Stelle e galassie

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Testo

STELLE
Le stelle sono corpi celesti simili al Sole, ossia sono masse gassose che emettono luce e calore in ogni direzione. La loro grande distanza dalla Terra ce le fa apparire come puntini luminosi; sempre per lo stesso motivo i movimenti reali delle stelle (non quelli apparenti dovuti ai moti terrestri) sono molto difficili da osservare, tanto che nell’antichità si parlava di stelle fisse. Una delle prime stelle di cui si scoprì il moto, nell’Ottocento, fu la stella di Barnard.
Sin dall’antichità le stelle sono state raggruppate in gruppi, detti costellazioni. Nonostante le costellazioni non abbiano alcun significato fisico, in quanto sono dovute alla proiezione sulla stessa sfera celeste ideale di corpi posti anche a grandissima distanza l’uno dall’altro, esse sono ancora utilizzate per riferirsi comodamente alle stelle più famose e più luminose. Le costellazioni classiche erano 48 (12 dello Zodiaco, 21 nel cielo boreale, 15 nel cielo australe); oggi si annoverano circa 80 costellazioni. Quando ci si riferisce ad una stella, si associa ad essa una lettera greca in relazioni all’ordine di magnitudine apparente e il genitivo del nome latino della costellazione: ad esempio α Orionis è la stella più luminosa della costellazione di Orione.
Un modo più moderno ed efficiente per indicare una stella consiste nel fornire le coordinate celesti, o nell’utilizzare un catalogo stellare. Fra i cataloghi stellari più famosi citiamo il catalogo HD, così chiamato da Henry Draper, e il catalogo M, da Messier, astronomo dilettante che classificò 107 oggetti particolari, nebulosi (ad esempio, M31 è la galassia di Andromeda).
DISTANZE STELLARI
Per misurare le distanze stellari sia il metro sia il chilometro risultano scomodi; si utilizzano pertanto le seguenti unità di misura, nonostante ufficialmente esse non facciano parte del S.I.
UNITÀ ASTRONOMICA (U.A.)
Si definisce unità astronomica la distanza media fra Terra e Sole, pari a circa 149.600.000 km. Questa unità è usata soprattutto nell’ambito del sistema solare.
ANNO-LUCE (a.l.)
Si definisce anno-luce la distanza percorsa in un anno dalla luce, che si muove a circa 300.000 km/s. Un anno-luce è pari a circa 9463 miliardi di km, corrispondenti a circa 63.000 U.A.
PARSEC (pc)
Si definisce parsec la distanza alla quale un osservatore vedrebbe il semiasse dell’orbita terrestre, perpendicolarmente, sotto un angolo di 1'' di grado. Un parsec corrisponde a 3,26 a.l. e a 206.265 U.A.
Il parsec deriva da un metodo di determinazione della distanza delle stelle, il metodo della parallasse. La parallasse è lo spostamento apparente di una stella sulla volta celeste (in pratica: sullo sfondo di stelle lontanissime) quando la stella viene vista da punti di vista differenti. Per avere effetti di parallasse il più facilmente misurabili conviene utilizzare la massima distanza possibile fra i due punti di osservazione, che nel caso della Terra è rappresentata dall’asse dell’orbita terrestre: per misurare la parallasse si fanno quindi due osservazioni di una stessa stella a 6 mesi di distanza e si misura l’angolo di parallasse, ossia l’angolo di spostamento apparente. Tale angolo diventa troppo piccolo per essere misurato quando la distanza della stella supera i 100-150 pc: per distanze superiori occorre utilizzare altri metodi.
La stella più vicina alla Terra, Proxima Centuari, dista 4,5 a.l., cioè più di 1 pc, tanto che la sua paralasse è meno di 1'' (esattamente è 0,8'').
CARATTERISTICHE DELLE STELLE
MASSA, DIAMETRO, DENSITÀ
I calcoli effettuati a partire dalle leggi della meccanica e della gravitazione ci forniscono per la maggior parte delle stelle masse comprese fra 1/50 e 50 volte la massa del Sole. Un esempio di come sia possibile calcolare la massa delle stelle ci viene dal caso delle stelle doppie, ossia di stelle gravitanti attorno al comune baricentro del loro sistema. Scoperte alla fine del Settecento da Goodricke (che osservò la stella doppia Algol), le stelle doppie possono sia essere visibili distintamente da Terra (binarie visibili), sia essere riconoscibili per la variazione di luminosità complessiva che si ha quando una eclissa l’altra (variabili a eclissi). A partire dall’orbita di un sistema di stelle doppie si può determinare la loro massa, mentre sulla base del periodo di occultamento si ricava il loro diametro.
I diametri stellari variano da qualche decina di km a diametri fino a 1200 volte quello del Sole (come nel caso di VV Cephei, tanto grande che, posta idealmente al centro del sistema solare, arriverebbe fino all’orbita di Giove).
Questa estrema variabilità di diametri (e quindi volumi) rapportata alla scarsa variabilità delle masse ci dà una estrema variabilità di densità: in effetti, la densità stellare va da quella di un plasma abbastanza rarefatto a quella mostruosa delle stelle di neutroni.
MAGNITUDINE
Con magnitudine si intende la luminosità di una stella. Una classificazione delle stelle basata sulla loro luminosità era già stata elaborata nell’antichità, da Ipparco e poi da Tolomeo nel suo Almagesto. Questi astronomi avevano suddiviso le stelle visibili in sei classi, dalla classe 1 (stelle più luminose) alla classe 6 (stelle appena visibili).
Oggi la magnitudine è misurata oggettivamente per mezzo di fotometri fotoelettrici (simili a esposimetri fotografici). Eseguendo diverse misurazioni si è visto come fra un ordine e l’altro degli ordini di grandezza antichi la luminosità aumentava di circa 2,5 volte: ciò significa che la scala di magnitudine è logaritmica, e può anche assumere valori negativi. È quanto accade per gli oggetti molto luminosi, che hanno magnitudine 0 o magnitudine negativa (ad. esempio Luna piena u12,7; Sole 126,8; Sirio 21,47; Venere 14,6). Al contrario, alti valori di magnitudine indicano una scarsa luminosità: gli oggetti più tenui visibili ad occhio nudo hanno magnitudine 6,5, mentre gli oggetti più tenui visibili con i telescopi più moderni arrivano a 30 di magnitudine.
La magnitudine che osserviamo dalla Terra è detta magnitudine apparente, e si indica con m; essa dipende non solo dalla luminosità intrinseca della stella, ma anche dalla sua distanza da noi. Per eliminare la dipendenza dalla distanza si definisce la magnitudine assoluta M, definita come la luminosità che le stelle avrebbero che fossero portate alla distanza standard di 10 pc. La relazione fra magnitudine assoluta, magnitudine relativa e distanza (misurata in pc) è
Nota la magnitudine assoluta e quella relativa, è possibile ricavare la distanza della stella. Mentre la magnitudine relativa può semplicemente essere misurata, per la magnitudine assoluta occorre utilizzare degli “stratagemmi”. Ad esempio, si è osservato (sulla base delle stelle di cui è nota la distanza) che le stelle di una stessa classe spettrale tendono ad avere la stessa luminosità; nota la classe si ricava M. Un altro metodo si basa su un tipo speciale di stelle variabili, le cefeidi (così chiamate dalle prime cefeidi osservate, nella costellazione di Cefeo): osservando le cefeidi a distanze note si è scoperta una relazione fra periodo di variazione di luminosità e magnitudine assoluta, così quest’ultima può essere ricavata.

SPETTRI STELLARI
La radiazione elettromagnetica che proviene da una stella può fornirci molte informazioni su di essa. L’ipotesi fisica di riferimento è quella secondo cui una stella è assimilabile al modello del corpo nero, ossia di un corpo in grado di assorbire qualsiasi lunghezza d’onda e quindi in grado, per mantenere il suo equilibrio energetico, di riemettere qualsiasi lunghezza d’onda.
Gli studi sul corpo nero mostrano che il flusso di energia luminosa (energia per unità di tempo per unità di superficie) emesso complessivamente dal corpo nero dipenda solo dalla temperatura secondo la legge di Stefan-Bolzmann
dove è la costante di Stefan. Questo flusso luminoso complessivo non si ripartisce allo stesso modo in tutte le lunghezze d’onda, ma esiste una lunghezza l’onda che contribuisce più delle altre al flusso luminoso. Tale lunghezza d’onda massima è legata alla temperatura dalla legge di Wien
dove k è un’opportuna costante. Dalla legge di Wien deduciamo che ad ogni temperatura corrisponde una lunghezza d’onda di massima emissione luminosa, e che tale lunghezza d’onda diminuisce all’aumentare della temperatura. Quindi le stelle che ci appaiono rosse (come Beltegeuse) sono le più fredde, poi vengono le stelle gialle (come il Sole), poi quelle blu, azzurre, bianche (come Rigel), che sono le più calde.
Assimilando la forma di una stella ad una sfera di raggio R, la sua superficie è data da e quindi la sua luminosità assoluta (energia per unità di tempo) è data da . Combinando questa legge con la legge di Stefan-Bolzmann abbiamo
equazione di fondamentale importanza in astrofisica, in quanto lega fra loro le principali grandezze di una stella, permettendone la misurazione indiretta nel caso che si conoscano le altre due. Si tenga presente che la legge di Wien permette di ottenere T partendo dall’analisi della lunghezza d’onda emessa. Se si conosce anche L è possibile ottenere il raggio della stella.
SPETTRI
Gli spettri della luce stellare sono spettri di assorbimento, ossia sono spettri continui intervallati da righe o bande scure. Per spiegarlo, si suppone che la luce sia emessa dalla parte più interna della stella, che è costituita di plasma e ha uno spettro continuo (come anche i solidi e i liquidi). Invece, l’atmosfera stellare è formata da gas rarefatti che assorbono selettivamente la luce proveniente dall’interno della stella, cosicché noi dalla Terra osserviamo uno spettro di emissione.
L’analisi degli spettri permette di determinare la composizione chimica dell’atmosfera solare e la temperatura superficiale della stella, ma permette anche di stabilire, sulla base di un eventuale effetto Doppler, se e con che velocità la stella si sta allontanando da noi.
CLASSI SPETTRALI
Sulla base degli spettri, fu compilata ad Harvard, verso la fine dell’Ottocento, una classificazione dei più comuni spettri stellari, organizzati in classi spettrali aventi caratteristiche simili. Ad ogni spettro corrisponde una temperatura superficiale della stella. Dalle temperature più alte a quelle più basse troviamo le classi O, B, A, F, G, K, M (per ricordarle si può usare la frase Oh, Be A Fine Girl, Kiss Me). Ad ogni temperatura corrispondono determinate energie, che determinano a loro volta le emissioni: occorre infatti ricordare che gli atomi emettono e assorbono selettivamente l’energia, soltanto quando essa corrisponde a un salto quantico definito.
Le stelle della classe M sono le più fredde (2200-3500 K) e presentano righe di metalli neutri e bande (cioè righe ravvicinate) del TiO: ciò significa che l’energia è troppo bassa per ionizzare i metalli. Un esempio di stella di classe M è Beltegeuse.
Nelle stelle di classe K (3500-5000 K) troviamo ancora le righe dei metalli neutri e dei composti molecolari e compaiono, deboli, le righe dell’idrogeno.
Nella classe G (3500-5000 K), cui appartiene il Sole, si fanno più intense le righe dell’idrogeno e appaiono righe intense del calcio ionizzato, segno che ora l’energia è sufficiente non solo ad eccitare gli atomi di calcio, ma anche a strappare loro elettroni.
Le stelle di classe F (6000-7500 K) presentano ancora calcio ionizzato, idrogeno, metalli sia neutri sia ionizzati.
Con la classe A (7500-11000 K) appaiono silicio e magnesio ionizzati, indice di energia elevata, e il calcio è ionizzato due volte. Tuttavia l’energia è ancora troppo bassa per eccitare o ionizzare l’elio. Alla classe A appartengono Sirio e Vega.
Nella classe B (11000-25000 K), di cui è esponente Rigel, troviamo le righe dell’elio neutro (quindi non ancora ionizzato), assieme a ossigeno e silicio ionizzati.
Infine della classe O (oltre 25000 K) appaiono le righe dell’elio ionizzato, assieme a quelle dell’azoto e del silicio.
Ciascuna classe di quelle viste sopra si suddivide a sua volta in sottoclassi: ad esempio, il Sole appartiene alla sottoclasse G2.

DIAGRAMMA HERZTSPRUNG-RUSSEL
La prima fonte di informazioni sui processi energetici e sull’evoluzione stellare ci vengono dalle stelle che possiamo osservare attualmente nell’universo: esse sono a diversi stadi di sviluppo, ma considerandole contemporaneamente è possibile cogliere le linee evolutive di una stella qualunque.
A tale scopo occorre ordinare i dati in nostro possesso: ciò è quanto avviene del diagramma Hertzsprung-Russel (H-R), in cui in ascissa si trovano le temperature superficiali stellari (o alternativamente le classi spettrali) e in ordinata si trovano le luminosità assolute (riferite a quella del Sole, posta per convenzione pari a uno).
L’esame di un gran numero di stelle permette di osservare come la maggior parte di esse si collochi in una zona particolare del diagramma, detta fascia principale, che va dalle basse temperature e luminosità alle alte temperature e luminosità; le stelle che non cadono sulla sequenza principale non si distribuiscono a caso, ma occupano altri gruppi importanti, quello delle giganti rosse e quello delle nane bianche. Il gruppo delle giganti rosse presenta bassa temperatura ma alta luminosità: ciò significa che devono avere una grande superficie, ed ecco perché sono dette giganti. Al contrario, le nane bianche sono calde ma poco luminose, il che significa che devono essere piccole.
L’importanza del diagramma H-R diventa evidente se si considera non più tutta la popolazione stellare nel suo complesso ma particolari tipi di popolazioni stellari. Ad esempio negli ammassi globulari, costituititi da centinaia di migliaia di stelle e posti attorno al nucleo di una galassia, è assente la parte di sequenza principale corrispondente alle stelle più calde, mentre risulta accentuato il gruppo delle giganti rosse. Negli ammassi galattici, invece, costituiti da qualche decina di stelle (un esempio ne sono le Pleiadi), si trova solo la sequenza principale del diagramma.
Le differenze sopra viste si spiegano supponendo che gli ammassi globulari e galattici contengano stelle di un’età particolare, mentre se si considera tutta la popolazione stellare dell’universo si ottengono risultati medi che compendiano tutte le età di una stella.
Ecco quindi come dal diagramma H-R si possano trarre informazioni sull’evoluzione stellare.
EVOLUZIONE STELLARE
Le stelle si originano a partire dalle nebulose, ammassi di idrogeno (90%), elio, polveri, tracce di idrocarburi, estremamente rarefatti ma comunque più densi dello spazio interstellare: se la densità delle nebulose è di 1000 atomi/m3, quella dello spazio interstellare è di 1 atomo/m3 (per confronto si tenga presente che il “vuoto” raggiungibile sulla Terra ha una densità di circa 1 milione di atomi/cm3)
Pur essendo rarefatte, le nebulose sono straordinariamente estese (diversi anni-luce) cosicché la loro massa complessiva è notevole. Esistono sia nebulose oscure, che cioè assorbono la luce stellare, sia nebulose riflettenti, che riflettono parte della luce di stelle visibili (è quanto accade alla nebulosa che circonda le Pleiadi, stelle di recente formazione). Esistono anche nebulose ad emissione, che emettono luce in virtù dei salti quantici dei gas che li compongono, sollecitati dalla radiazione cosmica.
All’interno delle nebulose i corpi in cui si formano le stelle sono probabilmente i globuli di Bok, addensamenti di gas e polveri, scuri rispetto al resto della nebulosa. Quando una causa esterna (ad es. l’onda d’urto di una supernova) provoca una rottura dell’equilibrio del globulo, inizia un processo di collasso gravitazionale che porta ad una progressiva contrazione del globulo. L’attrito legato a questo movimento fa aumentare la temperatura del globulo, che è ormai una protostella. Se la massa iniziale è troppo bassa (1/100 di quella del Sole) la protostella non riesce ad attivare reazioni termonucleari, e diviene una nana bruna, che non emette luce.
Se invece la massa è sufficiente, si innescano reazioni nucleari che iniziano a controbilanciare il collasso gravitazionale della stella, fino a quando non si ottiene una condizione di equilibrio, corrispondente all’ingresso della stella nella sequenza principale del diagramma H-R.
Le stelle più fredde (e quindi rosse) arrivano lentamente a questo equilibrio, ma vi rimangono per lungo tempo, consumando lentamente il loro combustibile nucleare (idrogeno), in circa 25 miliardi di anni; le stelle gialle, più calde, impiegano invece 10 miliardi di anni; quelle azzurre, ancora più calde, soltanto milioni di anni.
Quando l’idrogeno si esaurisce le reazioni termonucleari non riescono più a controbilanciare il collasso gravitazionale; intanto l’elio, prodotto di scarto della fusione dell’idrogeno, si è accumulato nel nucleo della stella. Gli strati esterni della stella, in cui sono ancora in atto residue reazioni nucleari alimentate da idrogeno, si espandono e si diradano, mentre il nucleo collassa sotto l’azione della gravità fino a raggiungere le temperature necessarie (100 milioni di K) alla fusione dell’elio in carbonio. Il risultato è la formazione di una stella molto grande ma la cui superficie è più fredda di quella della stella di partenza: si tratta di una gigante rossa, nel diagramma H-R. In alcuni casi l’espansione degli strati superficiali prosegue oltre il punto di equilibrio, cosicché essi vengono ricontratti dall’attrazione gravitazionale, per poi espandersi di nuovo, così via, oscillando come una molla: il risultato è una stella la cui luminosità varia intrinsecamente, come nel caso delle cefeidi.
Quando anche l’elio si esaurisce la stella esce dallo stato di gigante rossa e la sua evoluzione dipende direttamente dalla sua massa iniziale. In particolare diviene importante il limite di Chandrasekar pari a 1,4 masse solari.
Se la stella ha massa inferiore al limite di Chandrasekar collassa gradualmente fino a raggiungere lo stadio di nana bianca, una stella delle dimensioni della Terra con elevata densità e materia presente in uno “stato degenerato” (per il quale, ad esempio, non vale il principio di esclusione di Pauli). Se la stella ha massa sufficiente, prima di divenire una nana bianca espelle progressivamente i suoi strati più esterni e con essi parte degli elementi pesanti sintetizzati nelle ultime fasi della sua vita; dopo questa esplulsione la stella gode ancora di qualche migliaio di anni di vita a spese del poco idrogeno rimasto, fino a spegnersi in una nana bianca. In ogni caso, le nane bianche non si sostentano con fusioni nucleari, e quindi sono destinate a raffreddarsi e spegnersi.
Se la stella supera il limite di Chandrasekar la fase di espansione degli strati esterni diviene violenta e origina una nova e, in caso di grandi masse (più di 10 masse solari), una supernova. Gli strati esterni vengono espulsi violentemente e la luminosità della stella aumenta anche di 150000 volte, per qualche settimana. Con le novae e le supernovae gli elementi pesanti sintetizzati nell’ultimo periodo della vita della stella vengono diffusi a grandi distanze nello spazio circostante.
Il nucleo di una stella che superi il limite di Chandrasekar si contrae sempre più, fino a quando non raggiunge uno stato di equilibrio diventando una stella di neutroni. Queste stelle sono straordinariamente piccole (solo 20-30 km di diametro) e la loro densità è pari a milioni di tonnellate al cm3. Nemmeno lo stato degenerato della materia sopravvive a queste condizioni e elettroni e protoni si fondono a formare neutroni. Le stelle di neutroni sono difficilmente visibili, ma emettono tipiche pulsazioni nelle frequenze delle onde radio, altamente regolari. Una delle prime pulsar fu osservata nella nebulosa del Cancro.
Se la massa iniziale è diverse decine di volte superiore a quella solare, il collasso gravitazionale non viene frenato neppure dalla formazione di una stella di neutroni, ma genera un buco nero, un corpo speciale la cui gravità è tale che nemmeno la luce può sfuggirvi e per il quale le leggi fisiche del resto dell’universo sembrano non valere. La materia stellare si contrae forse fino ad essere concentrata tutta in un solo punto, con densità infinita; il confine del buco nero non è dunque materiale ed è chiamato orizzonte degli eventi. Tale nome è dovuto al fatto che di un evento che si verifichi oltre quel confine nessuna informazione può raggiungere un osservatore esterno. È quindi impossibile per definizione osservare un buco nero: è però possibile osservare i raggi X emessi dalla materia che vi vortica intorno prima di cadervi dentro.
LE GALASSIE E LA STRUTTURA DELL’UNIVERSO
Nell’Universo vi sono grandi spazi vuoti a cui si alternano numerose “macchie biancastre” che prendono il nome di galassie: queste non sono altro che ammassi di stelle e materiale interstellare qua e là concentrate in nebulose ed a loro volta sono riunite in gruppi e supergruppi.
LA VIA LATTEA
Il nostro Sistema Solare è soltanto una delle poche strutture appartenenti alla galassia in cui risiede. Dalla Terra possiamo vedere circa 6000 stelle visibili a occhio nudo appartenenti alla Via Lattea (dal greco galà, latte da cui prende origine per l’antica credenza secondo cui Giunone avrebbe sparso,nell’allattare Ercole, gocce di latte) e, durante notti con cielo limpido, è anche possibile notare nel mezzo della volta celeste una lunga striscia bianca che costituisce però solo un braccio della galassia stessa. La Via Lattea ha infatti la forma di un disco centrale (nucleo galattico) da cui si dipartono lunghi bracci a spirale e comprende oltre 10 miliardi di stelle. Se si pensa che il diametro è di circa 100000 anni luce ed il suo spessore di 15000 anni luce (al centro) e di 1000 anni luce (ai bordi) si può capire l’immensità di questo ammasso di stelle. Il Sole, e quindi anche la Terra, occupano una posizione periferica: sono infatti situati a circa tre quinti del raggio galattico e, precisamente, sul bordo esterno del braccio di Orione (il nome prende origine dall’omonima costellazione). Tutte le stelle dei bracci ruotano intorno al centro con velocità decrescenti (dal centro alla periferia) il Sole impiega circa 225 milioni di anni per fare un giro ad una velocità di 273 Km/s. Gli ammassi stellari sono gruppi di stelle vicine che si muovono tutte insieme. Possono essere aperti con le stelle distribuite irregolarmente oppure globulari con stelle distribuite in modo regolare formando una sfera. Gran parte degli ammassi si trova al di fuori del disco della Galassia e forma l’alone galattico, una sorta di nuvola sferica molto rarefatta con un raggio di circa 50000 anni luce.
GALASSIE E FAMIGLIE DI GALASSIE
La nostra galassia è solo un piccolo angolo dell’Universo. Al di fuori di essa ne sono state scoperte numerosissime altre alcune delle quali visibili anche ad occhio nudo. Alcune sono ellittiche, altre a spirale (come la Via Lattea o come Andromeda) altre ancora sono a spirale sbarrata in quanto il loro nucleo appare appunto attraversato da una sbarra da cui partono le spire, vi sono inoltre galassie globulari con le stelle disposte in modo da formare una sfera il cui numero è più alto nel centro e va diminuendo verso la periferia ed infine vi sono le galassie irregolari che non hanno una forma definita, come suggerisce il nome stesso, ma variabile. Il numero totale di galassie visibile è di qualche centinaio di miliardi, gli strumenti ottici più potenti sono in grado infatti di rilevare galassie distanti fino ad un massimo di 60 milioni di anni luce (talvolta è proprio grazie all’analisi della luminosità di alcuni corpi che si può risalire alla loro distanza). Oltre questa distanza appaiono solo come fioche macchie di luce; in tali casi ci si avvale di metodi meno precisi me che sono in grado di spostare “l’orizzonte” fino a 10 miliardi di anni luce.
Le galassie, come accennato precedentemente, tendono a riunirsi in gruppi: la Via Lattea, con una trentina di galassie situate nel raggio di 3 milioni di a.l. ,forma il Gruppo Locale. Oggi si conoscono numerosissimi ammassi galattici che comprendono migliaia di galassie: tali ammassi con diametri medi di circa 8 Mpc (Megaparsec) sono circondati da ampi spazi “vuoti” e le galassie che li formano sono legate gravitazionalmente fra di loro. La Via Lattea fa parte dell’ammasso della Vergine intorno al cui baricentro essa ruota insieme alle altre galassie del Gruppo Locale. Sono infine stati identificati i Superammassi di galassie, estesi per centinaia di megaparsec ed anch’essi di struttura del tutto analoga a quella degli ammassi.
RADIOGALASSIE E QUASAR
Nell’Universo vi sono molte radiosorgenti ossia “oggetti” che emettono onde radio: alcuni di questi oggetti sono supernovae (Secondo la teoria corrente dell'evoluzione stellare, una stella di massa superiore a circa 1,4 volte quella del Sole esplode in una supernova, lasciando a suo centro una stella di neutroni ed emettendo oltre un quarto della sua massa in una sfera di gas "incandescente" fortemente accelerato che diparte dal centro di massa della stella. La materia emessa è composta da varie specie atomiche, tutte quelle che si sono formate durante la vita della stella…) mentre altri sono risultate essere galassie molto lontane ma con emissione così intensa da essere chiamate radiogalassie (come Cygnus A, Perseus A, Centauro A). In alcune foto scattate a questi particolari corpi è possibile notare come giganteschi getti di materia vengano espulsi dal loro nucleo a velocità pari a 1000 km/s. Oltre ai segnali delle radiogalassi, ci arrivano anche emissioni di oggetti lontanissimi, negli abissi dello spazio, al di là delle galassie “normali” più lontane fino ad ora scoperte. Sono emissioni radio di altissima intensità e fortemente concentrate provenienti da corpi d’apparenza stellare chamati quasar (quasi stellar radiosource). Una caratteristica interessante di questi corpi è che le riche dei loro spettri sono spostate verso il rosso, il che indica che questi oggetti si stanno allontanando da noi (l’oggetto celeste più lontano finora osservato è infatti un quasar, distante da noi più di 10 miliardi di anni luce). Nonostante queste enormi distanze l’intensità dei segnali che ci giunge indica che la loro luminosità è mille miliardi di volte più intensa di quella del Sole.
SISTEMA SOLARE
Il 99,85% della massa dell’intero sistema solare è concentrata nel Sole: tutti gli altri corpi del sistema (pianeti, satelliti, asteroidi, meteoriti, comete) hanno una massa complessiva pari a 0,15% del totale.
LEGGI DI KEPLERO E LEGGE DI NEWTON
I pianeti (dal greco planaomai, vado errando) seguono nel loro moto le seguenti leggi empiriche dovute a Keplero:
I legge
I pianeti percorrono orbite ellittiche quasi complanari, aventi tutte un fuoco nel Sole. Il senso della rivoluzione è generalmente antiorario.
II legge
Il raggio vettore, ossia il raggio che unisce il Sole al pianeta, descrive superfici di pari estensione in intervalli di tempo uguali. In conseguenza di questa legge la velocità di un pianeta è massima quando esso è al perielio, mentre è minima all’afelio.
III legge
I quadrati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi delle distanze medie dal Sole. Questa legge permette di prevedere la distanza di un pianeta noto il suo periodo, o viceversa.
Queste leggi empiriche sono deducibili a partire dalla legge di gravitazione universale di Newton, secondo cui due corpi si attraggono con una forza proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa.
Dalle leggi della meccanica deriva che due corpi fra cui sussiste attrazione gravitazionale ruotano entrambi attorno al baricentro del sistema che costituiscono. Nel caso dei pianeti, essendo la massa solare molto maggiore di quella dei pianeti, i baricentro del sistema cade dentro al Sole: ecco perché si può dire che i pianeti ruotano attorno al Sole.
Occorre notare che, valendo la legge di Newton per qualunque corpo, le leggi di Keplero che da essa si deducono valgono anche per i satelliti artificiali. In generale, nel progettare una missione spaziale, è necessario considerare la velocità di fuga relativa ad un corpo celeste, cioè la minima velocità necessaria per sfuggire all’attrazione gravitazionale del corpo in questione. Un altro effetto importante è quello della fionda planetaria, per cui un satellite artificiale può acquistare energia e velocità passando in prossimità di un pianeta.
PIANETI TERRESTRI E PIANETI GIOVIANI
Sulla base di dati quali massa, dimensioni, densità si distinguono i pianeti del sistema solare in due categorie: pianeti terrestri o pianeti piccoli (Mercurio, Venere, Terra, Marte) e pianeti gioviani o pianeti giganti (Giove, Saturno, Urano, Nettuno). Plutone è atipico e non appartiene a nessuna categoria.
I pianeti terrestri hanno dimensioni molto minori di quelli gioviani: il più grande pianeta terrestre (la Terra) ha un diametro pari a ¼ di quello del più piccolo pianeta gioviano (Nettuno).
Per quanto riguarda la massa, della massa planetaria complessiva i pianeti terrestri costituiscono meno del 10%, mentre oltre il 90% è rappresentato dai pianeti gioviani.
Dal punto di vista della densità, la densità media dei pianeti terrestri (rispetto alla densità dell’acqua) è 5, mentre quella dei pianeti gioviani soltanto 1,5. In particolare, la densità media di Saturno è soltanto 0,69, minore di quella dell’acqua. La diversa densità dei due tipi di pianeti è legata alla loro differente composizione. In generale, i materiali che costituiscono i pianeti possono essere divisi in gas (idrogeno ed elio, che fondono a qualche grado sopra lo zero assoluto), sostanza rocciose (silicatiche o metalliche, con temperature di fusione intorno i 700°C) e ghiacci (di ammoniaca, metano, anidride carbonica e acqua, che fondono a temperature intermedie fra quelle viste sopra). Fatte queste distinzioni, possiamo dire che i pianeti terrestri sono costituiti essenzialmente di sostanze rocciose, mentre i pianeti gioviani sono costituiti in prevalenza da gas, ma vi compaiono anche ghiacci e sostanze rocciose.
Le differenze fra i due tipi di pianeti riguardano anche l’atmosfera. I pianeti terrestri sono piccoli e pertanto hanno una accelerazione gravitazionale bassa; inoltre sono più vicini al sole e quindi le molecole dei gas che ne costituiscono le atmosfere hanno energie cinetiche maggiori: di conseguenza, tali pianeti hanno un’atmosfera tenue (Venere, Terra, Marte) o ne sono addirittura privi (Mercurio). I pianeti gioviani, invece, essendo grandi e distanti dal sole, hanno atmosfere dense di idrogeno ed elio.
Infine, mentre i pianeti terrestri hanno pochi o nessun satellite, i pianeti gioviani hanno molti satelliti, oltre a strutture particolari come gli anelli.
PIANETI TERRESTRI
Questi pianeti presentano una struttura comune articolata in nucleo, con materiali ad alta densità di natura metallica, mantello, costituito da materiali più leggeri (ossidi e silicati di Fe e Mg), e crosta, comprendente materiali ancora più leggeri.
MERCURIO
È il pianeta più interno del sistema solare. Le sue dimensioni sono poco maggiori di quelle della Luna e la sua vicinanza al Sole ne rende difficile l’osservazione: esso è visibile solo un’ora prima dell’alba e un’ora dopo il tramonto, e gli antichi Greci ritenevano che si trattasse di due astri distinti, Ermes (alla mattina) e Apollo (alla sera).
Il periodo di rivoluzione di Mercurio è di 88 giorni terrestri, mentre il periodo di rotazione è di 58,6 giorni: considerando questi due moti contemporaneamente si scopre che per circa 88 giorni un determinato punto della superficie di mercurio è illuminato e per altri circa 88 giorni è oscuro. Ciò provoca la più alta escursione termica del sistema solare: 425°C nel lato illuminato (quanto basta per fondere Sn e Pb) e 8 175°C sul lato oscuro.
Mercurio risulta privo di atmosfera: si sono rilevate soltanto tracce di O, Na, H, He.
L’aspetto della superficie di Mercurio è stato conosciuto in dettaglio grazie alla sonda Mariner 10 che ha sorvolato il pianeta nel 1974-5 passando a soli 800 km dalla superficie e ne ha fotografato circa il 40%.
L’aspetto di Mercurio è simile a quello della Luna: vi si trovano numerosi crateri da impatto, originati per l’urto con meteoriti ad alta velocità, risalenti a 4-3 miliardi di anni fa; associati ai crateri si trovano spesso dei raggi chiari, originati dall’espulsione di materiali in occasione dell’urto; vi sono infine pianure lisce che si sono originate per fuoriuscita di lave presso i crateri di dimensioni maggiori. L’aspetto del pianeta mostra che esso è tranquillo da 2 o 3 miliardi di anni.
La densità media di Mercurio è 5,43 e quindi è molto simile a quella della Terra: per giustificare questo fatto, tenendo presente le esigue dimensioni del pianeta, si suppone che esso abbia un nucleo metallico che ne occupa quasi tutto l’interno. Per spiegare questa situazione si può ipotizzare che un violento impatto abbia scagliato lontano dal pianeta i suoi strati più esterni.
VENERE
Venere dista dal Sole circa 7/10 della distanza Terra-Sole e ha dimensioni e densità molto simili a quelle terrestri. Esso è l’astro più brillante del firmamento notturno dopo la Luna.
Il suo periodo di rivoluzione è di circa 225 giorni, quindi paragonabile a quello terrestre, mentre il moto di rotazione ha periodo molto più lungo di quello terrestre (243 giorni) e ha la particolarità di essere retrogrado rispetto a quello degli altri pianeti.
Venere presenta un’atmosfera costituita per il 97% di anidride carbonica e per il resto da acqua, azoto, acido solforico. La pressione atmosferica sulla superficie è 90 volte quella terrestre e la temperatura, sia il dì sia la notte, è di 460°C.
Nella parte alta dell’atmosfera si trovano delle dense nubi, la cui base sta a 30 km dal suolo di Venere e che sono spesse 25 km. Come rivelato dalla sonda Mariner 10 nel 1974, le nubi sono spinte da venti che superano i 300 km/h e che fanno percorrere alle nubi percorsi definiti, con forme a spirale che partono dai poli e si uniscono presso l’equatore. Per “vedere” oltre la coltre di nubi occorre utilizzare un sistema di onde radar, come fatto dalla sonda americana Magellan lanciata dalla navetta Altlantis nel 1989 ed entrata nell’orbita di Venere un anno dopo.
La superficie di Venere risulta per il 60% debolmente ondulata, per il 16% occupata da bacini depressi, e per il rimanente 24% sopraelevata di circa un km e occupata da rilievi anche imponenti, come i Monti Maxwell, alti 11 km. Nelle pianure ondulate si trovano lunghe valli e crateri da impatto. Vi sono inoltre due grandi strutture alte 5 km identificate come vulcani a scudo, che testimonierebbe un’attività vulcanica su Venere. A conferma di questa ipotesi le sonde russe Venera 9 e 10 lanciate nel 1975 e scese sulla superficie venusiana hanno rivelato la presenza di basalti. Il quadro complessivo che ne deriva è quello di un’attività vulcanica che si accompagna a profonde deformazioni della crosta, facilitate dall’elevata temperatura superficiale, che rende plastiche le rocce.
La causa dell’elevata temperatura superficiale di Venere è da ricercare nell’effetto serra prodotto dall’anidride carbonica, che ostacola la dissipazione del calore accumulato sulla superficie riflettendo i raggi infrarossi. L’origine di un effetto serra così forte è probabilmente un processo a catena, per cui la temperatura di Venere, già dall’inizio più alta di quella terrestre per la maggiore vicinanza al Sole, ha impedito la realizzazione di quei sistemi di controllo della quantità di CO2 presenti sul nostro pianeta (soprattutto bloccaggio della CO2 atmosferica nelle rocce carbonatiche), lasciando libero corso ad una crescita esponenziale dei gas serra.
TERRA
Per la trattazione della Terra nei suoi aspetti planetologici e geologici si rimanda agli altri capitoli.
MARTE
Marte ha una distanza dal sole che è circa 1,5 volte quella fra Sole e Terra e il suo raggio è circa metà di quello terrestre. Il suo periodo di rivoluzione è di 687 giorni, mentre il suo periodo di rotazione è molto simile a quello terrestre (24h40m). Anche l’inclinazione dell’asse sull’orbita è simile (circa 25°), il che comporta che anche su Marte vi sia alternanza stagionale, anche se le stagioni sono più lunghe e più fresche per la maggior distanza dal Sole. Le osservazioni hanno mostrato che ai poli sono presenti calotte di ghiaccio che si ritirano e si espandono periodicamente con le stagioni.
L’atmosfera di Marte è molto più rarefatta di quella terrestre a causa delle minori dimensioni e quindi della minore gravità del pianeta; la pressione atmosferica marziana è 1/150 di quella terrestre e il suo costituente principale è l’anidride carbonica (95%), assieme ad azoto, vapore acqueo, ossigeno. La temperatura superficiale media all’equatore è i60°C, mentre ai poli scende a 6123°C. I principali eventi atmosferici comprendono tempeste di sabbia e nevicate di ghiaccio secco ai poli.
La superficie di Marte fu oggetto di osservazioni da Terra, alcune delle quali contribuirono al mito dei “marziani”, come i presunti canali osservati da Schiaparelli nel 1877 e da Lowell. Informazioni più dettagliate e verosimili sulla superficie di Marte ci provengono dalle varie sonde inviate verso il pianeta: la Mariner 9 che fotografò la superficie del pianeta orbitandoci attorno; le Viking 1 e 2 (1976) ciascuna costituita di un modulo orbitante che fotografò la superficie di Marte e di una sonda che scese sulla superficie del pianeta; il Pathfinder che nel 1997 atterrò su Marte depositandovi un piccolo veicolo semovente guidato da Terra e in grado di inviare immagini in diretta.
La superficie marziana si presenta modellata da vari processi: vulcanici, meteoritici, di erosione, movimenti crostali e deposizione. L’attività vulcanica è testimoniata dalla presenza di imponenti strutture, come il Mons Olympus, largo 500 km e alto 27 km, il più grande vulcano del sistema solare. Oltre ai vulcani e ai crateri si osservano lunghi e ampi canyon, come le Valles Marineris, lunghe 5000 km, larghe 500 km e profonde 5-6000 m. Queste strutture sono costantemente soggette all’azione di erosione eolica e il loro grado di erosione mostra come l’attività sismica e tettonica si sia estinta da tempo.
Molte strutture della superficie di Marte sono imputabili alla presenza, nel passato, di acqua liquida. In primo luogo, presso i crateri più giovani e di maggiori dimensioni si trovano delle strutture dovute a erosione e colate di fango: si suppone che esse si siano originate in occasione di un impatto meteorico abbastanza forte da scogliere l’acqua immagazzinata nel permafrost che si ritiene sia presente subito sotto la superficie visibile di Marte. Altre strutture marziane sono collegabili alla presenza passata di ghiacciai: ad esempio, si trovano i cosiddetti esker, depositi torrentizi originati dallo scioglimento di ghiacciai, e i rock glacier, pietraie mobili che si originano a causa di ripetuti geli e disgeli. Su Marte si trovano poi valli ramificate originate da corsi d’acqua o dal deflusso di grandi masse liquide. Particolarmente interessanti sono i canali che si dipartono dai “terreni caotici”: in queste zone si suppone che siano avvenute violente fuoriuscite dal sottosuolo di acqua satura di anidride carbonica e quindi ad alta pressione, con imponenti fenomeni di deflusso ed erosione; queste eruzioni d’acqua potrebbero essere state causate da fenomeni vulcanici o tettonici, o anche da impatti meteorici. Altri segni sulla superficie marziana lasciano supporre l’esistenza passata di grandi bacini di acqua liquida, e forse di veri e propri oceani, come l’ipotetico Oceanus borealis. Altri indizi sulla presenza di acqua liquida sono di natura chimica: sia le osservazioni da Terra, sia i dati delle sonde mostrano la presenza di minerali argillosi e di sali, che si formano in presenza di acqua liquida. Questi dati sono confermati anche dalle meteoriti provenienti da Marte.
Per spiegare la scarsità d’acqua attuale di Marte si può supporre che essa sia progressivamente evaporata, andando incontro a dissociazione in idrogeno e ossigeno (quest’ultimo avrebbe poi ossidato le rocce dando loro il tipico colore rosso; tuttavia l’ossidazione potrebbe anche essere stata causata dai raggi UV del Sole). Sembra che anche l’anidride carbonica fosse originariamente in quantità maggiore, forse sufficiente innescare un effetto serra consistente e a rendere la pressione atmosferica tripla di quella terrestre.
Sarebbero quindi esistiti periodi a clima umido e caldo, soprattutto nei primi miliardi di anni dall’origine di Marte. Alcuni periodi caldo-umidi sono forse stati più recenti, ma in ogni caso non possono essere durati più di un milione di anni, altrimenti avrebbero eroso i crateri, che sono invece ancora visibili.
Intorno alle cause che possono scatenare una fase caldo-umida su Marte si sono avanzate varie ipotesi: modificazione dell’orbita e dell’inclinazione dell’asse (con bruschi cambiamenti anche di 60°); attività vulcanica abbastanza intensa da innescare un buon effetto serra… In queste fasi il clima di Marte avrebbe potuto essere compatibile con la vita, la quale avrebbe anche potuto sopravvivere ai periodi aridi e freddi fino ad oggi. Per ora, comunque, non si sono rivelate tracce univoche della presenza passata o attuale di vita su Marte.
Attorno a Marte ruotano due satelliti, Phobos (Spavento), con un diametro massimo di 27 km, e Deimos (Terrore), con un diametro di 10 km. Questi satelliti hanno forma irregolare e molto craterizzata e sono presumibilmente due asteroidi catturati da Marte dalla fascia degli asteroidi.

PIANETI GIOVIANI
GIOVE
È il pianeta più grande del sistema solare: il suo raggio è oltre 11 volte quello terrestre e il suo volume è 1316 volte quello terrestre. Giove dista dal Sole circa 5 volte più della Terra. Il suo periodo di rivoluzione è di circa 12 anni, mentre il suo periodo di rotazione è di sole 9h50m: in conseguenza di questa rapida rotazione Giove presenta uno schiacciamento polare pronunciato.
Dalle osservazioni al telescopio e dalle fotografie delle sonde Voyager 1 e 2 rivelano la presenza di una atmosfera con dinamiche complesse. Si osservano infatti bande chiare e scure alternate, parallele all’equatore, oltre a strutture differenti, come la Grande macchia rossa, presente a memoria d’uomo. L’atmosfera gioviana risulta spessa 1000 km e costituita da idrogeno (85%), elio (15%) e tracce di metano, ammoniaca, acqua, zolfo. Il calore ricevuto dal sole e dall’interno del pianeta genera grandi moti convettivi che vengono influenzati dalla rapida rotazione del pianeta: il risultato sono le bande chiare e scure di cui si è detto sopra: nelle bande chiare (dette zone) i gas salgono verso l’alto; in quelle scure (fasce), scendono verso il basso. Ai bordi fra zone e fasce si trovano aree turbolente, come la già citata Grande macchia rossa, con un diametro variabile fra 25000 e 50000 km. Molti dati sull’atmosfera gioviana ci sono giunti dalla sonda Galileo lanciata nel 1989 e entrata nell’orbita di Giove nel 1995; essa ha anche sganciato un modulo che si è addentrato per 300 km nell’atmosfera.
Al di sotto dei 1000 km di atmosfera la pressione deve essere tale da liquefare l’idrogeno; alla profondità di 24000 km di dovrebbe poi originare idrogeno liquido metallico, un particolare stato della materia previsto ma non ancora osservato. A 60000 km, fino al centro di Giove (70000 km) ci dovrebbe essere un nucleo roccioso e metallico. Nel complesso, Giove è quindi una sfera liquida con una coltre atmosferica e un piccolo nucleo solido.
La composizione complessiva di Giove (idrogeno 75%, elio 15%) è simile a quella solare ed in effetti, se Giove fosse stato 10 volte più massivo, avrebbe potuto diventare una stella. Attualmente invece la temperatura del nucleo dovrebbe essere di 30000°C, insufficiente ad innescare una fusione nucleare.
Intorno a Giove ruotano almeno 16 satelliti, di cui i quattro più grandi sono stati scoperti da Galileo e sono detti satelliti galileiani. Gli altri sono stati scoperti recentemente e sono molto più piccoli: gli ultimi quattro più esterni ruotano in senso opposto agli altri e sono presumibilmente asteroidi catturati dalla fascia degli asteroidi. Intorno a Giove si trovano anche sottili anelli.
Satelliti galileiani
I satelliti galileiani, dal più vicino a Giove al più lontano, sono Io, Europa, Ganimede, Callisto. I primi due hanno dimensioni paragonabili a quelle della Luna, i secondi due a quelle di Mercurio.
Io è caratterizzato da un’intensa attività vulcanica i cui pennacchi arrivano a 300 km di altezza e il cui chimismo è basato sullo zolfo e sui suoi composti (anidride solforosa, ad esempio), così che la sua superficie è colorata di rosso, giallo, arancione, bianco, nero. Questa intensa attività vulcanica ha cancellato i segni degli impatti meteorici e modifica continuamente la superficie del satellite; essa ha inoltre allontanato gli elementi più volatili (acqua e anidride carbonica). L’energia che alimenta il vulcanismo di Io proviene dall’azione mareale esercitata da Giove: il satellite infatti ruota molto vicino al pianeta (400000 km), su un’orbita non circolare, ed è quindi periodicamente soggetto alla gravità gioviana che lo deforma, riscaldandolo.
Europa mostra una superficie bluastra di ghiaccio d’acqua alla temperatura di 150°C. I dati della sonda Galileo, tuttavia, hanno mostrato come questo strato di ghiaccio sia spesso soltanto 2 km, e come sotto di esso si trovi un oceano di acqua liquida profondo 100-200 km, sotto il quale si trova un mantello roccioso e poi un nucleo metallico. Sulla superficie ghiacciata si trovano delle striature che sono interpretate come fessure profonde da cui fuoriesce acqua liquida che si solidifica originando laghi di ghiaccio recenti. Questi segni mostrano un’attività della superficie di Europa alimentata forse dal calore del mantello roccioso, forse da un’azione mareale simile a quella che avviene su Io. La presenza di acqua liquida e forse di attività idrotermali sul fondo dell’oceano rende Europa uno degli scenari più probabili per la presenza di vita extraterrestre.
Ganimede è il più grande satellite del sistema solare ed ha una composizione con almeno 40% di acqua. Presenta anch’esso una superficie ghiacciata, profonda 200 km, sotto la quale l’acqua in forma liquida prosegue sino alla profondità di 800 km, dopo la quale si trova un mantello roccioso seguito da un nucleo metallico. Sulla superficie sono presenti aree più scure, coperte da polveri meteoriche e abbastanza craterizzate, e aree più chiare, con striature simili a quelle di Europa. Questi dati si interpretano ipotizzando per Ganimede un’attività antica ora conclusasi e successivi periodi di attività più recente, causati probabilmente da complesse interazioni mareali con Giove e gli altri satelliti.
Callisto presenta una superficie fortemente craterizzata, costituita da ghiaccio sporco in cui i crateri spiccano come macchie più chiare, in quanto scoprono il ghiaccio pulito sottostante. Si ritiene che l’attività su Callisto si sia conclusa e che tutta l’acqua si sia congelata.
SATURNO
Saturno si trova ad una distanza dal Sole pari a circa 9,5 volte quella Terra-Sole: esso dista quindi dal Sole quasi il doppio di Giove. Il diametro di Saturno è circa 6/7 di quello di Giove, mentre la sua massa è 1/3 di quella di Giove. Mentre il periodo di rivoluzione è piuttosto lungo (circa 30 anni), il periodo di rotazione è breve (10h48m); come accade a Giove, a causa dell’elevata velocità di rotazione Saturno presenta un marcato schiacciamento polare, il più grande di tutto il sistema solare.
L’atmosfera di Saturno è abbastanza simile a quella di Giove: essa è costituta prevalentemente da idrogeno, presenta un’alternanza di zone chiare e fasce scure, ed è percorsa da venti molto veloci (fino a 1800 km/h, 5 volte più veloci dei venti massimi di Giove).
La struttura più tipica di Saturno sono i suoi anelli, visti da Galileo ma riconosciuti come tali da Huygens. Da Terra si vedono 4 anelli separati da zone più scure (dette divisioni); le immagini trasmesse da Voyager 1 e 2 nel 1980 e 1981 hanno rivelato che gli anelli sono composti da migliaia di anelli più sottili, raggruppati in 7 gruppi (di cui solo 4 sono quelli visibili da Terra). Nel complesso il sistema degli anelli è spesso solo qualche centinaio di metri, mentre si estende per una larghezza di 200000 km. Il materiale che forma gli anelli è costituito da frammenti di ghiaccio e polvere di varie dimensioni (da pochi micrometri a qualche metro); ciascun frammento ruota su un’orbita propria, ma avvengono anche interazioni complesse che orgininano moti turbolenti locali.
Gli anelli di Saturno possono essersi originati dalla disintegrazione di un satellite avvicinatosi troppo al pianeta e distrutto dalla sua gravità, oppure essi sono il frutto del mancato coagulo di materiale in un unico corpo orbitante.
Saturno possiede almeno 18 satelliti, in prevalenza piccole lune di ghiaccio craterizzate. Più interessante Titano: grande il doppio della Luna, esso è l’unico satellite del sistema solare dotato di atmosfera; questa è di colore arancione ed è costituita in prevalenza di azoto, con tracce di metano, etano, acetilene e acido cianidrico. La pressione sulla superficie è abbastanza elevata e la temperatura è abbastanza bassa (e178°C) da permettere la presenza di laghi di azoto liquido e di calotte di metano ghiacciato. Titano è oggetto di interesse soprattutto perché nel suo ambiente ricco di azoto e carbonio possono essersi formate delle molecole organiche in grado di fornire informazioni sull’origine della vita sulla Terra; la presenza di vita su Titano, invece, è resa improbabile dalle condizioni di temperatura. Titano, assieme a Saturno, è oggetto della sonda Cassini-Huygens, che ha fatto atterrare un suo modulo su Titano.
Al di là di Saturno si trovano i pianeti sconosciuti agli antichi, accomunati dalle basse temperature (fino a e200°C) e pertanto chiamati anche “pianeti di ghiaccio”.
URANO
Fu scoperto casualmente nel 1781 da sir William Herschel nel corso di una ricerca sulle stelle doppie. Ha un raggio che è circa 4 volte quello terrestre e dista dal Sole quasi 20 volte più della Terra. Il suo periodo di rivoluzione è di circa 84 anni; il suo moto di rotazione è retrogrado, come quello di Venere. La caratteristica che lo rende unico nel sistema solare è un asse di rotazione quasi parallelo al piano dell’orbita: ciò fa sì che per circa metà del periodo di rivoluzione ciascun polo sia perennemente illuminato o oscuro.
Le informazioni più dettagliate su Urano ci vengono dai dati raccolti da Voyager 2 nel 1986. Il pianeta ha un’atmosfera di idrogeno, elio e metano (responsabile del colore azzurro del pianeta). La sua temperatura è particolarmente fredda: s208°C al polo illuminato dal Sole e 2215°C all’equatore. Presso i poli si sono osservate delle brine (originate da interazioni fotochimiche), mentre presso l’equatore si trovano nubi mosse da venti veloci, sulla base delle quali si è calcolato il periodo di rotazione (circa 17 ore).
Per quanto riguarda la struttura del pianeta, sotto l’atmosfera, spessa 7600 km, si trova un oceano in cui si trovano allo stato liquido le stesse sostanze dell’atmosfera; dopo l’oceano, profondo 10500 km) si trova un nucleo roccioso.
Attorno ad Urano ruotano vari corpi: 10 sottili anelli, almeno 17 satelliti (5 maggiori e altri minori). Fra i satelliti maggiori ricordiamo: Titania e Oberon, le lune più lontane e con superficie craterizzata; Ariel e Umbriel, con pianure craterizzate solcate da lunghe valli; Miranda, la luna più vicina a Urano, con zone craterizzate e zone con scarpate profonde.
NETTUNO
La sua esistenza fu predetta teoricamente basandosi sulle perturbazioni del moto di Urano, per la prima volta nel 1843 da Adams. Tuttavia Adams non fu ascoltato e fu necessario attendere il 1846, quando Leverrier giunse agli stessi risultati e li inviò a Berlino, dove la sera stessa Galle trovò il pianeta nella posizione prevista.
Le dimensioni di Nettuno sono di poco minori di quelle di Urano; la sua distanza dal sole è circa 30 volte quella terrestre. Il suo periodo di rivoluzione è di circa 165 anni, mentre il suo periodo di rotazione è di circa 16 ore. La sua temperatura varia da r232°C a 2211°C.
La sua atmosfera è costituita da idrogeno e metano ed ha un colore verde-azzurro. Essa è sede di moti simili a quelli dell’atmosfera di Giove e Saturno, ma vi si riscontrano anche formazioni nuvolose chiare presso l’equatore. L’attività dell’atmosfera di Nettuno non può essere alimentata dal Sole, troppo lontano, ma deve avere origine interna, forse dovuta al nucleo in parte ancora liquido, posto sotto ad un oceano di gas liquidi, soprattutto metano.
Attorno a Nettuno ruotano 3 anelli e almeno 8 satelliti, di cui il maggiore è Tritone. Esso presenta un velo di azoto e metano sotto cui so trova una crosta di ghiaccio spessa 400 km. La sua temperatura è A225°C. La sua superficie presenta crateri e fratture, oltre a pennacchi scuri, forse dovuti a geyser di azoto provenienti da sotto il ghiaccio che trascinano con sé polveri scure.
PLUTONE
Fu scoperto nel 1930 da Tombaugh dopo 25 anni di ricerca al Lowell Observatory. Il suo raggio è minore di quello della Luna ed esso si trova ad una distanza dal sole circa 40 volte quella terrestre. Il suo periodo di rivoluzione è di circa 248 anni e la sua orbita è molto eccentrica ed inclinata di circa 18° sull’eclittica: queste strane caratteristiche fanno sì che parte dell’orbita di Plutone si interna a quella di Urano, anche se le due orbite non si intersecano.
La sua temperatura superficiale è di L236°C e provoca la solidificazione dei gas pesanti quali metano e ammoniaca, gli unici che il pianeta può trattenere con la sua bassa gravità. Plutone è quindi privo di atmosfera e costituito da polvere e gas congelati.
Nel 1978 è stato scoperto Caronte, il satellite di Plutone, la cui superficie, priva di ghiaccio di metano (evaporato per la minor gravità), è fatta di ghiaccio d’acqua.
ALTRI CORPI DEL SISTEMA SOLARE
Oltre a pianeti e satelliti troviamo nel sistema solare:
- asteroidi
- meteoroidi
- comete
ASTEROIDI
Gli asteroidi (detti anche pianetini e planetoidi) sono corpi celesti di dimensioni modeste (in media qualche decina di km; il più grande, Cerere, arriva a 935 km) che si trovano principalmente in un’area compresa fra le orbite di Marte e Giove e detta fascia degli asteroidi. Oltre agli asteroidi della fascia troviamo degli asteroidi che ruotano stabilmente sulla stessa orbita di Giove: i Troiani (che seguono il pianeta) e i Greci (che lo precedono). In generale gli asteroidi finora catalogati sono circa 20000.
La prima ipotesi sull’origine degli asteroidi si considerava frammenti di un pianeta disintegrato. Oggi si ritiene piuttosto che essi costituiscano il materiale che avrebbe potuto formare un pianeta se non vi fosse stata l’azione perturbatrice della grande massa di Giove. L’interesse nei confronti degli asteroidi è legata al fatto che essi sono campioni dei materiali inizialmente presenti nel sistema solare al momento della formazione dei pianeti.
Gli asteroidi sono connessi alle meteore (infatti alcuni di essi arrivano fino alla Terra), ma anche alle comete: un asteroide la cui orbita arriva fino a Urano ha mostrato segni di attività cometaria, mentre un altro asteroide ha un’orbita che arriva fino alla fascia di Kuiper.
METEOROIDI
Si dicono meteoroidi tutti i corpi presenti nel sistema solare e troppo piccoli per essere definiti asteroidi o comete. Quando vengono attratti dalla Terra, vi cadono; se vengono completamente consumati dall’atmosfera si parla di meteore (o stelle cadenti), mentre se una parte di essi giunge sulla superficie si parla di meteoriti.
Le meteore sono prodotti da corpi con masse che vanno da 0,1 g a qualche kg; iniziano a diventare incandescenti per attrito dell’atmosfera fra 80 e 120 km di altitudine, mentre sono completamente vaporizzati entro i 50 km. Esistono sia meteore isolate, sia sciami di meteore, che si hanno quando la Terra attraversa i residui della coda di una cometa. Ad esempio, le comete del giorno di San Lorenzo (che si presentano attorno al 12 agosto) sono i residui della cometa Swift-Tuttle, che passa vicino al Sole ogni 135 anni, “ricaricando” lo sciame di meteore.
Le meteoriti vanno da 1g a 10 tonnellate; le più piccole arrivano sulla superficie sotto forma di polvere e sono dette micrometeoriti. Quando una meteorite arriva sulla superficie terrestre genera una cavità semisferica detta cratere da impatto, che può raggiungere vari km di diametro. Ad esempio, il Meteor Crater dell’Arizona è ampio 1200 m e profondo 180 m.
Si ritiene che le meteoriti si originino soprattutto dalla fascia degli asteroidi, in conseguenza di urti fra asteroidi che scagliano nello spazio frammenti che arrivano poi fino alla Terra. Esistono però rare meteoriti provenienti da Marte, le cosiddette meteoriti SNC (dai nomi delle tre classi in cui si suddividono, shergottiti, nakhaliti e chassigniti), caratterizzate dal fatto di essere acondritiche (prive di condrule), costituite da augite e olivina, e da avere un’età di 1,3 miliardi di anni.
Le meteoriti “normali” si distinguono in:
- lititi, simili a rocce;
- sideriti, con metalli (soprattutto Fe e Ni), probabilmente nuclei di piccoli asteroidi;
- sideroliti, con miscugli di materiali rocciosi e metallici.
Fra le lititi le più diffuse (80% di tutte le meteoriti) sono le condriti, così chiamate per la presenza di condrule, piccole sferette millimetriche dovute al rapido raffreddamento di gocce fuse della nebulosa da cui si è originato il sistema solare. L’età delle condriti è di circa 4,56 miliardi di anni, quindi molto vicina alla genesi del sistema solare.
COMETE
Le comete sono corpi celesti costituiti da gas e vapori congelati (acqua, metano, anidride carbonica, ammoniaca) misti a polvere di rocce e metalli. Quando si avvicinano al Sole le radiazioni fanno sublimare i gas congelati del nucleo della cometa, che creano un alone sferico detto chioma, mentre i detriti spazzati via dal vento solare formano una coda lunga milioni di km. Dal nucleo si diparte anche una seconda coda, azzurra, formata da gas ionizzati deviati dal campo magnetico solare.
Dallo studio delle comete a lungo periodo (cioè maggiore di 200 anni), l’astronomo olandese Oort ipotizzò che le comete provengano da una zona che forma una sorta di alone sferico attorno al sistema solare: si tratta della nube di Oort, con un diametro di 1,5 anni luce, pari a 100000 volte la distanza Terra-Sole e a solo un terzo della distanza fra il Sole e la stella più vicina. I corpi ghiacciati della nube di Oort sono legati molto debolmente al Sole e basta una lieve perturbazione per scagliarli verso lo spazio interstellare o verso il Sole (dove si mostrano come comete).
Le comete a breve periodo (minore di 200 anni) provengono dalla parte più interna della nube di Oort, un’area schiacciata sullo stesso piano dei pianeti, detta fascia di Kuiper.
Si ritiene che i corpi ghiacciati della nube di Oort non si siano originati in situ, ma siano nati nella regione dei pianeti giganti fra Giove e Nettuno, per poi essere scagliati lontano dal sole dall’azione gravitazionale dei pianeti.
Le comete svolgono un ruolo importante anche nella composizione dei pianeti: si ritiene infatti che molta dell’acqua presente sulla Terra sia provenuta da comete; inoltre le polveri delle comete sono ricche di composti organici.
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA SOLARE
Intorno all’origine del sistema solare sono state avanzate varie ipotesi. Vediamo quelle storicamente più importanti. Cartesio nel 1664 ipotizzò che il sistema solare si fosse originato da una nube primitiva in rotazione e contrazione: la sua è quindi la prima ipotesi di tipo monistico, in quanto fa derivare tutto il sistema solare da un solo corpo originario. Nel 1745 Buffon propose invece un’ipotesi dualistica, supponendo un sole già formato dal quale, per effetto di una cometa, vennero strappati materiali che originarono i pianeti. Kant nel 1755 e poi Laplace intorno al 1800 riproposero la teoria monistica, concentrando la loro attenzione sull’aumento di velocità di rotazione che accompagnò la contrazione, in accordo con il principio fisico di conservazione del momento angolare. Nel 1901 Jeans ipotizzò invece una nuova soluzione dualistica, in cui al sole, per effetti mareali dovuti ad una vicina stella, furono strappati materiali da cui derivarono i pianeti.
Vediamo ora qual è la modalità con cui attualmente si ritiene che sia avvenuta la formazione del sistema solare, databile intorno a 4,6 miliardi di anni fa, cioè 10 miliardi di anni dopo il big bang (questa infatti è l’età delle più antiche rocce provenienti dal cosmo).
Il punto di partenza è una nebulosa formata da gas e polveri rarefatti, comprendente non solo idrogeno ed elio, diffusi in tutto l’universo, ma anche elementi pesanti originati precedentemente in stelle di grandi dimensioni e dispersi nello spazio attraverso nebulose planetarie, novae e supernovae. A causa di un evento perturbatore esterno, forse l’onda d’urto di una supernova, la nebulosa iniziò a collassate su se stessa per azione della gravità. Nello stesso tempo sempre più materiali cadevano verso il centro di rotazione, provocando un progressivo aumento della velocità di rotazione della nube che venne così ad assumere una forma a disco. Intanto al centro della nube si formava una struttura detta proto-sole, in cui la temperatura e la densità crescevano continuamente. I materiali rotanti attorno al proto-sole andarono incontro a numerose collisioni gli uni con gli altri, con la formazione di aggregati di dimensioni sempre maggiori, detti planetesimali.
Le temperature elevate vicino al proto-sole impedirono ai planetesimali ad esso più vicini di arricchirsi di ghiacci, cosicché essi accumularono soprattutto rocce e metalli, dando vita ai pianeti di tipo terrestre. Più lontano dal proto-sole fu possibile invece la presenza di ghiacci assieme alle rocce e ai metalli. Inoltre i proto-pianeti Giove e Saturno arrivarono ben presto ad una massa sufficiente ad attrarre grandi masse di gas, con la formazione di dense atmosfere. Le grandi dimensioni di Giove si possono spiegare tenendo presente che esso è stato abbastanza lontano dal sole per accumulare ghiacci e abbastanza vicino ad esso per accumulare anche molti gas. Con l’accrescimento dei pianeti la polvere della nube originaria fu progressivamente catturata, parte dai pianeti, parte dal sole stesso. Quando le temperature all’interno del proto-sole furono sufficientemente elevate si innescarono le prime reazioni nucleari, con l’emissione di grandi quantità di energia, corrispondenti alla fase della T Tauri (perché osservata nella stella T della costellazione del Toro). In questa fase un intenso vento solare spazzò via gran parte delle polveri residue e buona parte della massa dello stesso sole.
Intanto i pianeti si erano formati, con l’eccezione dei materiali presenti fra Marte e Giove che, a causa della enorme gravità di quest’ultimo, non riuscirono mai ad aggregarsi in un solo corpo e formarono la fascia degli asteroidi. Vi erano anche molti altri corpi isolati, che vennero progressivamente inviati dalla gravità di Giove verso il centro del sistema e catturati dai pianeti interni, che andarono così incontro una elevata craterizzazione, soprattutto nel primo miliardo di anni di vita. Fra i corpi impattanti vi erano anche diverse comete, che riportarono all’interno del sistema l’acqua che era stata soffiata lontano dal vento solare e che si era aggregata a formare nuclei ghiacciati.
Intanto i pianeti andavano incontro alla loro evoluzione. I pianeti interni, da Mercurio a Marte, vennero a trovarsi quasi completamente allo stato liquido a causa del calore prodotto dagli urti cosmici e dal decadimento di isotopi radioattivi. In essi iniziò quindi un processo di differenziazione, per il quale i materiali più leggeri emersero sulla superficie e quelli più densi colarono in profondità, dando così vita alle strutture del nucleo, del mantello e della crosta. Intanto i gas contenuti nelle rocce e liberati dalla loro fusione si accumularono intorno ai pianeti con una gravità sufficiente, formando una primitiva atmosfera, destinata ad essere modificata da eventi vulcanici e, sulla Terra, biologici. I pianeti di tipo gioviano ebbero massa sufficiente a trattenere grandi quantità di gas, tanto che alla base della loro densa atmosfera le pressioni raggiunsero valori tali da liquefare l’idrogeno. Grazie alle loro elevate masse Giove e Saturno catturarono non solo idrogeno, ma anche elio, mentre Urano e Nettuno, più leggeri, catturarono principalmente idrogeno; Plutone invece fu troppo poco massivo per raccogliere un’atmosfera. Intorno ai gradi pianeti gioviani si ripetè un processo simile a quello che in grande originò tutto il sistema solare, con la formazione di satelliti la cui caratteristiche dipesero dalla distanza dal pianeta attorno cui ruotano.
Intanto la gravità dei pianeti giganti scagliò lontano i nuclei di ghiacci e rocce che si erano formati in quella zona del sistema, e che andarono a costituire la nube di Oort e la fascia di Kuiper.
SOLE
CARATTERISTICHE
Il Sole è una stella avente raggio medio di 700000 km (109 volte il raggio terrestre) (il diametro è circa 1350000 km) e densità 1,41 g/cm3, vicina alla densità dell’acqua (1 g/cm3). L’accelerazione gravitazionale sulla superficie solare è 28 volte quella sulla superficie terrestre.
Il sole presenza un moto di rotazione attorno al proprio asse; la velocità angolare di rotazione è maggiore all’equatore che ai poli, in che significa che ruotando il sole non mostra comportamento rigido, ma fluido. Il periodo di rotazione equatoriale è di 25 giorni, quello polari di 30 giorni.
Il sole emette energia luminosa in tutte le direzioni. La potenza solare per unità di superficie misurata all’altezza dell’atmosfera terrestre è pari a 1360 W/m2 ed è detta costante solare. Da essa si ricava che la potenza irraggiata complessivamente dal Sole è .
La composizione solare vede come componenti principali idrogeno ed elio. Nell’interno del Sole essi sono in pari quantità e costituiscono complessivamente il 98% della materia solare; idrogeno ed elio sono allo stato di plasma, ossia sono dissociati in elettroni e nuclei liberi. Sulla superficie solare si ha una composizione data da: 85% idrogeno, 15% elio, tracce di quasi tutti gli altri elementi conosciuti. Questi elementi pesanti non possono essere stati prodotti dal Sole, che è una stella giovane e troppo piccola: a partire dall’atomo di Fe, il processo di fusione nucleare cessa di essere spontaneo e richiede energia non solo per essere attivato, ma anche per essere condotto a compimento. Di conseguenza occorre ammettere che il Sole sia una stella di seconda generazione, ossia che parte dei suoi materiali derivino dalle fornaci di grandi stelle ora estinte che li hanno espulsi nello spazio alla fine della loro esistenza.
La composizione relativa di H e He permette di fare una stima dell’età del Sole: bisogna infatti tenere presente che con il passare del tempo l’idrogeno viene consumato e trasformato in elio. I calcoli effettuati sull’attuale composizione solare portano ad un’età di 5 miliardi di anni; questi stessi calcoli indicano che il Sole ha abbastanza idrogeno per altri 5 miliardi di anni di attività analoga a quella attuale: dopo questo periodo di tempo inizierà ad essere consumato elio e il Sole diverrà una gigante rossa.
La materia solare, date le elevatissime temperature e pressioni, non assume uno dei tre classici stati della materia (solido, liquido, gassoso), ma è in forma di plasma: elettroni e nuclei atomici sono dissociati e formano un fluido conduttore di calore e elettricità, sensibile ai campi magnetici.
STRUTTURA
Distinguiamo i seguenti involucri concentrici nella struttura solare:
- interno del Sole: nucleo, zona radiativa, zona convettiva
- superficie del Sole: fotosfera
- atmosfera del Sole: cromosfera e corona
Interno del Sole
NUCLEO
La parte centrale del Sole è occupata da un nucleo di 150000 km di raggio, con una temperatura di circa 15 milioni di kelvin. Nel nucleo avvengono le reazioni termonucleari che alimentano il Sole: i nuclei di idrogeno vengono continuamente consumati formando nuclei di elio. Si stima che il combustibile nucleare rimanente per il Sole permetterà altri 5 miliardi di anni di attività a base di idrogeno.
ZONA RADIATIVA
Intorno al nucleo, per circa 450000 km di spessore, si trova una zona radiativa, in cui i fotoni prodotti nelle reazioni nucleari vengono continuamente assorbiti e riemessi dagli atomi, senza però che le temperature siano abbastanza elevate da innescare reazioni termonucleari. Il nome di questa zona deriva dal fatto che attraverso di essa l’energia è trasportata per irraggiamento.
ZONA CONVETTIVA
A 10000 km sotto la superficie del Sole i gas divengono instabili e si instaurano moti convettivi di grandi dimensioni che trasportano il calore sulla superficie.
Superficie del Sole
FOTOSFERA
Affinché la luce prodotta nel nucleo solare raggiunga la superficie e divenga visibile occorrono centinaia di milioni di anni.
La superficie visibile del Sole è detta fotosfera e corrisponde, per la precisione, agli strati esterni del sole fino ad uno spessore di 400-500 km, corrispondente alla massima profondità prima della quale i gas solari sono parzialmente trasparenti (e lasciano quindi passare la luce). La temperatura superficiale solare è 5785 K (5512°C) e ad essa è dovuto il colore giallo della stella.
Osservata in dettaglio, la superficie solare presenta un continuo ribollire dovuto alla scomparsa e apparizione di granuli brillanti, corrispondenti alle sommità delle celle convettive sottostanti; il contorno scuro che le separa corrisponde alle aree dove la materia solare più fredda ridiscende in profondità. Ciascun granulo ha dimensioni comprese fra 300 e 400 km.
Atmosfera del Sole
CROMOSFERA
La cromosfera è un involucro trasparante di gas incandescenti con uno spessore di 10000 km. È visibile solo durante le eclissi e appare come un alone rosato. Da essa si dipartono delle protuberanze più luminose, dette spicole, di 1000 km di diametro e 15000 km di altezza. La sua temperatura è 10000 K.
CORONA
La corona è formata da gas ionizzato ad altissima temperatura (milioni di K), che si estende rarefacendosi sempre più, fino a non essere più visibile a 17 milioni di km dal sole. La corona solare è molto poco luminosa (metà della Luna piena) ed è visibile solo durante le eclissi.
Nella parte esterna alcune particelle possono assumere velocità sufficiente a sfuggire all’attrazione solare e si disperdono nello spazio come vento solare.
La corona non ha confini precisi; tuttavia se assumiamo che essa si concluda là dove assume la stessa densità della materia interstellare, allora probabilmente essa giunge fino alla nube di Oort.
La temperatura molto elevata della corona può spiegarsi sulla base delle onde d’urto meccaniche che si originano sulla superficie solare a causa dei moti convettivi che sospingono la materia solare.
ATTIVITÀ SOLARE
Accanto alla normale emissione di energia, il Sole presenta fenomeni eccezionali che ne modificano periodicamente l’aspetto.
Macchie solari
Sulla superficie solare si osservano le cosiddette macchie solari, che sono zone 1/3 meno luminose del resto del Sole (e quindi comunque luminosissime, se comparate ad altri corpi celesti), depresse e suddivise in una zona centrale (ombra), circondata dalla penombra, in cui si osserva una continua modificazione del confine della macchia. La temperatura presso le macchie solari scende a 4300 K.
Le macchie solari hanno inizialmente diametro di 1600 km e appaiono a gruppi, ciascuno dei quali presenta una fase di espansione e successiva scomparsa. La vita media di una macchia solare è una settimana, mentre eccezionalmente alcune macchie durano diversi mesi e raggiungono dimensioni eccezionali di 100000 km.
Il numero medio delle macchie solari varia con una periodicità di 11 anni: all’inizio esse si formano in gruppi su entrambi gli emisferi del Sole, a una latitudine di 30-40°; poi esse si spostano verso l’equatore, per poi tornare alla latitudine di partenza. Le polarità magnetiche delle macchie si invertono dopo questo periodo di 11 anni, e occorrono altri 11 anni perché le macchie riacquistino al polarità originaria: ecco perché si potrebbe dire che in realtà il ciclo completo è di 22 anni.
Le macchie solari furono osservate sin dall’antichità (Teofrasto, IV-III secolo a.C.), ma il primo a coglierne la natura fu Galileo (1611), che in Sulle cose che stanno sull’acqua nega che le macchie siano oggetti interposti fra il Sole e la Terra e afferma che piuttosto esse vanno ritenute oggetti intrinsecamente appartenenti al Sole. Oltre a Galileo, si occuparono di macchie solari, indipendentemente, Schwabe e Scheiner. Il primo individò la periodicità delle macchie solari, che tuttavia fu determinata più precisamente dallo svizzero Wolf (1848), che la stimò in 11,2 anni.
Protuberanze
Le protuberanze sono nubi di idrogeno che si innalzano dalla cromosfera nella corona, fino a 20-40000 km di altezza, sotto forma di fiammate o archi luminosi. La loro temperatura è 15-25000 K, quindi maggiore di quella della cromosfera ma molto minore di quella della corona.
Facole
Le facole sono aree della superficie solare più calde e più brillanti di quelle circostanti. Esse si estendono dalla superficie verso l’alto per migliaia di km, talvolta fino alla corona.
Brillamenti o flares
I brillamenti o flares sono esplosioni di energia localizzate presso le macchie e associati a emissione di scariche elettriche. Durante i brillamenti si raggiungono temperature di milioni di K e si emettono radiazioni in tutto lo spettro, dai raggi X alle onde radio.
Durante i brillamenti vengono inoltre emesse particelle atomiche e raggi cosmici, che possono investire la Terra; in questo caso sono deviate verso i poli dal campo geomagnetico e interagendo con l’atmosfera origina le aurore polari. Ai brillamenti corrispondono inoltre le tempeste magnetiche, variazioni del campo geomagnetico.
Minimo di Maunder
Nel periodo fra 1645 e 1715 si osservarono pochissime macchie solari e altre anomalie di cui diremo poi. I primi studi fu questo periodo furono compiuti nel 1893 da Maunder analizzando gli archivi dell’osservatorio di Greenwich. I saggi di Maunder sull’argomento, del 1894 e del 1922, non furono presi sufficientemente in considerazione e soltanto recentemente si è ricominciato a studiare il minimo di Maunder.
Le prove indirette della diminuzione dell’attività solare durante il minimo di Maunder sono:
1) il conteggio delle aurore boreali, che sono diminuite notevolmente durante il minimo di Maunder;
2) la forma della corona circolare; nei tempi di massimo (come oggi) la corona appare ampia e divisa in pennacchi dal campo magnetico delle macchie solari; durante il minimo di Maunder, invece (come sappiamo dai resoconti di eclissi solari totali del periodo), la corona è ridotta e senza pennacchi; al suo posto appare la luce zodiacale, ossia la luce riflessa dalle particelle di materia interplanetaria intorno al Sole;
3) aumento della velocità di rotazione solare durante il minimo di Maunder, evidenziato dalla diminuzione di un giorno del periodo di rotazione;
4) distribuzione nel tempo del 14C; questo isotopo si forma per l’azione dei raggi cosmici; quando la corona solare è pienamente sviluppata scherma parte dei raggi cosmici con conseguente diminuzione della quantità di 14C; al contrario, se la corona è ridotta si forma più 14C. Lo studio della quantità di 14C può essere eseguito a partire da vegetali che hanno fissato il carbonio da molti secoli. Usando la specie Pinus aristata è stato possibile esaminare la quantità di 14C fino al 7000 a.C. Da questa analisi non solo è stato confermato il minimo di Maunder, ma sono stati individuati almeno altri 12 minimi negli ultimi 5000 anni. Ogni minimo è durato 50-100 anni e ad esso è corrisposto un raffreddamento del clima. Anche nel 1645-1715 si assistette ad una piccola età glaciale, con avanzata dei ghiacciai.
I diversi tipi di attività solare non sono indipendenti ma sembrano correlati, tanto che oggi si parla di “regioni attive”. All’inizio una regione attiva è semplicemente una regione delimitata magneticamente. In essa comincia poi ad apparire una facola, seguita dalle macchie; in corrispondenza di essa si assiste ai fenomeni più spettacolari: protuberanze e brillamenti.
Si suppone quindi che vi sia un’unica causa di fondo alla base delle diverse attività solari. Una possibile ipotesi si basa sull’interazione fra campo magnetico solare e moti di rotazione e convezione.
REAZIONI TERMONUCLEARI IN ATTO NEL SOLE
L’energia emessa dal Sole proviene da reazioni termonucleari. I primi studi dettagliati sull’argomento si devono a Bethe, cui sono intitolati i due cicli di Bethe, ossia i due modi principali attraverso cui in una stella viene sintetizzato He a partire da H.
Ciclo CNO
Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno è un ciclo in cui i nuclei di questi tre elementi si passano progressivamente i nuclei di idrogeno (cioè i protoni), senza essere consumati nella reazione; essi svolgono quindi la funzione di catalizzatori.
Schematicamente si ha
12C + 1H H 13N + fotone
13N è instabile e decade in 13C + positrone + neutrino
13C + 1H H 14N + fotone
14N + 1H H 15O + fotone
15O è instabile e decade in 15N + positrone + neutrino
15N + 1H H 4He + 12C
il ciclo poi si ripete.
Questo ciclo richiede energie elevate per essere attivato e pertanto oggi si ritiene che sia poco probabile che esso possa realizzarsi nel Sole.
Catena protone-protone
Questo processo richiede un’energia di attivazione inferiore ed è quello oggi ritenuto più probabile per il Sole.
Lo schema fondamentale della catena è
1H + 1H H 2H + positrone + neutrino 0,42 MeV
2H + 1H H 3He + fotone
3He + 3He H 4He + 1H + 1H
da cui si vede come alla fine si rigenerino due protoni.
Questo schema fondamentale si sovrappone a percorsi alternativi, ciascuno con la sua probabilità di avvenire. Citiamo due alternative interessanti perché legate all’emissione di neutrini.
Nella prima alternativa, la prima reazione, detta PEP (protone-elettrone-protone) è
1H + elettrone + 1H H 2H + neutrino 1,44 MeV
Nella seconda alternativa, in un numero molto esiguo di casi dopo che si è formato 3He si ha
3He + 4He H 7Be + fotone
7Be + 1H H 8B + fotone
8B è instabile e decade:
8B B 8Be + positrone + neutrino 14,06 MeV
Questa reazione produce neutrini eccezionalmente energetici, che furono i primi che i ricercatori sperarono di rilevare.
L’americano Douglas sfruttò il fatto che, quando cattura un neutrino, 37Cl si trasforma in 37Ar; egli usò quindi un enorme serbatoio di clorotetraetilene posto a grande profondità in una miniera abbandonata, in modo da schermare il serbatoio dall’azione disturbatrice delle particelle che provengono dall’atmosfera. In 10 anni di ricerca, tuttavia, egli misurò sempre una quantitativo peri circa a 1/3 dei neutrini previsti teoricamente.
Studi successivi furono portati avanti in America, Giappone e Italia (Gran Sasso): qui, usando un rivelatore basato sulla trasformazione di gallio in germanio (rivelatore Gallex) sono stati intercettati neutrini prodotti dalle reazioni PEP. I giapponesi hanno poi dimostrato che parte dei neutrini solari si trasforma durante il tragitto Sole-Terra: se si prendono in considerazione i prodotti della loro trasformazione, allora i valori previsti dalla teoria sono confermati sperimentalmente. Oggi possiamo quindi ritenere dimostrate le fase principali della catena protone-protone.

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