Giorgio de Chirico e la metafisica

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Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Capitolo 1
NOTE BIOGRAFICHE

Giorgio de Chirico nasce il 10 luglio 1888 a Volos, in Grecia. Nel 1891 nasce il fratello Andrea, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e pittore. Trasferitosi con la famiglia ad Atene nel 1899, dal 1903 al 1906, frequenta il corso di disegno della sezione Belle Arti presso il Politecnico.
Qui si esercita nella copia in bianco e nero di calchi di sculture greche e romane. Interrompe gli studi a causa della morte del padre, avvenuta nel 1905, e della conseguente decisione della madre di lasciare la Grecia. Alla fine dell’agosto 1906 la famiglia de Chirico (madre, Giorgio e il fratello Andrea) è in Italia, soggiornando a Firenze e, poi a Venezia e a Milano, e visitando musei e gallerie d’arte. In autunno si trasferiscono a Monaco di Baviera, dove il giovane Giorgio frequenta per circa due anni l’Accademia di Belle Arti, formando la propria personalità d’artista sui testi pittorici di Bocklin e sugli scritti filosofici di Schopenhauer. Nel 1908 trascorre quattro mesi in Italia, dove sono ritornati la madre e il fratello Andrea che segue studi musicali. Dipinge le sue prime tele sotto l’influenza di Bocklin (Il Centauro ferito, La battaglia tra Opliti e Centauri, …).
Nel 1910 Andrea parte per Parigi, mentre Giorgio raggiunge la madre a Firenze, dove rimane per circa un anno. Egli stesso ha scritto che allora il suo periodo bockliniano era terminato, e iniziava a dipingere soggetti ove cercava di tradurre un sentimento misterioso e potente: la malinconia delle belle giornate d’autunno, il pomeriggio nelle città italiane. In effetti, quadri come Enigma di un pomeriggio d’autunno, L’enigma dell’oracolo e, anche, il ritratto del fratello datato 1910, fondano le citazioni di Bocklinin in un’atmosfera che prelude alle più tarde piazze d’Italia.
Nel 1911 raggiunge con la madre il fratello a Parigi, dove rimarrà fino al 1915. Durante il viaggio si fermano qualche giorno a Torino, e l’ambiente architettonico della città, come già quello di Monaco e di Firenze, esercita una profonda suggestione nell’immaginario di de Chirico. Il 14 luglio arrivano a Parigi. Qui la sua pittura, che finora ha elaborato le suggestioni dei pittori tedeschi da lui amati, si sviluppa in un linguaggio autonomo. Dalla nostalgia dell’Italia nasceranno le ulteriori prove metafisiche.
Su consiglio di Apollinaire nel 1912 partecipa al Salon d’Automne esponendo tre tele : una Piazza d’Italia, un Autoritratto e l’enigma dell’Oracolo, che ottengono un buon successo di critica.
All’inizio del 1913 è presente al Salon des Indipendants con tre opere e poi, con quattro opere, nuovamente al salon d’Automne. Apollinaire parla dei “paesaggi metafisici” di de Chirico in articoli pubblicati in “Les Soirees de Paris”. In quegli anni de Chirico incontra Picasso, Brancusi, Braque, e s’immerge nello studio di Schopenhauer.
L’anno dopo espone ancora tre opere al Salon des Indipendentes. Frequenta l’ambiente artistico e letterario dell’Ecole de Paris con il fratello, musicista molto apprezzato, e viene riconosciuta l’assoluta originalità della sua visione, immune da ogni influsso delle tendenze artistiche dominanti. Dipinge il ritratto di Apollinaire, noto come L’homme-cible. Ardegno Soffici scrive di lui su “Lacerba”. Attraverso Apollinaire conosce Paul Guillaume, giovane mercante che s’interessa della sua opera.
Nell’abbondante produzione di questi anni de Chirico inventa ed elabora con straordinaria fantasia temi di misteriosa magia poetica : visioni architettoniche, manichini, piazze d’Italia, statue solitarie. Realizza le sue prime nature morte.
Nell’estate dell’anno 1915 viene richiamato in Italia per lo scoppio della guerra. Passa la visita a Firenze e viene destinato al ventisettesimo reggimento di fanteria di stanza a Ferrara. Riconosciuto il suo cattivo stato di salute, può svolgere un lavoro ausiliario e continuare a dipingere.
L’impressione prodotta dall’ambiente urbano ed architettonico della sua città è fondamentale per lo sviluppo della sua visione. Qui dipinge capolavori come Le muse inquietanti, Ettore e Andromaca, Il Trovatore e una serie di interni metafisici. L’influenza del suo mondo poetico è decisiva per l’opera di Carlo Carrà, suo compagno all’Ospedale militare dal gennaio alla primavera del 1917. Oltre a Savinio, pure soldato nella stessa città, partecipa a frequenti discussioni artistiche anche Filippo de Pisis. Insieme creano la breve stagione della “pittura metafisica”.
Nell’inverno del ’18 viene trasferito a Roma.
Dipinge, fra l’altro, il doppio ritratto, suo e di sua madre. Frequenta i musei d’arte antica, in particolare quello di Villa Borghese, dove copia Lorenzo Lotto, ed ha la grande rivelazione della grande pittura davanti a un quadro di Tiziano.
Collabora alla rivista di Mario Broglio “Valori Plastici” con articoli di notevole interesse teorico. Frequenta i letterati e gli artisti facenti capo alla rivista “La Ronda”. Dopo aver partecipato con Carlo Carrà ad una mostra nelle sale del giornale “L’Epoca”, organizza una personale nella galleria di Via Condotti di proprietà dei fratelli Bragaglia con opere del periodo metafisico di Ferrara. Per l’occasione “Valori Plastici” pubblica un volume in cui sono riprodotte dodici delle sue opere commentate da giudizi critici di illustri scrittori ed artisti tra i quali Apollinaire, Carrà, Papini e Soffici. Andrè Breton recensisce entusiasticamente la mostra sulle pagine di “Litterature” ed entra in contato epistolare con de Chirico.
Dal 1920 al 1923 de Chirico divide il suo tempo tra Roma, Firenze e Milano. Collabora con la rivista “La Ronda”, sulla quale pubblica l’articolo intitolato Classicismo pittorico, in cui esprime la sua ammirazione per Ingres e si dichiara fedele al disegno quale fondamento dell’arte classica. Nella sua pittura, infatti, si fa sempre più sentire un’originale e romantica interpretazione della classicità e un interesse per la tecnica degli antichi Maestri rinascimentali. Nel 1922 scrive una significativa lettera a Breton sull’importanza del mestiere per un pittore e sui segreti della tecnica. Dipinge la serie di Ville romane, dei Figliol prodigo, degli Argonauti e realizza un nuovo gruppo di nature morte. Rielabora, all’interno del nuovo spirito e della nuova tecnica, motivi metafisici degli anni precedenti. Espone a Berlino una mostra organizzata da “Valori Plastici”.
Inoltre nel 1921 tiene una personale a Milano, presso la galleria Arte suscitando scandalo; Nel 1922 espone alla Fiorentina Primaverile e cinquantacinque quadri a Parigi, da Paul Guillaume; nel 1923 alla biennale romana, visitata da Paul Eluard che gli acquista diversi dipinti.
Partecipa per la prima volta alla biennale di Venezia nel 1924, e sempre nello stesso anno compie un viaggio a Parigi in occasione della messa in scena al Thèatre des Champs-Elysès del balletto “La giara” di Pirandello, di cui ha realizzato scene e costumi. Conosce Raissa Gurievitch Krol, un’attrice russa del teatro degli Undici fondato da Pirandello, e la sposa durante l’anno.
Un anno dopo si stabilisce con Raissa nella capitale francese avendo firmato un contratto con la galleria “L’Effort moderne” di Leonce Rosenberg e lavorando assiduamente con il mercante Paul Guillaume. I surrealisti, che lo avevano eletto loro maestro, lo dichiarano morto nel 1918 e conducono un vero e proprio ostruzionismo verso la sua recente produzione. Alcune sue opere metafisiche sono comunque presenti alla prima mostra del gruppo surrealista alla galleria Pierre, ed alcune sue composizioni poetiche del 1911-13 vengono pubblicate nel n. 5 della “Revolution Surrealiste”.
Allestisce un’altra personale alla galleria Paul Guillaume nel 1926 : sono presenti trenta dipinti, di cui molti saranno comprati dal presentatore stesso della mostra : Albert C. Barnes, collezionista di Philadelphia.
La rottura col gruppo surrealista sembra definitiva : de Chirico avversa tutto quanto è moderno e surrealista e sul n.7 della “Revolution Surrealiste” Breton lo definisce un “genio sprecato”. Incomincia ad esporre in Italia e all’estero con il gruppo del Novecento Italiano, accomunandolo a questa tendenza il “desiderio classico” insito nella sua pittura (“Pictor classicus sum”).
Nel 1927 tiene altre mostre a Parigi, nuovamente da Paul Guillaume e alla Galleria Jeanne Bucher. Esce la monografia di Roger Vitrac edita a Parigi da Gallimard. I temi degli Archeologi, dei Cavalli in riva al mare, dei Gladiatori, dei Mobili nella valle, dei Bagni Misteriosi, ampliano il suo repertorio poetico.
La prima personale a Londra è datata 1928. Nella collana “Arte moderna” di Vanni Scheiwiler esce la monografia di Roger Vitrac, Jean Cocteau pubblica “Le Mystere Laic-Essai d’etude indirecte”, dedicato alla pittura di de Chirico ed illustrato da litografie dell’artista. Si tratta della prima analisi in chiave poetica della sua opera dopo quelle di Apollinaire e di Breton. Intanto la polemica con i surrealiste giunge al culmine. Quando in febbraio de Chirico inaugura da Rosenberg una mostra di quadri recenti d’impronta classicheggiante, i Surrealisti allestiscono nella loro galleria una mostra intitolata : “Opere antiche di Giorgio de Chirico”, con dipinti metafisici, in buona parte provenienti dalla collezione privata di Breton. In marzo le due mostre vengono inaugurate a Bruxelles. Andrè Breton pubblica le Surrealisme et le peinture, esaltando le opere dechirichiane anteriori al 1918 e condannando quelle successive. L’arte di de Chirico è comunque riconosciuta dai massimi artisti dadaisti e surrealisti (Ernst, Magritte, Dalì,...) quale fonte per le loro ricerche e creazioni. Anche gli artisti tedeschi della “Nuova oggettività”, del “Realismo magico” e del Bauhaus ne sono profondamente influenzati. Anche le opere più recenti cominciano comunque a tenere favorevoli consensi critici. De Chirico pubblica il Piccolo trattato di tecnica pittorica e realizza il frontespizio per la raccolta di poesie di Paul Eluard.
Nel 1929-30 pubblica in fracese il suo romanzo “Hebdomeros”. A Montecarlo realizza scenari e costumi per il balletto Le bal di Rietti. La crisi del 1929 crea una situazione difficile per il mercato dell’arte e de Chirico decide di ritornare definitivamente in Italia, fissando la propria dimora a Roma. E’ con lui Isabella Pakszwer Far, che, mentre il suo matrimonio era in crisi, ha conosciuto a Parigi proprio alla vigilia della sua partenza e che resterà al suo fianco per tutto il resto della sua vita. Intanto l’artista prosegue la ricerca avviata verso i valori plastici, il preziosismo cromatico e la qualità della materia pittorica. Partecipa a mostre internazionali. Esce “Calligrammes” di Apollinaire illustrato da litografie di de Chirico.
Negli anni 1931 e 1932 è a Milano, dove espone con successo alla galleria Barbaroux. Espone anche a Praga, presentato da Carlo Carrà e in altri paesi europei. Partecipa alla Biennale di Venezia ed espone a Firenze nella galleria di Palazzo Ferroni, tenuta dall’antiquario Luigi Bellini.
Realizza scene e costumi per I puritani di Bellini al Maggio Musicale fiorentino ed esegue un grande murale con la tecnica della tempera all’uovo (in seguito distrutto) per la triennale di Milano. Espone a Genova con Francesco Messina : è il 1933.
Rientra a Parigi nel 1934 ed esegue le litografie per “Mythologie” di Jeane Cocteau.
Tristan Tzara e i surrealisti tentano una lettura in chiave psicanalitica del dipinto L’enigma di una giornata e la pubblicano sulla rivista “Le Surrealisme service della Revolution”.
Dopo che la quadriennale romana gli aveva dedicato una sala, si reca a New York, dove resta per diciotto mesi, ospite di Barnes a Merion, nei pressi di Philadelphia. In ottobre presenta una serie di opere datate 1908-1918 presso la galleria di Pierre Matisse ed ottiene un buon successo di pubblico e di critica. Prende poi parte alla mostra del museo of Modern Art di New York dedicata all’arte fantastica, Dada e Surrealismo. Dal 1939, anno in cui lavora per il Covent Garden di Londra, al 1942, quando le opere presenti alla sala personale della Biennale di Venezia vengono definite barocche, vive prevalentemente a Milano.
Allestisce delle mostre a Torino, Milano e Firenze. Dipinge ormai tele naturalistiche ed esegue numerosi ritratti. S’interessa alla scultura in terracotta e traduce in tre dimensioni i suoi personaggi preferiti : Ettore e Andromaca, Archeologi e molti altri.
Illustra l’Apocalisse e si ritrae per la prima volta con un costume d’epoca alludendo alla continuità della tradizione. Nel marzo del 1941 allestisce la sua prima esposizione di sculture alla galleria Barbaroux di Milano. Trascorre gli anni della guerra tra Milano, Firenze e Roma, dove si stabilisce di nuovo in maniera definitiva. Nel 1945 esce in italiano l’autobiografia Memorie della mia vita, cui fa seguito il libro scritto con Isabella “Commedia dell’Arte Moderna”. La stessa Isabella cambia il titolo del dipinto di de Chirico da “Natura morta” a “Vita silente”.
Nel secondo dopoguerra si fanno più frequenti gli impegni dechirichiani con il teatro lirico : collabora con il teatro comunale di Firenze, l’Opera di Roma e il Teatro alla Scala di Milano ; s’intensifica in questo periodo anche l’attività grafica dedicata all’illustrazione.
Nel 1946 scoppia uno scandalo : l’artista dichiara falsi i dipinti degli anni ‘20-’30 facenti parte della retrospettiva organizzata presso la galleria Allard di Parigi.
Disegna le scene per il balletto Don Giovanni di Strauss. La mostra sulla pittura metafisica allestita alla Biennale di Venezia nel 1948 suscita una forte reazione polemica da parte dell’artista, che contesta la scelta delle opere e fa causa alla Biennale. E’ profondamente infastidito dallo spaventoso numero di opere false e soprattutto dall’atteggiamento della cultura artistica internazionale che tende a “beatificare” il momento metafisico ai danni dell’ulteriore svolgimento del lavoro, proseguendo così nella posizione inaugurata dai surrealisti.
Alla Royal Society of British Artist di Londra si tiene nel 1949 una mostra personale, contemporaneamente la London Gallery espone deliberatamente solo sue opere metafisiche. Le opere in esposizione alla Royal Society saranno in seguito presentate a Venezia in contrapposizione con quelle presentate per la rassegna organizzata dalla Biennale. Continua a dipingere contemporaneamente opere di atmosfera metafisica e di impianto tradizionale. Nel 1950 de Chirico, ancora arrabbiato, organizza a Roma una rassegna di pittori realisti in chiave anti-biennale. Nel 1952 muore il fratello Andrea, Alberto Savinio. Organizza a Venezia una serie di mostre personali che sono qualificate come manifestazioni contro la modernità.
Isabella termina il primo stidio sull’opera di de Chirico nel 1953. Tra il 1955 e il 1960, continuerà a organizzare mostre. Ritorna continuamente al tema metafisico pur continuando a dipingere nature morte, paesaggi, ritratti ed interni in costante contraddizione con le tendenze dell’arte contemporanea. Partecipa alla Quadriennale di Roma. Viene pubblicata l’importante monografia di James Thrall Soby.
Nel 1961 espone alla Galleria La Barcaccia di Roma.
Dal 1964 , fino all’anno dopo, de Chirico espone a Torino, con opere del 1920-30 e s’interessa di scenografia cominciando a dedicarsi alla scultura in bronzo che coltiverà per tutta la metà degli anni ’60. I temi trattati appartengono al repertorio mitologico, Più tardi queste sculture verranno presentate anche dorate e argentate, e de Chirico le trasformerà in gioielli. Illustra “I promessi sposi di Alessandro Manzoni”. La sua opera comincia ad essere apprezzata nella globalità.
Nel 1968 espone a Milano nella Galleria Jolas opere composte su nuovi temi metafisici. Escono due monografie di Isabella Far. Si dedica in particolare alla litografia e illustra la traduzione di Salvatore Quasimodo di brani dell’Iliade. Dal 1969 al 1971 esce il catalogo della sua opera grafica. Per l’occasione la Galleria La Medusa di Roma inaugura una rassegna della sua produzione grafica recente.
Disegna le illustrazioni per Kafka . Viene allestita la sua prima grande antologica presso le sale di Palazzo Reale a Milano. Si tratta di centottanta opere, fra dipinti, disegni, sculture, datate fra il 1909 e 1970. Presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara si apre la mostra “I de Chirico” di de Chirico che viene poi trasferita a New York Viene pubblicato il catalogo generale dei suoi dipinti.
Crea nel 1974 le illustrazioni del suo romanzo Hebdomeros. Prende avvio la mostra itinerante “De Chirico presenta de Chirico” che verrà ospitata presso i più importanti musei giapponesi.
Nel 1975 viene nominato Accademico di Francia ed espone al museo Marmottan.
Ottiene la croce di Gran Ufficiale della Repubblica federale Tedesca : Mostre a Bruxelles, Londra e New York. Inventa nel 1977 le nuove illustrazioni per l’Apocalisse, da realizzarsi , questa volta, con la tecnica della litografia a colori. Mentre la riabilitazione dal punto di vista critico si può dire totale, l’ultimo periodo della sua vita viene turbato da una serie di questioni giudiziarie che egli stesso aveva intentato per arginare il fenomeno dei falsi.
Esposizione di disegni a Roma nel 1978 , l’ultima con l’artista vivente. In occasione dei suoi novant’anni, la galleria Artcurial di Parigi organizza una rassegna intitolata De Chirico di de Chirico, diversa da quella di Ferrara e New York. Muore il 20 novembre a Roma al termine di una lunga malattia.
Capitolo 2
LA NATURA VERSO L’ASSOLUTO : LA METAFISICA.
1. METAFISICA : DA ANDRONICO DI RODI A DE CHIRICO
“Una combinazione di casualità , fra i patimenti, le angosce e la guerra, fece trovare a Ferrara, nel 1917, Giorgio de Chirico, il fratello Andrea (o meglio, Alberto Savinio) e Carlo Carrà : fu la nascita ufficiale della pittura metafisica alla quale aderì, nel 1918, anche Giorgio Morandi” .
Tuttavia quel genere di pittura era stata un autonoma invenzione del solo de Chirico che la praticava sin dal 1909.
Dall’ Enciclopedia generale Mondadori il termine metafisica : definizione dal greco meta’ tà physika’, dopo le cose della fisica. “La scienza prima che studia l’essere in quanto essere , a differenza delle scienze particolari che studiano l’essere nei suoi aspetti particolari || Scienza dei principi primi dell’essere e della conoscenza, che permette la formazione di una realtà e dà fondamento a ogni giudizio di esistenza e di conoscenza || Dottrina che ha un fondamento puramente concettuale, avulsa quindi da qualsiasi rapporto con la realtà concreta || Nella pittura metafisica la rappresentazione, abbastanza tradizionale, del reale viene sconvolta e capovolta nei suoi significati da accostamenti ironicamente assurdi, carichi di simbolismo misterioso e inquietante, metafisico in quanto estraneo alla realtà quoridiana”. Alla creazione di questo effetto contribuisce l’uso di giochi di luce e ombre e di colori singolarmente verosimili, ma che interagiscono congelando la scena rappresentata in un’atmosfera immobile di realtà.
Comunque dal punto di vista strettamente storico fu Andronico di Rodi, nel I sec. a.C. a distinguere gli scritti di Aristotele in due gruppi. Il primo riguardava la fisica, e quindi le leggi della natura, mentre il secondo era costituito dai testi riferiti all’essenza delle cose, cioè la realtà di cui non abbiamo esperienza diretta.
Col passare del tempo la parola metafisica, stette ad indicare il soggetto del secondo gruppo degli scritti aristotelici.
Nell’uso di de Chirico e dei metafisici, come unico contatto con la filosofia, il termine ha l’allusione ad una realtà diversa, superiore a ciò che vediamo, perché gli oggetti, separati dal contesto in cui li usiamo di solito, trovano un nuovo significato che sorprende.
Nel 1919 de Chirico scriveva :
“L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena ; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre a quelli già palesi, debbano subentrare sul quadrato della tela : tale è il sintomo della profondità abitata. Così la superficie piatta di un oceano ci inquieta non tanto per l’idea della distanza chilometrica che stà tra noi e il suo fondo, quanto per tutto lo sconosciuto che si cela in quel fondo. [...] Io entro in una stanza, vedo un uomo seduto sopra una seggiola, dal soffitto vedo pendere una gabbia con dentro un canarino, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri, tutto ciò non mi colpisce, non mi stupisce, poiche la collana dei ricordi che si allacciano l’uno all’altro mi spiega la logica di ciò che vedo ; ma ammettiamo che per un momento e per cause inspiegabili e indipendenti dalla mia volontà si spezzi il filo di tale collana, chissà come vedrei l’uomo seduto, la gabbia, i quadri, la biblioteca ; chissà allora quale stupore, quale terrore, e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io mirando quella scena.” ( Valori Plastici, aprile-maggio 1919).
Tutti dentro di noi abbiamo una serie di ricordi grazie ai quali un oggetto è sempre associato ad un uso e ad uno spazio proprio : è la collana dei ricordi ; ma se essa si spezza tutto è nuovo. Estraniando l’oggetto dal suo spazio naturale, o mostrando inanimati luoghi fatti per contenere persone si avrà un effetto provocatorio che ci turba.
La pittura metafisica non è come si potrebbe superficialmente pensare l’inizio del surrealismo, anche se per un pò di tempo i surrealisti ritennero de Chirico il loro maestro. La metafisica nasce infatti in opposizione al Futurismo e alle esperienze francesi, dall’Impressionismo al Divisionismo, che secondo de Chirico furono la “rovina dell’arte moderna”.
All’immediatezza degli Impressionisti, alla scomposizione delle forme e allo spazio dinamico dei Futuristi, la Metafisica oppone un rigida prospettiva, un colore terso, una solida volumetria degli oggetti, infine un segno netto deciso sicuro.
Si trattava di un richiamo all’ordine , alla certezza della tradizione che la pittura italiana poteva dare e che ben rispondeva allo smarrimento dovuto alla guerra e ad una crisi dei valori che ne seguì. Dopo l’Italia, la pittura metafisica venne vagheggiata e teorizzata anche in altre parti d’Europa.
2. L’IMPORTANZA DI “VALORI PLASTICI”
Tra le molte riviste, per lo più di esistenza effimera, che proliferano negli anni della guerra e subito dopo, si può benissimo dire che una tra le più importanti è “Valori Plastici”.
Per “Valori Plastici” tre sono i principali obiettivi polemici da perseguire. Quello contro il Futurismo e le avanguardie moderniste in generale per l’eccesso di sperimentalismo e il disprezzo della tradizione. Quello contro il socialismo e il Bolscevismo (si parla infatti degli anni della rivoluzione russa), e infine contro la modernità, a causa della non capacità di porre l’arte come “la questione più importante”, ma renderla insignificante, pura ricerca di innovazione e sorpresa formale.
Dal punto di vista del linguaggio pittorico, le indicazioni vanno verso un opposizione netta a soluzioni di tipo impressionista o espressionista, per abbracciare invece il rilancio di categorie come il mito, la memoria, la classicità, intesa non solo in senso accademico, ma anche nazionalistico, far rinascere quindi un’arte che va contro il dilagante materialismo.
Anche se quando avviene la nascita l’esperienza metafisica è praticamente esaurita, la rivista diventa comunque il principale strumento per comunicare anche all’estero questa tendenza, attraverso un’ampia scelta di riproduzioni, e grazie a numerosi scritti di poetica e di interventi critici da parte di Carrà, de Chirico e Savinio. E’ tuttavia sbagliato considerare “Valori Plastici” solo come organo di diffusione dell’arte metafisica, nelle sue pagine si trovano anche altre posizioni : dalla sintetica scultura di Arturo Martini, al neotradizionalismo di Soffici cui si collega la rivalutazione di Fattori, dai disegni e quadri di Edita Walerowna zur Muehlen, con valenze favolistiche, alla visione mistico-religiosa del marito Broglio, che però è presente nella rivista solo come critico e non come pittore.
“Valori Plastici” fu fondata dallo stesso Broglio nel 1918 e si esaurì nel 1922, quando un gruppo di artisti raggruppatisi sotto lo pseudonimo Novecento, organizzarono la loro prima mostra. Il tema ispiratore era anche uno dei contenuti della rivista e cioè il richiamo all’ordine.
Il gruppo, che esordi pubblicamente alla XIV Esposizione Internazionale dell’Arte di Venezia nel 1924, fece scalpore anche tra gli altri artisti, che erano anch’essi rivolti verso una rappresentazione naturalista, oggettiva, ma cosparsa di un’atmosfera magica, di sospensione incantata : questo movimento venne chiamato Realismo magico.
Nei riguardi dell’Europa la posizione di “Valori Plastici” è di notevole attenzione ma soprattutto di aperto confronto. L’Italia infatti veniva proposta come modello da seguire e imitare anche all’estero, con un ruolo egemone che aveva la pretesa di eguagliare quello avuto in passato dal Rinascimento.
In questo senso la polemica antifrancese, la vera egemone, in particolare contro Picasso e i cubisti, era più violenta da parte di de Chirico, Carrà e Soffici (che allora definiva Braque, Picasso e Derain addirittura “frutti dell’onanismo spirituale, falso, sterile e anche imbecille”). E’ quindi particolarmente significativo a questo proposito l’incontro-scontro fra cubismo e metafisica attuato attraverso la pubblicazione di due fascicoli successivi della rivista, il secondo e il terzo della serie, dedicati separatamente alle due tendenze.
Nell’ ambito dell’ampio dibattito sull’arte contemporanea tra gli interventi relativi alle ultime tendenze, oltre a quelli sul Cubismo si possono citare degli accesi dibattiti a suon di articoli e trattati tra i collaboratori per difendere o attaccare, ad esempio, il neoplasticismo e il purismo.
Diversamente da quanto si potrebbe credere il gruppo di “Valori Plastici” non era certo un gruppo affiatato, come si capisce da questa testimonianza di Edita Broglio :
Umanamente “Valori Plastici” non è esistito come gruppo perché Morandi era un solitario, Carrà e de Chirico non si frequentavano volentieri, Martini poi era un personaggio difficile ; poi ognuno ha preso la sua strada. De Pisis ancora non disegnava [...] Savinio era diverso da suo fratello, coltissimo e intelligentissimo, pronto ad assimilare tutto quello che gli veniva dall’ambiente. Era l’ombra del fratello ma non si guardavano mai in faccia.
E in effetti una certa coalizione , in particolare fra Carrà e de Chirico, è presente solo nel momento di opposizione polemica contro i “nemici” esterni ; quando si tratta di operare nel contesto nazionale le contrapposizioni emergono fino alla rottura.
Nella rivista è Carrà, cui Broglio si sentiva più vicino, l’egemone, e non de Chirico, che dopo l’esperienza non volle più parlarne.
Per il primo numero della rivista de Chirico, non presente con il suo editoriale, sostituito da una lirica di Carrà, troverà spazio nelle pagine successive con la riproduzione de “Il grande metafisico” e con “Zeusi l’imperatore”, un testo dove,con accenni insieme ironici e lirici, tra l’altro ricorderà l’inizio della sua avventura metafisica a Parigi :
Io solo nel mio squallido atelier della Rue Campagne-Premiere, cominciavo a scorgere i primi fantasmi di un’arte più completa, più profonda, più complicata, e per dirlo in una parola a rischio però di far venire le coliche epatiche a un critico francese : più metafisica.
Il numero delle riproduzioni dei quadri di de Chirico è molto consistente. In particolare nel numero 7-8 del 1920 propone undici immagini, tra dipinti e disegni : tutte del periodo metafisico, tranne tre datate 1920 che sono esempi significativi della particolare svolta classicista dell’artista : il noto autoritratto con la scritta “Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est ?” ; “La signora amata” e “La vergine del tempo”.
Oltre alle riproduzioni, sui numeri di “Valori Plastici”, sono presenti anche scritti di grande interesse, quali : “Sull’arte metafisica, ritorno al mestiere”, “Il senso architettonico della pittura antica” e “La mania del seicento”. Soprattutto l’ultimo scritto citato, scatena un ampio dibattito cui partecipano anche Venturi e Carrà. Con il fascicolo dell’estate del 1922 la rivista termina la sua storia. Nel 1925 il gruppo si scioglie e Broglio divide con i soci le opere acquistate. Per quello che riguarda la pubblicazione di monografie di artisti sono da ricordare, oltre che quella su de Chirico, quelle su Braque, Derain, Soffici, Carrà, Chagall e infine su Courbet di de Chirico.
Capitolo 3
LA METAFISICA E I SUOI SVILUPPI IN ITALIA
1. FERRARA COME CITTA’ METAFISICA
Nel giugno-luglio del 1915, l’arrivo di Giorgio de Chirico e di Alberto Savinio segna Ferrara come città metafisica per eccellenza : i “dioscuri”, partiti da Parigi per presentarsi come volontari a Firenze, sede del loro distretto militare, entrano così in stretto contatto con l’ambiente letterario artistico, in particolare con Ardegno Soffici, autore del primo articolo loro dedicato in Italia nel 1914. Nell’articolo, dopo aver parlato della performance musicale di Savinio in un concerto tenuto a Parigi, analizza brevemente, ma con molta accuratezza la pittura di de Chirico :
La pittura di de Chirico non è pittura, nel senso che si da oggi a questo termine. Si potrebbe definire una pittura di sogni. Per mezzo di fughe quasi infinite, di archi e di facciate, di grandi linee dirette : di masse immani di colori semplici, di chiari, di scuri quasi funerei, egli arriva ad esprimere infatti quel senso di vastità e di solitudine, d’immobilità e di stasi, che producono talvolta alcuni spettacoli riflessi allo stato di ricordo nella nostra anima quasi addormentata. Giorgio de Chirico esprime come nessuno l’ha mai fatto la melanconia poetica di una fine di bella giornata in qualche antica città italiana, dove in fondo ad una piazza solitaria, oltre lo scenario delle logge, dei porticati e dei monumenti del passato, si muove sbuffando un treno, staziona il camion del grande magazziono, o fuma una ciminiera altissima in un cielo senza nuvole.
I due fratelli sono fiorentini. Riparleremo di loro.
A Ferrara, dove riescono a farsi l’incarico di scritturali, i due fratelli si stabiliscono in un alloggio con la madre. Conoscono il poeta Carlo Govoni, diventano amici di Filippo de Pisis e hanno rapporti epistolari, oltre che con Soffici e Papini (che li porteranno all’incontro con Carrà), con gli amici di Parigi, in particolare Paul Guillaume ma anche con Tristan Tzara.
Già dagli esordi della metafisica italiana de Chirico è quindi presente sul piano internazionale, valorizzato anche dai poi tanto odiati surrealisti.
Che de Chirico sia innamorato di Ferrara è palese e può trovare riscontro :
• nelle sue memorie
L’aspetto di Ferrrara, una delle città più belle d’Italia, mi aveva colpito : ma quello che mi colpì soprattutto e mi ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora, rano certi quartieri, come l’antico ghetto, ove si trovano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane : a tale periodo appartengono i quadri detti “interni metafisici”.
• In uno scritto del 1920 pubblicato in “Il Convegno” :
Ferrara è la città delle sorprese ; oltre che ad offrire in alcuni punti, come in quella ineffabile piazza ariostea, splendide apparizioni di spettralità e di bellezza sottile, che fermano e stupiscono il passante astuto ed educato nei misteri dell’intelligenza, quella città offre pure il vantaggio di conservare in modo affatto particolare lembi della grande notte medioevale ; lembi che sussistono ancora misteriosamente, non perché sopravvissuti ruderi innalzino in qualche luogo le loro vetuste mura, teatralmente e romanticamente tenebrose e forate da vani arcuati, ma per un certo senso indefinibile ed inspiegabile che alita sulla città ; specie in certi punti, e tiene questi lembi sospesi misteriosamente tra cielo e terra, come vespertili imbalsamati, penzoli sott’il soffitto di un laboratorio di alchimista.
• E ancora in una delle tante lettere che de Chirico scrive a Guillaume :
Da parte mia io sono abbastanza felice in questa bella e malinconica Ferrara, dove mi ha condotto la fatalità della mia vita [...] ed io adesso sento come la mia partenza da Parigi, l’allontanamento dall’ambiente in cui vivevo e l’apparizione di questa città fatale dove mi trovo siano tutte cose fatalmente necessarie al mio io di creatore : e non è tutto questo sufficiente per essere felice ?
2. GUERRA E PACE TRA DE CHIRICO E CARRA’
L’incontro di de Chirico e Savinio con Carrà avviene a Ferrara alla fine di marzo del 1917. Grazie ad una cartolina postale di Soffici a Carrà si può precisare la data dell’incontro : “Ho saputo da de Chirico che vi siete conosciuti e che egli ti stima e ti vuol bene. Sono felicissimo del vostro incontro. Bisogna che le vere forze stiano a contatto per più tardi” (28 marzo 1917). All’inizio di aprile, de Chirico, viene ricoverato come nevrastenico al neurocomio della Villa del Seminario, vicino a Ferrara, dove viene messa a sua disposizione una cameretta per dipingere. Poco tempo dopo lo raggiunge anche Carrà per gli stessi motivi. Tra i due pittori si instaura un sodalizio anche operativo, che dura fino alla metà di agosto, quando Carrà ha una licenza di convalescenza prima di due mesi poi di un anno. Tutte le corrispondenze di quel periodo, portano testimonianza del buon accordo tra i due, soprattutto una lettera a due mani, spedita a Soffici il 5 giugno 1917, dove si trova scritto da parte di de Chirico : “Mi trovo in questo ospedale con Carrà e ci intendiamo”, e da parte di Carrà : “Si lavora e questo è bene. Controlliamo i passi e la strada. Con de Chirico si discute e si dipinge a nuove realtà. Egli è un buon amico : ecco tutto […] Sento che sono aperte nuove porte, e potrò fare nuove opere. Non si nega quello che si ha fatto : si cerca fare più profondo”.
Tuttavia nelle rispettive autobiografie si trova un disprezzo per Carrà imitatore in quella di de Chirico, e una gelida indifferenza per de Chirico in quella di Carrà.
La prima mostra con opere di de Chirico e Carrà , insieme a opere di Soffici, avrebbe dovuto aver luogo a Firenze nel 1916, organizzata da Papini. Il progetto non andò in cantiere ma quest’idea espositiva resta comunque un tentativo concreto di avviare una tendenza nuova, di reazione al futurismo, all’impressionismo e al cubismo, mescolando originalità e tradizione.
De Chirico aveva mandato a Papini alcune foto dei suoi quadri, e un disegno intitolato “ I Vaticinatori”. Carrà, che era in stretto contatto con Papini, avrebbe potuto vedere il disegno già nel 1916.
E su questo fatto, i critici hanno ricamato un’interessante ipotesi. C’è infatti un disegno di Carrà, “Gli amanti” (1916), in cui la figura maschile con pizzo e baffi si sovrappone perfettamente alla figura nel disegno di de Chirico.
Se la data del disegno di Carrà è giusta (ma ci sono dei dubbi), allora si potrebbe anticipare di un anno l’influenza dechirichiana su Carrà.
Dopo essere ritornato in licenza Carrà, riesce a trovare uno spazio espositivo presso il fotografo Chini. Invita anche de Chirico ad esporre, che accetta con entusiasmo, pur essendo dispiaciuto di poter esporre solo quattro quadri e una decina di disegni. De Chirico riceverà poi un opuscolo delle edizioni La Brigata con testo di Raimondi dove, seppur per inciso, viene riconosciuta l’influenza di de Chirico su Carrà :
Giovi qui ricordare il nome di Giorgio de Chirico che indubbiamente ha influenzato il nostro pittore nell’ultima sua maniera
Ricevuto l’opuscolo de Chirico risponde a Carrà in modo sarcastico :
Vi ringrazio per quei tre centimetri di gloria che mi sono concessi.
Anche se provvisoriamente, sia per interesse che per effettiva stima delle qualità, il dissidio tra de Chirico e Carrà si ricompone e finalmente arriva anche per de Chirico l’opportunità di una mostra su invito di Prampolini. In questa mostra , che viene organizzata da Recchi-prampolini nelle sale del giornale “L’Epoca” di Roma (maggio-giugno 1918), de Chirico espone dodici disegni e sei dipinti.
Ci fu poi una lunga discussione sulla nuova pittura, a suon di articoli per elencarne le caratteristiche. Carrà e de Chirico scrissero due articoli, il primo sul “Popolo di’Italia”(3 giugno 1918) e il secondo sulla “Gazzetta ferrarese” ( 17 giugno 1918). Nel suo articolo Carrà polemizza contro la pittura pseudomoderna, il naturalismo francese e contro il cubismo che, a dir suo, sono incapaci di dare una vera e autentica ricostruzione di valori moderni, ed esalta artisti capaci di dare ancora virtù plastiche, oltre a lui, Soffici e De Chirico. Di quest’ultimo scrive tra l’altro :
Le sue numerose composizioni che vi espone alla galleria dell’Epoca,trascinano chi possiede un senso artistico e poetico, tanto sono qua e là arricchite di eruditi motivi ; e sebbene diano qualche volta nel secco, rivelano qualità belle, e profonde osservazioni ricavate dalla fantasia della natura.
Il de Chirico[...] è un temperamento drammatico, irrequieto, genuino, crudo e sorprendente, pieno di selvaggio vigore e quelle altre prerogative delle anime forti e primordiache, non escludono le più svariate freschezze che uno possa vedere rappresentabili dal pittore per i suoi effetti di luce ed ombra.
Dal canto suo de Chirico fa notare quanto sia il Cubismo francese, sia le degenerazioni del futurismo, siano sorpassate dalla nuova pittura metafisica : “un arte severa e celebrale, ascetica e lirica che dalla magna terra dove nasce succhia lo spirito migliore”. Poi commenta i quadri di Carrà con un trasporto e un entusiasmo con cui potrebbe commentare quadri propri :
Carlo Carrà, invasato dalla nuova metafisica, fa sorgere con incantamento d’amore, le prospettive nostalgiche delle stanze ; le latitudini e le longitudini dei soffitti e dei pavimenti di cui la fuga disperata va a morire nell’abbraccio disperato dell’anticamera [...] Dolcissimi fantasmi siano cauti e severi tra queste geometriche magie.
Carrà nel dicembre 1919 pubblica “Pittura Metafisica”, una raccolta di scritti già in buona parte pubblicati, in particolare sulla “Voce”, da un’idea di Papini. Il libro si apre con una citazione di Giovan Battista vico : “Il vero poetico è vero metafisico a petto del quale il vero fisico qualora non gli si conformi deve ritenersi per falso”, dopodiché viene ripreso l’articolo sulla mostra Chini, tralasciando accuratamente le tre righe su de Chirico; anzi, verso quest’ultimo c’è anche un attacco in forma esplicita.
La pubblicazione del volume segna la rottura definitiva tra de Chirico e Carrà: in una recensione di de Chirico sulla rivista “Il Convegno” (n°7, agosto 1920), si parla bene in pratica solo dei vecchi testi di Paolo Uccello e di Giotto, mentre tutto il resto dello scritto appare a de Chirico confuso e oscuro, aggiungendo anche che ha cercato il suo nome, a quanto pare invano.
Nel 1919, de Chirico pubblica in “Valori Plastici” la sua prima monografia, che sarebbe dovuta essere corredata da uno studio critico di Carrà e da una presentazione biografica di Alberto Savinio, ma Carrà non scrisse il testo e il suo contributo fu sostituito da un antologia di giudizi critici sia italiani che francesi.
La monografia, prima di una lunga serie, servì a de Chirico per farsi conoscere un pò di po’ di più in Italia dove era quasi sconosciuto.
Capitolo 4
BREVIS PRO PLASTICA ORATIO
DI GIORGIO DE CHIRICO.
Lo scultore è il creatore per eccellenza. Lo scultore ignora la linea. Nella linea trovasi il principio dell’infinito ; nell’infinito il principio del vuoto, la natura ha orrore dell’uomo ; l’arte e la natura hanno orrore del vuoto. La linea si può protrarre all’infinito ; per tanto nel disegno e nella pittura essa è oltremodo nefasta e deleteria ; per questo coloro che intuiscono i misteri dell’arte la fermano ai due capi ; guai a non fermare la linea al suo principio ed alla sua fine ; essa affonderà come un dardo mortifero nella sua opera ; porterà il male negli organi più vitali del tuo disegno o della tua pittura. In ogni disegno che si rispetti la linea è fermata da qualcosa ; se tu osservi i migliori disegni degli antichi maestri capirai quanto è vero quello che ti dico ; guarda però che spesso, specialmente se non hai la vista molto acuta, a occhio nudo non scorgerai subito il segno salvatore ed allora dovresti ricorre all’ausilio della lente e di una lente abbastanza forte per scoprire il bacillo buono, il bacillo amico, il bacillo fedele, quello che s’oppone, nuova guerra, combatte e vince il vacillo cattivo e deleterio della linea non fermata. Questo qualcosa che ferma la linea può essere un dischetto, un quasi invisibile sobbagiolo, un gancetto, una virgoletta, due virgolette, un accento circonflesso cascato a terra, un cubetto quasi invisibile, un triangolo, due triangoli incrociati, un minuscolo trapezio, un punto interrogativo o esclamativo, un ostacolo insomma che si pone di traverso e così ferma la linea nella sua corsa pazza verso l’infinito e fermandola scongiura la catastrofe.
Se si esaminassero col microscopio, quello reale creato dall’uomo, e quello iperfisico che veglia nella mente e nell’occhio degli eletti, le opere lineari e pittoriche dei migliori maestri antichi e, in un secondo tempo, quelle degli artisti d’oggi, si vedrebbe in quelle degli antichi segni, richiami, cifre, lettere, movimenti, infinitamente intelligenti che portano linea e pennellata sugli altipiani dorati della grande arte, nei pelaghi cerulei dell’infinita bellezza, che salvano l’opera dalla noia, dall’assopimento, dall’imbruttimento , dall’inciampo e dalla caduta. Poiché come nel disegno la linea dev’essere salvata dall’infinito, la stessa salvezza è dovuta in pittura alla pennellata, ché anche la pennellata è una linea. [...]
Quelli che parlano così non capiscono né la pittura né la scultura . Ingenui ed ignari credono che la vera pittura sia colore buttato a vanvera sulle tele, senza scheletro né fondamento e che la vera scultura sia forma dura e fredda. E’ li che sta lo sbaglio. Se una scultura è dura non è scultura. La scultura dev’essere morbida e calda ; e della pittura avrà non solo tutte le morbidezze, ma anche tutti i colori : una bella scultura è sempre pittorica.
[Pubblicato nella rivista “Aria d’Italia”, inverno 1940]
Capitolo 5
CRITICHE ALLE OPERE
L’ENIGMA DELL’ORA (1911) Olio su tela. Milano, collezione privata
L’enigma dell’ora è uno dei primi dipinti metafisici di de Chirico. Lo spazio della tela è quasi del tutto occupato da un porticato, nella cui ombra, si nota, anche se non immediatamente una figura immobile, che sembra aspettare. In basso i raggi di sole generano ombre lunghe, sfiorando appena una vasca con uno zampillo d’acqua e l’uomo, vestito di bianco, che le sta di fianco. Il portico ci riporta alle architetture fiorentine, da Brunelleschi a Vasari.
Il colore uniforme e il cielo limpido che traspare dalle aperture del portico e della loggia, contribuiscono a definire la geometria dell’architettura, resa in modo essenziale, con una prospettiva approssimativa.
I due uomini immobili, che sembrano vecchi come l’edificio, e l’orologio che indica l’ora, stabiliscono con l’osservatore un rapporto di attesa, di un evento sconosciuto, enigmatico, ma che sta per compiersi.
Il tempo sembra essersi fermato anche lui ad aspettare, in una piazza quasi disabitata che potrebbe trovarsi in qualsiasi città d’Italia
LE MUSE INQIETANTI (1917) Olio su tela. Milano, collezione Mattioli
Le muse Inqietanti è quasi un manifesto della pittura metafisica.
Nel mezzo di una grande piazza dominata dalla sagoma rossa del castello estense di Ferrara, si protende un palco fatto di grosse tavole lignee, il cui colore riprende quello del castello.
Sul palco prendono posto armonicamente delle statue/manichino, dalle teste ovoidali e collocate su piedistalli (la figura inanimata al centro seduta su un parallelepedo azzurro è “smontata”; la sua tessa rimossa è collocata ai suoi piedi), Tra i muti personaggi di pietra sono presenti dei solidi geometrici, quasi fossero giocattoli per i bimbi.
Non ci sono uomini sulla scena e le finestre sono tutte buie e chiuse.
Le Muse, protettrici dlle arti, quasi colonne consunte dal tempo, sono immobili ed enigmatiche, e sembrano costudire un mistero inaccessibile e inquietante.
La brezza che muove i vessilli issati sul castello e che rende terso il cielo, la nitidezza del segno, la mancanza di una prospettiva atmosferica le ombre nette e lunghe, il colore caldo e dorato che pervade l’intero dipinto, il silenzio che regna sovrano, il tempo sospeso sono gli ingredienti di cui l’artista si serve per proiettarci in una realtà “parallela”, diversa da quella usuale, metafisica, di cui noi non siamo consapevoli, ma che è insita in tutte le cose, e che siamo noi a non riuscire a percepirla.
IL GRANDE METAFISICO (1917) Olio su tela. N.York, the Museum of Modern Art
Il grande Metafisico è una raccolta di trofei dell’immaginario dechirichiano: isolato su un piedistallo, una volta occupato dalla statua di Dante, si è trasformato in una torre e ha inglobato nella sua struttura di vate oracolare gli oggetti degli interni, qui collocati in una piazza scandita da profondi contrasti luce-ombra. Memoria e profezia si intrecciano nel grande metafisico: il trofeo si appogerà poi sulle ginocchia del manichino, il tessuto rosso diventerà panneggio abbondante, gli oggetti del “laboratorio d’alchimista” diventeranno i “mobili della valle”. Come in tutti gli altri dipinti metafisici sono presenti ombre lunghe, architetture essenziali e cielo terso. E’ presente una sola figura umana ai margini della tela, ma per il resto la piazza è quai disabitata, come nella migliore tradizione dechirichiana.
INDICE DELLE OPERE
1. ETTORE E ANDROMACA Olio su tela, cm 102x82. Firmato e datato in basso a destra “G, de Chirico, 1974”
2. ETTORE E ANDROMACA bronzo platinato alto cm.40 base cm. 16x21; 6 esemplari numerati da 1/6 a 6/6; La foto riproduce l’edizione in bronzo eseguita nel 1966 da una terracotta del 1940 dalla fonderia Bruni, Roma
3. CANTO D’AMORE Olio su tela; New York, The Museum of Modern Art. Firmato sotto il guanto a destra “G. de Chirico” (1914)
4. IL GRANDE METAFISICO bronzo d’orato e argentato alt. cm. 52, base cm. 17,5x23; 9 esemplari numerati da 1/9 a 9/9; Fonderia GI.BI.ESSE. di Verona
5. TROVATORE bronzo argentato alt. cm. 34,5, base cm. 13x14; 9 esemplari numerati dal 1/9 al 9/9 ; Fonderia GI.BI.ESSE. di verona
6. COPIA DI UNO SCRITTO DI CARLO CARRA’ SULLA RIVISTA VALORI PLASTICI
7. I VATICINATORI grafite su carta; firmata e datata in basso a sinistra “G. de Chirico, Marzo 1916”
8. COPIA DEL VOLANTINO DELLA PERSONALE DI CARLO CARRA’ ALLA GALLERIA CHINI
9. AUTORITRATTO NUDO datato 1945 ma riferibile al 1942, Roma. Galleria Nazionale di Arte Moderna.
10. AUTORITRATTO NELLO STUDIO DI PARIGI datato 1935, ma riferibile al 1934, Roma Galleria Nazionale di Arte Moderna firmato in basso a destra “G.de Chirico
11. L’ENIGMA DELL’ORA Olio su tela 55x71 cm. Milano collezione privata; firmato in basso a destra “Giorgio de Chirico”
12. LE MUSE INQUIETANTI, Olio su tela 97x66 cm. Milano, collezione privata; firmato in basso a sinistra “G. de Chirico”
13. IL GRANDE METAFISICO, Olio su tela; New York , The Museum of Modern Art; Firmato e datato in basso a destra “G, de Chirico, 1917”
INDICE DEI CAPITOLI
1. NOTE BIOGRAFICHE
2. LA NATURA VERSO L’ASSOLUTO: LA METAFISICA
METAFISICA: DA Andronico di rodi a de chirico
L’IMPORTANZA DI VALORI PLASTICI
3. LA METAFISICA E I SUOI SVILUPPI IN ITALIA
FERRRARA COME CITTA’ METAFISICA
GUERRA E PACE TRA DE CHIRICO E CARRA’
4. BREVIS PRO PLASTICA ORATIO DI G.DE CHIRICO
5. NOTE CRITICHE
6. INDICE DELLE OPERE
BIBLIOGRAFIA
1. F. Poli “La pittura metafisica” Milano 1988
2. M. Calvesi, G. Mori “Art dossier n°28: de Chirico” Edizioni Giunti Ottobre 1988
3. M. Calvesi, M. Ursino “de Chirico: la nuova metafisica” Edizioni de Luca - San Marino Palazzo dei Congressi: 27 Aprile – 27 Settembre 1995
4. M. Fagiolo Dell’Arco “L’opera completa di Giorgio de Chirico: 1908-1924” Milano 1984
5. G. de Chirico “Memorie della mia vita” Milano 1962
6. M. Fagiolo Dell’Arci “C. Carrà: il primitivismo 1915-1919” Edizioni G. Mazzotta – Iseo Sale dell’arsenale: 23 Aprile – 20 Giugno 1988
7. G. Cricco, F. P. Di Teodoro “Itinerario nell’arte vol.3” Edizioni Zanichelli

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