in un movimento anti-aristocratico, andando quindi a perdere il supporto caratteristico e decisivo della nobiltà, che di contro si andò a schierare tra le file regie ponendo termine ad ogni velleità di successo dei rivoltosi. Anche se questo successo di Carlo, non fu determinante nella conquista della fiducia della nobiltà castigliana, fu certamente fondamentale nel rafforzamento della posizione dell'imperatore in Castiglia. Due anni dopo l'arrivo di Carlo in Spagna, in seguito alla morte del nonno dell'imperatore Massimiliano I, il 28 giugno 1519, fu proclamato imperatore del Sacro Romano Impero (si calcola che per ottenere la carica imperiale Carlo avesse sborsato qualcosa come un milione di fiorini d'oro, tutto denaro fornitogli dai banchieri Fugger, che si ripagarono con il favore imperiale e con vasti possedimenti). Per tutta la durata del suo regno, Carlo considerò fondamentale il tentativo di unificazione politico-religioso del suo impero, sentendosi signore politico e morale dell'intero mondo cristiano.
Dal punto di vista politico, cercò di dotare il suo impero di una struttura burocratica che, per quanto essenzialmente supernazionale, come affermò Brandi, "condusse i suoi Stati ad una più elevata idea dello Stato", infatti, può essere considerato colui che dette il reale avvio alla fondazione dello Stato nazionale spagnolo, portando avanti ciò che Ferdinando e Isabella avevano appena iniziato, ed in fine creando il primo vero impero coloniale moderno. Infatti, mentre nei primi anni dell'impero il suo cancelliere Mercurino Arborio da Gattinara (1465-1530) progettò un'amministrazione unitaria e addirittura un unico sistema monetario, Carlo si rese conto che occorreva lasciare ai singoli Stati i propri ordinamenti, per non lenire la loro autonomia, andando a provocare attriti e risentimenti nelle sue province.
Preferì perciò governare attraverso i consigli territoriali, che facevano capo ai suoi più stretti collaboratori, in particolare ai due segretari di Stato, competenti, l'uno per gli affari spagnoli (comprese Italia e America) e l'altro per gli affari borgognoni (compresa la Germania). Lo stesso Mercurino da Gattinara ebbe secondo Guido Gerosa un'enorme importanza ideologica nella storia dell'imperatore; fu lui che gli inculcò l'ideale di un impero universale cristiano, idea medioevale che giungeva direttamente da Carlo Magno, Carlo s’innamorò subito di quest’idea e la visse con un senso vivo e profondo di fede. Durante il suo regno Carlo V, ebbe tre grandi ostacoli da affrontare, ostacoli che uniti insieme potrebbero certamente sembrare insormontabili: - la Francia, il più grande Stato europeo del tempo (sia per risorse umane, economiche che per compattezza politica) era un Paese che poteva aspirare all'egemonia europea e in ogni caso, capace di poter contrastare efficacemente ogni tentativo imperialistico da parte di potenze rivali; negli stessi anni in cui Carlo veniva investito di tutti i suoi poteri, nei domini della Germania, scoppiò un sommovimento politico e sociale che traeva forza e omogeneità da una nuova confessione religiosa. E proprio quando Carlo stava tentando di restaurare la politica di un impero cristiano, questo movimento andava a ledere l'unità religiosa europea, fondamentale per il nuovo imperatore.
Fu, infatti, nel 1517 (nello stesso anno in cui Carlo si stava recando in Spagna per prendere possesso dei propri territori) che a Wittenberg, il teologo e monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546), secondo l'uso accademico dell'epoca, il 31 ottobre affisse alle porte della cattedrale un suo scritto contro la vendita delle indulgenze (95 tesi), invitando chiunque fosse interessato alle questioni in esse contenute a discuterle pubblicamente. All'interno del conflitto portato avanti dall'imperatore contro i protestanti non si deve però dimenticare che all'inizio del suo regno Carlo di Gand aveva manifestato ammirazione e considerazione per il pensiero e la persona di Erasmo da Rotterdam. L'avvicinamento dell'imperatore ad Erasmo, certamente spiega la preminenza intellettuale che questi esercitava sull'Europa del primo Cinquecento, e spiega la facilità con cui le idee erasmiane si diffusero, e tutto ciò facilitò, sia pure indirettamente, la penetrazione delle tendenze riformatrici; - contemporaneamente l'impero Ottomano, che da tempo stava espandendosi nei Balcani e nel Mediterraneo, minacciava e danneggiava i traffici e i commerci cristiani, mettendo inoltre in pericolo alcune zone dominate dallo stesso imperatore (ad esempio l'Italia Meridionale).
Nel 1521, scoppierà il primo dei quattro conflitti che opporranno per più di un ventennio Carlo V al re francese Francesco I. La posta in gioco, durante questi conflitti era un territorio limitatamente piccolo ma con un enorme importanza strategica, in particolare per Carlo: il ducato di Milano. Il ducato sforzesco, infatti fungeva da importante cerniera tra i territori ispanici quelli dell'impero, assicurando inoltre un maggior controllo dei domini di Carlo nel sud Italia, in seguito, sul finire del Cinquecento, con lo scoppio della guerra degli Ottant'anni tra Spagna e Province Unite, Milano divenne basilare anche nell'invio degli uomini e delle attrezzature nelle Fiandre,( tra cui si misero in luce gli armaiuoli milanesi Missaglia e Negroli) venendo per questo denominata dallo studioso spagnolo Ribot Garcia Luis "piazza d'armi dell'esercito spagnolo".
Francesco I il 13 settembre 1515 a Marignano (oggi Melegnano) aveva sconfitto l'esercito sforzesco (formato da ventimila mercenari Svizzeri) e conquistato l'ambito territorio. Nel 1521, Francesco dichiarò guerra all'impero, invase la Navarra spagnola e quindi inviò le truppe in Lussemburgo Carlo, reagì; conquistò Milano e la riconsegnò nelle mani degli Sforza, conferendo loro l'investitura imperiale. Quindi i francesi passarono al contrattacco, ma vennero pesantemente sconfitti alla Bicocca (1522) e a Pavia (1525) soprattutto a causa della potentissima fanteria spagnola; largamente armata di archibugio, (fatto che conferiva una enorme superiorità alle truppe ispaniche). La battaglia di Pavia, fu un terribile massacro, inconsueto per le battaglie dell'epoca, che solitamente si concludevano con molti duelli e pochi morti. A Pavia invece si creò subito un carnaio.
Francesco si battè come un leone ed ebbe il suo cavallo ucciso sotto di sè, e probabilmente sarebbe stato ucciso lui stesso se non lo avessero riconosciuto per la bardatura e la ricchezza della sua corazza. Il comandante Antonio de Leyva lo fece circondare e lo dichiarò prigioniero "Maestà, vi siete battuto con coraggio ed eroismo. Ora consegnatemi la spada". Sul campo di battaglia quella notte rimasero diecimila i morti. La metà della miglior nobiltà guerriera di Francia era stata uccisa o fatta prigioniera. Francesco venne fatto prigioniero e venne rinchiuso nel piccolo castello di Pizzighettone sull'Adda, prima di essere condotto in Spagna, dove fu costretto ad accettare il trattato di Madrid del 14 gennaio 1526.
Con questo trattato, Francesco rinunciò ad ogni pretesa sull'Italia e restituì a Carlo la Borgogna e i domini connessi, (rinunciando inoltre ai diritti sulla Fiandra e l'Artois) che lo stesso Francesco aveva occupato nel corso della guerra. Per riacquisire la libertà inoltre Francesco fu costretto a lasciare in ostaggio i suoi figli a Carlo, ed anche per questo oltraggio, Francesco tornato in patria giurò vendetta all'imperatore e cominciò ad organizzare subito una nuova offensiva. Cercò alleati ovunque, raccogliendo tutti coloro che temevano lo strapotere di Carlo in una lega denominata lega di Cognac (1526), di cui fecero parte: l'Inghilterra, Firenze, Venezia oltre a due ex-alleati di Carlo, il duca di Milano e il papa Clemente VII. L'imperatore reagì con durezza distruggendo facilmente l'esercito della lega e saccheggiando Roma barbaramente (1527) episodio che rimarrà indelebile nella memoria collettiva dell'epoca e che susciterà clamore nella cristianità. Ottomila mercenari Bavaresi, Svevi e Tirolesi arrabbiati ed esasperati dalla fame e dal ritardo nel pagamento dei loro stipendi, tutti ottimi combattenti e luterani, che quindi vedevano il Papa come l'anticristo e Roma come la Babilonia corruttrice, videro balenarsi agli occhi, prospettata dal loro comandante Carlo di Borbone, la possibilità delle immense ricchezze che potevano venire dal saccheggio di Roma.
Quest'orda impazzita raggiunse rapidamente le porte di Roma, ove venne affiancata da centinaia di fuorilegge italiani, anch'essi attratti dalla speranza di un ricco bottino. Quindi il 5 maggio 1527, le truppe imperiali che erano ora formate da 14.000 banditi assaltarono la città, e dopo essere stati respinti due volte, presero il sopravvento e superarono le mura. Seguirono otto giorni di orge e di massacri. Le orde di banditi erano completamente abbandonate a loro stesse e non vi era alcuno che potesse fermarle. Carlo che avrebbe voluto dare una lezione a Clemente, ne fu costernato; lui, profondamente cattolico, non poteva certo accettare un tale scempio.
Così egli agì in fretta e inviò in Castel Sant'angelo un presidio imperiale per difendere l'incolumità del Pontefice, quindi inviò un'ambasciata presso Clemente per esprimere tutto il suo profondo rammarico per l'episodio. La fortuna comunque arrise a Carlo che il 20 giugno 1528, riuscì a respingere un nuovo attacco portato dai francesi a Milano (battaglia di Landriano). Con tali successi Carlo V si assicurò l'appoggio del Papa e di lì a poco anche quello della potente flotta di Genova, guidata dall'ammiraglio patrizio Andrea Doria (1466-1560), che passò agli imperiali in cambio di denaro e di garanzie d'indipendenza per la repubblica aristocratica che intendeva instaurare a Genova.
In questo stesso periodo anche la vita privata dell'imperatore giunse ad una svolta: i primi di febbraio del 1526, Carlo si unì in matrimonio con la ventitreenne principessa Isabella del Portogallo e un anno più tardi, per l'esattezza il 21 maggio 1527, nacque a Valladolid l'erede di Carlo, Filippo, apportando gioia e spensieratezza nella vita dell'imperatore, oltre ad un periodo di tranquillità e di vita domestica. La Francia e l'impero, dopo otto anni di guerra, erano entrambe stremate anche economicamente e giunsero quindi ad un accordo: nel 1529, infatti, vennero stipulati i trattati di Barcellona e di Cambrai.
Con il primo Carlo, assieme a Clemente VII, si impegnò a restaurare i Medici a Firenze abbattendo la repubblica fiorentina; con il secondo Carlo decise di concedere la Borgogna a Francesco I il quale, in cambio, si impegnò a non intromettersi più negli affari italiani. Sembra strano poter pensare che l'onnipotente Carlo potesse avere dei problemi di ordine finanziario, ma non si deve dimenticare che l'imperatore rimase molto "povero" anche rispetto al suo rivale Francesco; costretto ad oberarsi di debiti non solo con i banchieri tedeschi, ma anche con molti banchieri genovesi. L'oro e l'argento dal Nuovo Mondo infatti, cominciarono ad affluire nelle casse spagnole solo intorno al 1528 e quasi mai riuscirono a ripagare gli ingenti debiti della corona e le continue ed enormi spese di guerra.
Tanto è vero che la lotta con Francesco fu disuguale dal punto di vista finanziario. Francesco aveva sempre potuto fruire di aiuti grandiosi: tra cui la benevolenza del Papa e il sostegno di banchieri potenti, disponendo di fiumi d'oro. Carlo, rimase sempre a corto di denaro, aveva dovuto farsi aiutare dai Paesi Bassi e dalla Spagna, quasi chiedendo loro l'elemosina e questi Paesi erano comunque assai riluttanti a finanziare le sue imprese con pesanti tasse. In seguito a questi trattati Carlo si sentì ormai unico padrone d'Italia (concesse a Carlo III di Savoia [1504-1553], che si era mantenuto neutrale durante lo scontro, la contea di Asti da tempo in mano francese e confermò gli Sforza a Milano, a patto che in caso di morte senza eredi del duca, tutti i possedimenti passassero sotto la corona Asburgica); per questa motivazione nel 1530 si fece incoronare re d'Italia a Bologna da Clemente VII.
Nello stesso periodo l'imperatore cominciò ad esercitare pressioni sulla Chiesa per l'apertura di un concilio atto ad affrontare il problema religioso tedesco. I problemi per l'impero asburgico certamente non erano tutti risolti. Nell'anno in cui Carlo sconfisse la Lega di Cognac, (il 29 agosto 1526) gli Ottomani, scesi in campo anche per sollecitazione francese (Francesco in questo modo intendeva dare nuovi grattacapi all'imperatore) inflissero una grandissima sconfitta alla cristianità, battendo a Mohacs l'esercito del re di Boemia e Ungheria Luigi II Jagellone (1516-1526).
L'esercito di Luigi, forte di 25.000 uomini, venne completamente distrutto (24.000 furono i morti e lo stesso sovrano, fortemente imparentato con gli Asburgo, fu ucciso in battaglia), da oltre 100.000 musulmani guidati da Solimano il Magnifico, che il 12 settembre saccheggiarono barbaramente Buda. In Ungheria Giovanni Szapolyai, capo del partito nazionale anti-asburgico venne eletto vassallo dell'impero Ottomano e gli venne affidato il controllo dell'intero Stato. A questo punto Ferdinando d'Asburgo, fratello di Carlo V, che aveva il controllo della parte orientale dell'Impero (territori dell'ex-sacro Romano Impero), passò al contrattacco sconfiggendo Giovanni nel 1527 e innescando lo scontro con il sultano.
Quest'ultimo, nel 1529, arrivò ad assediare Vienna (salvata solo dal sopraggiungere della cattiva stagione) e stipulò un'alleanza con i francesi nel 1532. Durante lo stesso anno i Turchi giunsero nuovamente a minacciare le mura della capitale austriaca e fu nuovamente l'inverno a salvare Vienna (le campagne militari duravano dalla primavera all'autunno e la distanza tra Istanbul e Vienna era tale che i Turchi non avevano tempo necessario per sferrare l'attacco decisivo, reso difficile anche per i problemi dati dalle condizioni di trasporto e di rifornimento). Solimano si rese conto della difficoltà dell'impresa e nel 1533, e si accordò con Ferdinando concedendogli un terzo dell'Ungheria. Nello stesso tempo Solimano scatenò la flotta corsara di Algeri capeggiata da un suo suddito: Khair-ad-din detto il Barbarossa e in questo caso Carlo V fu addirittura costretto ad intervenire personalmente, per evitare che i traffici cristiani non fossero troppo danneggiati. Nel maggio del 1529, la città di Algeri venne presa dall'invincibile esercito del Barbarossa e l'anno successivo Carlo decise di passare al contrattacco inviando una flotta capeggiata dal Genovese Andrea Doria.
La spedizione contro Celcel, il più importante nido di pirati ad ovest di Algeri, fu vittoriosa. La minaccia del "turco" rimase comunque molto forte e le orde del Barbarossa, continuarono a devastare e saccheggiare l'Andalusia, la Puglia la Calabria e la Sicilia. Nel 1535 Carlo fu finalmente pronto ad attaccare il turco: Alla testa di un esercito enorme, grazie anche all'appoggio fornito da molti Stati europei (il Portogallo fornì 20 caravelle, truppe scelte e cannoni, il Papa Paolo III ha inviato 20 galere, che vanno ad unirsi agli innumerevoli vascelli genovesi: in tutto l'esercito comprese 64 galere e 300 vascelli da trasporto, con circa 30.000 uomini imbarcati, tra cui è da notare la presenza dei cavalieri di Malta) rese la spedizione simile ad una crociata. Riuscì a prendere Tunisi, dopo un assedio di tre settimane, (massacrando migliaia di persone inermi) ma liberò solo in parte il Mediterraneo dai pericoli. Infatti tre anni più tardi una flotta Ottomana distrusse una flotta formata da navi genovesi, spagnole e ponteficie e nel 1541 fallì una nuova costosa spedizione inviata da Carlo per espugnare Algeri. Nel frattempo, nel 1529 il fratello di Carlo, Ferdinando, grazie alle truppe inviate da Carlo e la collaborazione dei Principi luterani, (che si accordarono con l'impero per difendere Vienna) riuscì a respingere un nuovo attacco dei turchi alla città. L'imperatore non ebbe tregua e mentre affrontava i Musulmani, nel 1536 ricominciò la guerra con la Francia.
La causa del nuovo conflitto fu la morte senza eredi (1535) dell'ultimo Sforza. L'Imperatore, secondo i patti stipulati con gli Sforza, prese possesso dello Stato di Milano. A questo punto Francesco I reagì occupando la Savoia e il Piemonte. Carlo rispose invadendo la Provenza, ed in seguito, solo grazie alla mediazione del nuovo Papa Paolo III, si arrivò ad un nuovo patto: la Tregua di Nizza (1538). L'accordo sarebbe dovuto durare dieci anni, ma in realtà Francesco I cercò di romperlo il prima possibile, trovando ben presto un buon pretesto per scatenare di nuovo la guerra. Nel 1542, Francesco I con i suoi alleati musulmani provò ancora un attacco contro l'imperatore prendendo Nizza e poi svernando a Tolone con il suo esercito.
Ma ormai entrambi i contendenti non se la sentirono più di combattere ad oltranza, anche perché i costi di guerra erano divenuti enormi. Così si arrivò alla Pace di Crépy nel 1544, in seguito alla quale Carlo cedette a Francesco I la Borgogna, mentre continuò l'occupazione della Savoia e del Piemonte; di contro il Ducato di Milano rimase a Carlo. Nel maggio del 1539 Carlo subì la ferita più profonda della sua vita: la scomparsa della moglie adorata, morta di parto. Egli rimase inginocchiato per lunghe ore davanti al letto su cui giaceva la regina e infine se ne staccò con immensa fatica e dolore. Quindi si ritirò nel monastero di S. Gerolamo a La Sisla. Là rimase per sette settimane, immerso in preghiera e in meditazione. Nemmeno durante questi periodi bui e tristi, l'imperatore perdeva però il suo insaziabile appetito; Carlo era capace di mangiare anche due o tre pasti di seguito , era avido e smodato e ingoiava arrosti di vitello, cacciagione, montone e agnello, annaffiati con pinte di vini raffinatissimi. Carlo sfogava la sua carica animale mangiando e bevendo troppo, riuscendo a tracannare quantità enormi di birra gelata (anche tre, quattro litri a pasto). Un cronista dell'epoca impressionatissimo disse:
"Ogni sorso dell'imperatore equivale a una buona pinta di vino del Reno". I medici e i cortigiani del suo entourage lo supplicavano di moderarsi, ma lui non li ascoltava affatto. Al mattino appena desto si faceva servire un cappone cotto nel latte con zucchero e forti droghe; il resto del nutrimento quotidiano era proporzionato alla robustezza della prima colazione. Si possono facilmente intuire i risultati di un simile regime: a trent'anni Carlo ebbe i primi attacchi di gotta e per tutto il resto della vita dovette lottare contro le sofferenze conseguenti. Le forti droghe e spezie che insaporivano pesantemente i cibi dell'imperatore avevano lo scopo principale di dare un certo gusto alle vivande che ingurgitava perché fin da bambino la mascella prominente gli aveva impedito di masticare e gustare propriamente i cibi: i forti sapori erano quindi necessari affinché Carlo potesse soddisfare la sua insaziabile golosità.
Ritornando sul fronte politico, se il problema franco-turco, seppur estremamente temibile, era comunque da considerarsi un problema esterno e certamente controllabile grazie all'enorme potenziale in possesso dell'imperatore (che poteva vantare ricchezze in oro, argento e pietre preziose e che arrivò ad armare oltre 150.000 uomini, una cifra inimmaginabile per l'epoca). Ben più difficile e intricata si presentava la situazione in Germania. Carlo, che pure non nutriva odio e ostilità verso le idee luterane, voleva tenersi amico il pontefice e soprattutto non poteva irritare i suoi sudditi spagnoli e fiamminghi, profondamente cattolici.
Nello stesso tempo doveva tener conto però dei molti Principi tedeschi che nutrivano una forte simpatia verso i principi della Riforma. Carlo incontrò per la prima volta Lutero nel 1521, durante la dieta imperiale di Worms. Chiamato a rinnegare le sue tesi, il monaco rifiutò di ritrattare e perciò venne colpito da bando imperiale oltre che da scomunica papale; ma sfuggì alla condanna grazie a l'elettore di Sassonia Federico il Savio. Come già abbiamo visto, nel periodo immediatamente seguente, Carlo fu oberato da impegni contro i Francesi e i Turchi e quindi la Riforma guadagnò terreno, arrivando anche a minacciare l'ordine costituito in seguito a due sommosse: la prima detta dei cavalieri (per la partecipazione delle classi medio-alte) nel (1522-23) e la seconda detta dei contadini nel (1524-1525).
L'imperatore, impegnato prima contro la Francia e poi contro i Turchi, cercò di favorire una soluzione pacifica al conflitto religioso in atto, sia chiedendo al papa la convocazione di un concilio, sia promuovendo una serie di diete da cui però non emersero risultati importanti. Solo alla dieta di Spira del 1529, agitando la minaccia turca, Carlo riuscì a isolare i luterani; l'assemblea accettò di finanziare un esercito nei Balcani e approvò una delibera che ordinò ai luterani di porre un termine alla loro azione. I riformati reagirono con una protesta formale (da qui il nome di protestanti) in cui venne rifiutato l'ordine e vennero riaffermati tutti i principi del luteranesimo. Alla Dieta di Augusta, l'anno seguente, terminata la guerra con la Francia e strappata a Clemente VII la promessa della convocazione di un concilio, l'imperatore, continuando a far leva sulla minaccia turca, compiva un altro tentativo di pacificazione invitando i protestanti a redarre un documento su cui discutere: il documento (denominato in seguito "confessione di Augusta") venne steso da Philipp Schwarzerd, noto come Filippo Melantone (1497-1560) di idee moderate e propenso alla riconciliazione con la chiesa cattolica.
Nonostante questo non si trovò l'accordo con i teologi cattolici e Carlo si vide costretto a ribadire la condanna al luteranesimo, lasciando ai protestanti un anno di tempo per ricredersi: scaduto il periodo sarebbe ricorso alla forza. Tale minaccia non fece altro che rafforzare il fronte riformato, il quale cominciò ad organizzarsi anche sul piano politico-militare: i principi protestanti e numerose città costituirono nel 1531 la Lega di Smacalda, sotto la direzione di Giovanni Federico di Sassonia (1532-1547) e di Filippo d'Assia (1509-1567). Le truppe di questi due principi, si erano unite inoltre a quelle del duca Unrico di Württemberg e delle città di Augusta, Strasburgo, Ulma e Costanza. Carlo, pressato dai turchi, non poté reagire immediatamente, così durante la Dieta di Norimberga del 1532, oltre a chiedere nuovi finanziamenti, proclamò la pace imperiale che in attesa del concilio decretò la fine d'ogni discriminazione o persecuzione verso i protestanti.
Nel 1541-1542, si tennero i cosiddetti "colloqui di Ratisbona", tentativo importante per il superamento dello scisma: il moderato Melantone (già autore del documento di Augusta) e il cardinale Gaspare Contarini (1483-1542), legato papale, cercano in tutti i modi un compromesso che però è raggiunto solo su pochissimi punti mentre le divergenze continuarono ad essere enormi. In seguito alla Pace di Crépy, due furono le conseguenze importanti per l'Impero: si ebbe la possibilità di convocare finalmente un concilio per tentare di risolvere lo scisma luterano; Francesco I, che nel combattere la sua lunga lotta contro Carlo V, non aveva solo cercato e ottenuto l'alleanza con i musulmani, ma aveva anche sostenuto in diversi modi i principi protestanti oppositori di Carlo, ora prometteva allo stesso imperatore di assistere al futuro concilio e di concedergli un appoggio segreto contro i riformati.
Il concilio fu effettivamente aperto nel 1545 a Trento, ma i protestanti rifiutarono di parteciparvi, chiedendo, la convocazione di un concilio nazionale tedesco: a questo nuovo rifiuto, vissuto da Carlo come un affronto alla sua autorità e a quella papale decise allora di intervenire con la forza. Armò un esercito incredibilmente forte e cominciò ad assediare e a prendere una per una tutte le città protestanti, quindi nel 1547 sconfisse nella battaglia decisiva di Mühlberg la Lega di Smacalda, (pur avendo i Principi protestanti un parco di artiglieria di enormi dimensioni che fece un serrato bombardamento per più di otto ore contro il campo cattolico, Carlo, grazie alle incredibili costruzioni difensive approntate, poté tranquillamente seguire la messa di auspicio alla battaglia nel suo "bunker" personale) imprigionandone i capi. La vittoria fu totale. Carlo nella battaglia perse solo cinquanta uomini, mentre lo stesso principe Giovanni Federico fu ferito e fatto prigioniero.
Nel frattempo sia Lutero che Francesco I, (31 marzo 1547) i suoi più ostinati nemici, morirono, quindi Carlo sembrò essere finalmente riuscito a rappacificare l'impero e ad ottenere la propria egemonia in Europa; tale trionfo rimase però molto effimero. Paolo III, il nuovo papa fu il primo ad abbandonare l'imperatore: infatti richiamò le proprie truppe inviate in Germania per contrastare i riformati e decise di spostare il concilio da Trento a Bologna per sottrarlo al controllo imperiale. In Germania Carlo portò avanti la sua politica di distensione e per pacificare il Paese, nel 1548 proclamò lo "interim di Augusta" che attendendo l'esito del concilio fece dono di alcune concessioni provvisorie ai protestanti (tra cui la possibilità per i sacerdoti di ottenere il matrimonio): tali concessioni però non diedero i risultati sperati, sia i protestanti che i cattolici non furono soddisfatti e a nord della Germania cominciarono a formarsi nuove coalizioni anti-asburgiche tra Principi riformati. Inoltre scese in campo il nuovo re di Francia, Enrico II (1547-1559), erede di Francesco I, che firmò gli accordi di Chambord e Friedewald (1551-1552) con i quali la Francia promise appoggio armato e finanziario ai riformati in cambio della concessione dei vescovadi di Metz, Toul, Verdun. Enrico II occupò immediatamente i vescovadi reclamati e la Lorena, mentre la Germania meridionale venne invasa da Maurizio di Sassonia (1521-1553), passato in campo anti-asburgico dopo essere stato alleato dell'imperatore. Carlo, attaccato da più fronti, dovette accettare il Trattato di Passau (1552) con il quale vennero annullati tutti i risultati ottenuti a Mülberg cinque anni prima.
Il grande sovrano era ormai esausto, così come lo erano le sue finanze ed era inoltre desideroso di pace; pace che giunse, stipulata ad Augusta, dal fratello Ferdinando, il 25 settembre 1555. Pacificazione importante, con la quale la Germania trovò finalmente un equilibrio in campo religioso. Infatti, insieme alla pacificazione politico-militare, si giunse ad un accordo in campo politico-religioso con l'entrata in vigore del cosiddetto principio cuius regio eius et religio (di chi [è] la regione, di costui [è] pure la religione): in tal modo il protestantesimo divenne definitivamente tollerato in Germania. In seguito a questo nuovo principio, infatti, ogni Principe tedesco ebbe la possibilità di seguire la confessione che desiderava e lo Stato che lo stesso Principe governava doveva adattarsi alla stessa scelta.
I sudditi che non volessero uniformarsi al credo del proprio Principe, sarebbero stati costretti a emigrare. Come già accennato, Carlo stanco di combattere travagliato dalla gotta e deluso dalle sue "sconfitte", abdicò prima a Bruxelles, come Maestro dell'ordine del Toson d'oro (22 ottobre 1555) e come sovrano dei Paesi borgognoni (25 ottobre 1555) in favore del figlio Filippo II, durante una commovente cerimonia in seguito alla quale le regine Eleonora e Maria d'Ungheria, proclamarono la loro intenzione di seguire Carlo nel suo ritiro. Il 16 gennaio 1556 Carlo cedette le corone di Spagna di Castiglia, Aragona, Sicilia e Nuove Indie, sempre a favore del figlio Filippo, quindi il 12 settembre dello stesso anno cedette anche il titolo imperiale in favore del fratello Ferdinando (anche perché un imperatore spagnolo e fervente cattolico, come era Filippo II, era fortemente malvisto dai Principi tedeschi): questo atto venne ratificato dai Principi elettori solamente due anni più tardi (1558). L'evento che più di ogni altro indusse alla grave risoluzione dell'abdicazione fu, per molti storici, la morte della madre Giovanna, avvenuta il 13 aprile 1555: l'indole riflessiva dell'imperatore, lo portò al rimpianto e al pentimento per le sofferenze inferte alla madre.
Carlo si ritirò in Spagna nel 1556, stabilendosi nel convento di Yuste nell'Estremadura, con l'intenzione di condurre una vita più tranquilla e in preghiera. Senza tuttavia rinunciare ad alcuna attività politica: infatti, durante gli anni che gli rimarranno da vivere intervenne spessissimo con dispacci imperiali in aiuto e consiglio del figlio.
Il più potente monarca della storia uscì di scena in modo inconsueto. Si isolò: lontano dal trono e dal potere, in mezzo a pratiche minuziose e persino maniacali di pietà. Risulta in realtà che Carlo si diede una disciplina ferrea, più dura ancora di quella dei frati, trascorrendo interminabili ore in canto e in preghiera, nel coro della chiesa. Le malattie che già lo avevano colpito fin dall'infanzia incrinarono maggiormente la sua salute. La gotta gli rose soprattutto le mani e le ginocchia, a volte non riusciva neppure a fare la sua firma sui documenti e non era in grado neppure di salire a cavallo. Inoltre, cominciò a soffrire maggiormente di attacchi di epilessia, male che fin da giovane lo aveva attanagliato. Si racconta che già nel 1519 mentre ascoltava messa a Saragozza cadde a terra privo di sensi e ivi vi rimase per ore con un pallore di morte sul volto. Pochi mesi prima di morire Carlo assistette a una messa da requiem per la sua anima. Su suo ordine si celebrarono ogni giorno a Yuste, oltre alle messe normali, altre quattro messe, tre di requiem: per sua moglie, per sua madre e per suo padre; una ordinaria per lui (i quaranta monaci di Yuste facevano fatica a tener dietro ai suoi desideri). Il sovrano sul cui impero non tramontava mai il sole si spense poco prima delle due e mezza del mattino del 21 settembre 1558 a Yuste; a 58 anni. Poco prima di morire le labbra di Carlo si aprirono e mormorarono debolmente "Ya es tiempo!" (è tempo!). L'anno successivo la pace di Chateau-Chambresis (3 aprile 1559) avrebbe consacrato il predominio spagnolo in Italia. Ciononostante il sogno di Carlo era ormai definitivamente infranto, l'unità politica e religiosa del suo impero era spezzata. E in seguito non ci sarà alcuna possibilità di ricostituirla.
CURIOSITÀ
Carlo V ospite a San Giovanni in Persiceto

Il Castello di Persiceto fu onorato dalla presenza dell'Imperatore Carlo V, che vi si fermò il 12 dicembre 1532 e pranzò nel palazzo che a quel tempo era di proprietà della famiglia Marsigli, ora residenza del Comune.
Marcantonio Marsigli, che era al tempo Gonfaloniere di Giustizia di Bologna, nominò il commissario Ercole Poeti perché provvedesse a spianare le strade che l'Imperatore doveva percorrere e per soddisfare la richiesta dei cuochi che dovevano preparare il pranzo non solo a sua Maestà, ma anche al suo seguito di più di venti persone.
Le cronache non ci rimandano dettagli su come fu il banchetto ma, conoscendo la gastronomia dell’epoca, si può immaginare la scena. In un banchetto del 1500 erano quasi sempre presenti " cibi di credenza", preparati con anticipo e che non correvano il rischio di " corrompersi": come salumi, formaggi, dolci, frutta e focacce, e " cibi di cucina ", preparati e cotti al momento: minestre, arrosti, carne allo spiedo di più varietà.
I tavoli erano sempre ricoperti da grandi tovaglie decorate. Per i pranzi più importanti si usavano piatti individuali e forchette, bicchieri di cristallo, candelabri d'argento. Nelle pause tra una portata e l'altra gli ospiti erano intrattenuti da intermezzi animati, danze, recite, canzoni, spettacoli.
All'Imperatore Carlo V il banchetto dovette piacere molto: per dimostrare al Conte Marsigli il gradimento per la festosa accoglienza ricevuta, lo fece Cavaliere assieme ai figli Cornelio e Rinaldo. L'avvenimento fu per il Castello degno di memoria e, per questo motivo, venne collocata nella residenza del Comune una lapide in marmo ancora visibile nella galleria degli Uffici Comunali, poco prima della sala del Consiglio Comunale.

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