Guarino Guarini, Longhena, Borromini

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Testo

Francesco Borromini

Francesco Castelli, noto come Borromini, originario di Bissone sul lago di Lugano, nacque il 27 settembre del 1559. Giovanissimo andò a Milano per prendere i primi rudimenti nell’arte del costruire. Nella città lombarda fu attivo nella fabbrica del Duomo ed ebbe occasione di conoscere le prime opere del Bramante. Trasferitosi a Roma lavorò alle dipendenze del conterraneo Carlo Maderno e, successivamente, di Gian Lorenzo Bernini al quale fu sempre ostile per il diverso modo di concepire l’architettura. Nell’Urbe fu colpito, in particolare, dalle architetture di Michelangelo.
Egli operò esclusivamente come architetto, contrariamente all’antagonista Bernini che si dedicò anche alle scultura. Con Borromini nasce dunque il concetto di “specializzazione”, consistente nel concentrare tutte le proprie capacità in un unico campo nel quale si tende ad essere eccellenti.
A partire dal 1634, l’artista divenne architetto indipendente, ma di dal 1632 Gian Lorenzo Bernini aveva fatto si che ottenesse la carica di architetto della Sapienza, l’antica Università di Roma.
Nell’esercizio della professione il Borromini produsse una gran mole di disegni dei quali fu gelosissimo; tale grande amore lo portò addirittura a distruggerne molti incendiandoli qualche tempo prima di darsi la morte. Francesco Borromini, morì suicida a Roma, dopo una notte di sofferenze, il 3 agosto 1667.

Il chiostro e la Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane

Tra il 1634 e il 1641 Francesco Borromini costruisce per i Padre Trinitari Scalzi spagnoli l’ala del dormitorio, il chiostro e la Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, la chiesa viene anche soprannominata San Carlino a causa delle sue esigue dimensioni.
Il piccolo chiostro eseguito tra il 1635 e il 1637, ha piante pressochè rettangolare e si compone, in alzato, di un doppio ordine di colonne. Quelle inferiori, tuscaniche, hanno l’abaco prolungato fino a costruire fino a costruire un’architrave che sostiene alternativamente un muro pieno e un arco; quelle superiori, invece, sono trabeate. Gli angoli del rettangolo, smussati, ospitano coppie di colonne sulle quali insistono porzioni di muro convesse. La pianta si trasforma in un ottagono con quattro lati curvi e di dimensione ridotta rispetto ai rimanenti. La forma convessa introdotta nel chiostro diventa il motivo dominante della chiesa, iniziata nel 1638, la cui pianta, basata sull’ellisse, è un succerdersi di rientranze e sporgenze. L’andamento sinuoso del perimetro, ulteriormente animato dalla presenza di colonne addossate alle murature, lo si intravede nell’alta cornice. Quattro arconi, infine, riconducono la strottura alla perfetta imposta ovale della cupola. Nel complesso disegno del cassettonato che la decora, croci, esagoni e ottagoni si fondono perfettamente.
Le prime idee per la facciata di San Carlino risalgono al 1634, ma la costruzione, iniziata nel 1665, si protrasse a lungo e, in gran parte, avvenne dopo la morte del Borromini. L’ultimazione dei lavori, si ebbe solo nel 1667. L’architetto, perciò, potè controllare solo la costruzione dell’ordine inferiore, mentre quello superiore subì delle modifiche a opera del nipote Bernardo, che gli era succeduto nella direzione della fabbrica, tra il 1675 e il 1677.
La grande invenzione della facciata consiste nella pianta. In essa che ha l’andamento di una sinusoide, una curva continua presenta concavità agli estremi e una convessità al centro ed è contenuta e organizzata architettonicamente, in alzato, tramite quettro colonne. Queste sostengono una trabeazione che, al pari della strottura muraria, pur forata da finestre ovali, nicchie e portale, si modella sulla sinusoide. L’ordine superiore infine, presenta pre concavità (quella centrale con un’aggiunta convessa), un coronamento a balaustra e un grande medaglione centrale sorretto da angeli.

Guarino Guarini

L’attività di Guarino Guarini, sacerdote dell’ordine dei Teatìni, architetto, trattatista, matematico e filosofo, è strettamente legata a Torino. Guarino Guarini nasce a Modena il 17 gennaio 1624, il Guarino compie i primi studi nella città natale e trascorre a Roma il periodo del noviziato, dal 1639 al 1647. Dal 1656 Guarino incomincia una lunga serie di spostamenti che lo porteranno a operare in Sicilia, in Portogallo, in Spagna. Nel 1662, infine, è a Parigi e nel 1666 si stabilisce a Torino, dove resterà sino al 1681. Il sacerdote architetto muore improvvisamente a Milano il 6 marzo 1683.

Cappella della Santa Sindone

Il primo intervento della città sabauda, avvennero intorno al 1667, per la prosecuzione dei lavori per la Cappella della Santa Sindone, già avviati da Amedeo di Castellamonte nel 1657. I lavori che si protrassero dal 1667 al 1690, iniziarono un anno dopo l’arrivo di Guarini a Torino, qui chiamato dal duca Carlo Emanuele II. L’impianto circolare della cappella, che collega la cattedrale al palazzo ducale, viene trasformato da Guarini in modo da trovare riscontro anche in una soluzione triangolare, come appare dal disegno in pianta che egli stesso ha incluso nel suo trattato architettonico pubblicato postumo nel 1737. I tre vertici di un triangolo individuano in pianta tre spazi secondari: due ambienti circolari, che in parte penetrano all’interno della cappella, e uno ad arco di cerchio. I primi due hanno la funzione di collegare la cappella al presbiterio della cattedrale, tramite due scalinate i cui gradini ripetono il tema del cerchio, il terzo immette nel Palazzo Ducale. Anche in alzato il triangolo e il cerchio si fondono poiché tre ampie arcate individuano altrettanti pennacchi sui quali si imposta un tamburo anulare formato dall’alternarsi di 6 piedritti e di un medesimo numero di arcate. Al di sopra del tamburo si innalza una cupola di ardita concezione, conclusa nel 1682, ma danneggiata gravemente da un incendio nel 1997. Un elaboratissimo sistema, fatto di segmenti di trabeazione sormontati da elementi ad arco, si ripete per sei volte a partire dalla sommità delle arcate del tamburo e ogni elemento base si dispone sempre in maniera da congiungere la sommità di due archetti sottostanti. In tal modo lo spazio della cupola, che dal basso è visto restringersi gradualmente dando vita a tanti esagoni sovrapposto, concentrici e fra loro ruotati, è delimitato in alto da una strottura che individua una stella a dodici punte. Esternamente la copertura della Cappella della Sindone rivela la strottura interna e si configura con un insieme di elemendi concentrici che dichiarano la conoscenza, da parte del Guarini, delle architetture del Borromini.

Chiesa di San Lorenzo

Nel 1668 iniziano i lavori per la Chiesa di San Lorenzo a Torino. La chiesa è formata da un grande ambiente accentrato, preceduto da un vestibolo e formato da un ottagono dai lati curvilinei, fa seguito un presbiterio ellittico avente l’asse maggiore parallelo alla facciata. Sia l’ambiente principale sia il presbiterio sono coperti da cupole sorrette da costoloni intrecciati. Tali elementi strotturali a vista, che si impongono sul piano estetico quasi come in una svettante e articolata cattedrale gotica, sono il risultato di approfondite riflessioni sulla geometria delle forme e sul comportamento dei materiali. Lo spazio principale è invaso, con discrezione, dagli altri ambienti curvi (cappelle e presbiterio) tanto da dare l’impressione che l’intero edificio sia stato concepito come una spattacolare aggregazione di tante cellule. Queste, inoltre, sono continue dilatazioni e compressioni, quasi un respiro, conferiscono alla chiesa una particolare forma ondeggiante e pulsante.

Palazzo Carignano

In Palazzo Carignano a Torino, voluto dal principe Emanuele Filiberto di Carignano, iniziato a costruire nel 1679, l’architetto da vita a un organismo architettonico in cui la geometria è assecondata dall’uso generalizzato del mattone. La grande fabbrica ha il suo fulcro nell’atrio ellittico sovrastato dal salone di rappresentanza, mentre gli appartamenti privati si sviluppano lungo le ali ortogonali al blocco di facciata. Il fronte sulla piazza si compone di due tratti rettilinei che serrano una superficie ondulata. Questa appare come se, originariamente concava e perfettamente elastica, fosse stata premuta da una massa retrostante (il nodo ellittico dell’atrio). Impedita ad allungarsi per la presenza di blocchi laterali, essa si è naturalmente disposta in modo da presentare due concavità agli estremi e una convessità al centro. La facciata è scandita da alte lesene che diventano binate avvicinandosi all’ingresso monumentale in pietra. Quelle dell’ordine inferiore hanno il fusto decorato in maniera che, da lontano, sembrino bugnate. Quelle superiori, al contrario, sono lisce, ma le sovrasta un’ornatissima trabeazione. Il fastigio centrale, realizzato nel XIX secolo, non rispecchia il progetto guariniano. Nel fronte posteriore, infine, gli ordini architettonici sono stati abbandonati a vantaggio di semplici cornici orrizontali e motivi separatori , verticali e orrizzontali, composti dal rincorrersi di stella a otto punte di mattoni. Spicca, nella geometria dell’insieme, la convessità del nodo ellittico centrale che, elevato a mo’ di torre e forato da aperture di varia forma e dimensione, si pone come asse visivo dell'intera fabbrica.

Baldassarre Longhena

Baldassarre Longhena nato a Venezia nel 1598, fu allievo di Vincenzo Scamozzi assimilando, in tal modo, l’insegnamento del Palladio e ricevendo un’educazione fortemente tecnica. Nella pratica cantieristica, con la naturale confidenza agli operai e l’ascolto attento dei pareri dei più esperti fra loro, si mostrò degno erede della tradizione artigiana paterna. Il padre Melchesiedec era, infatti, un umile, ma esperto scalpellino. Baldassarre di spense a Venezia nel 1682.
Fu il Longhena a caratterizzare in età Barocca l’aspetto del Canal Grande, la più nobile arteria di comunicazione di Venezia, quella che dava il benvenuto agli ospiti stranieri della Serenissima costituendo l’affaccio per i più importanti palazzi del patriziato cittadino. E proprio numerosi palazzi furono oggetto dell’intervento di trasformazione, o di ricostruzione del Longhena.

Ca’ Pesaro

Fra i tanti interventi ricordiamo Ca’ Pesaro. In questo edificio, l’esuberanza barocca del Longhena si esprime nella commistione di scultura e architettura. È così che l’emergere del palazzo dall’acqua è sottolineato dai mascheroni di mostri; teste scultoree sono poste in chiave d’arco nei due portali, al piano nobile, al secondo piano e nelle mensole della gronda. Grandi figure sono adagiate nei timpani degli archi e ornato risulta il fregio di coronamento. Anche il paramento con bugne a punta di diamante nella prozione basamentale tende a una caratterizzazione di tipo scultoreo, interessando persino le paraste ioniche del mezzanino. Al chiaroscuro del basamento bugnato fanno riscontro le ampie fascie d’ombra delle profonde arcate dei due piani soprastanti, ritmati verticalmente dall’alternarsi di colonne singole e binate.
Le balaustre, continua quella del primo piano e appena spezzata dai risalti dei piedistalli delle colonne quella del secondo piano, legano l’intero fronte del palazzo, attraversandolo da uno spigolo all’altro. Tuttavia, a motivo dell’importanza loro attribuita dall’architetto, esse tendono a suggerire una lettura della facciata più come sovrapposizione di strati che non come un equilibrio di relazioni tra elementi verticali e orrizzontali.

Chiesa di Santa Maria della Salute

Nel 1631 il Longhena inizia la realizzazione della Chiesa di Santa Maria della Salute, commissionatagli dalla Repubblica di Venezia che ne aveva decretato la costruzione per un voto fatto alla Vergine durante la terribile epidemia di peste del 1630. La chiesa sorge nei pressi della Punta della Dogana, ultima propaggine del quartiere di Dorsoduro verso il Bacino di San Marco. Una posizione strategica, quindi, di particolare suggestione e decisamente scenografica.
In pianta l’edificio appare costituito da tre ambienti disposti lungo un asse longitudinale. A un corpo principale accentrato (a pianta ottagonale), circondato da cappelle, segue un presbiterio dotato di due absidi semicircolari e, infine, un coro rettangolare separato dal presbiterio per mezzo dell’altare e di due coppie di colonne. In alzato il vano ottagonale e il presbiterio mostrano la copertura a cupola tipicamente veneziana, costituita da una doppia calotta di cui quella esterna sorretta da un’orditura di legno.
L’interno è un ambiente avvolgente, circondato da un ambulacro e dominato dalla cupola. Questa è sorretta da robusti pilastri angolari, ognuno dei quali accoglie delle semicolonne composite sormontate da una trabeazione. Su tali pilastri poggia l’alto tamburo forato da coppie di finestre centinate.
La sobrietà dell’interno si contrappone allo spirito barocco, che si rivela all’esterno soprattutto nei fantasiosi e scultorei contrafforti a voluta che, a due a due, convergono negli spigoli del tamburo ottagonale.
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