Il teatro greco di Siracusa

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Il teatro greco di Siracusa
Il teatro greco di Siracusa

È nota l’esistenza di un teatro a Siracusa già nella prima metà del V secolo a.C. La città, infatti, era, con Atene e Alessandria d’Egitto, un importante centro teatrale. Il teatro attuale risale al III secolo a.C. ed è uno dei più vasti del mondo greco. In età romana subì profonde trasformazioni, per adattarlo alle nuove esigenze dello spettacolo e dei giochi circensi. La storia e la descrizione del monumento sono il tema del brano seguente, tratto dalla Guida Rossa Siracusa e Agrigento del Touring Club Italiano.

Con ingresso di fronte all’ara di Ierone, il Teatro greco può essere considerato il massimo monumento dell’architettura teatrale e della tecnica scenica giunto fino a noi. Ebbe grande importanza nella vita della città, giacché Siracusa, con Atene e Alessandria d’Egitto, fu uno dei maggiori centri di vita teatrale, politica e spettacolare, patria d’origine della commedia.

Si sa dell’esistenza di un teatro a Siracusa fin dalla prima metà del V secolo a.C.: a esso è legato il nome di Epicarmo, padre della commedia greca, vissuto a Siracusa sotto il regno di Gelone e di Ierone I, e con esso quelli dei commediografi, pressoché contemporanei, Formide e Deinocolo. Si vuole che nel teatro greco di Siracusa fosse rappresentata per la prima volta la tragedia “I Persiani” di Eschilo, ed è certo che nel 476 a.C. vi si rappresentò “con ogni splendore” la tragedia “Le Etnee”, scritta da Eschilo per commemorare la fondazione di Etna da parte di Ierone I, l’Etneo. Sofrone, il mimografo siracusano dell’ultimo terzo del V secolo, ricordava anche il nome dell’architetto di questo primo teatro siracusano, Demókopos, soprannominato Myrilla per aver fatto distribuire degli unguenti (“myroi”) in occasione dell’inaugurazione. Il teatro è ricordato nel 406 a.C., al tempo di Dionisio, che vi fece certo rappresentare i molti drammi da lui stesso scritti oltreché quelli dei tragediografi suoi contemporanei, come Antifonte e Carcino il Giovane. La struttura accoglieva non solo rappresentazioni drammatiche, ma anche le assemblee del popolo.

Rimasto in abbandono per lunghi secoli, a partire dal 1526 fu intensamente sfruttato, insieme con i monumenti adiacenti, dagli Spagnoli di Carlo V al fine di ricavarne materiale per le fortificazioni che allora si stavano erigendo intorno all’Ortigia. Scomparvero in tale occasione le vestigia, che ancora dovevano essere cospicue, dell’edificio scenico, degli analemmata e la parte superiore delle gradinate. Nella seconda metà del '500, il marchese di Sortino, riattivando a proprie spese l’antico acquedotto di Galermi dell’età dei Dinomenidi, riportò l’acqua dell’Ànapo sulla sommità della balza sovrastante il teatro per alimentare una serie di mulini impiantati nella cavea del teatro stesso e nelle vicinanze, arrecando gravi danni anche alle parti del teatro tagliate nella viva roccia. I mulini, che furono rimossi solo nella seconda metà dell’800, ma in molti punti ancora si riconoscono i solchi lasciati dal passaggio dei carri (all’inizio del diázoma e nella via dei sepolcri).

Gli scavi, iniziati sul finire del '700, continuati fra il 1804 e il 1807 e poi fra il 1834 e il 1839, furono ripresi nel 1921 e completati solo nel 1950-54, quando si misero in luce le ultime porzioni delle fondazioni della scena e l’analemma occidentale.

Per una semplice visione d’insieme, basterà affacciarsi al teatro raggiungendo, lungo la strada tagliata nel sasso che parte dall’ingresso, il largo ambulacro che divide circa a metà altezza le gradinate (“diázoma”). Da quel punto si ha la visione del monumento nelle sue parti principali: la cávea (“koilon”) con i sedili per gli spettatori, divisa in nove settori, detti cunei, da scalette di servizio, la platea semicircolare, dai Greci chiamata orchestra perché vi danzavano i cori, in epoca classica elementi essenziali del dramma e, di contro alla cávea, la vasta spianata fra due piloni di sasso vivo, tagliata in tutti i sensi da fosse, canali, incassi di ogni genere, tracce della lunga vita del teatro, spianata sulla quale sorgeva l’edificio del palcoscenico. Nella sua forma attuale il teatro sarebbe sorto, com’è opinione della maggioranza degli studiosi, secondo un progetto unitario in un solo momento, e con tutta probabilità negli anni 238-215 a.C., sotto il regno di Ierone II: è uno dei massimi del mondo greco (il suo diametro è di 138,60 metri), e anche probabilmente quello a più dolce pendenza (il dislivello fra l’orchestra e il gradino più alto è di 19,10 metri). Più che costruito, può dirsi scolpito nella viva roccia, in ossequio a un piano perfettamente studiato ed elaborato fino ai minimi dettagli, così da escludere che possa essere il frutto di successivi ampliamenti e adattamenti.

Le successive trasformazioni
In età imperiale il monumento subì profondi mutamenti, allo scopo di conferirgli le caratteristiche del teatro di tipo romano, assai diverso nella sua organizzazione da quello greco, e in un secondo tempo per renderlo atto a spettacoli circensi (ludi gladiatori, cacce alle belve, ecc.). Anche la fronte della scena fu interamente ricostruita secondo il gusto di caricata monumentalità del tempo, e dietro di essa venne a estendersi un vasto edificio, comprendente probabilmente anche un portico (“porticus post scaenam”). Allo scopo di adattare il teatro anche ai ludi circensi, fu più tardi necessario ampliare al massimo l’orchestra per adibirla ad arena (“conistra”). Si procedette perciò a restringere il palcoscenico arretrandone la fronte. Un ulteriore ampliamento dell’orchestra di una fascia di 2,55 metri tutto intorno si ottenne riducendo in profondità i dodici gradini inferiori della cavea, eliminando la distinzione fra una parte sopraelevata destinata a sedile e una fascia retrostante per i piedi degli spettatori seduti nel gradino superiore. Il diametro dell’orchestra trasformata in arena raggiunse i 29,10 metri. Resta tuttavia una traccia del limite inferiore originario del “koilon” greco. In questa fascia di ampliamento si innalzò una cancellata di ferro (transenna), necessaria per proteggere gli spettatori durante gli spettacoli a cui partecipavano le belve. Sul finire del III secolo o nel corso del IV, quando fu creato per i ludi circensi un edificio apposito, l’Anfiteatro, il teatro dovette essere utilizzato soprattutto per spettacoli che oggi diremmo ‘di varietà’, largamente diffusi alla fine del mondo antico. L’orchestra ebbe allora una pavimentazione di lastre marmoree policrome, della quale resta ancora il sottofondo in calcestruzzo che ne conserva in parte il disegno. Anche i gradini inferiori vennero rivestiti di lastre marmoree.

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