Devianza e azione collettiva

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Testo

LA DEVIANZA

MIGRAZIONI
Nella nostra società una figura speso identificata come deviante è quella del migrante, spesso definito extra-comunitario o come clandestino: viene cioè identificato con una connotazione giuridica, peraltro da provare, secondo cui il suo comportamento sarebbe deviante ancor prima di mettere piede su di un determinato territorio. Eppure i movimenti migratori sono stati e sono tuttora fattori fondamentali dell’evoluzione delle civiltà: è grazie alle migrazioni che si sono popolate intere regioni e soprattutto che sono cresciute le città e in seguito le metropoli, e ancora l’incontro tra culture differenti ha favorito lo sviluppo delle idee e il cambiamento (nel bene e nel male) dei comportamenti quotidiani.
La motivazione per cui si decide di lasciare il proprio paese è prevalentemente economica, le persone cercano in un sistema economico globalizzato l’emancipazione economica, sociale ma anche politica e religiosa. Non si può non sottolineare la contraddizione seguente alla necessità della migrazione dai Paesi meno sviluppati: a fronte di una richiesta da parte dei pesi ricchi di lavoratori sempre più specializzati, i Paesi meno sviluppati scontano una fuga di cervelli che li impoverisce ancora di più, mentre continua ad esistere il paradosso della coesistenza di fatto della guerra ai clandestini e il crescente bisogno di manodopera clandestina, la cui produzione è indispensabile all’economia.
L’ Italia si è trasformata da paese di immigrati a paesi di immigrazione. Per quanto oggi l’immigrato venga identificato con l’extra-comunitario, ossia proveniente da un paese in via di sviluppo , molti di essi provengono dai paesi stessi dell’Unione Europea o da paesi sviluppati come Stati Uniti o Giappone.
La nuova immigrazione è costituita da persone con un più basso livello istruzione impiegata preferibilmente come manodopera stagionale, lavoro nero.
Le legislazione che impediscono le migrazioni generano i rischi della migrazione clandestina: il rischio di morte durante il tragitto e quello derivante dall’essere al servizio di trafficanti a volte improvvisati, altre volte criminali, i rischi connessi alla repressione delle polizie dei paesi d’origine e dei paesi d’arrivo, i rischi dovuti a condizioni di nuova schiavitù, i rischi dell’espulsione.
Di fronte a ciò, la scelta di migrare viene presa quindi solo da una ristretta minoranza di persone, particolarmente spinte dalla necessità e dal desiderio di fuga rispetto alla situazione in cui vivono.
Il sociologo Pallidda ha dimostrato come il cittadino sia ‹‹molto sensibile all’idea che l’extra-comunitario possa fare qualcosa di illecito››. Negare le più elementari forme di socialità degli stranieri non può che condurre a situazioni anomiche o conflittuali, a volte come reazione alla delusione rispetto alle aspirazioni e ai miti che la società di destinazione induce a seguire.

RAZZISMO
Al problema dell’immigrazione è strettamente connesso quello del razzismo, che è comunque fenomeno storico. Se la migrazione viene considerata devianza non meno deviante è l’atteggiamento razzista che, dalla violenza cui spesso si associa, può anche sfociare nel peggiore dei crimini contro l’umanità. Il razzismo si presenta infatti sia sotto forma di atteggiamento più o meno spontaneo di reazione alla diversità etnica, come prodotto di una tradizione millenaria di sentimento di superiorità nei confronti di qualsiasi altro popolo, sia come teorizzazione pseudo-scientifica.
Sono state teorizzate differenti forme di razzismo, o meglio fasi del pregiudizio, ovvero giudicare a priori come diversi e quindi inferiori, alla discriminazione, quando si esprime apertamente il proprio pregiudizio, non solo da parte dei singoli individui, ma anche da parte delle istituzioni ; fino al vero e proprio razzismo, che consiste nel considerare inferiori delle persone in base delle loro caratteristiche etniche o culturali e in molti casi anche nel perseguitarli. Il razzismo si è manifestato in forme differenti, a partire dall’Apartheid, ovvero l’istituzionalizzazione della segregazione razziale, una discriminazione sociale consistente nella separazione dei cittadini bianchi e neri e nella negazione di uguali diritti.

L’AZIONE COLLETTIVA

IL COMPORTAMENTO COLLETTIVO
L’ uomo vive nella società, di cui fa parte anche quando decide di vivere isolato, e agisce sia in modo autonomo che in maniera collettiva, ossia insieme agli altri individui. Alcuni sociologi, come Durkheim, hanno teorizzato la totale dipendenza del singolo individuo dalla società stessa, mentre altri hanno sviluppato opinioni differenti, “concedendo” all’individuo una maggiore o minore autonomia.
In ogni caso è innegabile l’influenza dell’intera società e della sua cultura o anche solo di alcune sue componenti, come le istituzioni sociali, le agenzie di socializzazione.
Bisogna esaminare le varie modalità di partecipazione degli individui ai vari gruppi e di vedere come cambia il suo comportamento a seconda delle modalità di azioni dei gruppi stessi. Questi gruppi possono richiedere l’adesione o meno alle norme esistenti.
In molti casi, tuttavia, la riprovazione sociale, o il suo timore, possono essere più forti della stessa norma obbligatoria. Ci sono poi comportamenti collettivi all’interno di situazioni di massa in cui l’agire dell’individuo o del gruppo tendono a sfuggire sia alla logica normativa che alla razionalità. Norme, come codificazione dei valori di una società, ma queste norme non entrano necessariamente a far parte della legislazione vigente in quella società e molte norme di comportamento tendono ad essere tramandate non solo oralmente, ma anche in modo non formale.
In una società in continuo mutamento anche i valori cambiano molto rapidamente, molto più rapidamente delle norme.

LE ISTITUZIONI
Sono numerosi gli ambiti in cui si svolge la nostra vita sociale, in cui ci troviamo ad agire in maniera collettiva. Il termine istituzione rimanda nella logica corrente a quello di una struttura organizzata al fine di perseguire finalità socialmente rilevanti anche se in realtà il concetto non prevede necessariamente la forma organizzativa: un’istituzione è costituita dall’insieme di regole, norme e valori propri di un gruppo sociale e che ne disciplinano i comportamenti. Esso rimanda sempre alla necessità di disciplinare la condotta degli individui rispetto a problemi fondamentali della vita sociale.
All’interno dell’ambito delle istituzioni il comportamento del singolo può essere o meno adeguato alle norme esistenti, ma si presuppone nella maggior parte dei casi una sua consapevolezza, sia nell’adeguarsi che nel violare la norma. La scarsa conoscenza delle norme stesse e comportamenti abituali in violazione di esse da parte dell’intero gruppo presentano il primo ordine di problemi.

LE ORGANIZZAZIONI E I MOVIMENTI SOCIALI
Le organizzazioni sono strutture tipiche della società moderna e sono finalizzate all’ottenimento di qualche obiettivo: le classiche organizzazioni sono quelle militari e quelle economiche. Sono strutture formali e regolamentate, l’appartenenza alle quali non è esclusiva e non pregiudica l’appartenenza ad altre.
Il significato delle organizzazioni viene collocato dai funzionalisti nell’essere strumenti che permettono di realizzare obiettivi impossibili da raggiungere individualmente; per i teorici del conflitto si tratta di strumenti per mantenere le differenze sociali.
Per movimenti sociali, si intendono invece gruppi organizzati al di fuori delle tradizionali strutture politiche o sindacali, che hanno come scopo cambiamenti nella vita sociale di un paese o anche a livello globale. In alcuni casi si tratta di movimenti di massa, in altri casi di gruppi più limitati: anche la loro azione può avere caratteristiche differenti come diversi possono essere gli strumenti, da una manifestazione di piazza a una, allo sciopero dei consumi. Operano ai margini della sfera istituzionale, pur essendo perfettamente legittime, cercando di esercitare pressioni su chi opera all’interno delle istituzioni e sostanzialmente cercando di avere un rapporto più diretto con le persone rispetto a quanto non avvenga per i partiti politici: i movimenti operano al di fuori dei consueti canoni della lotta politica. L’adesione a un movimento presuppone quindi una relativa consapevolezza dei fini da raggiungere, anche se indirettamente.
Diverso è il caso delle cosiddette istituzioni totali, come carceri , ospedali, manicomi, che condizionano completamente l’esperienza dell’individuo che si trova a farne parte.

IL COMPORTAMENTO COLLETTIVO E LE MASSE
Il problema del comportamento individuale all’interno delle strutture sociali, istituzioni e organizzazioni ripropone il problema delle norme. Sia nel caso delle leggi che delle norme di comportamento nella maggior parte dei casi esse sono apprese in maniera indiretta, dal comportamento degli altri, per un’imitazione che spesso significa appartenenza, desiderio di non essere esclusi.
Si parla di comportamenti collettivi quando gruppi consistenti di persone, che si distinguono solitamente in folla e massa, si muovono e comportano come un’unica entità. Non è sempre semplice definire i comportamenti collettivi, perché possono riguardare non solo gruppi di persone che agiscono fisicamente insieme, ma anche comportamenti che possono essere esercitati individualmente. La partecipazione può essere inoltre cosciente o inconsapevole. Allo stesso modo è incerto il confine tra folla (gran numero di persone, massa confusa di persone) e massa (grande quantità indistinta di persone accomunate dal ruolo sociale e per estensione folla, moltitudine). In entrambi i casi non esiste la possibilità di interazione con gli altri o è molto difficile.
In sostanza un individuo che si trova ad agire collettivamente si comporta in maniera differente da come farebbe se agisse da solo, in parte perché, partecipando al clima particolare che si è stabilito, rinuncia ai suoi abituali comportamenti e in parte per l’impossibilità di agire razionalmente.
Molto più importanti sono i comportamenti collettivi convenzionali.
Nel 1895, nel saggio Psicologia delle folle, Gustave Le Bon ha per la prima volta affrontato il problema del comportamento delle masse. La regressione del singolo all’interno della massa è stata analizzata da Le Bon proprio in relazione alle tecniche di influenza sulle masse e i suoi studi furono apprezzati e utilizzati da Hitler e Mussolini: in questo caso le masse non sono mosse dall’irrazionale ma semplicemente; come ha evidenziato Freud, ogni singolo individuo rinuncia “al proprio ideale dell’Io” e lo sostituisce “con l’ideale collettivo incarnato dal Capo”.
Secondo Nietzsche il comportamento delle masse è legato alle tematiche del potere.

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