Balcani

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Testo

Iugoslavia
Le tensioni nazionaliste erano presenti all’interno della Jugoslavia già dal 1919, ma non ci fu alcun cambiamento
territoriale fino agli anni ’90 quando col crollo dell’Unione Sovietica si sgretolò il sistema comunista. Nel II dopoguerra la
monarchia della Jugoslavia, si era trasformata in una repubblica con le dottrine comuniste. La caduta del comunismo
ebbe le ripercussioni più drammatiche proprio nei Balcani e in modo specifico in uno Stato plurietnico come la Jugoslavia,
provocando la disintegrazione dell’unità federale con la separazione di Slovenia, Croazia e Macedonia dalla Jugoslavia
(ridotta a Serbia e Montenegro), a cui seguì una cruenta guerra civile, in cui erano particolarmente contrapposti i Serbi e i
Croati che nelle zone rispettivamente controllate mettevano in atto una spietata "pulizia etnica".
Ma se il pur drammatico contrasto serbo-croato finiva per placarsi, ben più complicate si sarebbero rilevate le
vicende bosniache. In Bosnia-Erzegovina, infatti, convivevano, sia pure con rapporti diversi, la componente musulmana,
quella croata e quella serba. La proclamazione di sovranità da parte dei musulmani determinava l'immediata reazione dei
Serbo-bosniaci dando il via a una delle più atroci pagine di storia europea del secondo dopoguerra. La capitale Sarajevo
era sottoposta a un assedio estenuante e drammatico con bombardamenti che colpivano in modo indiscriminato i civili,
mentre nelle varie parti di territorio contestate si ripeteva, stavolta in ben più ampie dimensioni, il fenomeno della "pulizia
etnica". Una guerra che si trascinava per anni, nonostante gli sforzi di mediazione internazionale accompagnati da una
sempre più massiccia presenza di truppe ONU. Il contrasto, d'altra parte, era ancora più complicato dal fatto che i Croatobosniaci,
pur formalmente alleati dei musulmani, rivendicavano con le armi proprie porzioni autonome di territorio. Alla
fine le pressioni internazionali, che si esplicitavano anche in raids aerei della NATO contro le artiglierie serbo-bosniache,
avevano la meglio convincendo il presidente della Serbia, stretto dall' embargo, a un intervento più deciso nei confronti
dei Serbo-bosniaci. Una prospettiva di pace si aprì verso la fine del 1995, quando la pressione internazionale sui Serbi e
l’azione diplomatica patrocinata dal presidente americano Clinton sfociarono negli accordi siglati dai presidenti di Bosnia,
Croazia e Jugoslavia. Fu previsto che la Bosnia restasse uno Stato unitario, con capitale Sarajevo, ma diviso in due
entità. Si giungeva così ad un accordo con il quale, sotto il controllo di una forza militare internazionale (IFOR) si avviava
la definizione della Federazione croato-musulmana e della Repubblica serba di Bosnia con, rispettivamente, il 51% e il
49% del territorio della vecchia Bosnia-Erzegovina.
Ma nel 1998 un nuovo grave problema si profilava all'orizzonte della Serbia: quello degli irredentisti albanesi del
Kosovo. Costoro, dopo che lo Stato serbo ne aveva oppresso ogni autonomia, avevano creato una sorta di sistema
parallelo per quel che riguardava l'istruzione, l'economia e la sanità fino a indire elezioni politiche che vedevano la vittoria
del leader irredentista Ibrahim Rugova, e ad auto-proclamare la Repubblica del Kosovo. Gli inevitabili scontri con i Serbi
suscitavano al tempo stesso le proteste allarmate dell'Albania e la reazione degli ambienti politici internazionali che si
adoperavano per una composizione del conflitto (marzo 1998) premendo per un più ampio riconoscimento dell'autonomia
albanese.
Altri Paesi balcanici
Le ripercussioni del naufragio del comunismo si facevano sentire anche in altri Paesi dell'area. Nel 1990 la Bulgaria
era costretta a una radicale conversione che nel 1991 sfociava in una nuova Costituzione democratica; ma negli anni
successivi il Paese, dove il voto era tornato a premiare gli ex comunisti, attraversava una grave crisi economica e
finanziaria con un'inflazione record che determinava una vera e propria sollevazione popolare (gennaio 1997).
Il declino del regime comunista assumeva un tono più drammatico in Romania dove una rivolta di popolo
travolgeva la dittatura personale (1967-1989) di Ceausescu. Il despota, catturato, veniva giustiziato (1990) dopo un
processo sommario, mentre il potere era assunto dal Fronte Democratico di Salvezza Nazionale, composto per buona
parte dal personale politico ex comunista che aveva partecipato all'insurrezione; la nuova Costituzione democratica
(1991) e le successive elezioni (1992) confermavano il ruolo del Fronte nella società romena.

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