Inquinamento delle acque

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INQUINAMENTO DELLE ACQUE
Alla fine degli anni Sessanta, a causa della crescente preoccupazione per l'inquinamento delle acque, fu scoraggiata l'inclusione di prodotti chimici nocivi (quali i fosfati) nei saponi e nei detergenti.
Le acque sia superficiali che sotterranee, infatti, sono affette, in particolare in alcune zone densamente popolate e altamente industrializzate, da gravi problemi d’inquinamento che hanno notevolmente peggiorato la loro qualità. L'inquinamento delle acque sotterranee è particolarmente inquietante nelle aree industriali dell'Italia settentrionale dove si sono verificate infiltrazioni nel sottosuolo di metalli pesanti e di solventi clorurati (i prodotti più diffusi risultano essere il cromo esavalente e la trielina). L'area del Milanese e la provincia di Brescia registrano i maggiori tassi di polluzione: sono state fissate delle soglie da non superare e molti pozzi sono stati chiusi per mancanza di tali requisiti di potabilità. In alcune aree limitate è stata riscontrata la presenza, nelle acque sotterranee, di PCB, un composto molto tossico simile alla diossina.

Fonti d’inquinamento: problemi e soluzioni
Gli inquinanti delle acque provengono soprattutto dagli scarichi urbani e industriali, dai processi di percolazione, dai terreni agricoli e dalle aziende zootecniche; tutti privi d’ogni regolamentazione e in attesa di applicazione delle normative previste dalla legge 319 del 1976 nota anche come «legge Merli» contro l'inquinamento riguardante i tempi e i modi di entrata in funzione dei depuratori.
Le acque di scarico urbane e industriali rappresentano una delle fonti principali d’inquinamento idrico. Finora l'obiettivo primario dei programmi di smaltimento degli scarichi urbani è stato quello di ridurre la concentrazione delle sostanze solide in sospensione, dei materiali organici, dei composti inorganici disciolti (soprattutto quelli contenenti fosforo e azoto) e dei batteri nocivi presenti nei liquami immessi negli impianti di depurazione, per potere, poi, scaricare le acque depurate nell'ambiente. Da qualche tempo, tuttavia, una maggiore attenzione è rivolta anche al delicato problema del trattamento e dello smaltimento dei fanghi che si producono nei processi di depurazione. Nei moderni depuratori i liquami passano attraverso tre fasi distinte di trattamento. La prima, detta trattamento primario, comprende una serie di processi fisici o meccanici di rimozione dei detriti più grossolani, di sedimentazione delle particelle in sospensione e di separazione delle sostanze oleose. Nella seconda fase, detta trattamento secondario, si ossida la materia organica dispersa nei liquami per mezzo di fanghi attivi o filtri biologici. La terza fase, il trattamento terziario, ha lo scopo di rimuovere i fertilizzanti per mezzo di processi chimico-fisici, come l'adsorbimento su carbone attivo (addensamento sulla superficie di un solido o di un liquido, detto adsorbente, di atomi, ioni o molecole di un gas o di un altro liquido, detto adsorbato). In ogni fase vengono prodotte notevoli quantità di fanghi.
Gli scarichi industriali contengono una grande varietà di inquinanti e la loro composizione varia a seconda del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull'ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo è maggiore della somma dei singoli effetti. La concentrazione d’inquinanti può essere ridotta limitandone la produzione all'origine, sottoponendo il materiale a trattamento preventivo prima di scaricarlo nella rete fognaria o depurando completamente gli scarichi presso lo stesso impianto industriale, recuperando eventualmente le sostanze che possono essere reintrodotte nei processi produttivi.
I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche (contenenti soprattutto azoto e fosforo) che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti che si depositano sul fondo dei bacini. Pur contenendo spesso organismi patogeni, i liquami di origine animale vengono scaricati a volte direttamente sul terreno e da qui sono trasportati dall'acqua piovana nei fiumi, nei laghi e nelle falde sotterranee. In questo caso, per limitare l'impatto degli inquinanti si possono adottare semplici soluzioni come l'uso di bacini di decantazione o di vasche per la depurazione dei liquami.
Per rimuovere i sedimenti che si depositano nei laghi ed emettono sostanze organiche in sovrabbondanza e soprattutto per rimediare alla mancanza di ossigeno causata da scarichi biologici e detersivi, alcuni anni fa è stato messo a punto in Belgio un sistema di riossigenzaione denominato «Limno», che ha dato ottimi risultati in laghi di non grandi dimensioni. Esso si avvale di un insieme di tubi che vengono ancorati al fondo del lago ed immettono aria compressa in una camera di ossigenazione; qui l'aria viene mescolata all'acqua del lago ed è così possibile riossigenare l'ambiente e smuovere i sedimenti. Il sistema è stato utilizzato anche in Italia per iniziativa della Provincia di Trento, con cinque unità «Limno» si è riusciti a far tornare all'equilibrio il Lago di Caldonazzo, ristabilendovi una soddisfacente popolazione animale e vegetale.
Anche il calore liberato nei fiumi dagli impianti industriali e dalle centrali elettriche attraverso le acque di raffreddamento può essere considerato un inquinante, in quanto provoca alterazioni della temperatura che possono compromettere l’equilibrio ecologico degli ecosistemi acquatici e causare la morte degli organismi meno resistenti, accrescere la sensibilità di tutti gli organismi alle sostanze tossiche, ridurre la capacità di autodepurazione delle acque, aumentare la solubilità delle sostanze tossiche e favorire lo sviluppo di parassiti.

Effetti dell’inquinamento idrico
Le sostanze contaminanti contenute nell'acqua inquinata possono provocare innumerevoli danni alla salute dell'uomo e all'equilibrio degli ecosistemi. La presenza di nitrati (sali dell'acido nitrico) nell'acqua potabile, ad esempio, provoca una particolare condizione patologica nei bambini che in alcuni casi può condurre alla morte. Il cadmio presente in certi fanghi usati come fertilizzanti può essere assorbito dalle colture e giungere all'uomo attraverso le reti alimentari; se assunto in dosi elevate può provocare forti diarree e danneggiare fegato e reni. Tra gli inquinanti più nocivi per l'uomo vi sono alcuni metalli pesanti, come il mercurio, l'arsenico, il piombo e il cromo.
Gli ecosistemi lacustri sono particolarmente sensibili all'inquinamento. L'eccessivo apporto di fertilizzanti dilavati dai terreni agricoli può avviare un processo di eutrofizzazione, cioè di crescita smodata della flora acquatica. Esso si manifesta per un eccesso di nutrienti (principalmente composti dell’azoto e del fosforo) la cui provenienza maggiore è da individuare negli scarichi organici delle abitazioni e in molti detersivi. La grande quantità di alghe e di piante acquatiche che si viene a formare deturpa il paesaggio, conferisce particolari colorazioni alle acque, ma soprattutto, quando si decompone, consuma l'ossigeno disciolto nell'acqua (nelle acque naturali, non inquinate, l’ossigeno è disciolto in quantità medie di 1 mg/l; le sostanze inquinanti possono provocare l’esaurimento totale e la conseguente asfissia dei numerosi esseri che vivono nelle acque. In condizioni di asfissia muoiono a miliardi i batteri aerobi, che normalmente mantengono l’acqua depurata; a questi si sostituiscono allora i batteri anaerobi, che contribuiscono alla putrefazione dell’acqua), rende asfittici gli strati più profondi del lago e produce odori sgradevoli. Sul fondo del bacino si accumulano sedimenti di varia natura e nelle acque avvengono reazioni chimiche che mutano l'equilibrio e la composizione dell'ecosistema (quando le acque sono molto calcaree si ha, ad esempio, la precipitazione di carbonato di calcio).

Inquinamento marino
L'inquinamento del mare è dovuto alle immissioni accidentali o intenzionali di petrolio e oli combustibili, all'apporto di sostanze inquinanti trasportate dai corsi d'acqua e agli scarichi degli insediamenti costieri. Questi ultimi, in particolare, contengono ogni sorta di contaminanti (metalli pesanti, sostanze chimiche tossiche, materiale radioattivo, agenti patogeni) e spesso sono all'origine di epidemie di tifo, colera e altre malattie infettive. Gli inquinanti vengono trasportati dalle correnti marine lungo le coste e in alto mare. Ovviamente, la contaminazione dei mari varca le frontiere delle acque territoriali dei singoli stati ed è oggetto di trattati internazionali che mirano a limitarne l'entità.

Inquinamento da idrocarburi
Il petrolio e gli oli combustibili riversati in mare formano sulla superficie dell'acqua pellicole oleose che, impedendo l'assorbimento dell'ossigeno atmosferico, provocano morie di organismi marini e possono costituire un grave pericolo per la salute dell'uomo, al quale giungono attraverso la catena alimentare marina. La fonte dell'inquinamento, in questo caso, è data dai riversamenti di grandi quantità di greggio dalle petroliere coinvolte in incidenti, dal deliberato rilascio di piccole quantità di derivati del petrolio da navi di vario tipo e dalle perdite di petrolio che si verificano nel corso delle operazioni di trivellazione presso le piattaforme petrolifere marine. Si calcola che per ogni milione di tonnellate di petrolio trasportate via mare, una tonnellata vada dispersa a causa di riversamenti di varia natura.
Il pericolo maggiore è rappresentato dagli incidenti che non di rado interessano le superpetroliere.
Nel 1978 la petroliera Amoco Cadiz riversò in mare, al largo delle coste francesi, 1,6 milioni di barili di greggio; nel 1979 dal pozzo petrolifero Ixtoc I nel golfo del Messico, fuoriuscirono 3,3 milioni di barili. I 38 milioni di litri di greggio riversati dall’Exxon Valdez nella baia di Prince William, nel marzo del 1989, si estesero in tutta l'insenatura formando una macchia oleosa di ben 6770 km2 che compromise l'esistenza di molte specie marine e danneggiò gravemente non solo gli ecosistemi locali, ma anche l'attività di pesca nella zona. Viceversa, i 680000 barili di greggio riversati dalla Braer lungo le coste delle isole Shetland nel gennaio del 1993 furono subito dispersi dal moto ondoso, poiché al momento dell'incidente il mare era in burrasca.
Data la gravità di questi eventi, l’Organizzazione Marittima Internazionale dell’ONU è riuscita ad imporre criteri di sicurezza severi, per evitare l’impatto ambientale delle grandi petroliere. Grazie alle nuove regole, che richiedono un doppio scafo per le navi, particolari procedure per la manipolazione del carico e grande cautela nelle operazioni, a partire dagli anni ottanta del XX secolo il volume di petrolio greggio versato nell’idrosfera marina è diminuito del 60% e questo nonostante i carichi trasportati siano quasi raddoppiati.
Di norma il petrolio scaricato in mare viene degradato naturalmente dall'ambiente attraverso processi fisici, chimici e biologici. Galleggiando sull'acqua, il greggio si allarga rapidamente in un'ampia chiazza, disponendosi in strati di vario spessore, che le correnti e i venti trasportano a grandi distanze e dividono in "banchi". Le frazioni più volatili del petrolio evaporano nel giro di pochi giorni, perdendo in poche ore una notevole porzione della propria massa. Alcune componenti penetrano negli strati superiori dell'acqua, dove producono effetti molto nocivi sugli organismi marini e lentamente vengono ossidate biochimicamente a opera di batteri, funghi e alghe. Le frazioni più pesanti vagano, invece, sulla superficie del mare, fino a formare grumi difficilmente degradabili che affondano lentamente fino a raggiungere il fondo marino. I tempi richiesti da questo processo di degradazione variano a seconda delle condizioni del mare, delle condizioni meteorologiche, della temperatura e del tipo di inquinante. Una delle soluzioni più utilizzate in passato per rimediare all'inquinamento accidentale da petrolio consisteva nell'irrorare le pellicole oleose con sostanze emulsionanti. Le emulsioni risultavano, tuttavia, in qualche caso molto più dannose del petrolio stesso e tale tecnica è stata pertanto progressivamente abbandonata. Oggi si preferisce ricorrere a barriere galleggianti o a speciali imbarcazioni che raccolgono il petrolio effettuando una sorta di raschiatura sulla superficie del mare; le macchie di petrolio vengono ancora spruzzate con agenti emulsionanti solo nel caso in cui minaccino di raggiungere la costa. Il petrolio che si riversa sulle spiagge non viene sottoposto ad alcun trattamento: in genere si preferisce aspettare che a degradarlo provvedano i normali meccanismi di decomposizione. Nel caso in cui ad essere colpite siano località balneari, si preferisce rimuovere gli strati superficiali di sabbia, piuttosto che ricorrere a solventi ed emulsionanti, i quali farebbero penetrare il petrolio più in profondità. I solventi vengono ancora utilizzati solo per ripulire impianti e attrezzature. Le pellicole oleose sono state in qualche caso irrorate con batteri capaci di degradare il petrolio. I risultati sono stati incoraggianti, anche se, per attivare i batteri e stimolarne la crescita, è necessario aggiungere alle colture nutrienti potenzialmente nocivi per gli ecosistemi litoranei e per la qualità delle acque.Le diverse fonti e forme d’inquinamento dovrebbero far capire quanto è pericolosa l’azione, diretta o indiretta, dell’uomo sull’ambiente marino. Ciò non significa che si deve arrestare il progresso, ma soltanto che occorre prestare estrema attenzione ai fenomeni che avvengono nel mare e agli effetti indotti da certe attività umane, adoperandosi per limitare le più dannose se si vuole mantenere e utilizzare adeguatamente questa enorme fonte di risorse a vantaggio dell’intera umanità.

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