Il duomo di Orvieto

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Testo

Il Duomo d’Orvieto
Nel 1263 / 64 un prete Boemo – tale Pietro da Praga – incredulo circa la transustanziazione del Corpo e del Sangue di Cristo nell’Ostia e nel Vino, si recò in pellegrinaggio a Roma per invocare sulla tomba di San Pietro il rafforzamento della fede. Di ritorno da Roma si fermò a Bolsena dove, celebrando la Messa nella Cripta di Santa Cristina, vide stillare sangue dall’Ostia, tanto che il corporale ne fu bagnato abbondantemente.
Papa Urbano IV, che allora si trovava in Orvieto, colpito dalla maestosità dell’avvenimento, ordinò che il Sacro Lino vi fosse trasportato; ed istituì successivamente, per tutto il mondo Cristiano, la festa del Corpus Domini. Il clero ed il popolo convennero che si dovesse dare alla reliquia una sede dignitosa.
Il 13 Novembre 1290, Papa Nicolò IV pose solennemente la prima pietra della nuova chiesa (in corrispondenza del IV pilastro su cui è scolpito l’inferno). Il luogo scelto per la realizzazione dell’opera fu quello dove esistevano le Chiese di San Costanzo e quella dedicata a Santa Maria Prisca o di San Brizio.
I lavori per la costruzione del duomo durarono all’incirca tre secoli. Il primo architetto fu probabilmente Arnolfo di Cambio: a lui, infatti, è stato attribuito il progetto della facciata monocuspidale che si conserva nel Museo dell’Opera del Duomo. Sembra però che il primo costruttore sia stato Fra Bevignate da Perugia il quale realizzò le tre navate.
I lavori furono proseguiti da un costruttore locale, un certo Giovanni Uguccione, che nella crociera e nell’Abside riprese lo stile Gotico. La stabilità delle strutture principali del Duomo, tuttavia, risultò subito precaria per cui fu necessario chiedere l’aiuto di un esperto. Fu interpellato l’architetto e scultore Lorenzo Maitani il quale rinforzò l’edificio con archi rampanti. Maitani morì in Orvieto nel Giugno del 1330.
La Costruzione del Duomo
La facciata è composta da quattro torri poligonali, due ai lati più basse e più lunghe (m. 42,80), e due al centro più alte (m. 51,30); esse dividono la superficie nelle tre corrispondenti navate interne.
I quattro pilastri – alla base – hanno un rivestimento marmoreo composto di delicati, pregevoli bassorilievi, sulla cui vera identità degli esecutori non esiste certezza assoluta.
Alcuni pensano che i bassorilievi dei pilastri interni sono più antichi. I migliori rilievi sono attribuiti al Maitani. In essi sono illustrate le immagini delle origini dell’uomo, il mistero della redenzione e il suo destino finale. I bassorilievi impegnano 112 mq dell’intera superficie.
L’interno, semplice ed austero al tempo stesso – composto in un gran vano – in un gioco prospettico di linee e di luci, l’interno del Duomo raccoglie insieme gli elementi più preziosi dell’arte lombarda. Al visitatore che s’inoltra nel grande «spazio» si confonde immediatamente l’occhio: le grandi colonne, sembrano sovrapporsi dando l’impressione che il vuoto interno sia effettivamente diviso.
Il gioco prospettico finisce proseguendo secondo l’asse longitudinale della chiesa. Le colonne sono arricchite da eleganti e ricchi capitelli tutti diversificati fra loro: eloquente dimostrazione delle innumerevoli correnti figurative presenti nel cantiere orvietano. La copertura della chiesa proposta dal Maitani, e finemente decorata da Pietro di Lello e Vannuzzo di Mastro Pierino (1321 – 1330), fu completamente rifatta tra il 1881 e il 1890 dagli orvietani Paolo Zampi e Paolo Cocchieri. Sulle pareti laterali si aprono dieci cappelle al centro delle quali si trovano finestre strette a grandi sguanci chiuse da lastre d’alabastro.
In corrispondenza dell’ingresso laterale si trova il fonte battesimale alla cui realizzazione lavorò anche Luca di Giovanni. Intorno al 1406 il senese Sano di Matteo completò l’opera aggiungendovi il tempietto.
Accanto al fonte battesimale, sulla parete di sinistra, è ancora ben visibile una madonna col bambino, affresco di Gentile da Fabriano (1425).La figura di Santa Caterina, sulla destra del dipinto, opera del ravennate Giovanbattista Ragazzini, fu aggiunta nel 1586. Proseguendo lungo la navata di sinistra si arriva alla cappella del Corporale. Verso la metà del 1350 – provata la necessità di dare degna sistemazione alla sacra reliquia del Miracolo di Bolsena – fu deliberata la costruzione di una nuova cappella.
Sotto la direzione di Andrea Pisano incominciarono i lavori sul lato nord della cattedrale in corrispondenza degli archi rampanti gettati dal Maitani per consolidare le strutture portanti della chiesa. Nel periodo che dal 1355 al 1356 la cappella fu coperta da volte a crociera; sottoposte successivamente a modifiche.
Gli affreschi della cappella, che risentono dell’influenza dell’arte senese, realizzati intorno al 1357 – 1363 sono probabilmente opera dei pittori orvietani Ugolino di Prete Ilario, Domenico di Meo e Giovanni di Buccio Leonardelli. Gli affreschi della parete destra rappresentano alcuni episodi del miracolo di Bolsena. In esse è chiara l’ispirazione delle scene che Ugolino di Vieri aveva incise e smaltate sui riquadri del reliquiario.
Nelle volte sono rappresentati alcuni fatti del Nuovo e Vecchio Testamento con precisi riferimenti, profezie e simboli eucaristici. Nelle altre due parti sono affrescati vari prodigi relativi al sacramento dell’Eucarestia ed una crocifissione con deposizione e Resurrezione di Gesù Cristo.
Il tabernacolo, in marmo, iniziato nel 1358 esprime chiaramente l’impronta d’Andrea Orcagna. Nella cappella è inoltre custodita la “Madonna dei Raccomandati”: l’opera, del senese Lippo Memmi, ha subito, specie nell’800, diverse trasformazioni. Alcuni sostengono che l’unica parte originale del dipinto sia proprio quella inferiore dove si vedono le Pie Donne ed i Confratelli, in atto di preghiera, che si raccomandano alla Madonna.
Nell’abside l’arte trecentesca orvietana ha espresso, con originalità e toni vivaci e profondamente espressivi, il proprio grande capolavoro. Ugolino di Prete Ilario, il Pinturricchio e successivamente Antonio da Viterbo hanno raffigurato nelle tre pareti e nella volta affreschi riguardanti storie della Vergine.
Il coro, con intagli e sculture, fu iniziato da Giovanni Ammannati da Siena nel 1329. Alcuni sostengono che quest’opera fu ideata dal Miatani.
Nella crociera a sinistra troviamo l’altare della “Visitazione”, opera di Simone Mosca, Raffaello e Francesco da Montelupo. Nella crociera di destra l’altare “Dei Magi”, opera di Michele Sammicheli e Simone Mosca.
Sulla navata di destra, si apre la Cappella Nuova o di “San Brizio” eretta nel 1408. La decorazione iniziata nel 1447 dal Beato Angelico, insieme con Bennozzo Gozzoli, fu completata dal Signorelli che vi raffigurò le storie dell’Anticristo, il Finimondo e la Resurrezione dei Corpi.
Le sculture in bronzo sulla facciata
Su di una cornice finemente lavorata che percorre orizzontalmente tutta la facciata, sporgono dei mensoloni che sostengono gli emblemi dei quattro evangelisti: l’angelo (S. Matteo), il leone (S. Marco), l’aquila (S. Giovanni) ed il toro alato (S. Luca). Queste opere, presumibilmente realizzate nel 1329, furono personalmente eseguite, secondo alcuni, dal Maitani.
Altre tre notevoli sculture si trovano sulla sommità delle tre cuspidi: l’Agnus Dei (sulla cuspide centrale); il San Michele (sulla cuspide laterale sinistra); ed un’altra statua d’angelo sulla destra. Queste opere sono attribuite a Matteo di Bologna che le avrebbe fuse nel periodo compreso tra il 1353 ed il 1356.
Sull’architrave della porta centrale, ad arco semicircolare, dinanzi sulla lunetta chiusa con lastre di alabastro, è situato un baldacchino: l’opera è del Maitani. Sotto il baldacchino il gruppo marmoreo della “Maestà” di Andrea Pisano con la Vergine e il Bambino.
Sui fianchi sporgono le dieci cappelle semicircolari decorate da archetti trilobati e da colonnine rotonde che scendevano fino a terra. Sul lato meridionale, tra la seconda e terza cappella, è situata la porta del vescovado. È sicuramente la più antica, scolpita molto probabilmente prima della costruzione del duomo (1290) da Arnolfo di Cambio. La cornice dell’arco e dell’imposta, a causa dell’esiguità dello spazio in cui doveva essere collocata, furono tagliate. Sull’architrave è raffigurato Cristo in trono fra i dodici apostoli.
Sul lato settentrionale si aprono altre due porte, quella di Canonica e del Corporale. Sull’architrave in bronzo, opera di Rosso Perugino (1277) sono raccolte alcune scene del miracolo di Bolsena. Su una lunetta è collocata una statua del Cristo seduto che regge il calice. L’opera è solitamente attribuita a Nino Pisano.
Le Porte bronzee
Le nuove porte, opera dello scultore siciliano Emilio greco (1964), sono state poste in cardine l’11 agosto del 1970. In quella centrale, suddivisa in sei pannelli, sono raffigurate le sette opere della misericordia. Le porte laterali sono ornate da due grossi angeli di fattura pregevole che sostituiscono i battenti.

La Cappella del Corporale
Costruita nel 1350 – 61, la cappella del Corporale è posta in fondo ala navata sinistra, di fronte alla cappella di San Brizio. Ugolino di Prete Ilario e Piero di Puccio nel 1357 – 64 affrescarono sulla parete destra le “storie del Corporale”, la “Crocifissione” dietro il tabernacolo, e sulla parete sinistra i “prodigi dell’Eucarestia”.
Una graziosa loggetta gotica di marmo intarsiato corona, in alto le pareti di fondo.
In questa cappella, nella seconda arcata, si ammira la “Madonna dei raccomandati”, pregevole opera di Lippo Memmi. A sinistra , sotto un’altra arcata, è il “sepolcro del vescovo Vanzi”, di Ippolito Scalza (1571). Sull’altare maggiore, opera marmorea disegnata dal Maestro Nicolò da Siena (1358) e terminata dall’Orcagna, è posto il tabernacolo del Corporale. In esso si custodisce il celebre “Reliquiario del Corporale”.
Nella cappella del corporale è conservato l’affresco raffigurante la Madonna dei Raccomandati, considerata una delle più suggestive e originali espressioni dell’arte senese di Lippo Memmi.
Nonostante i ritocchi ottocenteschi, si ritiene che la parte inferiore del dipinto in cui sono ritratti la Pie Donne e i Confratelli in atto di devota adorazione ai piedi della Vergine, non abbia subito alcuna manomissione.
Il reliquiario del Corporale è l’opera più importante e preziosa che si conservi al duomo di Orvieto e, al tempo stesso, uno dei più grossi capolavori dell’oreficeria senese, e Italiana. Commissionato nel 1337 da Beltramo Monaldeschi all’orafo Ugolino di Vieri, il reliquiario fu ultimato probabilmente nel dicembre 1339, anno in cui risale il saldo definitivo del lavoro. Il reliquiario è alto 1,39 m e largo 63 cm tutto in argento e dorato nell’intelaiatura: in esso è custodito il sacro lino del miracolo di Bolsena.
Le superfici del reliquiario – in cui sono ripresi i motivi architettonici della facciata – sono rivestite di figurazioni a smalto: sui due prospetti sono illustrate le storie del Miracolo di Bolsena e le vicende della vita di Cristo.

Cappella nuova o della Madonna di S. Brizio
La costruzione della cappella “Nuova” – chiamata poi di S. Brizio quando vi fu trasferita l’effigie della Madonna di San Brizio – fu decisa dai Soprastanti dell’Opera del Duomo nel 1397. Per la decorazione, dopo le trattative con alcuni fra i più noti artisti dell’epoca – fu interpellato, ma senza risultato, anche il Perugino – i Soprastanti dell’opera si accordarono con Luca Signorelli, il quale, chiese ed ottenne 575 ducati, parte i natura (grano e vino) oltre all’abitazione. Il 5 aprile del 1499, Signorelli iniziò il lavoro nella cappella di San Brizio.
Per prima cosa dovette procedere al completamento delle due volte iniziate mezzo secolo prima dall’Angelico e da Bennozzo Gozzoli. Signorelli riprese facilmente i temi cromatici stabiliti dai suoi predecessori introducendovi la sua personalità e la sua arte. Lavorò a quest’opera con impegno e dedizione per circa due anni rappresentandovi le “storie dell’Anticristo”, “il Giudizio universale”, “la Resurrezione della carne”, “i Dannati”, “i Beati” e “l’avvento del Paradiso e dell’Inferno”. Nel basamento affrescò le immagini di uomini illustri e scene tratte da poemi antichi. Il tema scelto fin dall’inizio per la decorazione della cappella fu quella del giudizio universale, tema abbastanza ricorrente nell’arte trecentesca. Il Signorelli realizzò la rappresentazione del Giudizio in una serie di scene indipendenti l’una dall’altra aggiungendo a queste i fatti dell’Anticristo”, “Le Profezie” e il “Finimondo”.
Gli affreschi delle volte
Le decorazioni della volta, lasciate incompiute dall’Angelico nel 1447, furono portate a termine dal Signorelli 52 anni dopo. L’Angelico lavorò solo a due vele delle volte a crociera affrescandovi il “Coro dei Poeti” e “Cristo giudice”. Il Signorelli ultimò l’opera con gli “Angeli e gli emblemi della passione”, “Gli Apostoli”, “I Dottori”, “I Maestri”, “Le Vergini”, ed i “Profeti”.
Il compianto sul Cristo morto, sulla parete destra della cappella, è reso con rigorosa essenzialità dal maestro Cortonese. Il gruppo centrale è composto fra le immagini dei Santi Faustino, e Pietro Parenzo. Sul Sarcofago, in un finto bassorilievo, è raffigurato il trasporto del corpo di Gesù.
Entrate dell’Opera del Duomo di Orvieto
Partecipare alla costruzione della cattedrale era un po’ come marciare verso la salute spirituale, ma chi lo faceva non disdegnava anche quella fisica. Le voci di entrata negli anni 1347 – 49 sono sorprendenti: circa la metà degli introiti è rappresentata dalle offerte e dai testamenti. Il valore aumenta notevolmente unendo il ricavato dalla vendita delle candele, chiaramente un atto devozionale. L’analisi dei testamenti registrati per gli anni 1347 – 49 denota la massima concentrazione nel mese di settembre del 1348, la peste era appena passata, per un totale di circa quattromila soldi mentre nel gennaio dello stesso anno era appena di duecento soldi e nell’anno precedente non più di cento soldi.
L’opera riceveva donazioni e offerte in grosse quantità da privati cittadini, oltre quelle dovute alla Fabbrica per regolamentazioni statutarie che venivano erogate il giorno della festa del Corpus Domini o dell’Assunta. Per facilitare tali elargizioni l’opera aveva predisposta fin dal 1304 su tutto il territorio orvietano dei punti di raccolta detti cippi.
Un documento del 1354 ne elenca trentuno sparsi per tutto il contado. Alle offerte in denaro si univano quelle in cera. Le Arti donavano un cero ogni anno. Nel 1349 donarono cera l’arte dei Barbieri, Calzolai, Segatori, Mercanti, Mulattieri, Petraioli, Tavernieri, Venditori di frutta e legumi, Mugnai e Fabbri.
Il Cantiere
Il rifornimento di materiali in un cantiere di dimensioni così grandi come quello del duomo di Orvieto in una città posta ad oltre 300 m sul livello del mare e isolata su tutti i lati, comportava notevoli problemi.
La città offre esclusivamente tufo, mentre per la costruzione del duomo serve ben altro e i documenti più antichi, datati 1288, due anni prima della posa ufficiale della prima pietra, ricordano pagamenti per il carriaggio di pietra proveniente da luoghi al di fuori della città.
In genere si ricorreva alle risorse del contado, ma anche al di fuori di esso e i reperimenti sicuramente non erano meno difficili, dati i continui rivolgimenti politici. Orvieto disponeva nel proprio contado di cave di marmi colorati, calcari rossi di Prodo, Castellana, Sosselvole. Il “serpentino” veniva estratto da Montespecchio; cave di marmi bianchi si trovavano a Montepiso, sulla montagna che divideva i territori di Orvieto da quelli di Siena.
Da Parrano e dal territorio della Abbadia di S. Antimo si estraeva l’alabastro utilizzato per le finestre e per alcune statue della facciata anche il travertino e il basalto venivano estratti da territori vicini. Dal territorio di Castelpeccio si estraeva la terra adatta alla lavorazione del vetro che veniva cotto in vasi di terra gialla proveniente da Arezzo; la fornaci invece si trovavano a Monteleone e a Piegaro. Vetro già lavorato era acquistato a Firenze e a Venezia. I boschi vicini fornivano legno di castagno, di quercia, di abete mentre dalle ferriere di Castel del Piano veniva il ferro.
Per molto tempo i due più importanti punti di raccolta del marmo resteranno le cave di Carrara e le rovine di Roma.
L’organizzazione dei trasporti appare uno dei più grossi problemi del cantiere orvietano. In generale si può dire che Orvieto evita per quanto sia possibile il trasporto via terra almeno per le grosse partite di materiale e per i carichi pesanti utilizzando le vie fluviali o i tragitti marini.
Dalla documentazione censita sul cantiere appare che l’opera retribuiva con un salario a giornata dei lavoranti che prestavano la loro opera con animali di loro proprietà e contemporaneamente retribuiva dei vetturali. In particolare erano utilizzati vetturali di Viterbo e Bagnoregio che con i loro bufali trasportavano il marmo sbarcato nei vari porti sul Tevere o proveniente dalle cave.
La costruzione del duomo vide avvicendarsi numerosi lavoranti suddivisi ed organizzati secondo la professione e il grado. Naturalmente le categorie con il maggiore numero di addetti sono quelle legate al mondo dell’edilizia: muratori, manovali, lavoranti generici senza indicazione professionale; lapicidi, forse scalpellini, e spaccapietre lavoravano a cottimo. La presenza femminile è ben documentata: 66 donne lavorarono tra il 1347 e il 1348 ma, dopo la parentesi della peste nera nessuna donna è più presente nel cantiere; probabilmente trasportano terra e pietra con un salario giornaliero pari alla metà di quello corrisposto al lavoratore, uomo peggio pagato. La scarsa considerazione in cui sono tenute è indicata anche dal lasciarle anonime. Soltanto di dieci delle 66 ricordate si conosce il nome, per tutte le altre compare la dizione generica di “mulieres”.

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