Brunelleschi e la prospettiva

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

BRUNELLESCHI E LA PROSPETTIVA
VITA DI FILIPPO BRUNELLESCHI (1377-1446)
Figlio di un notaio, svolse il suo apprendistato di artista in una bottega di orafo, prima di mettersi in luce con il concorso (1402) per la seconda porta bronzea del battistero di Firenze; la sua formella col Sacrificio di Isacco fu giudicata ex aequo con quella vincitrice del Ghiberti, al cui sereno classicismo si contrappongono la tensione drammatica e il vibrante plasticismo dell'opera brunelleschiana. Unica altra opera nota di scultura di Brunelleschi è il Crocifisso ligneo della cappella Gondi in S. Maria Novella (forse 1409 o 1420), di armoniche proporzioni. Ma l'interesse per l'architettura fu in lui presto prevalente: dal 1409 sono documentati suoi interventi e pareri per i lavori in S. Maria del Fiore e, quando nel 1418 venne bandito il concorso per la cupola, egli presentò un modello che, anche se non ebbe il premio, segnò l'inizio della sua opera maggiore. Frattanto Brunelleschi compì viaggi a Roma (dal 1402), studiando con passione i monumenti antichi, non tanto per ricavarne modelli di stile, ma per rintracciare le leggi matematiche e i rapporti proporzionali che li reggono e i procedimenti tecnici e statici che ne permisero la realizzazione. Sulla base di questo studio, e tramite l'amicizia col matematico Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Brunelleschi giunse a elaborare la prima formulazione delle leggi della prospettiva: le due tavolette con vedute di edifici in prospettiva dovevano essere la spiegazione di un nuovo metodo di misurazione razionale dello spazio, fondamentale per la progettazione architettonica. Applicata all'architettura, la prospettiva diventava un metodo di proporzionamento e coordinamento delle parti che permetteva di risolvere tutti i problemi costruttivi in fase di progetto: in tal modo Brunelleschi «è il primo ad affermare il carattere intellettuale del lavoro costruttivo, a pretendere per l'architetto un rango a sé, nettamente distinto da quello dei capimastri, a porre l'architettura come ars liberalis» (Argan). Il Brunelleschi condusse molti cantieri contemporaneamente, tutti racchiusi dalla cerchia delle mura fiorentine. Il progetto più impegnativo, e che maggiormente lo remunerò in termini di notorietà fu la fabbrica della cupola di S. Maria del Fiore, di cui si occupò, mettendo in campo tutte le sue competenze, dal 1423 al 1434. Altri importanti progetti furono lo Ospedale degli Innocenti (1421-1423), il complesso di S. Lorenzo (1423-1428), la Cappella dei Pazzi in S. Croce (1430) e S. Spirito in Oltrarno (progetto del 1436 iniziato nel 1444). Sebbene Brunelleschi non sia riuscito a completare quest’ultima opera, i lavori proseguiti da altri architetti dopo la sua morte non snaturarono del tutto l’opera, che conserva il sobrio classicismo del progetto originale. Morto appunto nel 1446, la sua tomba fu ritrovata sotto la navata destra di S. Maria del Fiore nel corso di lavori per riportare alla luce i resti della precedente chiesa di S. Reparata; i contemporanei pensarono bene di inumarlo dentro l’opera titanica che aveva contribuito ad ultimare.
LA CUPOLA DI S. MARIA DEL FIORE
L’iniziale progetto di Arnolfo di Cambio per Santa Maria del Fiore, reso ancora più imponente dalle modifiche di Francesco Talenti, aveva lasciato la basilica con un enorme problema: chiudere il coro con una volta. La basilica di Arnolfo prevedeva certo una cupola, ma bassa, analoga a qualche calotta bizantina ancor'oggi visibile nell'Italia meridionale: possiamo vederne un'immagine virtuale nell'affresco di Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella, eseguito nel 1365-67, dove il Duomo è raffigurato con una strana cupola in realtà mai esistita. Le dimensioni all’interno della cattedrale risultarono comunque alla fine così imponenti (è tuttora la terza chiesa al mondo per dimensioni dopo S. Pietro in Vaticano e Saint Paul a Londra) che non fu possibile usare il consueto metodo basato su strutture fisse che partivano da terra. I costi si sarebbero infatti rivelati proibitivi ed erano perfino state perdute, a causa della peste nera, le tecniche necessarie a un simile tentativo, trasmesse alle maestranze per via orale dai propri maestri. Del resto, voltare uno spazio di 45,5 metri di diametro senza armature su cui poggiare era veramente impensabile per gli esperti dell’epoca. Il genio del Brunelleschi si manifestò principalmente nella soluzione di questa complicatissima opera. L'ispirazione gli venne dopo un accurato sopralluogo alla cupola del Pantheon, anch'essa realizzata senza armatura e con una doppia calotta. Rientrato a Firenze, l'artista suggerì dapprima di costruire sopra il coro un tamburo poi, realizzato questo coronamento che in realtà rendeva ancora più difficile l'erezione della cupola, se ne tornò a Roma inseguito dai messaggi disperati dell’Opera del Duomo. Rientrato a Firenze suggerì di bandire un concorso per il progetto di una cupola che doveva avere questi requisiti: essere ottagonale, avere 46 metri di diametro alla base, non contenere ossatura e risultare per di più doppia. Il concorso fu bandito nel 1418 e Brunelleschi ne uscì trionfatore, ma i responsabili dell’Opera vollero affiancargli nella direzione dei lavori Lorenzo Ghiberti, che già gli aveva strappato la commessa per la Porta nord del Battistero. L'artista si offese tanto che stava per distruggere il suo modello, quando gli amici Donatello e Luca dalla Robbia gli suggerirono di darsi malato e lasciare tutta la responsabilità al Ghiberti. Così fu fatto e ben presto Ghiberti gettò la spugna dichiarandosi assolutamente incapace di capire il progetto e portare avanti i lavori. Riconosciuto nel 1423 «inventore e governatore della cupola maggiore», Brunelleschi condusse l'opera con rivoluzionari sistemi costruttivi, che stupirono i contemporanei; adottando la muratura in mattoni a "spinapesce" (studiata sui monumenti romani), eliminò centine e armature e portò avanti progressivamente la struttura, capace di autosostenersi, scaricando i pesi e le spinte per mezzo di una doppia calotta a sesto acuto, differenziando e armonizzando in tal modo il volume della cupola rispetto all'interno e all'esterno. Il compimento dei lavori della grande opera si protrasse a lungo: nel 1434 la cupola era compiuta, «erta sopra e cieli, ampla da coprire con sua ombra tucti e popoli toscani» (Alberti); del 1432 è il progetto (messo in atto nel 1436) della lanterna, elegantissima architettura in dimensioni ridotte, necessario punto di convergenza delle linee di forza dei costoloni. Nel 1438 B. realizzò, negli intervalli dei corpi sporgenti dell'ottagono absidale, quattro piccole tribune, come elemento di raccordo delle masse plastiche da cui scatta lo slancio della cupola, alleggerite da profonde nicchie di ispirazione classica.
OSPEDALE DEGLI INNOCENTI
L'ospedale degli Innocenti è la prima istituzione di questo genere in Europa (1419). Ideato per curare e allevare i bambini orfani o abbandonati e dar loro un mestiere, lo "Spedale" fu edificato al tempo della Repubblica fiorentina per volontà dell'Arte della Lana, che lo finanziò interamente, e affidato a Brunelleschi, che qui realizzò un esempio armonico e razionale di architettura ospedaliera nell'insieme di chiostri, portici, refettori, dormitori, infermerie e "nursery". In questo edificio Brunelleschi mirò prevalentemente alla funzionalità, e si valse così di uno dei primi esempi di architettura modulare, che tuttavia nell’estetica rinascimentale non poteva che risultare piacevole, data la costante ricerca, da parte dell’arte di questo periodo, di equilibrio e di armonia geometrica. Il chiostro vede infatti una precisa equivalenza fra la corda dell'arco, l'altezza delle colonne e la profondità del portico, un’uguaglianza fra le tre dimensioni che crea per ogni campata un modulo spaziale cubico, geometricamente perfetto, la cui ritmica successione genera una cristallina purezza d'insieme.
S. LORENZO
Nel 1418 Brunelleschi stese un piano per la ricostruzione della chiesa agostiniana di S. Lorenzo, che era la chiesa parrocchiale dei Medici; di conseguenza la sua storia è sempre stata molto legata alle sorti della potente famiglia. Quando i lavori erano già a buon punto, una serie di rovesci finanziari costrinse all’esilio Cosimo de’ Medici, e ciò comportò l’improvvisa chiusura del cantiere, che non riaprì fino al 1442, quattro anni prima della morte di Brunelleschi. Di conseguenza l’esterno della chiesa non fu portato a termine e rimase d’impronta nettamente romanica. Ora la facciata riflette la semplicità dell’interno brunelleschiano. Questo presenta una netta preferenza per il muro pieno, sebbene abbia finestre sulle facciate laterali e una serie di alti pilastri corinzi che sorreggono archi a tutto tondo; viene applicato il modello delle prime basiliche della cristianità, con te navate e il tetto piatto, segno di semplice austerità. Brunelleschi introduce all’interno di questo sistema un modulo matematico, che ben si confaceva al suo spirito razionalista e minimalista: usa la campata quadrata per costituire uno spazio armonico e ripetitivo che domina sia la navata, che consta di quattro moduli, che il transetto. Lo spazio è scandito dalle cappelle laterali e da una sapiente distribuzione della luce. Accanto al tema basilicale che domina la chiesa, Brunelleschi recupera in questo complesso architettonico anche un'altra forma della tradizione, cioè la pianta centrale, che viene applicata nella Sacrestia Vecchia. Formata dal coordinamento di due puri elementi geometrici, è un vano cubico (in cui si apre una piccola cappella pure a pianta quadrata) sormontato da una cupola emisferica a vele, raccordata alle pareti da pennacchi. Ogni parete è definita da quattro colonne corinzie su cui poggia una trabeazione che corre lungo le pareti. L’essenziale decorazione è rigorosamente a due toni: i muri sono dipinti in bianco, mentre la grigia pietra serena sottolinea le principale linee di forza. Per concludere, nel complesso di S. Lorenzo Brunelleschi proponeva il suo nuovo tipo di chiesa, accentuatamente classicheggiante, irrorata dalla luce per una netta evidenza architettonica (e non misticamente penombrata come in precedenza), assolutamente regolare e simmetrica. E’ una chiesa in cui si avverte una componente razionale e laica, una scansione misurata, che predominano sul precedente senso corale, religioso, collettivistico.
CAPPELLA DEI PAZZI IN S. CROCE
La Cappella dei Pazzi fu progettata per essere una sala capitolare del monastero di S. Croce, ma servì anche da sala assembleare privata per la famiglia committente. E’ in sostanza una versione più complessa della Sacrestia Vecchia di S. Lorenzo. Qui Brunelleschi arricchisce lo schema elementare della sua precedente opera con una pianta rettangolare, che affianca al vano centrale coperto a cupola due brevi bracci laterali con copertura a botte, con effetto di dilatazione dello spazio. La perfetta armonia spaziale dell'interno deriva dall'applicazione del rapporto di "sezione aurea" e dalla rigorosa integrazione di architettura e partizioni decorative (tanto rigorosa da far supporre, quasi con certezza, l'intervento diretto di B. nei tondi con figure policrome degli Evangelisti nei pennacchi della cupola); come in S. Lorenzo, la decorazione tende ad una raffinata essenzialità. Quanto all’esterno, Brunelleschi morì prima di poter completare la facciata, che tuttavia fu finita ispirandosi al suo progetto. La caratteristica principale dell’attuale facciata della cappella è il portico a colonne corinzie con un arco a tutto tondo centrale. Quest’arco incornicia l’entrata e sposta l’attenzione del visitatore sulla cupola soprastante. Il muro della facciata vera e propria vede un pilastro per ogni colonna del portico, il quale consta di una piccola cupola fiancheggiata da due volte a botte.
S. SPIRITO
S. Spirito è una versione perfezionata e ampliata di S. Lorenzo in cui le idee direttrici dell’ispirazione brunelleschiana, ossia armonia, modularità ed essenzialità, trovano lo loro più completa enunciazione, almeno in fase di progetto; come già detto, infatti, Brunelleschi morì molto prima che l’edificio fosse compiuto, tanto che questo fu più volte modificato prima del termine dei lavori, nel 1482. Brunelleschi diviene qui più preciso e plastico. La navata centrale misura in larghezza esattamente il doppio di una navata laterale e in altezza viene a porsi sullo stesso piano delle laterali medesime. Tutte le misure planimetriche si deducono da una sola: il lato della campata minore; l'articolazione degli spazi è affidata a colonne tutte uguali: domina quindi il più stretto rigore geometrico e modulare. Nicchie semicircolari rimpiazzano le cappelle quadrate di S. Lorenzo, dando l’impressione che il muro portante sia scavato. Attraverso questa continua serie di concavità viene negata la possibilità di valutare lo spessore del muro esterno, in modo che la materia non si imponga come consistenza materiale (spessore ecc.) ma come mezzo per scandire spazi. Inoltre, secondo il progetto originale, le nicchie dovevano essere visibili all’esterno, annullando la tradizionale dicotomia dentro-fuori degli spazi architettonici.
PROSPETTIVA
Il termine viene riferito in generale a ogni forma di resa figurativa della profondità spaziale; in tal senso tentativi di soluzione del problema sono rintracciabili fin dalle più antiche testimonianze artistiche, in particolare nella primissima età imperiale, quando più elaborate si fecero le tecniche di sovrapposizione fra le figure dipinte (Pompei). Più precisamente, invece, il termine indica quella costruzione geometrica elaborata nel Quattrocento, in ambiente fiorentino, atta a rappresentare oggetti tridimensionali su un piano bidimensionale. Essa si fonda sulle leggi elementari dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli oggetti distanti sembrano più piccoli e meno definiti rispetto a quelli vicini. La prospettiva lineare di matrice quattrocentesca traduce graficamente l'effetto di riduzione scalare degli oggetti determinato dalla distanza. L'"inventore" del metodo della corretta costruzione prospettica fu Brunelleschi, che lo esemplificò in due tavolette prospettiche (perdute, ma descritte dalle fonti) rappresentanti l'una il battistero, visto dalla porta del duomo, e l'altra la piazza della Signoria. Il metodo brunelleschiano di riduzione prospettica con punto di fuga unico, la cosiddetta "costruzione legittima", fu codificato dall'Alberti nel suo trattato De Pictura (1435, non a caso dedicato a Brunelleschi) divenendo un elemento fondamentale delle esperienze figurative dell'umanesimo fiorentino. Nella teoria prospettica rinascimentale confluivano da un lato i risultati della scienza ottico-fisiologica medievale e gli stimoli del pensiero matematico contemporaneo, e dall'altro l'esperienza empirica di formule e rappresentazioni spaziali trasmessa dalla pratica delle botteghe pittoriche del Duecento e del Trecento; in effetti già Giotto e il suo maestro Cimabue avevano elaborato tecniche pittoriche atte a dare una vaga impressione di tridimensionalità. La costruzione legittima brunelleschiana assunse un carattere normativo, sottolineato da un ‘ampia produzione trattatistica lungo l'arco del Quattrocento e del Cinquecento, dalla rigorosa sistemazione geometrico-matematica di Piero della Francesca (De Prospectiva Pingendi, ca. 1490), alla complessa rimessa in forse di tutto il problema da parte di Leonardo. L'enorme fortuna della prospettiva rinascimentale fu dovuta al fatto che essa, permettendo una rappresentazione al tempo stesso aderente alla visione reale e organizzata in uno schema geometrico, costituiva una perfetta fusione tra scienza e arte, fra oggettività matematica e libertà espressiva, e corrispondeva in pieno alla volontà unificatrice e razionalizzatrice del Rinascimento. Nessuno all’epoca dubitò che la prospettiva brunelleschiana non fosse l'unico e corretto metodo per fornire una rappresentazione analoga alla visione reale; in realtà essa è fortemente astrattiva, presupponendo un punto di vista immobile e fisso e non tenendo conto di aspetti quali la binocularità e la convessità del bulbo, che caratterizzano la percezione fisiologica. Viene insomma creata un’immagine tridimensionale che non corrisponde a quella naturale, e che oggi appare normale solo per forza d’abitudine.
L’ARCHITETTO E IL TEORICO
Viene a questo punto da chiedersi quanto l’invenzione delle tecniche prospettiche abbia influito sull’attività più prettamente artistica del Brunelleschi. Se sicuramente Brunelleschi fu l’uomo con cui si realizzò l’intellettualizzazione degli artisti e grazie a cui l’architetto passò dall’essere un semplice capo cantiere ad essere un esperto che agiva prevalentemente in fase di progetto, egli non riunì a tal punto ambito teorico e ambito pratico da ispirare tutta la sua arte alla prospettiva, anche perché ciò non avrebbe avuto semplicemente senso. Come sarebbe infatti possibile impostare un’architettura “prospettica”, se per definizione tale tecnica grafica è dedicata a superfici bidimensionali e al contrario l’architettura non può che lavorare a tre dimensioni? Nonostante questa ovvia considerazione, Brunelleschi architetto rimase nettamente legato, come è normale, alle sue scoperte geometriche, che lo condizionarono prevalentemente in due ambiti. In primo luogo la prospettiva fu un impareggiabile strumento tecnico in fase di progettazione, che facilitò grandemente la definizione su carta di forme e volumi; basti considerare che prima non si poteva che progettare in pianta o attraverso imprecisi schizzi. Ma questo è un uso puramente strumentale della prospettiva indifferente ai contenuti dell’arte, ossia agli effettivi forme e volumi che vogliamo edificare; con la prospettiva è più agevole la progettazione di una chiesa come di un’opera di fortificazione. Sul piano dei contenuti invece Brunelleschi ricevette dai suoi studi un’estetica basata su canoni matematici, in parte facente parte dello spirito dei tempi ma in parte a lui peculiare. La costante ricerca di armonia, l’uso di forme geometriche semplici, l’attenzione alla pulizia dei volumi e all’essenzialità della decorazione, la tendenza al modulo, alla forma ripetitiva e ai rapporti matematici fra le parti sono tutti aspetti di un arte profondamente segnata dalla matematica, che può essere quindi vista come la disciplina fondamentale nella vita artistica del Brunelleschi. La matematica è dunque il ponte che lega nella persona del nostro Filippo arte ed elaborazione teorica, gioia della creazione artistica e piacere del pensiero. Alla fine Brunelleschi ci appare quindi come un architetto classico resuscitato in tempi moderni e in una civiltà completamente diversa da quella antica: come Fidia e i suoi contemporanei ricercavano l’armonia formale nella continua reinterpretazione dei canoni tradizionali, così il fiorentino fonda nuovi rapporti matematici, traendoli dal repertorio classico, per offrirli alla successiva architettura rinascimentali, segnando in tal modo una nettissima cesura con la tradizione medievale che verrà avvertita in ogni campo della cultura.
APPARATO ICONOGRAFICO
FONTI
Per paragrafo:
vita di Filippo Brunelleschi: voce “Brunelleschi, Filippo” da Gedea di De Agostini rielaborata
la prospettiva: voce “Prospettiva” da Gedea di De Agostini rielaborata
paragrafi sulle opere: siti di architettura sul WWW talvolta tradotti e variamente rielaborati
l’architetto e il teorico è del tutto autografo
immagini: siti turistici sul WWW

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