1968: anno degli studenti

Materie:Appunti
Categoria:Storia
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1968: ANNO DEGLI STUDENTI

I «giovani» non sono sempre esistiti, almeno come, li intendiamo noi oggi: un gruppo sociale caratterizzato da valori, simboli e gusti propri. Può essere capitato nel passato, ad esempio nell’Inghilterra del Seicento, che dei giovani siano scesi in piazza per reclamare i loro diritti, o che in altre circostanze si siano ritrovati in particolari associazioni, come in quelle studentesche.
La svolta si ebbe negli Stati Uniti, a partire dagli anni ’50, quando una nuova generazione di ragazzi prese a manifestare un’ansia esistenziale sempre più violenta e sconosciuta alle precedenti generazioni, trovando come centro propulsore l’università, dove la scolarizzazione di massa aveva concentrato un ceto studentesco più numeroso e socialmente più articolato.
Non sono ben chiari i motivi che spinsero quei giovani ad assumere un atteggiamento di ribellione e di crescente insofferenza verso i miti, i valori e i divieti della società degli adulti. Quel che possiamo notare è che, finita la guerra, negli anni ’50 gli USA vissero una stagione di grande sviluppo economico: l’ampliamento del mercato permise a molti ragazzi di trovare un’occupazione, nella maggior parte dei casi part-time, mentre nel contempo era notevolmente aumentato il sostegno economico dato loro dai genitori.
Per la prima volta dunque i giovani avevano una loro indipendenza economica e formavano una nuova categoria di consumatori.
A partire dal ’66-’67 - e con un apice nel ’68, «l’anno degli studenti» - la rivolta giovanile si estese ai maggiori paesi dell’Europa occidentale (anche in Giappone), dove assunse forme più radicali ispirandosi alle correnti del marxismo, al modello del Terzo Mondo, o alla rivoluzione culturale cinese. Principali elementi unificatori del movimento furono la lotta contro l’autoritarismo e la mobilitazione contro l’«imperialismo» americano (in particolare contro l’intervento statunitense in Vietnam).
In Germania la rivolta studentesca si concentrò soprattutto contro le misure repressive del governo di “grande coalizione” e contro la grande stampa controllata dalla destra.
In sostanza ai giovani statunitensi si affiancarono quelli europei nel manifestare un’insofferenza generale per il mondo degli adulti ritenuto nevrotico e falso. Si respirava un’atmosfera di rottura con il passato che si esprimeva anche visivamente: la moda propose la minigonna con grande scandalo generale, i ragazzi iniziarono a farsi crescere i capelli e la barba; soprattutto negli USA si formarono le comunità degli hippies, i “figli dei fiori”; la “pillola” rivoluzionò i comportamenti sessuali, presero a diffondersi le droghe leggere. Il punto più alto della crisi fu avvertito sul finire degli anni Sessanta, più precisamente nel ’68. Fu allora che milioni di giovani scesero in piazza non tanto per protestare contro qualcuno o qualcosa, ma per “contestare il sistema”: per sottoporre, in altri termini, a critica radicale le istituzioni e i fondamenti stessi della società. Sul significato di questa stagione sono stati versati fiumi di inchiostro: è possibile definire il ’68? E quando finì? Per alcuni si dovrebbe parlare di continuità epocale: il ’68 fu “l’ultima giornata della rivoluzione dell’800”, per altri invece il ’68 fu l’affermarsi nella società di massa di una cultura alternativa, anti-imperialista, non violenta, creativa: l’anno zero di una nuova epoca.
Il vento della contestazione soffiò, a partire dai campus americani per arrivare impetuoso in Europa: Parigi, Berlino, Roma, tutti i grandi centri universitari vennero toccati. Se in America la contestazione ebbe come obiettivi il modello di vita occidentale e la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam, in Europa la presenza di forti partiti di sinistra spinse il movimento giovanile a sostenere le lotte sindacali.
In Italia l’1 marzo a Roma, gli studenti diedero vita ad uno scontro senza precedenti con le forze dell’ordine. A Milano, Mario Capanna, leader del Movimento studentesco, guidò gli studenti a dimostrare contro i “borghesi” la sera d’inaugurazione della stagione lirica. Ma se, sempre in Italia, il Sessantotto fu l’anno degli studenti, il Sessantanove vide scendere in piazza gli operai. A Milano, Torino, Genova tra il settembre e il dicembre del 1969 le lotte sindacali diedero luogo al cosiddetto “autunno caldo”. In questo clima di forte scontro sindacale, crebbe d’importanza tra gli studenti, e fra i giovani in generale, l’idea rivoluzionaria: i riferimenti furono molteplici, da Marx a Bakunin, da Lenin a Trokij. Un fascino particolare fu quello esercitato da Mao, non tanto in quanto padre del comunismo cinese, ma per l’idea che la lotta di classe dovesse durare all’infinito.
Gli anni Settanta furono almeno per l’Italia anni difficili: il movimento studentesco confluì perlopiù nei gruppi extra parlamentari, come “Lotta Continua”, “Potere Operaio”, …; ma soprattutto quelli furono gli anni del terrorismo, gli “anni di piombo”. Il che ha fatto nascere una questione per nulla risolta: vi è stata continuità tra il ’68 e le Brigate Rosse? Per Michele Brambilla, giornalista e saggista italiano, sostenitore della tesi della continuità non vi sono dubbi: «In Italia - e solo in Italia - il ’68 durò dieci anni, fino al settembre del 1977, ed ebbe poi, ancora per molto tempo, una tragica appendice con la lotta armata».

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