Appunti di storia sullunificazione della Germania

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Testo

DALL’UNIFICAZIONE DELLA GERMANIA AL CROLLO DELL’IMPERO IN FRANCIA
1 – Bismarck, la Prussia e il movimento nazionale
Non più collegato con le idee di democrazia e di fratellanza universale, il principio di nazionalità e, in alcuni casi, di libertà politica divenne la parola d’ordine della borghesia moderata ed uno dei fattori principali di movimento del trentennio che seguì il 1848 e lo strumento per affermarlo fu la guerra e non più la rivoluzione.
Ci furono numerosi movimenti che nel complesso furono provocati da spinte nazionaliste e da un capitalismo in espansione: il periodo è caratterizzato infatti dalle conquiste e dalle lotte nazionali che hanno almeno in parte radice nella trasformazione capitalistica attuata o in via di attuazione in determinati paesi.
Se nell’unificazione italiana i due elementi del nazionalismo e del liberalismo si equilibrarono, in Germania non fu così e l’aspetto nazionalistico fu predominante sin dall’inizio.
Il punto di partenza fu lo scontro tra liberali e governo prussiano e la sconfitta dei primi: il movimento liberale aveva puntato sulla Prussia ma nonostante numerosi fallimenti non aveva rinunciato a farsi promotrice e guida dell’unione e aveva cercato di limitare l’influenza austriaca.
Nel 1852 tutti gli stati tedeschi facevano parte dell’unione doganale e costituivano un’unità economica diretta dalla Prussia e capace di resistere ai tentativi austriaci di alimentare il particolarismo.
L’esigenza dell’unità, già affrontata sotto il punto di vista economica, venne intesa anche sul piano politico e portavoce si fecero i nuovi borghesi industriali con a fianco gli intellettuali, gli studenti e la monarchia prussiana: il dissidio era su come realizzarla.
Per la borghesia gli interessi dinastici dovevano essere sacrificati per la formazione di uno stato costituzionale ma la monarchia non intendeva perdere la sua individualità e pensava all’unificazione come affermazione del suo potere sugli altri stati.
Il suo disegno politico si cominciò a delineare quando il principe Guglielmo salì al potere che per far assumere alla Prussia un ruolo più attivo voleva rafforzare l’esercito: contro questa politica i schierò il parlamento ma questo rifiuto e la conseguente discussione sulla riforma crearono una crisi che come ultimo tentativo di risoluzione si creò un nuovo governo sotto la presidenza di ottone di Bismarck che, ostile al liberalismo, realizzò la riforma militare passando sopra all’opposizione.
Il lealismo delle popolazioni rese più facile la realizzazione del rafforzamento dell’esercito che intanto preparava la guerra contro l’Austria saggiando l’esercito dando man forte alla Russia nella repressione di una nuova rivoluzione polacca e riprendendo la guerra contro la Danimarca.
Il tentativo del re Cristiano di annettere nuovi territori e la protesta della dieta di Francoforte diedero alla Prussia la possibilità di intervenire alleata con l’Austria: i 2 eserciti attaccarono e vinsero.
In attesa della guerra contro l’Austria, Bismarck si era assicurato la neutralità di Napoleone III e si era alleato con l’Italia: la guerra scoppiò nel 1866 e in poche settimane si concluse (a Sadowa) grazie anche al fatto che l’esercito austriaco dovette dividersi in 2 per fronteggiare l’attacco italiano, che ebbe però conseguenze disastrose perchè sia flotta che truppe vennero sconfitte.
Bismarck si affrettò a concludere la pace di Praga (1866) in cui tutti gli stati della Germania a nord del meno furono riuniti in una confederazione diretta della Prussia presieduta da Guglielmo e di cui Bismarck ne fu il cancelliere assistito da un consiglio di 43 membri e con un assemblea eletta a suffragio universale che rappresentava il popolo ma che aveva poteri limitati.
Anche gli stati della Germania del sud si riunirono in una federazione che non era dipendente sulla carta dalla prussia ma che in effetti lo era in virtù anche di un patto militare.
I risultati della politica bismarckiana misero in difficoltà ulteriore l’opposizione liberale che perse parte dei suoi seguaci: il prestigio era accentuato anche dall’adozione di un principio democratico per l’elezione del parlamento: il nuovo governo era un compromesso tra liberalismo e assolutismo.
In Italia ci furono delle polemiche dopo la condotta della guerra che rimasero però senza risultati.
2 – Nuovo ordinamento dell’impero asburgico
Più profonde furono invece le conseguenze della sconfitta in Austria dove una riforma generale dello stato era ormai improrogabile: innanzitutto vi era il bisogno di riconoscere l’autonomia delle componenti dell’impero.
Fu così che si creò una monarchia dualistica in cui le 2 parti dell’impero, Austria e Ungheria (a cui a dispetto di tutte le altre nazionalità era stata concessa nel 1867 l’autonomia), erano indipendenti, autonome e con governi propri uniti però dalla figura dell’imperatore; inoltre 3 ministeri creati appositamente e delle delegazioni trattavano degli affari comuni.
Questo compromesso lasciava insoddisfatte le altre etnie e la mancata soluzione di questo problema ostacolava anche l’evoluzione costituzionale dello stato perchè sarebbe stato pericoloso concedere libertà a popolazioni con forze centrifughe: Francesco Giuseppe infatti preferì non aderire apertamente al costituzionalismo ma si affidò al paternalismo.
In Austria c’era poco potere del parlamento a dispetto del sovrano; al contrario in Ungheria il Parlamento godeva di una forte influenza ma l’ordinamento costituzionale garantiva il potere ai grandi proprietari terrieri.
3 – L’abolizione della servitù in Russia
Anche in Russia la sconfitta militare subita in Crimea rivelò la necessità di modificare profondamente il sistema politico: lo sviluppo di nuove correnti politiche di opposizione e le idee liberali e democratiche provenienti da occidente fecero si che Alessandro II appena salito al trono, assecondasse le tendenze riformatrici , attenuando la censura, liberalizzando l’insegnamento nelle università e nelle scuole secondarie e allentando la sorveglianza della polizia.
Ci furono amnistie verso i seguaci dei movimenti decabristi anche se i principali esponenti non furono richiamati ma continuarono ad esercitare la loro influenza preparando il terreno per la formazione di nuovi movimenti politici.
Anche nel settore dell’economia ci furono diverse modificazioni: si abbandonarono le ostilità verso le innovazioni, vennero abbassate le tasse doganali e fu creata una banca nazionale.
Ma il problema di fondo rimaneva quello dei contadini sotto due punti di vista, l’abolizione della schiavitù e l’ordinamento della proprietà terriera: a quei tempi il sistema agrario era organizzato sul mir, la comunità alla quale appartenevano le terre del villaggio e di cui il lavoro servile era un elemento centrale.
Era in fin dei conti un modello simile a quello feudale che nonostante fosse ormai decaduto qui era rimasto in vigore ma che Alessandro II si rese conto di dover affrontare: lui intervenne nonostante le resistenze dei nobili per quanto riguarda il problema della riorganizzazione terriera.
Dapprima venne abolita la schiavitù con lo “statuto dei contadini liberati dalla servitù” (1861) e poi venne concessa ai contadini che si riscattavano di poter comprare parte delle terre del mir per cui avevano lavorato mediante il pagamento di una somma, pagabili anche in rate annuali: tutto ciò però non accontentò i contadini perchè comunque le terre appartenevano ai nobili e i prezzi da pagare per un appezzamento di terra troppo piccolo erano spesso troppo alti.
All’emancipazione dei servi seguì anche una riforma amministrativa con la creazione di organi provinciali elettivi con un’autonomia limitata però dai funzionari statali.
La scossa data dalla riforma suscitò nuovi fermenti politici e il movimento rivoluzionario acquistò forza dividendosi in populismo e nichilismo: i populisti ritenevano che il socialismo potesse attuarsi in una forma basata sulla gestione collettiva della terra da parte delle comunità rurali e sostenevano che la cultura dovesse mettersi al servizio della società.
Da queste idee si formarono circoli e gruppi politici che organizzarono propaganda e organizzazione; non solo però perchè, come segno di contrasto radicale tra riformatori e classi dirigenti, si formarono gruppi di terroristi che nel 1881 uccisero lo zar Alessandro II.
4 – Liberali e conservatori in Gran Bretagna
Intorno al 1860 riprese l’agitazione democratica per la riforma elettorale, sostenuta da John Stuart Mill e John Bright: era un progetto di estensione del voto che venne poi respinto.
Da qui scaturì una crisi politica in seguito alla quale si formò un governo conservatore diretto da Disraeli e Derby: l’intensa agitazione e la pressione dei liberali e dei radicali spinsero Disraeli a proporre una legge che fece raddoppiare il corpo elettorale e comprese anche le classi medie e parte della classe operaia grazie anche a successivi emendamenti (1867).
Disraeli, grazie anche al successo ottenuto per la riforma elettorale pensava di riuscire a mantenere il potere ma i nuovi elettori votarono per i liberali che salirono al governo con Gladstone che attuò diverse riforme tra cui scrutinio segreto nelle elezioni, abolizione degli ostacoli all’attività sindacale e nel 1869 una riforma ecclesiastica per la quale òe Chiesa anglicana d’Irlanda cessò di essere Chiesa di Stato e venne espropriata di una parte dei beni.
Restava però irrisolto lo squilibrio della proprietà terriera che era la causa dell’arretratezza dell’Irlanda: Gladstone cercò di affrontare ma che trovò la resistenza dei grandi proprietari terreni e che causò l’indebolimento della sua posizione politica e fecero riemergere Disraeli, sostenitore di una politica intransigente nei confronti dell’autonomismo irlandese.
5 – La guerra civile americana
L’impetuoso sviluppo economico e demografico esasperò i contrasti interni fino allo scoppio di una guerra civile: il conflitto si polarizzò tra il nord e il sud ed ebbe come simbolo la questione della schiavitù anche se le conseguenze furono altre.
Tra il nord e il sud c’era una economia molto differente: il nord industriale mentre il sud agricolo con diversità di interessi e di mentalità.
Il contrasto riguardava la politica economica, l’ordinamento dei nuovi stati e il rapporto tra governo federale e singoli stati: il nord con una politica protezionista contrario alla schiavitù e favorevole ad un ampliamento dei poteri federali e il sud liberisti, schiavisti e fautori di una più ampia autonomia.
Nel 1861, dopo una serie di rinvii del conflitto, la sconfitta del partito democratico, con le sue basi al sud, convinse i sudisti che non sarebbero più riusciti a tutelare i loro interessi e dopo l’elezione del repubblicano Lincoln, 11 stati si separarono e si unirono in una confederazione comandata da Jefferson e cominciò la guerra con un attacco delle truppe del sud contro una guarnigione federale.
Il nord era in condizioni favorevoli per numero, tecnologia e per il fatto che avevano l’appoggio perchè erano fautori di una causa morale quale quella dell’abolizione della schiavitù e che non permise l’intervento del governo inglese; la dichiarazione dell’abolizione della schiavitù voluta da Lincoln intensificò la guerra.
I sudisti comandati dal generale Lee dopo alcuni successi iniziali furono sconfitti a Gettysburg (1863); poi i nordisti presero il controllo del mississippi e infine stroncarono l’ultima resistenza a Richmond con il generale Lee accettò la resa il 9 aprile 1865 nel villaggio di Appomatox.
La guerra si era conclusa con un paesaggio di desolazione e distruzione e l’uomo che poteva riprendere in mano la situazione, Lincoln, e rendere più facile la ricostruzione venne assassinato nel 1865.
La vittoria del nord dava alcuni problemi quali il ruolo dei neri nella società ma anche vantaggi quali un moto di accelerazione allo sviluppo del paese e un nuovo impulso alla colonizzazione dell’ovest.
Intanto durante la guerra civile Napoleone III cercò di imporre l’influenza francese nel Messico quando Juarez aveva assunto il potere avviando una politica che tendeva a migliorare le condizioni dei peones, braccianti agricoli; tentò il suo piano d’accordo con l’Austria e cercando di sfruttare i dissidi interni.
Mandarono un esercito che a causa della fine della guerra civile e il pericolo in Europa di guai in casa francese a causa del rafforzamento della Prussia venne lasciato isolato e fallì miseramente.
6 – La guerra franco-prussiana. L’impero germanico
Per la stabilità di un governo come quello napoleonico il prestigio internazionale era indispensabile e la minaccia prussiana aveva più volte paralizzato l’azione politica della Francia che aveva perso un po’ la faccia e il prestigio.
Dopo qualche anno Napoleone si convinse a fare qualche concessione liberale come libertà di stampa e di riunione e aveva richiamato al governo l’ex repubblicano Emile Ollivier ponendo le premesse per una svolta politica di restaurazione di un regime parlamentare.
La Francia doveva dare una prova di forza che doveva chiaramente essere fatta con la Prussia e, poche settimane dopo il plebiscito, il primo pretesto venne sfruttato per dichiarare guerra: Bismarck, al contrario della Francia, aveva già preparato il paese a questa evenienza e la candidatura di un principe al trono di Madrid era una chiara provocazione che i francesi accolsero e Bismarck, con un’abile mossa riuscì a far entrare in guerra la Francia (1879), spinta dal furore popolare per una probabile offesa, nelle condizioni di non preparazione in cui si trovava.
Pochi mesi dopo la Francia subiva una sconfitta importante a Sedan e poi a Metz: ma già subito dopo la sconfitta di Sedan un governo di difesa nazionale si era formato per cercare una linea di resistenza ad oltranza che portò la capitale Parigi resistere per più di 3 mesi ma poi il governo fu costretto a chiedere l’armistizio.
Un’assemblea nazionale si riunì a Bordeaux e votò per la pace che col trattato di Francoforte (1871) vedeva la Francia costretta a cedere Alsazia e Lorena e a pagare un’indennità di 5 miliardi di franchi oro.
Intanto il 18 gennaio 1871 i principi tedeschi proclamavano il re di Prussia imperatore di Germania.
7 – La Comune
Prima che il trattato di pace fosse firmato, a Parigi scoppiò un’insurrezione popolare (1871) per protesta contro l’armistizio e il modo in cui era stata condotta la guerra : si formò un comitato insurrezionale che assunse la direzione del movimento e chiese la creazione di un’assemblea eletta con larghi poteri (la comune).
Per evitare che anche le truppe fossero contagiate dall’insurrezione, il governo insediato a Versaillles, le richiamò lasciando Parigi nelle mani degli insorti: tra i dirigenti del movimento i proudhoniano cercarono di dare alla politica una svolta moderata cercando anche di creare legami con i contadini e le province elaborando un piano politico che prevedeva una ampia forma di autogoverno comunale con più poteri per le classi lavoratrici.
La comune di Parigi eletta il 26 marzo doveva essere il modello per gli altri centri: i consiglieri eletti a suffragio universale avevano sia potere legislativo ed esecutivo e dirigevano l’amministrazione;inoltre venne abolito l’esercito permanente, sostituito da una milizia popolare e nel campo dell’istruzione pubblica quest’ultima venne liberata da qualsiasi controllo statale.
Il 2 aprile però le truppe del governo iniziarono l’assedio e poco tempo dopo entrarono in Parigi: cominciò allora la repressione che in forma legale si protrasse per parecchio tempo e fu sanguinosissima.
Ma la Comune ebbe nonostante tutto numerosi consensi attribuibili al fatto che c’era una diffusa insofferenza nei confronti di un regime autoritario: la coraggiosa lotta del proletariato fu uno stimolo per il movimento operaio che fece iniziare un nuovo periodo di organizzazione politica.

Storia: Dall’unificazione della Germania… VIII 1/3

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