Brunelleschi Donatello Masaccio

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Nei primi decenni del ‘400, Firenze attraversa un momento di prosperità. In assenza di una politica culturale accentrata, la committenza delle opere è affidata, in modo particolare, alle grandi famiglie di banchieri e mercanti, quali gli Strozzi, i Brancacci ed i Medici. In questo clima positivo di esaltazione delle virtù civiche e di recupero delle radici antiche della città, nasce, nei primi anni del ‘400, ad opera di Brunelleschi (in architettura), Donatello (in scultura) e Masaccio (in pittura), la nuova corrente artistica detta Rinascimento. La storia di questo termine è recente e indica il rinnovamento, cioè la rinascita delle arti e in particolar modo della pittura, operato a partire da Giotto.
Per Rinascimento si intende l’imporsi di una nuova mentalità, di un nuovo modo di concepire l’uomo e il mondo: il mezzo per recuperare la cultura classica, intesa come massima espressione dei valori umani.

Brunelleschi: lo Spedale degli Innocenti
Nello Spedale degli Innocenti Filippo Brunelleschi progetta un edificio estremamente funzionale, dalla pianta semplicissima. Particolare importanza assume il porticato esterno, costruito secondo un sistema razionale, tanto che l’intercolumnio (distanza tra le colonne) è uguale all’altezza delle colonne fino al piano d’imposta dell’arco e alla profondità del porticato; ciò significa che all’interno di ogni arcata si ottiene come forma geometrica fondamentale un cubo. L’esterno si caratterizza per avere un rapporto matematico pari a nove: nove sono i gradini di accesso al porticato, nove sono le arcate e nove risultano essere le finestre rettangolari con timpano sovrastante. Quindi, alla base della progettazione degli edifici Brunelleschiani si trovano particolari unità di misura, come negli edifici antichi che utilizzano il modulo, cioè un sistema di regole che stabiliscono rapporti proporzionali e continui tra le diverse parti di una costruzione. Nella progettazione tutte le decorazioni superflue e non necessarie vengono eliminate, perché la bellezza deve derivare dalla semplicità e dall’armonia delle proporzioni. Gli elementi architettonici hanno un linguaggio che è derivato dal mondo classico, greco-romano: capitelli, colonne, paraste, e timpani. I materiali utilizzati sono materiali poveri, come la pietra serena grigia, di derivazione locale e l’intonaco. Il porticato viene utilizzato come un filtro tra l’orfanotrofio, spazio chiuso, e la città, spazio aperto. L’edificio assume, poi, particolare importanza in quanto si affaccia sulla piazza della Santissima Annunziata, delimitata su tre lati da profondi e lunghi porticati, che permarrà come uno degli esempi più riusciti di piazza rinascimentale. L’unica decorazione offerta sulla facciata riguarda l’apposizione di tondi in terracotta invetriata, all’interno dei quali si collocano bambini fasciati a simboleggiare la destinazione dell’edificio; tali elementi decorativi furono realizzati dallo scultore rinascimentale Andrea della Robbia.

Brunelleschi: la Cupola di Santa Maria del Fiore (Duomo di Firenze)
Nel 1418 Brunelleschi vinse il concorso per la realizzazione della cupola del Duomo di Firenze. Egli propose di costruire una cupola detta auto portante, cioè capace di sostenersi da sola durante la costruzione, senza richiedere il sostentamento delle armature di legno; in quanto l’area da coprire misurava circa quarantasei metri. La proposta progettuale, ingegnosissima, ebbe la meglio su altri concorrenti e nel 1420 ebbe inizio la sua realizzazione.
La cupola si alza sul tamburo (piano d’appoggio della cupola) ottagonale forato da otto grandi finestre circolari che danno luce all’interno dell’area presbiteriale. Dall’esterno emergono otto costoloni di colore bianco che convergono su di un piano ottagonale su cui si imposta una lanterna cuspidata (a punta) stretta da otto contrafforti a volute. La cupola è costituita da due distinte cupole, una interna e l’altra esterna, dette calotte. Le due calotte sono collegate dagli otto grandi costoloni ad angolo e da sedici costole intermedie. La forma archiacuta della cupola non è rinascimentale ma è di derivazione gotica.
La sua costruzione tenne impegnato il Brunelleschi per tutta la vita, portandolo alla progettazione anche dei macchinari per sollevare i pesi. Questa, come le altre architetture Brunelleschiane, si svolge sempre alla luce della ricerca della sperimentazione. Le forme architettoniche dell’artista sono semplici, essenziali e funzionali e sono realizzate attraverso l’utilizzo di materiali poveri.
Per la realizzazione della lanterna, nel 1432, Brunelleschi si sottopose ad un altro concorso; armoniosa creazione rinascimentale, si caratterizza come elemento formale (di forma conica) e statico (a conclusione della cupola stessa): riunisce infatti i costoloni, regge alle raffiche di vento, lascia penetrare il sole attraverso le sue lunghe finestre verticali.
Nel 1436 la cupola fu terminata e in quello stesso anno papa Eugenio IV consacrò la Cattedrale.

Donatello: il Banchetto di Erode
Donato di Niccolò di Betto Bardi è l’artista rinascimentale che esprime un grande amore per l’arte classica. La sua attività artistica si svolge prevalentemente a Firenze ed è stato il primo a riallacciarsi alla tradizione scultorea greco-romana, ed il primo che ha saputo superarla, infondendo ai suoi personaggi una grande umanità ed un notevole interesse per l’introspezione psicologica. Nel corso della sua intensa attività egli sperimenta tutte le possibili tecniche scultoree (tuttotondo, bassorilievo, stiacciato) e tutti i possibili materiali (marmo, bronzo, terracotta, legno).
Per il fonte battesimale del Battistero di Siena egli realizza una formella in bronzo raffigurante il Banchetto di Erode. In essa l’artista pone ogni cura sia nella realizzazione prospettica (in modo particolare nella pavimentazione a rombi, le cui linee di fuga convergono verso il centro: prospettiva centrale), sia nella composizione dei diversi personaggi.
La scena mostra in primo piano a sinistra un servo inginocchiato che offre la testa mozza di San Giovanni Battista. Il vecchio sovrano, che pur ne aveva comandato la decapitazione, è rappresentato da Donatello nell’atto di ritrarsi quasi disgustato dalla vista di ciò che ha davanti. Anche gli altri partecipanti al banchetto si allontanano agghiacciati dalla crudele esecuzione di quell’innocente e, in tal modo, viene a crearsi un vuoto al centro della composizione. Questo artificio, unitamente alla fuga prospettica del pavimento e della tavola imbandita, crea un senso di profondità e di realismo mai visti prima in un bassorilievo. Gli archi sullo sfondo, grazie all’uso graduale dello stiacciato contribuiscono a dare ulteriore rilievo alla scena sulla quale la luce disegna, in relazione alle varie tecniche di modellazione (altorilievo per il servo, bassorilievo per i convitati e stiacciato per le immagini collocate sullo sfondo), un gioco di luci e ombre.
Il racconto assume aspetto di drammatico realismo e l’allegro banchetto, sfociato in un efferato delitto, diventa un atto di accusa contro la superficialità umana.

Donatello: il David
Nel David in bronzo, commissionato dalla famiglia dei Medici nel 1440, il drammatico realismo del Banchetto di Erode lascia il posto ad una narrazione più serena. La statua, dopo oltre un millennio, rappresenta un nudo maschile; l’artista parte dalle conoscenze della statuaria classica, in particolar modo prende in considerazione il Doriforo di Policleto per la posizione del corpo ed il rapporto chiastico tra gli arti superiori e quelli inferiori: e quindi alla gamba portante corrisponde, diagonalmente, il braccio portante, mentre alla gamba flessa corrisponde il braccio in riposo. La ponderazione (equilibrio tra le diverse parti del corpo) e la proporzione rappresentano i termini di riferimento da cui prendere spunto per realizzare una scultura che non è l’imitazione esatta dei modelli ellenistici ma rappresenta una rielaborazione puntuale delle conoscenze del mondo classico. Donatello conferisce al suo personaggio un’espressione di naturale pensosità, in contrasto con l’innaturale posizione del corpo che, inclinando fortemente i fianchi, fa emergere, piuttosto che la virilità, un atteggiamento di efebica bellezza. La luce, ancora una volta, viene impiegata come strumento di modellazione delle masse e, scivolando dolcemente sul corpo adolescenziale, finisce per addensarsi ai suoi piedi (contrasto tra il copro liscio e vellutato, fortemente levigato nel bronzo, e la testa mozza di Golia), dove si creano ombre profonde e nette. Alcuni critici hanno stabilito che il David in realtà non rappresenti l’uomo biblico, ma una divinità: Mercurio. Questo dato può emergere dal fatto che il protagonista indossi alti stivali (calzari alati), associabili al messaggero degli dei. Altro elemento inusuale è lo strano copricapo inghirlandato che accentua e rafforza le caratteristiche femminili del personaggio ritratto. Pur nel desiderio di idealizzare la figura umana, Donatello non rinuncia a rappresentare con grande realismo le fattezze anatomiche del giovane.
Masaccio: il Tributo
Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai detto Masaccio, pittore fiorentino, si riallaccia alle grandi intuizioni di Giotto e concepisce, come lui, una pittura radicalmente nuova, arrivando, in pochi anni di attività artistica, a porsi, insieme a Brunelleschi e a Donatello, come il terzo, fondamentale, punto di riferimento della rivoluzione artistica rinascimentale. Masaccio si rifà anche a Giotto nel grandioso ciclo di affreschi della Cappella Brancacci, nella chiesa del Carmine di Firenze. Voluti dal mercante Felice Brancacci essi vengono eseguiti dal 1424 al 1427-28 in collaborazione con il suo maestro Masolino da Panicale. I due maestri concordano preventivamente la distribuzione delle varie scene, in modo che i loro diversi modi di dipingere possano amalgamarsi con un certo equilibrio e non contrastarsi. Il tema è quello della vita di San Pietro, al quale si aggiungono alcune scene della Genesi. Nell’episodio Tributo, il primo in alto della parete sinistra della cappella, Masaccio si rifà ad un racconto narrato nel vangelo secondo Matteo nel quale è descritto l’ingresso di Cristo e dei suoi dodici apostoli nella città di Cafarnao. Come di consuetudine, il gabelliere (esattore delle tasse o del dazio) pretende da loro un tributo per poter visitare il tempio all’interno della città; Gesù pur ironizzando sul fatto che proprio il figlio di Cristo debba pagare per accedere alle case del padre, non vuole trasgredire le leggi degli avi e a tal fine incarica Pietro di pescare un pesce nella cui bocca troverà miracolosamente una moneta d’argento (statere) per pagare la tassa dovuta.
L’artista concentra nello stesso dipinto tre momenti temporalmente diversi. Il primo, al centro, corrisponde a quando il gabelliere, rappresentato di spalle, esige il tributo da Gesù. Si tratta di una rappresentazione di grande intensità in quanto in essa Masaccio mette ben in evidenza l’incredulità e lo stupore nei volti degli apostoli che si guardano fra loro, incerti sul da farsi, poiché nessuno di essi possiede il denaro necessario. In questa scena vi è già il preannuncio di quella successiva posta in secondo piano sulla sinistra. Cristo comanda imperiosamente a Pietro di recarsi a pescare e questi indica a sua volta il lago di Tiberiade, quasi a chiedere conferma di un ordine che, in quel momento, gli sembra un po’ singolare (da notare il braccio destro di Gesù indicante il lago, rafforzato e amplificato dal braccio destro di Pietro). Sulla riva a sinistra è raffigurato Pietro, da solo, intento alla pesca prodigiosa. A destra, infine, nuovamente in primo piano, ricompare il momento in cui, con un gesto deciso, consegna il denaro all’esattore. Tutti i personaggi hanno un rilievo quasi scultoreo, Masaccio definisce con il chiaroscuro i loro possenti volumi e i realistici panneggi approfondendo e portando alle estreme conseguenze la lezione giottesca. Nonostante l’artificio di rappresentare contemporaneamente tre azioni successive, la prospettiva adottata dall’artista è sempre la stessa; essa unifica pertanto sia lo spazio sia il tempo in una visione chiara e unitaria della realtà. Il paesaggio appare brullo e desolato, con le montagne che, per accentuare il senso della prospettiva, sono disposte in una successione cromatica: verdi quelle più vicine e grigio-azzurrognole quelle in lontananza, con le vette imbiancate di neve. Anche le architetture sulla destra, fantasiosamente ispirate all’edilizia fiorentina del tempo, contribuiscono alla definizione spaziale della scena, creando un insieme di volumi puri e geometricamente ben definiti. Poiché le ombre proiettate per terra dai vari personaggi hanno tutte una stessa direzione, la fonte luminosa che Masaccio utilizza è evidentemente unica (il sole) e viene immaginata proveniente dal lato destro, in alto, fuori dai limiti dell’affresco.

Masaccio: la Trinità
Se nel ciclo della Cappella Brancacci Masaccio usa la prospettiva per individuare e porre in rapporto tra loro le masse dei personaggi, nella Trinità (1426-28, Firenze, Santa Maria Novella) la prospettiva è impiegata per misurare e rendere comprensibile lo spazio. L’affresco, collocato nella navata sinistra della chiesa, presenta una struttura narrativa prospetticamente divisa su diversi piani. Tale artificio crea un effetto di grande profondità spaziale, come se la cappella non fosse solamente dipinta ma quasi scavata nello spessore del muro.
In primo piano, in basso, notiamo un sarcofago con uno scheletro. La scritta esplicativa «io fui già quel che voi siete e quel ch’io son voi ancor sarete» allude simbolicamente alla transitorietà delle cose terrene indicando allo stesso tempo la via della preghiera e della fede che, secondo la dottrina cristiana è l’unica in grado di condurre alla vita eterna. In secondo piano vi sono le due figure in preghiera e inginocchiate dei committenti, dietro alle quali si apre la cappella dipinta. Al suo interno, anche se ancora in prossimità della soglia, vengono rappresentati, in terzo piano, in piedi accanto alla croce, la Vergine e San Giovanni. Cristo, robusto e tozzo nella corporatura, è simbolicamente sorretto, alle spalle, da Dio Padre che si colloca, in quarto piano, al vertice più alto della piramide compositiva. Tra il volto severo del Creatore e quello dolente di Cristo, Masaccio inserisce la colomba dello Spirito Santo, cogliendola naturalisticamente in atto di cadere al suolo, a formare insieme al Creatore ed a Gesù la Santa Trinità. Ciò che maggiormente colpisce in questo affresco è la monumentalità dei personaggi, i cui mantelli individuano volumi estremamente precisi, quasi si trattasse di sculture a tuttotondo più che di figure dipinte. All’interno della complessa struttura architettonica della cappella, il cui realismo prospettico ha fatto spesso pensare anche ad un possibile intervento diretto del Brunelleschi, le decise volumetrie dei personaggi contribuiscono a chiarire i rapporti spaziali. Esse scandiscono fisicamente i vari piani stabilendo nel contempo anche una gerarchia crescente dei valori: dalla distruzione (lo scheletro) all’intercessione (Maria e Giovanni) per mezzo della preghiera (i committenti) fino alla salvezza e alla definitiva sconfitta della morte (la Trinità). Con Masaccio, dunque, possiamo considerare definitivamente conclusa la tradizione pittorica del medioevo. Le intuizioni di Giotto vengono sviluppate e potenziate dando origine a personaggi davvero realistici, modellati dal chiaroscuro e resi credibili dalla perfetta aderenza delle loro espressioni alla situazione che stanno vivendo. Tutte le figure realizzate dall’artista in questione, come in altri dipinti, vengono inscritti entro paesaggi, città, architetture o elementi architettonici prospetticamente esatti. Ciò dimostra il raggiungimento di una totale padronanza delle tecniche scientifiche di rappresentazione della realtà.
L’uomo rinascimentale, liberatosi dai vincoli espressivi impostigli dalla tradizione, vede nella pittura di Masaccio la concretezza nuova e sconvolgente di chi non si accontenta più di riproporre forme e temi tramandati da secoli, ma cerca, nell’osservazione quotidiana e nello studio del vero, le ragioni più profonde della propria ispirazione.

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