Apollo Veio

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

L’Apollo di Veio

La celebre statua in terracotta ritrovata a Veio, vicino Roma, rappresentante il dio Apollo, costituisce il capolavoro di tutta l’arte etrusca a noi pervenuta. Fu realizzato da Vulca, l’unico artista di cui ci sia giunto il nome. La statua fu ritrovata nel 1916 e pur offrendo un’idea di derivazione da modelli greci, rappresenta un esempio di individualità dell’arte etrusca. L’immagine generale ha una linea elegante e al tempo stesso ricca di forza, da cui emerge il volto con tratti lineari molto geometrici eppure raffinati. L’Apollo faceva parte di un gruppo di altre statue che decoravano il rivestimento architettonico del Tempio del Portonaccio. Delle altre statue purtroppo sono stati ritrovati solo piccoli frammenti.
L’opera
La statua di Apollo da Veio, in terracotta policroma, è uno dei capolavori dell’arte etrusca, della fine del VI secolo a.C., celebre nel mondo.
Insieme ad altre statue, tutte a grandezza superiore o pari al vero, ornava la trave di colmo del tempio veiente in località Portonaccio, nel santuario dedicato a Minerva, uno dei più importanti d’Etruria. Alloggiate su alte basi a zoccolo, variamente dipinte, le statue in numero forse di dodici, molte delle quali giunte a noi solo frammentariamente, si ergevano in funzione di acroteri a circa dodici metri di altezza. Anche se realizzate isolatamente illustravano, in sequenza di due o tre, eventi mitici greci, almeno in parte collegati con il dio Apollo. La statua, di cui si è ora iniziato il restauro, formava con quella di Eracle (Ercole) un gruppo raffigurante il mito, piuttosto raro anche in Grecia, della contesa tra il dio e l’eroe per la cerva cerinite, dalle corna d’oro, sacra ad Artemide (sorella di Apollo).
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello, avanza verso sinistra con il braccio destro proteso e piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse impugnando con la mano l’arco); Eracle, con la cerva legata tra le gambe, è proteso verso destra, piegato in avanti per brandire la clava mostrando il torace in una curva violenta.
Collegata al gruppo doveva essere anche la statua di Hermes (Mercurio) di cui restano la splendida testa e forse parte del corpo: il dio, come messaggero di Zeus, interviene per sedare i contendenti.
Il gruppo è concepito per un’unica visione laterale, corrispondente al lato del tempio ove correva la strada di accesso al santuario. La salda volumetria delle figure unita alle sottili dissimetrie riscontrabili sia nell’Apollo (cassa toracica, volto) sia nel torso dell’Eracle indicano che il coroplasta aveva piena conoscenza delle deformazioni ottiche in scultura che dovevano essere visibili da grande distanza e con forti angolature. Si spiegano così la creazione di volumi grandiosi e l’insistenza nell’incidere in profondità e nel rilevare senza risparmio i dettagli, in modo da ricostruire corretta la necessaria unità visiva della composizione.
La formazione del maestro che plasmò le statue è certamente ionica. Di grande talento, è identificabile con il “Veiente esperto di coroplastica” cui Tarquinio il Superbo commissionò la quadriga acroteriale del tempio di Giove Capitolino. Si tratta certamente del massimo rappresentante della celebre bottega di cloroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C. per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.

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