Mass media e criminologia

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Testo

Mass-media e criminologia

La società moderna sta vivendo una transizione dall’era industriale a quella digitale. Tutto sta cambiando: il linguaggio, le forme di comunicazione, i rapporti interpersonali, le mentalità, i gusti, gli usi, i costumi.
L’era industriale assoggettava la società allo spettacolo, perché per l’economia il fine è niente, mentre lo sviluppo è tutto e lo spettacolo, in tale situazione, non vuole riuscire a nient’altro che a se stesso.
Nella società moderna basata sull’industria lo spettacolo si sottomette agli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi.
La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione d'ogni realizzazione umana un’evidente degradazione dell’ essere in avere.
La fase dell’occupazione totale della vita sociale, da parte dei risultati accumulati dell’economia, aveva poi condotto ad uno slittamento generalizzato dell’ avere nello apparire, da cui ogni “avere” effettivo doveva trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima. Nello stesso tempo, ogni realtà individuale diveniva sociale, direttamente dipendente dalla potenza sociale, modellata da questa. Se le era permesso d'apparire, era soltanto in ciò che essa non era.
Lo spettacolo si presenta come un’enorme positività indiscutibile e inaccessibile. Esso non dice niente di più di questo, che . (1)
L’era della digitalizzazione tende a trasformare questo sistema fondamentalmente in uno più spettacoloso ed esasperato, perché la simulazione delle immagini, che ci assalgono e c’invadono, tende ad appannare sempre di più la distinzione tra il virtuale, ciò che appare e non è, ed il reale, ciò che non appare ma è.
Nella società digitalizzata il mondo reale tende a produrre sempre di più delle semplici immagini e queste, a loro volta, tendono a divenire degli esseri reali. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all’opposto: la realtà sorge nello e dallo spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa alienazione reciproca è l’essenza e il sostegno della società esistente. Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso e il falso un momento del vero.
Nella società digitalizzata la realtà è scissa tra immagine e finzione. A differenza del passato, non conta più , ma solo e farlo in ciò che si crede di . L’apparire, per sua natura, non sa distinguere l’ e finisce col far prevalere l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere...
E’ in questo curioso panorama d’inizio del Terzo millennio, che si assiste a fenomeni spettacolosi. Crollati i muri ed i blocchi e, insieme con essi, i valori e le ideologie di una volta, il Paese s'arrampica sugli specchi, annaspa nel vuoto, s'aggrappa al futile, all’effimero ed ad ogni nonnulla. In questa terra di nessuno s'affollano e prosperano ormai ciarlatani d'ogni risma, sicuri di trovare il loro bravo pubblico, ansioso di riempire in qualche modo le proprie nicchie esistenziali desolatamente deserte: maghi, fattucchieri, cartomanti, chiromanti, santoni, guaritori, veggenti, esploratori del paranormale, geometri dell’inconscio, maestri di sette religiose e non, ecc., tutti, ovviamente, espertissimi e preparatissimi. E, come se non bastasse, ci sta piombando addosso anche una valanga di professionisti dell’ultima ora, messa in moto da uno dei fenomeni più dilaganti al giorno d’oggi: la curiosità insaziabile per la notizia, per lo “scoop”, per le comunicazioni di massa intese non come campo di studio, di ricerca e d'analisi, ma come licenza di sbalordire, di scandalizzare o, magari, di non dire niente di niente(4). Giornalisti rampanti, politici attori, attori politici, magistrati soubrette, pubblico ministeri fotomodelli, ecc., tutti, alla ricerca della notorietà e del successo attraverso la spettacolarizzazione del proprio agire professionale.
Accade, allora, che in ogni delitto o crimine, che suscita terrore ed angoscia nella massa degli spettatori solitari, i mass-media si precipitano sul caso come si trattasse del festival di Sanremo. Appostamenti di cronisti, reporter e paparazzi 24 ore su 24 davanti ai posti “chiave” dell’inchiesta. Si comincia dal capitano dei carabinieri di turno, che conduce le indagini, si passa subito al Pm ed al capo della Procura, poi al Gip senza nulla trascurare sull’indagato e via… la spettacolarizzazione della giustizia, sotto i riflettori del cinema della vita, ha inizio. La caccia morbosa alla ricerca della notizia è aperta; il teatro della giustizia-spettacolo ha inizio: ogni figura professionale, incluso l’imputato e la sua famiglia, da figura, appunto, diventa profilo, poi, se è fotogenico, diventa anche personaggio di se stesso. I mass-media coccolano, inseguono, alimentano il mito o lo distruggono con uguale cinismo. La regola è sempre quella antica: è notizia, se l'uomo morde il cane e non viceversa!

La figura dello spettatore della giustizia-spettacolo
La figura dello spettatore della giustizia-spettacolo è indeterminata. I mass-media che inseguono la notizia a tutti i costi con morbosità, da una parte; e lo spettatore accanito, che legge pagine intere di resoconti sui dettagli più stupidi del delitto e della scena ad esso legata, dall’altra, offrono un quadro tragico-comico, con due facce di una stessa medaglia.
Avremo allora: lo spettatore che si racconta in prima persona nell’atto di commentare i fatti legati al delitto (per affermare una sua “verità” colpevolista o innocentista); poi c’è lo spettatore intellettuale, quello informato e documentato, che non giudica e non guarda i fatti rappresentati con occhio frettoloso. La giustizia-spettacolo mescola queste diverse figure di spettatori offrendo loro una risposta ad ogni domanda.
Ciò nonostante la giustizia spettacolo è anche l’inatteso, il sogno, la sorpresa, il lirismo, che aiuta a “dimenticare” le fatiche quotidiane spingendo lo spettatore sulle barricate e nelle avventure.
Il pubblico della giustizia-spettacolo è fatto da un insieme di spettatori solitari.
Il pubblico della giustizia-spettacolo è un club di spioni recidivi e feticisti, cultori della regressione, inchiodati allo stadio dello specchio lacaniano, o ad una relazione oggettuale kleiniana (oggetto-buono, oggetto-cattivo); ma anche filosofi, dato che dormono mentre sanno di non dormire, che sognano mentre sanno di non sognare, che s’illudono mentre sanno di non illudersi, che allucinano quello che vedono in un atteggiamento che è paradossale (3).
Esattamente come davanti a un film, lo spettatore solitario della giustizia spettacolo osserva la rappresentazione della realtà senza rendersi conto che si tratta di una rappresentazione; egli chiama a compimento quella contraddizione, scoperta dalla psicoanalisi, fra il credere e il non credere, che è alla base del conflitto fra il principio di piacere e quello di realtà. Quell’atteggiamento contraddittorio definito da Freud come degenerazione o negazione che afferma: lo spettatore solitario sa bene che niente di quello che sta vedendo accade, eppure si commuove, s’inquieta, spera, sogna ad occhi aperti o s’indigna, protesta, sciopera.
Nello spettatore solitario che si mescola nella massa di adepti che seguono il loro leader carismatico si produce uno stato semipnotico, d’allucinazione paradossale: allucinazione poiché lo spettatore solitario (anche se in mezzo alla massa) tende a confondere due distinti livelli di realtà, che di norma la percezione ha ben chiari, ma anche paradossale, perché manca di quel carattere totalmente endogeno caratteristico di ogni allucinazione propriamente detta. Questo comportamento paradossale, studiato da Freud, è stato definito il “sogno ad occhi aperti”: l’individuo sa bene di non essere addormentato, ma si comporta come se lo fosse e segue la massa guidata dal leader.

La personalizzazione della giustizia-spettacolo
Personalizzazione della giustizia-spettacolo significa, che singole personalità passando da profili a figure, diventano i soggetti del processo giudiziario, in ogni suo momento: da quello iniziale delle indagini a quello della gestione effettiva delle prove.
Le singole personalità sono, in questo contesto, contrapposte per un lato, a soggetti collettivi come i partiti o le altre istituzioni, per l'altro a ogni configurazione collegiale dell'autorità. Ad incrementare il processo di personalizzazione della politica contribuiscono fattori quali:
a) la possibilità del sistema elettorale di eleggere direttamente ogni leader (compreso i giudici, suggerisce qualcuno)
b) la trasformazione delle Costituzioni in Repubbliche democratiche con sistemi elettorali diretti;
c) la sfiducia dei cittadini verso i partiti tradizionali, verso le Istituzioni e verso la politica.
Tutto ciò contribuisce a far sì, che il cittadino cerchi di scegliere direttamente chi vuole lui: dall’amministratore del condominio al medico di famiglia, dal sarto al giudice, dal tribunale al politico locale, dal governante al capo dello stato… il che comporta idealmente, che potere e responsabilità si accentrino in una sola persona.
La giustizia-spettacolo dei professionisti spinge sempre di più verso un atteggiamento anarcoide dell’uomo solitario ed insofferente verso l’altro; essa, aumenta il mito dell’egoismo sfrenato e dell’individualismo, con la conseguenza che si ricomincia a dare la caccia alle streghe.
Una società basata sull’individualismo anarcoide, in cui manca una coesione sociale e in cui è impossibile una gestione comune, non rappresenta che l’anticamera della normalizzazione totalitaria e del controllo: dall’individualismo totale si passa a quello che Jurgen, uno dei teorici del nazismo, definiva come la dittatura totale: (4).

I fattori criminogeni dei mas-media
Chiunque abbia esperienza nella pubblicazione di un proprio articolo su un giornale, può confermare come quello stesso articolo tra “prima” che venga pubblicato e “dopo”, acquista un certo “plusvalore”, una sorta di “magica” differenza: prima, nessuno, oltre all’autore, lo ha letto; dopo la pubblicazione, quello scritto “appartiene” ai lettori. Il pubblico o la massa di lettori si rapporterà ad esso consumando il primo effetto sociale: ogni lettore può attingere al contenuto (ed alla forma) di quell’articolo per togliere o aggiungere qualcosa di suo, per poi passarlo ad altri. E’ questo effetto di “passaparola-immagine”, che rende “magico” sul nascere il mezzo di comunicazione di massa; questo è un primo effetto mediatico, che possiamo meglio definire come “effetto moltiplicatore della notizia”, intendo per notizia: sia le parole scritte e le immagini sia il modo ed il come sono pubblicate e diffuse in una lunghezza di 8 righe di 50 battute. Questo effetto “moltiplicatore” dei mass-media è criminogeno, perché crea un’assuefazione alla notizia: la morbosità per chi scrive di seguitare a farlo andando a caccia dello scoop; la morbosità di chi legge di esorcizzare la paura inconscia, che quanto legge di criminale o criminoso non possa mai riguardargli in prima persona.
Un secondo effetto criminogeno dei mass-media è confermato dall’esperienza empirica: i mass-media non riescono a convincere il pubblico al pari dell’influenza personale. L’opinione nazionale diffusa dai mass-media, pertanto, arriva agli “opinion leader” (ossia, ai “capi dell’opinione”, a coloro che “contano”) i quali provvedono, poi, con il solo mezzo verbale della comunicazione a trasmetterla al resto della popolazione o ai personaggi più rappresentativi di essa. Schematicamente, la genesi dell’opinione nazionale è la seguente: opinione nazionale (A) -> mass-media (B) -> personaggi “chiave” (C) -> popolazione (D); ma non viceversa.
L’aspetto criminogeno di questo secondo effetto mediatico (ma ne potremmo individuare tanti altri) consiste nel fatto, che esso crea l’illusione che i mass- media non influiscano le nostre idee e scelte, mentre, in realtà, le cose stanno diversamente. Il condizionamento psicologico dei mass-media verso lo spettatore-massa e verso il pubblico, non è diretto ed immediato, ma indiretto e mediato, attraverso i “capi d‘opinione”, ossia, quelle persone che riteniamo che “contino” più di noi stessi e verso i quali nutriamo considerevole stima. L’aspetto criminogeno è che la persuasione sfugge alla nostra mente e pur alzando la soglia critica del ragionamento nel percepire i messaggi diretti dai mass-media, siamo inconsapevolmente indifesi verso quelle persone che “contano”, che anche senza volerlo finiscono col farci cambiare opinione o per farci formare un’opinione che poi difficilmente cambieremo.

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