Dal realismo al neoimpressionismo

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Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

REALISMO E IMPRESSIONISMO
• GÉRICAULT: VITA E OPERE
• DELACROIX: VITA E OPERE
• REALISMO:PARTE GENERALE
• COURBET: VITA E OPERE
• DAUMIER:CARATTERISTICHE E OPERA
• MILLET: CARATTERISTICHE E OPERA
• FOTOGRAFIA
• IMPRESSIONISMO: PARTE GENERALE
• MANET: VITA E OPERE
• MONET: VITA E OPERE
• DEGAS: VITA E OPERE
• RENOIR: VITA E OPERE
• NEOIMPRESSIONISMO: PARTE GENERALE
• SEURAT:VITA E OPERE
LO SCHEMA COMPRENDE LIBRO, SCHEDE E APPUNTI. LA PROFESSORESSA HA DETTO CHE LA VERIFICA NON COMPRENDERA’ ANCORA CÉZANNE E IL POSTIMPRESSIONISMO, IL NEOIMPRESSIONISMO L’ABBIAMO FATTO SOLO IN GENERALE MA LE CARATTERISTICHE CE LE HA FATTE NOTARE SUI DIPINTI DI SEURAT QUINDI HO RITENUTO GIUSTO INSERIRLO.
BUONO STUDIO! ALI.
GÉRICAULT
VITA
Figlio di un avvocato Géricault nacque a Rouen nel 1791, la famiglia si trasferì a Parigi dove il giovane studiò al Lycée Impérial, ma ben presto abbandonò gli studi e divenne allievo di Guérin (pittore neoclassico) presso il quale conobbe Delacroix. Divenuto pittore indipendente grazie alle risorse economiche famigliari, Géricault si presentò al concorso per il Prix de Rome ma non risultò vincitore. Fece un viaggio di studio a Roma dove si trattenne, a proprie spese, per circa una anno.
La sua poetica rimane sospesa fra Neoclassicismo e Romanticismo con una forte propensione per la sensibilità romantica data dalla sua indole irrequieta e la sua indole quasi da bohémien. Trascorse un breve periodo in Inghilterra, rientrato in patria, i suoi interessi per la tragica condizione umana aumentarono, da questo derivò il suo interesse per il mondo della follia, i dieci “Ritratti di alienati” furono dipinti su incarico di un medico parigino che andava indagando come si potessero stabilire i disturbi interiori dall’analisi della fisionomia, quella di Géricault fu però un’indagine esente da ogni morbosità e tesa soprattutto a rivelare la dignità di chi è prigioniero di una malattia mentale e del dolore che ne consegue. Una malattia non curata lo condusse alla morte nel 1824.
Géricault apre la via al Realismo, anche se non può ancora essere definito un vero realista, ricollegandosi soprattutto a Mighelangelo e Caravaggio. Le sue opere sono caratterizzate da energia, follia e morte, il tema che unisce tutto è però l’energia che porta alla follia come dispersione di questa energia e alla morte ossia la rottura di questo flusso di energia. La pittura di Géricault influenzerà parecchio Delacriox.
Temi preferiti:
- cavalli in corsa o in battaglia
- soldati in combattimenti furiosi
- maschere sconvolte di pazzi
- teste ghigliottinate
OPERE
Paride e i suoi portatori (fig.24.3 p.572)
Il disegno, del 1816, illustra un passo della storia mitologica di Paride e della ninfa Enone. Il disegno, a penna e acquerello bruno, è compositivamente organico e presenta un gusto neoclassico. Il giovane, ferito, è portato dagli amici e da due pastori, uno dei quali sta richiamando l’attenzione della ninfa che avrebbe dovuto curarlo; il gesto è forte, deciso e vigoroso. L’acquerello è denso e i contorni, molto accentuati, forniscono stabilità al disegno che ha un andamento diagonale.
Leda e il cigno (fig.24.4 p.572)
Il disegno è la copia di una stampa, andata perduta, di Michelangelo e risale al periodo in cui l’artista era in Italia. Il disegno, a penna, fa uso della tecnica di tratteggio e si presenta molto simile a un’incisione. Il chiaroscuro è ottenuto con l’incrocio delle linee e la volumetria è resa con tratti ondulati, curvilinee e semicircolari concentrici.
L’abbraccio (fig.24.5 p.572)
Anche questo risalente al periodo italiano è eseguito ad inchiostro bruno rilevato a biacca su carta blu e mostra una ninfa e un satiro stretti in un abbraccio voluttuoso; i corpi intrecciati, resi con tocchi rapidi di tempera, rivelano il temperamento sensuale dell’artista.
Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia (fig.24.6 p.573)
Questo dipinto è legato all’amore per i cavalli e all’attenzione ai fatti contemporanei, fu esposto al Salon nel 1814 ed è connesso alla disfatta napoleonica. La lontananza dal campo di battaglia, la mancanza di ogni espressione di sofferenza e l’attenzione tutta rivolta alla perfezione formale denunciano la dipendenza dal sistema compositivo neoclassico. Però il soggetto, posto sotto un cielo ostile e tra i bagliori del fuoco, , non rappresentato come vincitore, ma come vinto, non come eroe, ma come uomo che cerca di aver salva la vita, è la rappresentazione della caduta delle certezze e delle grandi aspirazioni napoleoniche, il presagio della fine di un’epoca.
Cattura del cavallo selvaggio nella campagna romana (fig.24.7 p.574)
Durante il periodo italiano Géricault esplora da solo le antichità, ma viene colpito anche dalla vita quotidiana, dalle feste, dagli uomini, dalle donne e studia gli artisti del Rinascimento; da questi interessi nascono i bozzetti inerenti alla corsa dei cavalli barberi (da corsa). Nel gruppo di tali bozzetti è collocato questo piccolo dipinto dove il soggetto, ispirato alla cattura di un cavallo, si trasfigura seguendo le suggestioni del clima classicista, così la scena viene proiettata nel passato, in un modo ideale e senza tempo. I personaggi, come pure il paesaggio, sono tratteggiati in maniera sintetica ed è vivo in essi il ricordo dei rilievi antichi e della pittura rinascimentale, soprattutto nei nudi.
Alienata con la monomania del gioco (fig.24.10 p.575)
Géricault, come già detto, fa dieci ritratti di alienati con varie monomanie (disturbo creato dal fissarsi su un’idea), ma non si sofferma sui suoi modelli con intenzioni sarcastiche o satiriche e neanche propriamente mediche, ma con una partecipazione e pietà che appaiono sorprendenti. Dei modelli sottolinea infatti gli sguardi appannati o le espressioni alienate ma anche i sentimenti di emarginazione e solitudine. In questo dipinto, del 1822, vediamo una vecchia con gli occhi incavati, le palpebre arrossate, la fronte solcata da profonde rughe, i capelli corti che escono dalla cuffia scomposta e lo sguardo perso nel vuoto che rincorre il pensiero fisso che l’ha estraniata dalla realtà.
Altri ritratti di alienati le cui figure sono sulle schede sono:
- Alienato con monomania della gloria militare;
- Alienato con monomania del furto;
- Alienata con monomania dell’invidia.
Fornace di gesso (fig. su schede)
È un dipinto che si sottrae all’idealizzazione del paesaggio: la polvere che esce dalla catapecchia, il fango, lo sfinimento degli animali. In questi particolari si coglie una realtà dolorosa e già si annuncia la devastazione del paesaggio ad opera dell’uomo, è la storia del quotidiano che per la prima volta fa ingresso nell’arte con questa sofferta partecipazione.
La zattera della medusa (fig.24.8 p.574)
Géricault scelse un tragico episodio della storia contemporanea che si era verificato nel 1816 (il dipinto è del 1818) al largo dell’Africa occidentale: il naufragio della nave Medusa, con la conseguente salita di 150 persone su una zattera che andò alla deriva per parecchi giorni, in un crescendo di orrore, fino a quando la nave della salvezza, l’Argo, recuperò solo una quindicina di superstiti. Il pittore fu a lungo indeciso sul soggetto, varando varie possibilità, da un ammutinamento sulla zattera alla scena di cannibalismo, dalla messa in mare della zattera alla salvezza finale, ma si decise poi per il momento altamente drammatico come quello in cui i naufraghi avvistano una nave all’orizzonte ama non riescono a farsi notare.
Si documentò parecchio, leggendo i resoconti, parlando con i superstiti e visitando gli obitori ma ciò non significa che intendesse fornire un’istantanea del tutto corrispondente al vero e infatti molti particolari divergono dalla realtà: la zattera era molto più grande, manca un posto di osservazione sull’albero, ecc.
La riduzione all’essenziale rispondeva all’esigenza di sottrarre alla vicenda tratti cronachistici per darle un’impronta più universale. Géricault rappresentò dunque tutte le sfumature del dolore fisico e dell’angoscia morale nella massa di persone sulla zattera. È interessante come abbia scelto uno stile epico e grandioso per rappresentare un fatto di cronaca che coinvolgeva gente comune e non eroi.
La scena è costruita su un sistema di diagonali che convergono verso due apici (l’albero e la camicia sventolata), creando così una tensione verso l’orizzonte dove si allontana la nave della possibile salvezza. Il vento (rappresentazione di disperazione) infatti, come si nota dalla vela, soffia in direzione opposta alla nave (rappresentazione di speranza) e il mare spinge inesorabile la zattera. Gli stessi riflessi rossastri del sole al tramonto accentuano la drammaticità della scena.
I corpi sono modellati come se fossero statue e sono colpiti da una luce che dà loro solidità, in primo piano i cadaveri sono testimonianza della lunga sofferenza patita ma pur sempre nella loro prorompente perfezione. Anche se i nudi sono classici i calzini sono un elemento che rende il senso del tempo e della contemporaneità e quindi sono elementi che possono esser considerati realisti.
Géricault dipinge la vita nella sua contraddittorietà: bello/brutto; speranza/disperazione. A destra del quadro è rappresentata la speranza con un uomo che sventola un panno bianco e la nave che si allontana, a sinistra è rappresentata la disperazione e la morte.
Il pubblico ammirò la potenza della rappresentazione, ma la critica restava perplessa davanti alla presunta mancanza di ordine nella scena e davanti alle tonalità cupe. Frequente fu una lettura in chiave politica, come se l’opera si allineasse con l’opposizione che aveva criticato il governo per aver messo a tacere la vicenda del naufragio; al di là di questo il quadro venne considerato come un’allegoria politica: “E’ la Francia stessa, è la nostra società che si imbarca su quella zattera”, scrive un contemporaneo di Géricault vedendo la zattera come allegoria di sofferenza e morte.
DELACROIX
VITA
Nato a Charenton-Saint-Maurice nel 1798, forse figlio naturale di un marchese Delacroix studiò al Lycée Impérial e fu anch’esso allievo di Guérin, nel cui studio conobbe Géricault. Il pittore si staccò ben presto dalla poetica neoclassica e divenne uno dei maggiori pittori romantici francesi. Del Romanticismo la sua arte incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l’avversione per l’accademismo, il riferimento a fatti della storia medievale, l’impetuosità creativa e l’esotismo. Sui modelli furono Michelangelo, Tiziano, Rubens e Constable. Il soggiorno in Marocco, da un lato appagò il suo esotismo, dall’altro gli fece scoprire la luminosità dei cieli africani9 e i colori accesi e da qui riportò in patria un gran numero di bozzetti e impressioni a cui attinse per tutta la vita. Delacroix divenne ben presto un pittore colorista ovvero il pittore che tende a sfruttare e sviluppare in sommo grado gli effetti del colore.
Esperto nel dissimulare i suoi veri sentimenti, l’artista era ospite ricercatissimo nei salotti dell’alta borghesia parigina e ottenne numerosi incarichi. Morì a Parigi nel 1863.
OPERE
Disegni (fig.24.11,24.12,24.13 p.576)
Il disegno di Delacroix è immediato, nervoso e fortemente espressivo; rapidi accenni paesaggistici a cui si sommano annotazioni sui colori osservati sono in un quadernetto di schizzi. Il disegno è essenziale, la matita ora leggera ora pesante crea forti contrasti chiaroscurali; il tratteggio obliquo o curvilineo stabilisce i mezzi toni (disegno fig.24.11 p.576). tutta giocata sui contrasti luministici è invece la litografia rappresentante Macbeth e le streghe (fig.24.12 p.576) mentre una maggiore dolcezza e un uso dei colori caldi sovrapposti al tenue disegno a matita si può cogliere nell’acquerello rappresentante La moglie di Abraham Benchimol e una delle sue figlie (fi.24.13 p.576).
La barca di Dante (fig.24.14 p.577)
Delacroix esordi al Salon nel 1822 con questo quadro; il soggetto, tragico e pieno di forza, è tratto dall’Inferno dantesco. Il pittore ha immerso tutti i personaggi in un ambiente tenebroso dal cui fondo emergono fuoco e nuvole di fumo dai riflessi rossastri. Ogni corpo. Tuttavia, ha bagliori di luce che lo modellano, i nudi vigorosi, volumetricamente trattati con un forte chiaroscuro, sono un ricordo di quelli michelangioleschi. Già in questo dipinto l’artista mostra i germi della sua ricerca coloristica: le goccioline d’acqua sul ventre della donna sulla destra sono formate da pennellate di colori puri giustapposti.
Giacobbe lotta con l’angelo (fig.24.19 p.580)
Fa parte di un ciclo pittorico per la Cappella dei Santi Angeli. Il soggetto è tratto dal libro della Genesi ove si narra della lotta notturna di Giacobbe con un angelo misterioso in cui l’uomo risultò vincitore. In un ambiente dominato da alberi maestosi e contorti, i corpi dell’angelo e di Giacobbe sono avvinghiati, al centro sono raggruppati degli abiti da viaggiatore e delle armi, mentre a destra sono collocati i servi e le mandrie di Giacobbe in movimento.
La luce che si distribuisce sui tronchi degli alberi e la sapiente distribuzione dei riflessi sono frutto di laboriose ricerche, le ombre al di sotto dei due che lottano contengono del violetto (teoria dei colori). C’è un’armonia e un’unità fatta di linee, colori, posizioni dei personaggi e tocchi di colore (la luminosità è data dall’affiancarsi di verde e rosso), infatti, come scriveva lo stesso artista; “la prima qualità di un quadro è di essere una gioia per l’occhio. Non che non ci voglia anche intelligenza”.
La Libertà che guida il popolo (fig.24.16 p.579)
Realizzata nel 1830 venne esposta al Salon l’anno successivo. Nel 1829 Carlo X insediò a Parigi un governo clericalizzato, sciolse il parlamento, sospese la libertà di stampa, modificò il sistema elettorale a suo favore e indisse nuove elezioni. Nelle “tre gloriose giornate di luglio” il popolo parigino insorse obbligando il re a rievocare le ordinanze emesse; il quadro vuole infatti ricordare ed esaltare la lotta per la libertà dei parigini.
I riferimenti formali alla Zattera della Medusa sono innegabili: composizione piramidale, disposizione dei due uomini in primo piano, calzino sfilato del caduto a sinistra. Alla perfezione anatomica che conferisce importanza a ciascuno dei personaggi sulla zattera si è però sostituita la massa indistinta del popolo, senza particolari connotazioni fisionomiche. Come si nota Delacroix ha unito le varie classi sociali nella lotta comune: ci sono il popolano, il militare e il borghese.
Le torri gemelle della cattedrale di Notre-Dame suggeriscono la collocazione geografica dell’avvenimento. Sulle barricate una donna con il berretto frigio e a seno scoperto, stringendo nella destra il tricolore e nella sinistra il fucile, incita il popolo a seguirla e viene verso l’osservatore in modo da invitarlo a partecipare e ad ammirare le virtù eroiche del popolo parigino. Qualcuno considera quest’opera il primo quadro politico nella storia della pittura moderna, è un’esaltazione della determinazione con cui i rivoltosi avanzano, incuranti dei rischi, protesi verso il loro obiettivo. L’idea è quella di esprimere la partecipazione corale della folla e la comunanza di ideali che supera le discriminazioni sociali. I colori scuri sono resi più vivaci da quelli brillanti del trifole, colori che si ripetono negli abiti della figura ai piedi dell’eroina.
Anche se il quadro è verosimile sul piano storico, si fa prevalere un significato di propaganda, dando rilievo alla figura dell’eroina che rappresenta la Francia, la Vittoria e la Libertà. Questo personaggio principale costituisce il primo tentativo di proporre un nudo femminile in abiti contemporanei, ma visto che la materia era troppo delicata Delacroix superò il problema attribuendo alla fanciulla una funzione allegorica e classicheggiante, anche se ciò viene attenuato dal fatto che tiene in mano un fucile e la bandiera tricolore che sono elementi realistici.
REALISMO
L’Europa, dalla seconda metà del XIX secolo fino alla Prima Guerra Mondiale, è caratterizzata da una crescita che appare inarrestabile in tutti i settori dell’economia e del lavoro. È l’età della borghesia in cui per l’uomo europeo cresce l’illusione di poter controllare razionalmente la realtà e di poterla effettivamente dominare. Al tempo stesso si forma il proletariato industriale, caratterizzato da una crescente presa di coscienza del proprio peso e delle possibili rivendicazioni. Dal punto di vista filosofico l’epoca è caratterizzata dalla nascita del Positivismo, caratterizzato da una tendenza basata sulla fiducia nelle possibilità conoscitive della scienza e da una fiducia nel progresso scientifico e tecnologico. In letteratura è l’epoca del Naturalismo in Francia con Zola e del Verismo in Italia con Verga.
In arte si parla di Realismo a cui avevano aperto la strada Géricault e Delacroix, nel corso del primo Ottocento e poi sempre di più nella metà del secolo, si affermò la tendenza da parte degli artisti a dipingere ponendosi direttamente davanti alla natura, cosa che si poteva fare grazie all’invenzione del tubetto di tempera facilmente trasportabile.
La Natura viene indagata prima di tutto con una sorta di spirito scientifico, per quello che essa è in sé, senza che essa costituisca lo sfondo di una vicenda considerata più importante. Come il paesaggio veniva assumendo una dignità nuova, allo stesso modo si assisteva a un’inedita attenzione alle condizioni di vita delle classi più umili con intenti di analisi obiettiva.
Nel periodo dei moti del 1848 l’arte attraversa una sorta di crisi di identità, l’artista non sembra poter più nascondersi nel mondo incantato della mitologia e dello storicismo romantici. I movimenti realisti nascono pertanto proprio per rispondere in modo artistico a questa prepotente richiesta di vero e di quotidiano; non si vuole più ingannare ma si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico. In Francia, in modo particolare, il Realismo si sviluppa come metodo scientifico per indagare la realtà, spiegandone le contraddizioni e le miserie senza esserne però coinvolti emotivamente. Il primo e unico fine dell’artista sarà quello di annotare minuziosamente le caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi giudizio di tipo soggettivo.
Queste caratteristiche si notano soprattutto in:
- Courbet
- Daumier
- Millet
COURBET
VITA
È in assoluto il capostipite indiscusso del Realismo pittorico francese, nato a Ornans nel 1819 da una famiglia contadina benestante, conduce i primi studi presso il piccolo seminario della città natale. Autodidatta, inizia la sua attività nel solco della tradizione romantica, ponendo particolare attenzione, nella copia dal vero, alle opere di Caravaggio e Rembrandt. Ben presto arriva però a rifiutare ogni tipo di influenza e compromissione con tutte le forme d’arte ufficiali e proclama che “la pittura può consistere soltanto nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili”.
Per rendere compiutamente il senso del vero l’artista comprende di non poter più vivere nei modi convenzionali della società borghese, così decide di condurre una vita da bohémien a diretto contatto con il popolo. Nel 1861 apre una propria singolarissima scuola, in evidente polemica con le scuole d’Arte ufficiali. Ai suoi pochi allievi il bizzarro maestro insegna che “non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori” e che l’arte “è tutta individuale e che, per ciascun artista, non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione”. Egli non impartiva lezioni teoriche, preferiva che gli allievi lo guardassero dipingere, non a caso il suo motto era “Fai quello che vedi, che senti, che vuoi”. Insieme alle polemiche giungono anche i primi riconoscimenti, accolti comunque senza entusiasmo. Nel 1871 Courbet partecipa all’insurrezione di Parigi e in seguito alla restaurazione viene processato e condannato quale sovversivo, costretto a vedere all’asta tutte le sue opere Courbet muore i dignitosa solitudine nel 1877.
Courbet è un artista che non conosce mezze misure, anche se la sua sete di realismo ha radici culturali lontane (Caravaggio, Rembrandt, Tiziano e Géricault) la tecnica che adotta è straordinariamente innovativa e personale. Anche per quanto riguarda i temi l’artista abbandona qualsiasi riferimento storicistico concentrandosi sui piccoli fenomeni del quotidiano, registrati con l’impersonale distacco di un osservatore oggettivo.
OPERE
Lo spaccapietre (fig.24.27 p.587)
Nell’opera che risale al 1849 è rappresentato un manovale intento a frantumare dei sassi per ricavarne ciottoli di pezzatura inferiore. L’occhio indagatore dell’artista scava impietosamente nella realtà mettendone a nudo ogni risvolto: le toppe sulle maniche, panciotto strappato sotto l’ascella, calzini bucati al tallone, il povero pasto. La natura circostante è tratteggiata in modo essenziale, senza indulgenza né compiacimenti, nonostante ciò Courbet rifugge da ogni tentazione pietistica e si limita a fotografare la realtà.
Funerale d’Orland (fig. non presente sul libro)
In questo dipinto è raffigurata la sepoltura di un umile contadino e non di una personalità di spicco. Il contadino deve essere ancora seppellito e vicino al cadavere c’è un cane che osserva la scena. Questo quadro destò scalpore per il soggetto in sé (funerale campagnolo) e per il crudo realismo, sbattuto in faccia dall’osservatore anche a causa delle grandi dimensioni (7mx4m).
L’atelier del pittore (fig.24.28 p.587)
L’enorme tela del 1855 vede l’artista esporre in modo compiuto tutti i propri ideali artistici e umani. Al centro l’artista rappresenta se stesso all’opera; attorno a lui si affollano,nella fosca penombra, una trentina di personaggi. A sinistra sono rappresentate le classi sociali che vivono ai margini della società: ubriaconi, saltimbanchi, balordi. Questi hanno tutti la testa mestamente reclinata e l’atteggiamento pensoso, nei loro volti senza sorriso si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori. A destra sono invece rappresentati i sogni e le allegorie, fra cui l’amore, la filosofia e la letteratura, ai quali l’artista ha donato i volti di conoscenti e amici. La Verità, nuda accanto all’artista, osserva con tenerezza l’opera che egli sta ultimando. Di fronte un bimbetto dai vestiti laceri guarda incuriosito: l’artista vuole dirci che la verità è semplice e innocente come il bimbo, oltre che nuda.
Le signorine sulla riva della Senna (fig.24.29 p.588)
Il dipinto scosse la critica del tempo, in quanto l’artista non rappresenta personaggi storici o mitologici e la scena non è collocata in un ambiente fantastico ma lungo le ben note rive della Senna. Le due ragazze sdraiate, poi, erano vestite secondo la moda del tempo e ciò escludeva qualunque volontà di identificarle con ninfe o dee dell’antichità. Le loro posizioni, goffe e sgraziate, ci dicono come l’artista abbia voluto coglierle di sorpresa, le due non si sarebbero mai fatte dipingere in quelle pose “stravaccate”. C’è comunque l’intenzione di registrare, non di criticare. Ciò non vuole però dire che l’artista costruisse le sue opere in modo casuale e irrazionale, al contrario egli dimostra una grande attenzione ai problemi compositivi, infatti realizzò moltissimi schizzi preparatori dal vero prima di dipingere questo quadro.
DAUMIER
Daumier è stato disegnatore, illustratore e caricaturista politico, sempre pronto ad attaccare la politica ipocrita di Luigi Filippo e il corrotto apparato legislativo, giudiziario e burocratico dello stato borghese. Ha saputo vedere nel popolo vittima l’eroe della lotta per la libertà contro il potere, anche scultore e pittore è stato il primo a fondare l’arte su un interesse politico e il primo a valersi di un mezzo di comunicazione di massa, la stampa, per influire con l’arte sul comportamento sociale. Attraverso le litografie elimina il pregiudizio della connessione necessaria l’immagine e il “prodotto” pregiato, come la statua e il dipinto, la comunicazione è quindi diretta, immediatamente persuasiva, esplicita. Daumier scarnifica e intensifica il segno fino a contrarre la comunicazione in una sollecitazione visiva (minimo uso delle vignette). L’immagine non è la rappresentazione di un evento ma il giudizio che si dà di esso; l’artista si è servito della pittura ad olio per ottenere un effetto simile a quello della litografia perché vuol dare ai segni una densità di materia, un’esistenza reale.
Ecce homo o Vogliamo Barabba (fig. su schede)
C’è la rappresentazione simultanea, sul medesimo sfondo, di due situazioni: Pilato che eccita la folla contro Cristo, la folla eccitata che segue stupidamente il cenno demagogico del potere. Attraverso il titolo “Vogliamo Barabba” Daumier integra l’immagine con le parole urlate dalla folla. Quando Daumier rappresenta il popolo gli dà un senso eroico; qui però non si tratta di popolo ma di folla: il popolo resiste e si ribella al potere, la folla cede al potere. Quindi rappresenta la folla come un qualcosa di amorfo, di sfatto, di impersonale: è una deformazione più morale che fisica, che vuol dare il senso e il disgusto della mollezza, della manovrabilità della folla.
È da notare l’uomo con il bambino in braccio: ha un viso appena umano, con tratti grossolani e sommari, la luce si rapprende sullo zigomo e sulla fronte come una materia sporca e vischiosa; con la destra indica Cristo al bambino, esortandolo a chiedere la morte dell’innocente (cosa che fa Pilato con la folla), è un gesto debole e molle, privo di iniziativa e soggiogato al gesto forte e imperioso di Pilato che impone la sua scelta.
Il bambino è la “chiave” del dipinto: la folla è debole, incosciente, incapace come quel mostriciattolo che tra un istante chiederà anche lui la morte dell’innocente e la salvezza del bandito.
Non diversamente alcune figure sono suggerite soltanto dall’impreciso vuoto contorno della testa: non persone ma indistinte presenze nel gregge. Le macchie chiare e scure non sono contenute nei contorni, non corrispondono a effetti di luce e ombra ma danno il senso di un’atmosfera opaca e stagnante. Daumier non rappresenta il fatto, ne esprime visivamente il significato morale: l’incolpevole, stupida malvagità della folla ubbidiente alla malvagità torva dei potenti.
MILLET
È un realista che scivola nel Romanticismo, in particolare nel naturalismo romantico: sceglie contenuti poetici, ama le penombre avvolgenti che legano figure e paesaggio, i suggestivi effetti di luce, i motivi patetici. Daumier sceglie l’azione politica: il popolo per lui è la classe operaia in lotta contro i governi liberali-borghesi, che parlano di libertà ma sono asserviti al capitale. Per Millet il popolo sono i contadini e non gli operai perché questi sono già stati strappati al loro ambiente naturale, inghiottiti dal sistema, perduti; il contadino è legato alla terra, alla natura, a modi di lavoro e di vita tradizionali, alla morale e alla religione dei padri.
L’Angelus (fig. su schede)
Esposto nel 1848, rappresenta un contadino che abbandona il lavoro per pregare: l’etica e la religiosità del lavoro rurale rimarranno i temi dominanti della sua opera.
Per la prima volta un lavoratore è presentato come protagonista della rappresentazione, come un eroe morale. Questo quadro ebbe un enorme successo, la borghesia si entusiasmò per Millet perché dipingeva i contadini, che sono lavoratori “buoni”, ignoranti, senza rivendicazioni salariali e velleità progressive.
FOTOGRAFIA
Le prime ricerche incominciano nel XVIII secolo, quando il progresso scientifico consente la messa a punto delle prime camere ottiche.
Obiettivo
Vetro
Smerigliato CAMERA
OTTICA
Specchio
Il modello più semplice di camera ottica consisteva in una cassettina di legno, non più grande di una scatola da scarpe, frontalmente dotata di un sistema mobile di lenti (obiettivo) che, una volta puntato sul soggetto, lo rifletteva su uno specchio interno inclinato di 45 gradi che a sua volta proiettava il soggetto capovolto su un vetro smerigliato. Ponendo un foglio di carta lucida sul vetro e coprendosi con un panno nero era possibile ricalcare l’immagine; il limite era appunto l’inevitabile intervento manuale.
Nei primi decenni dell’Ottocento il progresso della chimica permette lo sviluppo di nuovi studi sulla sensibilità alla luce di determinati materiali, si sostituì quindi al vetro smerigliato una lastra spalmata di qualche sostanza sensibile alla luce, permettendo così che la luce stessa si imprimesse sulla lastra. Nacque cos’ la fotografia, la prima ripresa fotografica fu realizzata da Niépce che mise al posto del vetro smerigliato una lastra di peltro resa sensibile alla luce da un’emulsione a base di bitume, dopo otto ore su questa rimase impressa l’immagine del panorama che si vedeva dal suo studio.
È a Daguerre che si deve la forma di rappresentazione fotografica detta dagherrotipia, consistente nell’impressionare con la luce di una camera ottica una lastra di rame argentata, precedentemente trattata con dei vapori di iodio. Poiché l’argento così trattato tende per sua natura a ossidarsi (dunque ad annerirsi) in presenza di luce, sulla lastra rimaneva impressa la scena ripresa al negativo: le zone in luce annerite e le zone in ombra chiare. L’impiego di speciali sali di mercurio serviva ad invertire l’immagine riconvertendo gli scuri in chiari e viceversa. Il limite stava nel fatto che ogni fotografia costituiva un esemplare unico.
La luce proveniente dall’obiettivo colpisce il sottile strato di emulsione sensibile di cui è ricoperta la pellicola impressionandolo in maniera direttamente proporzionale all’intensità luminosa stessa. Lo sviluppo della pellicola serve a rendere visibili in negativo le immagini riprese, dai negativi si possono poi ricavare ristampe. Ancora ai francesi spetta l’invenzione della lastra (1848), un semplice vetro reso sensibile alla luce grazie a un composto a base di albumina. Nel 1877 Muybridge esegue la prima serie di fotografie di soggetti in movimento (grazie a cui si svilupperà il cinematografo) mentre nel 1888 in America nasce il primo rullino Kodak.
La clamorosa invenzione della fotografia e il suo rapido sviluppo mettono in crisi il mondo artistico poiché produce risultati impeccabili a prezzi contenuti e in tempi imparagonabilmente più brevi rispetto a quelli della pittura. Si cominciano a preferire i ritratti fotografici a quelli dipinti sia per la novità dell’esperienza, sia per il maggior realismo, sia per la loro economicità. La fotografia entra nei Salons, anche se con le proteste degli artisti, e diventa una vera e propria forma d’arte. Pittura e fotografia si ritagliano o relativi spazi d’azione; grazie alla fotografia la pittura cessa di essere documentaria e si concentra maggiormente sull’analisi psicologica dei personaggi o sulle emozioni che l’artista desidera trasmettere. La fotografia, dal canto suo, deriva dalla pittura molte delle principali regole di composizione e di inquadratura, ponendo anche grande attenzione allo studio e al bilanciamento delle luci e delle ombre. Per le riprese in esterni vengono poi inventati modelli di macchina fotografica portatile che, non diversamente dai colori in tubetto, permettono di fotografare anche “en plein air”: nascono così le istantanee.
IMPRESSIONISMO
Dopo il 1870 in Francia si instaura la Terza Repubblica senza un effettivo ricambio della classe dirigente al potere e questo favorisce la progressiva ascesa di una borghesia moderata e conservatrice la quale instaura una rigida difesa dei propri interessi di classe. È nella Parigi viva e moderna, piena di splendori ma anche di miserie che si sviluppano i presupposti per la rivoluzione artistica dell’Impressionismo.
Gli Impressionisti sono figli di quella stessa borghesia imprenditoriale che aveva contribuito al prodigioso sviluppo economico della città e si scaglieranno contro l’accademismo. L’Impressionismo si sviluppa in modo nuovo rispetto agli altri movimenti artistici; in primo luogo non è organizzato né preordinato e si costituisce piuttosto per aggregazione spontanea, senza manifesti o teorie, in secondo luogo è privo di una base culturale omogenea in quanto i vari aderenti provenivano da esperienze artistiche e basi sociali fra le più disparate.
Anche diverso è il modo di porsi con la realtà esterna: si rendono conto che tutto ciò che percepiamo attraverso gli occhi continua di fatto al di là del nostro campo visivo, ecco dunque spiegata, nei loro dipinti, la quasi totale abolizione della prospettiva geometrica. Non è più ammesso “imprigionare” gli spazi, nella trasposizione della realtà sulla tela nulla potrà più essere definito con un disegno netto e meticoloso.
Ciò che più conta in ogni rappresentazione è dunque l’impressione che un determinato stimolo esterno suscita nell’artista, il quale opera una sintesi sistematica tesa ad eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l’impressione pura (non verranno dipinti i singoli acini di un grappolo di uva ma, attraverso pennellate di colore, l’idea complessiva del grappolo). Si ha dunque la quasi totale abolizione delle righe che contornano gli oggetti definendone il volume, si tende ad abolire i forti contrasti chiaroscurali e a dissolvere il colore locale (quello proprio dei singoli oggetti) in giustapposizioni (accostare senza sovrapporre) di colori puri, essi arrivano a teorizzare anche in pittura l’inesistenza dei colori locali in quanto ogni colore non esiste di per sé ma in rapporto agli altri colori che ha vicino (una mela rossa su una tovaglia blu avrà sfumature viola in quanto rosso+blu=viola).
Inoltre è la luce che determina in noi la percezione dei vari colori e l’esperienza quotidiana ci insegna che ogni colore ci appare più o meno scuro in relazione alla quantità di luce che lo colpisce e alla presenza o meno di altri colori che ne esaltino o ne smorzino la vivacità.
La realtà assume un volto non finito e imperfetto,si cerca di cogliere l’attimo fuggente, cioè la sensazione di un istante, con la consapevolezza che l’istante successivo potrà generare sensazioni diverse e con la conseguente svilizione del soggetto; vogliono cogliere l’istante e le impressioni subitanee della vita modana, le pennellate, pertanto, sono date per veloci tocchi virgolati, per picchiettature, per trattini e per macchiette, con l’uso di pochi colori puri e con l’esclusione del bianco e del nero considerati non-colori. Nel momento in cui l’artista dipinge rappresenta le sensazioni che gli suscita un determinato soggetto in un determinato momento ed è per non perdere queste impressioni che deve essere molto rapido; inoltre, grazie allo sviluppo del tubetto di colore, gli impressionisti preferivano dipingere “en plein air” e per loro la realtà è dunque soggetta a un’evoluzione continua e non costituisce uno stato definitivo e acquisito ma un continuo divenire, partendo da questi presupposti gli artisti cercano di rendere il senso della mobilità delle cose. Ciò avviene con la giustapposizione di colori puri che, pur non essendo diversificati sulla tela, si fondono nella retina del nostro occhio consentendo al cervello di percepirli come colori omogenei. Se volessimo dare una data precisa alla nascita di questo movimento potremmo scegliere il 15 aprile 1874, quando alcuni giovani artisti (Monet, Degas, Cézanne, Pissarro, Renoir; Sisley e Morisot) decisero, rifiutati dai Salons ufficiali, di organizzare una mostra alternativa dei loro lavori e si presentarono al pubblico come “Società Anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori, ecc.” e l’unica sede espositiva adatta alle loro tasche fu quella messa a disposizione dal famoso fotografo Nadar. La mostra fu un totale fallimento e l’unica nota di rilievo fu che il gruppo ebbe il nome di Impressionisti, dato loro, in modo dispregiativo, da un critico dell’epoca. La breve e intensissima stagione impressionista dura fino al 1886, anno dell’ottava e ultima edizione.
I principali esponenti dell’Impressionismo sono:
- Manet (precursore)
- Monet
- Renoir
- Degas
MANET
VITA
Nasce a Parigi nel 1832 e fin da giovane si dimostra molto attratto dal disegno e dalla pittura, per dissuaderlo dal diventare un artista il padre lo fa imbarcare su un vapore in partenza per Rio de Janeiro, con la speranza di avviarlo alla carriera di comandante navale di lungo corso. Il viaggio si rivela estremamente stimolante per la maturazione artistica di Manet che non dimostra interesse per la vita da ufficiale e viene bocciato all’esame, alla famiglia non resta che assecondare le sue passioni. La sua formazione artistica inizia presso il mediocre pittore accademico Couture che ben presto susciterà l’insofferenza dell’allievo fino all’abbandono da parte di Manet del suo atelier. Il giovane tenta più volte di presentare qualche sua opera ai Salons ma queste vengono sistematicamente rifiutate, conosce Degas e con lui stringerà una forte amicizia. Fra viaggi di studio e attività febbrile Manet deve sempre lottare con le giurie dei Salons, soffre di frequenti crisi depressive e a partire dal 1878 iniziano i sintomi dell’atassia (progressiva paralisi degli arti inferiori) dovuta all’evoluzione maligna della sifilide contratta a Rio. Manet continua a dipingere senza posa finoalla morte avvenuta nel 1883, al funerale il gruppo degli impressionisti si ricompose forse per l’ultima volta.
OPERE
Colazione sull’erba (fig.25.18 p.617)
La Parigi benpensante rimase indignata al crudo realismo con il quale l’artista aveva rappresentato il nudo femminile e i critici lo accusarono di volgarità e malizia. Le critiche furono suscitate non dal nudo in sé ma dal fatto che quel nudo rappresentava una ragazza dell’epoca, così come anche i due uomini sono vestiti alla moda borghese del tempo. In altre parole si accusava Manet di aver abbandonato il linguaggio accademico della mitologia e delle allegorie e di aver sfacciatamente rappresentato “una comune prostituta, completamente nuda, fra quelli che sembrano due studenti in vacanza, che si comportano male per far vedere che sono uomini”. I motivi di critica non si limitarono al soggetto ma lo si accusò anche di non aver saputo utilizzare né la prospettiva né il chiaroscuro. Osservando il dipinto notiamo come personaggi e sfondo siano trattati in modo diverso, quasi che i primi fossero ritagliati e incollati sul secondo, come se si trattasse di figure prive di un volume e di una consistenza propri. La donna no è idealizzata, ma vista per ciò che è, inoltre sembra sbatterci in faccia il falso perbenismo di quei borghesi che vedono la donna come puro oggetto sessuale.Il senso della profondità prospettica è dato dai piano successivi degli alberi e delle fronde. I colori sono stesi con pennellate veloci, giustapponendo toni caldi (frutta) e freddi (vestito) in modo da creare quel contrasto simultaneo che li rende più vivaci e brillanti. L’atmosfera del dipinto è pertanto fresca e luminosa e con esso Manet si proclama dunque pittore di sensazioni.
Olympia (fig.25.21 p.618)
Il dipinto rappresenta con crudo realismo una donna nuda semisdraiata su un letto disfatto; ai suoi piedi vi è un gatto nero, mentre una domestica di colore sopraggiunge dal retro reggendo un variopinto mazzo di fiori (dono di un qualche ammiratore). In primo luogo si criticò la scelta del soggetto, volgare e sconveniente in quanto si trattava di una prostituta sul “posto di lavoro”. In secondo luogo si tornò ad attaccare la tecnica pittorica di Manet, accusandolo di non saper modellare i corpi con il chiaroscuro e di usare i colori in modo primitivo e pasticciato. Il corpo acerbo e sgraziato della ragazza è percorso da un realismo quotidiano, quasi casalingo e perciò squallido in quanto ritenuto non degno di una rappresentazione artistica. La cruda nudità della ragazza viene ulteriormente sottolineata dal malizioso nastrino di raso al collo, mentre lo sguardo è beffardo, quasi di sfida e la posa volutamene sprezzante ricorda alcune immagini pornografiche del tempo.
Il nome stesso di Olympia, diffusissimo come nome d’arte di prostitute dell’epoca, costituiva un ultimo schiaffo alla morale borghese. I colori giocano su forti contrasti, sulla pienezza delle forme e il nitido risalto dei contorni. Vi sono ricorrenti giustapposizioni di colori caldi e colori freddi, realizzati con lo scopo di rafforzarli a vicenda. Nel mazzo di fiori Manet è già del tutto impressionista, quelle che osservate da vicino parrebbero delle macchie disordinate di colore acquistano, in lontananza, uno straordinario effetto di realismo.
Bar delle Folies-Bergères (fig.25.24 p.619)
Fu accettato al Salon nel 1882 e costituisce il testamento spirituale dell’artista, in esso sono infatti ripresi tutti gli elementi caratterizzanti della sua pittura:dall’amore realistico per il quotidiano (la cameriera) al gusto per la natura morta (bottiglie, fruttiera e rose); dall’uso di colori piatti e senza chiaroscuro alla suggestione delle luci riflesse nel grande specchio dietro il bancone. È proprio attraverso quello specchio che Manet riesce a mostrarci il vasto salone; i rapidi tocchi di colore osservati alla giusta distanza ricostruiscono non solo la descrizione della sala ma anche la sua atmosfera. L’immediatezza della visione, la chiarezza della luce, la semplicità disincantata del soggetto costituiscono altrettanti punti caratterizzanti dell’arte di Manet.
MONET
VITA
Nasce a Parigi nel 1840, di origini famigliari assai modeste trascorre l’infanzia in un piccolo paese di campagna e fin da giovane si mostra assai portato al disegno. L’interessamento di una ricca zia diede a Monet la possibilità di trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte, ma il giovane non si iscrisse mai a corsi regolari e le sue prime frequentazioni di ambienti artistici furono quelle vicino al più anziano Manet. Nel 1861 Monet presta servizio militare ad Algeri dove la luce e i colori dell’Africa contribuiscono a sviluppare in lui la passione per la natura e per le sensazioni che la sua osservazione fa scaturire. A Parigi conosce gli altri impressionisti e quelli che seguono il 1862 sono anni di lavoro accanitissimo, con poche soddisfazioni e molte amarezze acuite anche da una forte depressione e da gravi problemi economici. Dopo il 1880 arrivano i primi riconoscimenti e Monet diventa l’uomo simbolo dell’Impressionismo, dopo un soggiorno a Venezia, città che lo entusiasma, si trasferisce nella casa di Giverny e si fa costruire un giardino, alfine di avere a portate di mano un frammento rigoglioso di natura dal quale farsi suggerire atmosfere e sensazioni sempre nuove e diverse. Ormai quasi del tutto cieco e afflitto da untale incurabile Monet muore nel 1926.
OPERE
Impressione, sole nascente (fig.25.25 p.621)
Come si può notare, non vi è alcuna traccia di disegni preparatori e dunque il colore è dato direttamente sulla tela, con pennellate brevi e veloci. Ogni oggettività è stravolta, c’è la volontà di trasmetterci attraverso il dipinto le sensazioni provate dall’artista guardando l’aurora, Monet vuole cogliere l’impressione di un attimo. L’uso giustapposto di colori caldi e freddi rende in modo estremamente suggestivo il senso della nebbia del mattino tra cui si fa strada un pallido sole i cui primi riflessi guizzano sul mare, evidenziati con straordinaria incisività da pochi e sapienti tocchi di pennello.
Dipinto forse a memoria, la realtà rimane annebbiata, non la cogliamo nei suoi minimi particolari ma cogliamo l’idea nel suo insieme e le sensazioni dell’artista.
I papaveri (fig.25.26 p.622)
Monet vuole trasmetterci con vivace immediatezza il senso di allegria che l’osservazione di quei fiori gli ha procurato. Ecco dunque che dal verde indistinto del prato egli fa emergere delle brillanti picchiettature di rosso, conferendo al paesaggio una nota di serena spensieratezza.
La cattedrale di Rouen,pieno sole, armonia blue e oro (fig.25.27 p.622)
Fa parte di una serie di venti tele successive che ritraggono la facciata della cattedrale di Rouen dallo stesso punto di vista ma in diverse condizioni climatiche e a diverse ore del giorno. Monet è del tutto indifferente alla struttura architettonica e si concentra esclusivamente sul gioco di luci e ombre che il sole della tarda mattinata produce sulla facciata. Attraverso queste successioni di dipinti l’artista ci fa capire come uno stesso oggetto può assumere diverse tonalità a seconda della luce e come sia importante non generalizzare il suo aspetto ma analizzarlo durante diverse posizioni della luce, anche qui si cerca di cogliere l’attimo.
Lo stagno delle ninfee (fig.25.28 p.623)
Vi è rappresentato il ponte giapponese che l’artista aveva fatto costruire nel suo giardino. La luce verdastra, schermata dalle morbide chiome dei salici piangenti, genera una sensazione di placida frescura, alla quale si somma quella generata dall’acqua (uno dei temi prediletti di tutti gli Impressionisti) dello stagno, punteggiata qua e la dallo sgargiante affiorare di ninfee in fiore. La realtà non sussiste altro che come pretesto per dare voce e colore allo sconfinato mondo delle sensazioni.
Boulevard de capussin (fig. non presente sul libro)
La scena è vista da una finestra e si vede un corteo di persone che attraversano una via; i tetti, gli alberi, le persone stesse, ecc. sono tagliati perché Monet vuole darci l’impressione di entrare nel quadro e farci notare che al di là del ostro campo visivo il mondo continua e non può essere “inscatolato”, è la nostra immaginazione che conclude il quadro rendendolo dinamico e non statico.
Covone (fig.non presente sul libro)
È rappresentato un covone di fieno in mezzo a un campo, questo ha la stessa dignità, come soggetto, di una persona. Il covone non è solo un misto di gialli, ma ci sono anche riflessi azzurrini, così come l’ombra non è nera ma ha anche riflessi gialli e verdi. Come gli altri quadri anche questo rappresenta il senso del mutevole, del dinamismo, dell’attimo, anche per la natura il tempo passa e l’artista si rende conto che il covone in questo momento è diverso da ciò che sarà fra poco.
DEGAS
VITA
Nasce nel 1834 da una ricca e nobile famiglia, il padre, un banchiere di origine napoletana, è uomo di cultura vasta e raffinata e sotto la sua guida Degas incomincia a frequentare i musei. La scelta di intraprendere la carriera artistica è subito assecondata dal padre, la prima formazione avviene in un ambiente accademico presso In gres, frequenta l’Accademia di Belle Arti ma la abbandona dopo neanche sei mesi di frequenza e intraprende lunghi e regolari viaggi in Italia. Degas si dimostrerà sempre profondamente insoddisfatto della propria arte; tornato a Parigi continua lo studio dei classici e di Delacroix, egli, al contrario degli altri impressionisti, rimase sempre un convinto sostenitore del disegno e anche della pittura in atelier. Secondo l’artista anche l’impressione di un istante è così complessa e ricca di significati che l’immediatezza della pittura en plein air non può che coglierla in modo riduttivo e superficiale. Degas dedica una cura meticolosa ai disegni e agli schizzi preparatori, in questi si nota la precisione del segno e la morbidezza del chiaroscuro. Nel 1861 conosce Manet e con lui divide la passione per le stampe giapponesi e viene inserito nel gruppo del Café Guerbois (gruppo degli impressionisti). Alla metà degli anni Sessanta la sua pittura si caratterizza sempre di più in senso realistico nella consapevolezza che l’artista può riuscire a dare il senso del vero solo agendo in modo del tutto innaturale, pertanto la natura di Degas non è mai quella immediatamente derivante dalla sensazione visiva ma il frutto complesso di studi, riflessioni ed accomodamenti successivi. Nel 1874 muore il padre e la famiglia deve affrontare problemi economici così Degas è costretto a dipingere per vivere e inizia a lavorare sul tema delle ballerine. Degas more nel 1917 persistendo nel definirsi più realista che impressionista e a questo punto può considerarsi definitivamente conclusa la grande stagione dell’Impressionismo.
OPERE
La lezione di ballo (fig.25.30 p.625)
Appartiene alla serie delle ballerine ed è stato realizzato tra il 1873 e il 1875. in esso l’artista rappresenta il momento in cui una ballerina sta provando dei passi sotto l’occhio vigile del maestro mentre le altre ragazze osservano. Il taglio è di tipo fotografico e alcune figure risultano uscire dall’inquadratura, l’opera è comunque frutto di un difficile e meditato lavoro di atelier, i gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva: una si gratta la schiena, una si fa aria con il ventaglio,ecc. L’aria è dunque rilassata ed informale; cogliere questi aspetti marginali ma significativi del quotidiano è una scelta precisa dell’artista che in ogni sua opera si pone nei confronti dei personaggi “come se si guardassero dal buco della serratura”. La luce e morbida e ingentilisce le movenze delle ballerine; sia il disegno prospettico del pavimento sia il tono complessivamente neutro del parquet e delle pareti contribuiscono a dare all’insieme un senso di quieto realismo, tipico di tutti gli interni dell’artista. Dal punto di vista delle tecniche egli non rifiuta né il disegno (marcato nel maestro di danza) né l’uso del bianco e del nero. Bianchi sono infatti i tutù nei quali il senso di vaporosa leggerezza è sottolineato dalla presenza di sfumature dello stesso colore dei fiocchi e neri sono i nastrini di raso al collo.
L’assenzio (fig.25.31 p.626)
Degas non ama i paesaggi né tanto meno la loro rappresentazione, preferisce fare riferimento ai tipici interni parigini, questo quadro per esempio è ambientato all’interno del Café Nouvelle-Athènes. La composizione è volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il senso di una visione improvvisa e causale come se il punto di vista fosse quello di una persona che si sta alzando dal tavolino sulla sinistra, infatti il punto di vista è quello alto e decentrato di un osservatore invisibile. L’immagine è invece costruita in modo rigoroso e quasi scientifico, si noti la prospettiva obliqua secondo cui sono disposti i tavolini. I due personaggi (in realtà una modella professionista e un amico incisore) recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta di periferia, agghindata in modo pateticamente vistoso e un clochard (barbone) dall’aria burbera e trasandata. Dinanzi alla donna vi è il bicchiere di assenzio e davanti al clochard un calice di vino, i colori dei liquori riprendono quelli degli abiti dei due soggetti. Entrambi hanno lo sguardo perso nel vuoto e pur essendo seduti uno di fianco all’altro sono fra loro lontanissimi, quasi a simboleggiare quanto la solitudine possa renderci estranei e incapaci di comunicare. L’atmosfera del locale è pesante quanto lo stato d’animo dei due, imprigionati in uno spazio squallido e angusto di cui l’artista ci offre una descrizione impietosamente realistica. Alle spalle dei due personaggi uno specchio sbiadito ne riflette le sagome dando al contempo profondità ad una parete che altrimenti avrebbe finito per schiacciarli, ed è proprio da esso che deriva la luce, fioca e soffusa, che illumina la scena.
La tinozza (fig.25.32 p.627)
È uno dei pastelli appartenenti alla serie dei nudi femminili che fanno la toilette, in essi ogni scena costituisce il fotogramma dell’ideale film della vita (hanno la stessa logica delle varie riproduzioni della cattedrale di Rouen per Monet). Il punto di vista è molto alto e, poiché risulta allineato al bordo del mobile di destra, la percezione della prospettiva di quest’ultimo ci appare artificiosa e quasi verticale. Il profilo dolce ma sicuro del giovane corpo accovacciato ha un andamento che richiama la forma circolare della tinozza, dalla quale però si stacca per delicato contrasto di colore. La plasticità del corpo è resa mediante un sapiente incrocio di tratteggi la cui sovrapposizione suggerisce il senso del volume che fa presupporre l’illusione del movimento.
Donna che si asciuga il collo (fig. non presente sul libro)
Anche questo fa parte della serie dei nudi femminili della toilette, si nota la scuola del realismo; è un frammento di vita intima, la donna non è idealizzata, questo nudo, al contrario di quelli degli altri impressionisti, è chiaroscurato ma una la pennellata a virgola tipica dell’Impressionismo; la pittura sembra però più celebrale, studiata, meno immediata e c’è anche qui un particolare taglio fotografico come se si spiasse dal buco della serratura.
RENOIR
VITA
Nasce a Limoges nel 1841, suo padre è un modesto sarto che si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna, Renoir viene messo a fare l’apprendista di un decoratore di ceramiche e così si manifesta la sua attitudine artistica e il padre, nella speranza di farlo artigiano, gli permette di frequentare corsi serali di disegno. Nel 1862 entra alla Scuola di Belle Arti con come maestro Gleyre; accetta di buon grado lo studio del disegno e consegue ben presto risultati di grande freschezza. Per lui la pittura è gioia di vivere, capacità di stupirsi ogni giorno di fronte alle piccole-grandi meraviglie del creato, voglia di farsi travolgere dalle emozioni e dai colori. Le sue opere venivano respinte dai Salons ufficiali, i colori dei suoi dipinti erano infatti considerati troppo luminosi e volgari mentre l’uso delle pennellate veloci continua a fare credere ai critici che si tratti di lavori sommari e non rifiniti secondo le giuste regole. Inizialmente la pittura dell’artista si volge al paesaggio, ma ben presto si orienta verso la rappresentazione di soggetti umani mirabilmente inseriti nel loro ambiente (grande rilievo avranno i soggetti femminili delle “bagnanti”). Nel 1881 si reca in Italia e rimane colpito dalla dolce violenza dei colori mediterranei, sempre saturi e squillanti. Lo studio delle opere di Raffaello mette in crisi la sua visione impressionista della realtà, così le forme dei suoi personaggi e soprattutto delle bagnanti, non hanno più la luminosa leggiadria di un tempo ma il colore si fa più denso e a poco a poco spariscono tutti i riferimenti al presente. In Renoir, ormai stimato e affermato, iniziano a manifestarsi i sintomi di una malattia reumatica che lo porterà alla paralisi completa degli arti inferiori e alla semi paralisi di quelli superiori, si assopisce e muore per arresto cardiaco nel 1919.
OPERE
Grenouillère (fig.25.36 p.630)
Dipinge questo quadro nello stesso momento in cui viene dipinto da Monet (fig.25.35 p.630), i due erano insieme in questo complesso e realizzano l’opera dallo stesso punto di vista. Renoir è molto sensibile alle presenze umane che appaiono più definite di quelle di Monet. Mentre Renoir adotta una pennellata minuta per l’acqua frammentando la luce in piccole chiazzette di colore e conferendo all’insieme una sensazione di gioiosa vivacità, Monet usa pochi colori con vaste pennellate individuando attraverso bruschi sbalzi le zone d’ombra da quelle di luce. Il quadro di Renoir è sicuramente il più festoso e squillante, i suoi colori sono mobili e brillanti, in continuo e mutevole rapporto reciproco e sempre sensibili agli infiniti filtraggi che la luce del sole subisce.
Moulin de la Galette (fig.25.37 p.631)
E’ un dipinto del1876 abbozzato en plein air e ultimato in atelier. La scena ritratta è quella di un ballo popolare all’aperto ambientato al Moulin de la Galette. Tramite un uso nuovo e libero del colore l’artista cerca non solo di suggerirci il senso del movimento ma addirittura lo stato d’animo collettivo e la gioia spicciola di un pomeriggio di festa. La forma è costruita mediante il colore che a sua volta assume un rilievo diverso in relazione al contrasto fra luci ed ombre e fra toni caldi e freddi. I vestiti delle ragazze spiccano contro gli abiti maschili che li fa vibrare di colore definendo di conseguenza sia la forma dei corpi sia la sensazione del moto. C’è un’attenta valutazione compositiva: nessun personaggio risulta isolato e l’insieme dei gruppi determina la profondità prospettica dell’intera scena nella quale il disegno gioca un ruolo marginale.
Colazione dei canottieri (fig.25.38 p.632)
Risalente al 1881 il dipinto rappresenta una colazione i cui frequentatori sono soprattutto sportivi, il dipinto rappresenta la veranda del locale ed è l’ennesima rappresentazione en plein air. La luce chiara del primo pomeriggio estivo inonda la scena di riflessi rosati, ai quali fa da contrasto cromatico lo sfondo verdastro della vegetazione palustre. L’attenzione di Renoir si concentra soprattutto sui colori, dalla cui sapiente giustapposizione prendono corpo i volumi e la prospettiva. I volti delle ragazze sono tratteggiati per zone di colore (labbra,occhi, capelli,ecc); non vi è traccia di disegno e l’atmosfera che ne deriva è quella di una straordinaria naturalezza, resa ancor più viva e festosa dal complesso gioco di sguardi che lega tutti i personaggi.
Bagnate seduta (fig.25.39 p.633)
Nel quadro del 1883 l’artista mostra di voler dare più consistenza ai contorni della figura, tornando alla separazione tra personaggio e sfondo.sovrappone al paesaggio ricostruito impressionisticamente una figura di bagnante dalle forme tornite; la definizione del corpo femminile avviene per campiture di colore larghe e uniformi. Il gioco di luci e di contrasti cromatici rimane limitato allo sfondo, mentre la bagnante si stacca da esso vivendo quasi di vita e di colori propri.
NEOIMPRESSIONISMO
Il Neoimpressionismo e chiamato Pointillisme in Francia e Divisionismo in Italia ma anche Impressionismo scientifico e Cromo-luminismo. Nel 1884 viene fondata a Parigi la “Società degli artisti indipendenti” da Seurat e Signac; essi si considerano impressionisti scientifici in quanto utilizzano tinte pure con pennellate a puntini basate sullo studio cromatico. Il loro metodo è assolutamente razionale e stabile, ha un movimento teorico vero e proprio che si basava sugli studi di ottica di Chevreul e Rood.
Legge del contrasto simultaneo di colori di Chevreul:
- contrasto di tono: quando si vedono due piccole zone di colore, dello stesso colore ma di intensità diverse, a livello di retina l’occhio vede una zona intermedia;
- contrasto di colore: quando accosto due colori diversi ma con la stessa intensità si vede il colore dato dal miscuglio, quindi accostando giallo e blu puri io vedrò verde.
L’arte per i neoimpressionisti è armonia e la ottengo:
- per contrasto di tinte complementari (rosso-verde, ecc)
- per contrasto di toni (colori più chiari e più scuri)
- per composizione di forme gaie (legate a linee di forza puntate verso l’alto che danno un senso di gioia)
- per composizioni calde (tonalità armonizzante)
- per composizioni di forme tristi o tonalità fredde (linee di forza puntate verso il basso danno un senso di tristezza così come i colori freddi)
Tutto si basa sulla persistenza dell’impressione luminosa sulla retina. Si cerca di creare un’architettura della luce, si cerca di organizzare una pittura più mentale, rigorosa e razionale.
Fondamenti della teoria del Neoimpressionismo:
- colori puri;
- fusione ottica a livello della retina e non su tavolozza;
- divisione del tocco in punti;
- tecnica metodica e scientifica.
SEURAT
VITA
Nato a Parigi nel 1859 da un’agiata famiglia compì i suoi studi in varie scuole d’arte di Parigi e quindi all’Accademia di Belle Arti. I suoi inizi furono impressionistica il suo capolavoro lo creò con la tecnica divisionista basata sulle teorie di Chevreul, consistente nell’accostamento di colori puri tenuti divisi; i colori accostati sulla tela sarebbero stati ricomposti e fusi dalla retina dell’occhio degli osservatori senza l’intervento meccanico del pittore. Tale modo di operare avrebbe assicurato sia la massima luminosità sia la fusione dei colori al solo guardarli, ma affinché ciò accadesse i colori dovevano essere depositati sulla tela con la punta del pennello sotto forma di puntini. Il compito che Seurat si assunse nei riguardi della pittura impressionista fu quello di darle una sistematicità e di conferirle una dignità scientifica. La sua vita artistica fu piuttosto breve perché morì nel 1891 trentaduenne.
OPERE
Une baignade à Asnières (fig.26.10 p.640)
Il formato della tela per ovvie ragioni (era molto grande) impediva di dipingere en plein air, anche se il tema e la tecnica possono essere definiti impressionisti, tale non è la statuaria e innaturale immobilità delle figure. Queste, governate dal pallore brillante dei corpi e dalla geometria compositiva, sono diversissime dalle figure impressioniste colte in movimento. Si noti la tecnica dei puntini e la giustapposizione di colori puri che si fondono nella retina sotto un unico colore, il prato per esempio è composto da puntini accostati di blu e giallo ma ai nostri occhi appare verde.
Un dimanche après-midi à l’Île de la Grande Jatte (fig.26.11 p.642)
Il soggetto è impressionista : una folla di turisti domenicali che si diverte su un’isola della Senna. I puntini sono pressoché infiniti, ognuno è stato deposto sulla tela badando a quello vicino, tenendo presente la teoria del contrasto simultaneo e il cerchio cromatico per ottenere la massima luminosità e facendo attenzione a che la ricomposizione retinica desse luogo proprio a quei colori registrati dall’artista durante le sedute sul posto. Su tutta la scena dominano una calma e un assoluto silenzio assieme ad un’innaturale immobilità, la disposizione è geometrica e quasi scenografica, come se fossero i diversi livelli delle quinte di un teatro.
Le chahut (fig.26.12 p.643)
Dei ballerini e delle ballerine stanno danzando su un palco circondati dai musicisti e da ricchi borghesi. Tutte le linee sono proiettate verso l’alto basate sulle teorie di Henry che riteneva di poter determinare scientificamente la proprietà che avevano linee e colori di suscitare particolari emozioni, ad esempio le linee ascendenti provocano piacere mentre quelle discendenti provocano malessere. Nonostante le linee ascendenti diano un senso di giocosità i colori sono cupi e tendono alla monocromia ma essendo colori caldi attraverso essi l’artista voleva donare il senso di un luogo interno e in particolare di un locale notturno.
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