La deriva dei continenti

Materie:Tema
Categoria:Scienze

Voto:

1 (2)
Download:479
Data:16.03.2007
Numero di pagine:6
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
deriva-continenti_6.zip (Dimensione: 8.4 Kb)
trucheck.it_la-deriva-dei-continenti.doc     38 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

TEORIA DELLA DERIVA DEI CONTINENTI

All’inizio di questo secolo, il fisico tedesco Wegener si accorse che le coste occidentali dell’Africa si incastravano perfettamente con quelle orientali del Sud-America, come se fossero due pezzi di un puzzle. Sulla base di queste osservazioni egli avanzò l’ipotesi che circa 200 milioni di anni fa esistesse un unico grande continente, detto Pangea (tutto-terra), circondato da un unico immenso oceano, chiamato Panthalassa (tutto-mare); dalla suddivisione della Pangea si sarebbero successivamente formati i vari continenti che sarebbero poi andati alla deriva. Benché Wegener, a conferma della sua teoria, portasse altre prove quali la natura delle rocce dei continenti e la presenza in quel periodo della stessa flora e fauna nei vari continenti, la sua ipotesi non fu ritenuta plausibile. Infatti Wegener non poteva spiegare come e perché da questo un unico “super continente” si fossero poi formati i vari continenti e da che cosa avesse origine la forza responsabile degli spostamenti successivi. Questa teoria, detta teoria della deriva dei continenti, è oggi universalmente accettata in quanto studi successivi ne hanno permesso la spiegazione e conferma.

Mediante questi studi si è scoperto che il fondo degli oceani non è una vasta ed uniforme pianura, ma presenta la stessa configurazione delle terre emerse. In particolare si è scoperto un susseguirsi di catene montuose, dette nel loro insieme dorsali medio oceaniche, perché si snodano lungo la linea mediana che separa un continente dall’altro. Ogni dorsale è costituita da due catene montuose parallele, separate da una larga valle che costituisce una spaccatura del fondo oceanico. Dalle fratture delle dorsali fuoriesce continuamente del magma che, giunto in superficie, si raffredda. In questo modo negli oceani si forma nuova crosta terrestre, ovvero i fondali oceanici si allargano continuamente: si tratta della teoria dell’espansione del fondo oceanico. Questo processo causò la spaccatura della Pangea e quindi la nascita dei vari continenti che iniziarono a spostarsi e che sono tuttora in movimento. E’ una riconferma della teoria di Wegener, con una fondamentale modifica: in realtà non sono i continenti che si muovono, ma vaste aree della crosta terrestre i cui confini coincidono con le dorsali medio oceaniche.
Questa vaste aree prendono il nome di zolle o placche e, in base alla teoria della tettonica a zolle, spostandosi, trasportano i continenti. Gli spostamenti determinano tre diversi tipi di situazioni:
- due zolle si allontanano l’una dall’altra: man mano che le zolle si separano, lo spazio intermedio viene riempito dal magma proveniente dalla corrispondente dorsale che limita le due zolle;
- due zolle si avvicinano e si scontrano: in questo caso avviene l’immersione di una zolla sotto l’altra; tale fenomeno è detto subduzione. Ne segue la formazione di fosse oceaniche oppure, nel caso in cui nessuna delle due zolle sprofondi sotto l’altra, una collisione e la conseguente formazione di catene montuose, definita orogenesi. Esempio tipico è l’origine della catena dell’Himalaya, creatasi dallo scontro tra la zolla euroasiatica e l’India;
- due zolle slittano una accanto all’altra: non vi è produzione né distruzione di crosta terrestre. La linea di contatto viene detta faglia: un esempio è il caso della faglia di Sant’Andrea, in California:
Il “motore” di questi movimenti è situato nella parte esterna del mantello, detta astenosfera: in essa, infatti, il calore interno della Terra si propaga come nei liquidi, per convezione. Si instaurano quindi delle correnti convettive che trasportano verso l’alto la materia più calda, mentre quella più fredda scende verso il basso. Quando la parte più calda raggiunge la crosta terrestre, si sposta orizzontalmente e raffreddandosi scende nuovamente in profondità: questo flusso continuo orizzontale sposta le zolle e, probabilmente, ha causato la frammentazione della Pangea.

Legati all’esistenza delle zolle vi è anche il fenomeno dei vulcani e dei terremoti che avvengono quasi esclusivamente lungo i margini delle zolle stesse. I motivi di tutto ciò sono i seguenti:
1) Poiché le zolle sono in movimento, lungo la loro linea di confine le masse rocciose sono sottoposte a compressioni che tendono a deformarle. Finchè resistono, esse accumulano energia potenziale di natura elastica; quando lo sforzo supera il “carico di rottura”, esse si spezzano liberando energia meccanica sottoforma di oscillazioni: a così origine un terremoto;
2) Dove si ha subduzione, il margine di zolla che si immerge può fondere parzialmente per il calore di attrito. Si formano così delle zone di magma fuso che tenderà a risalire attraverso fratture della crosta terrestre: quanto il magma arriva in superficie e fuoriesce si ha un vulcano.
I terremoti sono movimenti della crosta terrestre, definiti anche fenomeni sismici o tellurici. In base alla loro origine possono essere di natura vulcanica, locali o tettonici.

I terremoti vulcanici sono strettamente legati alla presenza di un vulcano e spesso preavvisano l’imminente ripresa della sua attività.
I terremoti locali sono originati dal crollo di cavità sotterranee.
I terremoti tettonici, i più frequenti, sono legati al movimento delle zolle; fra questi ricordiamo i maremoti, ossia i terremoti originatesi nel fondale oceanico.
Il luogo in cui si è verificata la frattura della roccia che dà origine al terremoto è detto ipocentro; il luogo che si trova sopra l’ipocentro sulla superficie terrestre è detto epicentro e rappresenta la zona più colpita dal terremoto. Secondo la profondità dell’ipocentro, un terremoto è detto:
- superficiale, profondità dell’ipocentro non superiore ai 60 Km.;
- intermedio, profondità dell’ipocentro dai 70 ai 300 Km.;
- profondo, profondità dell’ipocentro oltre i 300 Km.

L’energia sprigionata da un terremoto si propaga attraverso onde, dette onde sismiche. Esse possono essere di tre tipi:
- onde longitudinali o primarie: si propagano in modo concentrico ad una velocità compresa tra i 5-10 Km/sec e attraversano strati solidi, liquidi e gassosi;
- onde trasversali o secondarie: si propagano con vibrazioni perpendicolari ad una velocità compresa tra i 4-8 Km/sec. Non sono in grado di attraversare i liquidi;
- onde superficiali o terziarie: si originano dalle primarie o dalle secondarie al loro arrivo in superficie. Hanno una velocità di circa 3 Km/sec e sono le responsabili dei danni di un terremoto.

Arrivate in superficie le onde si manifestano come scosse. Esse possono avere un andamento:
- verticale: in questo caso si parla di scosse sussultorie ed il terremoto è detto sussultorio;
- orizzontale: si parla allora di scosse ondulatorie e il terremoto è detto ondulatorio;
- sia verticale che orizzontale (sovrapposizione di onde sismiche): si parla di scosse rotatorie ed il terremoto è rotatorio.

Lo studio dei terremoti è affidato alla sismologia. Un terremoto viene misurato in due modi: il primo valuta i danni provocati a cose e persone; il secondo considera la quantità di energia sprigionata nel corso del terremoto. Per il primo modo si usa la scala Mercalli (scala comparativa, in quanto mette a confronto) che classifica l’intensità di un terremoto in dodici gradi. Per il secondo si usa la scala Richter-Kanamo (scala quantitativa) che classifica l’energia sprigionata, detta magnitudo, in dieci gradi.

Per vulcano si intende una qualsiasi spaccatura della crosta terrestre dalla quale fuoriesce il magma sotto forma di lava: è infatti la lava che successivamente, raffreddandosi, dà origine per sovrapposizione al cono vulcanico. In un vulcano è possibile distinguere: il serbatoio magmatico, che rappresenta la zona più profonda di formazione e raccolta del magma; il camino vulcanico, ossia il condotto attraverso cui il magma sale in superficie; il cratere, da cui fuoriesce il magma.

Principalmente si possono distinguere quattro diversi tipi di vulcani: “hawaiano”, “stromboliano”, “vulcaniano” e “peleano”.
Il tipo “hawaiano” è caratterizzato da eruzioni tranquille: infatti la lava, molto fluida, non ostruisce il cratere e non si verificano esplosioni; il cono vulcanico è largo e piatto. Tipico è il vulcano MaunaLoa, nelle isole Hawaii.
Il tipo “stromboliano” è caratterizzato da eruzioni di tipo esplosivo, ma di modesta entità; la lava solidifica con una certa facilità ostruendo il camino. Generalmente però l’emissione di lava è scarsa: il cono vulcanico non è perciò particolarmente elevato. Tipico esempio è lo Stromboli.
Il tipo “vulcaniano” è caratterizzato da violenti eruzioni: la lava, molto vischiosa, si consolida facilmente alla sommità del cratere, ostruendolo e causando così violente esplosioni. Il cono vulcanico si presenta elevato e piuttosto ripido. Tipica è l’isola di Vulcano.
Il tipo “peleano” ha eruzioni catastrofiche: la viscosità della lava è tale da ostruire ogni via d’uscita, determinando esplosioni anche ai lati ed alla base del vulcano. Tipico è il vulcano Pelèe.

Il magma è roccia fusa, composta in prevalenza da silicati, mista a vapor acqueo ed a notevoli quantità di gas. In base alla percentuale di silicati presenti nel magma, la lava si definisce:
- acida, se contiene più del 60% di silicati: è di consistenza viscosa è dà origine ad eruzioni di tipo esplosivo;
- basica, se contiene meno del 50% di silicati: è più fluida e dà origine ad eruzioni tranquille;
- neutra, se contiene tra il 50% ed il 60% di silicati: ha caratteristiche intermedie fra la lava acida e la lava basica.
In base alla frequenza delle eruzioni, i vulcani si distinguono in:
- attivi: l’emissione di lava è costante;
- quiescenti: benché momentaneamente inattivi, hanno ancora un vasto serbatoio magmatico che potrebbe fra riprendere improvvisamente l’attività:
- spenti: non c’è più traccia di attività ed il serbatoio magmatico è esaurito.

Collegati all’attività vulcanica sono alcuni fenomeni, detti di vulcanesimo secondario, che consistono in emanazione di vapor acqueo o gas ad alta temperatura. Si ricordano soprattutto i soffioni boraciferi ed i geyser, in quanto importanti dal punto di vista energetico (energia geotermica). I soffioni boraciferi sono getti continui di vapor acqueo; i geyser sono sorgenti d’acqua molto calda che viene proiettata in aria ad intervalli di tempo ben precisi.

SCHEMA D’APERTURA

Esempio