Giovanni Fattori

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

- Michelangelo, Raffaello, Bramante e Tiziano -

MICHELANGELO

Molto diverso da Leonardo, per carattere e per esperienze artistiche, fu l’altro grande artista del secondo Rinascimento.
Michelangelo Buonarroti, nato nel 1475 e formatosi nella Firenze dei Medici. Questa diversità alimentò un’incomprensione tra i due pittori che sarebbe durata per tutta la vita. La rivalità tra i due artisti ci fu quando nel 1504, la repubblica fiorentina commissionò loro due affreschi per decorare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. A Leonardo, ormai anziano, fu affidato come soggetto la Battaglia di Anghiari, eseguito solo in parte e presto scomparso per un errore nell’uso della tecnica ad affresco (possediamo solo disegni di artisti posteriori, che lo copiarono).
Al giovanissimo Michelangelo fu affidato l’incarico di realizzare la Battaglia di Cascina, opera anch’essa mai compiuta e di cui restano soltanto copie di disegni preparatori.
Michelangelo ebbe una visione tormentata della vita e, a differenza di Leonardo, non trovò nella natura un campo di ricerca e di studio capace di dargli serenità. Fu piuttosto un indagatore di sé stesso, cercando risposte ai problemi della sua esistenza. Per questa diversa visione della vita, la concezione artistica di Michelangelo può essere considerata opposta a quella di Leonardo. Buonarroti fu pittore, scultore e architetto, ma fu soprattutto nella scultura che meglio espresse la sua creatività. La figura scolpita di nudo maschile in movimento rappresenta il tema principale della sua scultura. Lo studio dell’antichità classica, inoltre, fu fondamentale per la sua attività, come possiamo vedere nel Bacco, opera giovanile. In questa scultura è già visibile il cosiddetto contrapposto, cioè l’equilibrio del movimento di parti di una figura rispetto a quello di altre: l’artista fa piegare al suo Bacco un braccio e una gamba, a cui “contrappone” l’altra gamba e un braccio teso, creando così un senso dinamico e di tensione.
Michelangelo ci ha lasciato altre famosissime sculture, tra queste la Pietà, conservata a San Pietro a Roma, e il celebre David oggi al museo dell’Accademia di Firenze. Caratteristica di Michelangelo scultore è il “non finito” cioè l’opera resta volutamente incompiuta. Famose sono le Pietà, opere non finite che meglio esprimono le tensioni tra forma e materia.
Uguale grandezza Michelangelo dimostrò nelle opere di pittura. La gigantesca decorazione della volta e della parete della Cappella Sistina in Vaticano eseguita in pochi anni (1509-1512); fu commissionata dal papa Giulio II e illustra scene della Bibbia e figure di profeti e sibille. Tutta l’umanità che compone il Vecchio Testamento fu pensata da Michelangelo come un popolo di uomini e donne ideali, realizzati secondo il modello della grandiosa bellezza classica. Ancora, l’artista fu chiamato da Paolo III nel 1546 a sovraintendere come architetto la costruzione della Basilica di San Pietro; suo è il progetto della grandiosa cupola.

RAFFAELLO

Raffaello Sanzio (1483-1520), figlio del noto pittore Giovanni Santi, crebbe e si formò ad Urbino nella bottega paterna, dove entrò in contatto con l’ambiente stimolante della corte dei Montefeltro. Dopo aver approfondito la sua formazione nella bottega del Perugino, esperienza che fu fondamentale per il giovane artista, Raffaello si recò a Firenze, attirato dall’occasione di veder lavorare, nella Sala dei Cinquecento, Leonardo e Michelangelo. Naturalmente il contatto con l’arte dei due grandi pittori l’aiutò nella sua straordinaria evoluzione artistica fino a fargli raggiungere uno stile originale che interpretava i motivi principali del Rinascimento classico.
L’obiettivo di Raffaello fu, infatti, la ricerca di un’ideale perfezione di bellezza, come si può osservare nella serie di dipinti raffiguranti Madonne, per esempio la Bella Giardiniera e la Madonna del Cardellino (1507 ca.) di Firenze. Un altro celebre dipinto è lo Sposalizio della Vergine (1504), ora nella Pinacoteca di Brera a Milano, dove la composizione è la sintesi dell’idea di armonia e perfezione classica.
Nel 1509 papa Giulio II chiamò Raffaello a Roma per affrescare le stanze dell’appartamento papale in Vaticano (1509-1517); contemporaneamente Michelangelo stava dipingendo la Cappella Sistina e Bramante stava lavorando all’urbanistica di Roma. Nelle pitture delle stanze dell’appartamento papale, dette da allora “Stanze di Raffaello”, i soggetti rappresentati sono di argomento mitologico, filosofico o religioso (fig.13); lo stile risente molto dell’influenza michelangiolesca. Per la grandiosità delle composizioni, per la drammatica interpretazione dei temi sacri e per il senso del movimento che percorre tutte le scene, questi affreschi possono essere considerati uno dei massimi capolavori dell’artista.

BRAMANTE

A Urbino, centro famoso durante l’Umanesimo per gli studi e la ricerca della matematica, lavorò come pittore ed architetto Donato Bramante. Uno dei naturali campi di applicazione della matematica fu l’architettura, e Bramante divenne un celebre architetto appunto utilizzando le conoscenze che aveva acquisito in questo campo. L’artista avrà infatti l’onore di avviare i primi rinnovamenti urbanistici di Roma, voluti dal papa Giulio II.
Prima però di lavorare nella “città eterna” Bramante sperimentò la sua arte a Milano (dal 1477), alla corte degli Sforza, dove conobbe Leonardo. Qui insieme al pittore di Vinci studiò il modo di unire architettura reale e dipinta, in modo da creare giochi illusionistici con lo scopo di ampliare lo spazio, di creare la prospettiva illusionistica.
Guardiamo l’interno della chiesa di Santa Maria presso San Satiro. La chiesa è a croce latina, con navate laterali anche nel transetto, ma l’area dove avrebbe dovuto essere edificata non era sufficiente per la costruzione ideata dal Bramante, il quale allora dipinse la volta dell’abside utilizzando la prospettiva, che rende l’illusione di uno spazio grande e profondo.
Fu a Roma che Bramante raggiunse la celebrità, allorché il papa Giulio II gli commissionò l’abbattimento dell’antica chiesa e la costruzione della nuova basilica di San Pietro, che tutti oggi ammiriamo. Morto Bramante nel 1514, i lavori continuarono, affidati prima a Raffaello e successivamente a Michelangelo, che terminò la grandiosa cupola (fig. 15).

VENEZIA E I SUOI PITTORI

Anche Venezia, come Firenze e Roma, all’inizio del XVI secolo fu un grande laboratorio artistico dove si formarono famosi pittori veneti: Giorgine, Tiziano, Tintoretto, Veronese. Mentre c’è una certa continuità artistica tra gli artisti di Firenze e Roma, l’arte veneta fece un percorso indipendente e originale, grazie anche alle poche ma ricchissime famiglie che detenevano il potere cittadino e alla Chiesa, che erano committenti e mecenati di questi grandi pittori. Protagonista del rinnovamento della pittura veneta fu Giorgione, che in pochi anni introdusse nell’ambiente artistico veneto tutti gli elementi del Rinascimento maturo. Più tardi, nel secondo decennio del Cinquecento, sarebbe stato Tiziano, amico di Giorgione, ad avere l’assoluta preminenza del campo della pittura. Dalla metà del secolo sarebbe toccato ad un altro celebre pittore: Jacopo Robusti detto il Tintoretto. Vediamo su cosa si fondò l’originalità dell’arte pittorica veneta. Innanzitutto l’uso di un procedimento particolare, la pittura senza disegno: per la prima volta il colore divenne uno strumento autonomo di espressione, che creava le forme, senza il disegno preparatorio di base. Questa tecnica dette vita a figure morbide e sfumate, create da zone di colore dato a macchia senza seguire un profilo preciso. Anche la prospettiva fu realizzata attraverso differenti piani di colore, graduato dalla diversità luminosa, anziché dall’uso del disegno geometrico, questa si chiama pittura tonale.
Nel campo dell’architettura portò un valido contributo Andrea Palladio con il suo approfondito studio delle forme architettoniche classiche.

TIZIANO

Tiziano Vecellio (1490-1576), amico di Giorgione, fu il continuatore della sua opera. Anche per Tiziano è il colore che modella le forme, che descrive il paesaggio, che con le sue tonalità, a volte vivaci a volte calde, segue le linee delle figure. Il pittore non usa più lo schizzo preparatorio, come facevano i pittori toscani. Che creavano le figure con linee disegnate a carboncino. Parliamo allora di questi colori tipici di Tiziano: il dorato caldo e luminoso dell’atmosfera dei paesaggi, o il rosso cupo dei panneggi dei molti personaggi ritratti, e infine il celebre “rosso Tiziano” dei capelli femminili. Nella pala d’altare con l’Assunta (fig. 18), dipinta per la chiesa di Santa Maria dei Frari a Venezia tra il 1516 e il 1518, l’attività di Tiziano, lunga e ricca, subisce un’evoluzione verso la classicità. Nella pala, infatti, sono raffigurati amorevoli e paffuti cherubini che sembrano antichi putti pagani. Il colore tonale permette anche all’artista di movimentare le scene e di dare forte espressività alle figure, creando una forte illuminazione radente e accesa in toni infuocati.
Non dobbiamo dimenticare che Tiziano fu un abilissimo ritrattista di personaggi illustri: l’imperatore Carlo V e Filippo re di Spagna, papa Giulio II, Eleonora e Federico II Gonzaga, Francesco Maria della Rovere. In questi ritratti oltre ai lineamenti fisici e ai preziosi vestiti il pittore riesce a rappresentare con acuta intelligenza il carattere e la psicologia dei personaggi dipinti.
Le splendide figure femminili sono rimaste un modello inconfondibile: ad esempio la Venere di Urbino, una giovane dalle forme morbide che segue i canoni della bellezza del tempo, definita appunto “bellezza tizianesca”(fig.19).

I PITTORI E LE OPERE “DI MANIERA”

Il termine “maniera”, da cui il nome dello stile detto Manierismo, fu usato per la prima volta dall’artista e studioso Giorgio Vasari e poi, nel Seicento, da un altro grande esperto d’arte, Bollori, che lo considerò uno stile fatto di perfezione tecnica che si allontanava dallo studio e dall’interpretazione diretta della natura. Vennero chiamati perciò “manieristi” gli artisti che operarono subito dopo i tre grandi del Rinascimento, Leonardo Michelangelo e Raffaello. I maggiori rappresentanti del manierismo furono: Giulio Romano (1499-1546; fig. 24), che fu anche architetto; Rosso Fiorentino (1495-1540); il Pontormo (1494-1556); il Beccafumi (1486-1551); il Bronzino (1503-1572); il Correggio (1489-1534) e il Parmigianino (1503-1540). In scultura e architettura manieristi furono Baccio Bandinelli, Benvenuto Cellini (fig.25), Giambologna, il Vignola e lo stesso Vasari.
Il Manierismo sviluppò, e in alcuni casi esasperò, le caratteristiche dell’arte rinascimentale. Gli artisti di questo periodo dipingevano, infatti, con un amore quasi ossessivo per uno stile e un’eleganza estremi, per una “bellezza” continuamente trasformata ed inventata, tanto da essere quasi irreale e, infine per un’innovazione continua della tecnica, attraverso l’uso dei colori puri e quasi metallici. Il manierismo si diffuse presto in tutta Europa, soprattutto dopo che fu fondata la Scuola di Fontainebleau (vicino Parigi). Qui Francesco I chiamò gli artisti italiani (come lo scultore-orefice Benvenuto Cellini), i principali esponenti del nuovo stile, perché insegnassero quanto di nuovo l’arte italiana aveva sperimentato. Lo stesso Rosso Fiorentino, rifugiatosi in Francia dopo il sacco di Roma, divenne pittore ufficiale della corte di Francia.

Rosso Fiorentino, Pontormo e Parmigianino

Giovanni Battista di Jacopo, detto Rosso Fiorentino (1495-1540), dipinse presso la bottega di Andrea del Sarto, e si dimostrò indipendente dall’arte di Raffaello e Michelangelo, introducendo un nuovo stile che diventerà tipico degli artisti manieristi. Nella deposizione (fig.26) non vediamo più il classicismo rinascimentale fiorentino: la composizione è costruita su un solo piano, senza profondità prospettica, per linee spezzate che fanno apparire le figure allungate, spigolose e sfaccettate. Anche la luce non naturale, in cui mancano gli effetti del chiaroscuro, è tipica del Manierismo; Rosso annulla così qualsiasi relazione con la realtà naturale per ricercare una ricca eleganza irreale. Anche Jacopo Carrucci, detto Pontormo (1494-1556), si formò alla bottega di Andrea del Sarto, ma presenta notevoli differenze dal Rosso. Guardiamo la sua Deposizione (fig.27): i volumi ampi e ricchi panneggi richiamano l’opera di Michelangelo e Raffaello. Del tutto manieristici sono invece l’uso delle tinte pastello, prive di chiaroscuro, e la mancanza di prospettiva, sostituita riempiendo completamente spazio con la rappresentazione dell’episodio. Nei quadri del Parmigianino (1503-1540), che pure si rifà al classicismo rinascimentale, l’eleganza delle forme risulta quasi astratta per via degli irrealistici allungamenti (vedi pag.172).

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