Divisionismo e Futurismo

Materie:Tesina
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Il divisionismo e il futurismo
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della Prima Guerra Mondiale si affermò in Italia il divisionismo. La tecnica, spiegata da Gaetano Previati nel suo Principi teorici del Divisionismo, del 1909, derivava da quella sperimentata dai puntinisti francesi, e nacque dall'esigenza di rappresentare la realtà e gli effetti della luce del sole, accostando i colori puri e applicandoli sulla tela a piccoli tratti, in modo filamentoso. Rispetto alla ricerca puntinista francese, tutta orientata al rigore tecnico, quella divisionista si arricchì di nuovi contenuti: le immagini naturalistiche, come gli interni, sono talvolta pervase da un profondo senso di spiritualità, o intrise di suggestioni simboliste, mentre si moltiplicano i quadri che affrontano temi sociali.
Principali interpreti di questa corrente furono Giuseppe Pel lizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Gaetano Previati.
Giovanni Segantini lavorò senza tregua cercando di descrivere la natura in tutta la sua maestà. Egli si immedesimava nella vita dei campi e dei monti, cogliendo, in composizioni ampie ed equilibrate, l’intima armonia tra animali, cose e l’ambiente naturale.
Nei suoi quadri, Segantini fissò i toni luminosi del cielo ed i suoi riflessi sui prati, sui monti, sull’ acqua. Nel far questo, applicò con rigore la tecnica divisionista: «…e incomincio a tempestare la mia tela di pennellate sottili, secche e grasse, lasciandovi sempre fra una pennellata e l'altra uno spazio interstizio che riempisco coi colori complementari, possibilmente quando il colore fondamentale è ancora fresco, acciocché il dipinto resti più fuso. Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l'aria e la verità».
Giuseppe Pel lizza da Volpedo descrisse i temi sociali più sentiti del suo tempo. Con tecnica divisionista egli raffigurò, nel Quarto Stato, la protesta del lavoratoti decosi nelle loro rivendicazioni.
Nello stesso periodo un gruppo di intellettuali, guidati da Filippo Tommaso Marinetti, pubblicava il Manifesto del futurismo, avviando l’esperienza artistica più importante del primo Novecento in Italia. I futuristi preannunciavano un rinnovamento della cultura, profetizzavano l’annullamento del passato, sostenevano la distruzione di musei, pieni di opere accademiche, e del chiaro di luna, con cui definivano il pensiero decadentista e romantico.
Mutarono anche la letteratura e la poesia, sia nei contenuti che nella grafica, aperta ai nuovi valori del movimento.
In realtà, i futuristi volevano provocare, con un linguaggio violento, la cultura ed il mondo dell’arte, ancorati a valori ormai superati.
I testi di riferimento sono il Manifesto della pittura futurista, a cura dei pittori Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, e il Manifesto dell’ Architettura futurista di Antonio Sant’Elia.
Per i futuristi, tutto è movimento. Esaltati dalla velocità, giunsero a dare ai prodotti della tecnica un valore che andava oltre il semplice uso: le nuove macchine, i nuovi mezzi di locomozione divennero strumento di conoscenza della realtà, più che l’osservazione compiaciuta dei quadri di un museo. Secondo l’impostazione futurista, osservando i raggi di una bicicletta in corsa, la rapidità delle mani di un musicista, si comprendeva la realtà nella sua unità di forma spazio e tempo, grazie alla percezione del movimento.
La linea era lo strumento pittorico più idoneo ad esprimere la velocità . Era impressa da un gesto più rapido. Anche il volume dell’oggetto in movimento doveva essere modificato, in funzione della traiettoria sviluppata dalla linea. Ciò generava un prolungamento della forma nello spazio: “Spalanchiamo la figura e creiamo in essa l’ambiente”.
Umberto Boccioni fu il principale esponente del futurismo. Giunto a Roma nel 1901 scoprì l’espressionismo e il divisionismo. Ma dal 1907 fu a Milano dove maturò le sue scelte artistiche. Si occupò di pittura e di scultura, scrivendo anche testi teorici per spiegare le sue opere e la poetica futurista.
Il suo stile giunse a maturazione quando aderì al divisionismo, di cui accettava il principio della scomposizione del colore e la carica simbolica assunta dal colore stesso.

Negli Addii, quadro della serie “Stati d’Animo”, l’artista ha sintetizzato in un’immagine tutto ciò che lo circondava. Il treno in corsa è avvolto in un vortice di rotaie, sbuffi di vapore, brani di cielo multicolore; la campagna è frantumata in piccole forme in movimento, che si aprono alla corsa del treno. Attimi di memoria sono fissati in pochi elementi: tralicci, numero della locomotiva, il fumaiolo.


Città che sale, realizzata nel 1910, può essere considerata la prima opera pienamente futurista di Boccioni. Il soggetto non si discosta molto dai quadri, realizzati negli anni precedenti, che rappresentavano le periferie urbane. Qui, tuttavia, il naturalismo viene meno per lasciare il posto ad una visione più dinamica e movimentata. Solo nella parte superiore del quadro è possibile cogliere una visione da periferia urbana con dei palazzi in costruzione, impalcature e ciminiere. La gran parte dell’opera è invece occupata da uomini e cavalli che si fondono in un esasperato sforzo dinamico. Vengono così messi in risalto alcuni elementi tipici del futurismo: l’esaltazione del lavoro umano e l’importanza della città moderna come luogo plasmato sulle esigenze dell’uomo futuro.
La tecnica pittorica che egli utilizza è la stessa del divisionismo. Le pennellate a tratteggio hanno andamenti direzionati funzionali non alla costruzione di masse e volumi ma alla evidenziazione delle linee di forza che caratterizzano i movimenti delle figure. La composizione del quadro conserva ancora un impianto in parte tradizionale. La scansione delle figure avviene su precisi piani di profondità con in basso le figure in primo piano e in alto le immagini sui piani più profondi. Il quadro si divide sostanzialmente in tre fasce orizzontali corrispondenti ad altrettanti piani. Nel primo in basso Boccioni colloca le figure umane: sono realizzate secondo linee oblique per evidenziare lo sforzo dinamico che esse compiono. Nel secondo al centro dominano alcune figure di cavalli. In particolare ne campeggiano tre: uno bianco a sinistra che guarda verso destra, uno al centro che domina la posizione centrale del quadro, ed uno sulla destra. Questi ultimi due hanno una colorazione rossa e sulla groppa presentano dei profili di colore blu che assomigliano ad ali. Infine nel terzo piano compare lo sfondo di una periferia urbana, che va probabilmente identificata con un quartiere in costruzione di Roma.

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