Il lavoro dal punto di vista delle scienze sociali

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Testo

Il Lavoro nelle Scienze Sociali
Per la maggior parte della popolazione adulta il lavoro occupa una parte della vita più consistente di qualsiasi altra attività. Spesso la nozione di lavoro è associata a quella di fatica, ma il lavoro è qualcosa di più della semplice fatica altrimenti le persone non si sentirebbero così disorientate quando lo perdono. Nelle società moderne avere un lavoro è importante per conservare la stima di sé. Anche quando le condizioni lavorative sono relativamente cattive e le mansioni da svolgere ripetitive, il lavoro tende a essere un fattore di importanza fondamentale per il benessere psicologico di un individuo. Il lavoro infatti, offre delle soddisfazioni intrinseche (come la possibilità di affermarsi ed esprimersi attraverso di esso) che assumono probabilmente un valore maggiore del denaro guadagnato. Diverse ricerche qualitative condotte mediante interviste individuali, confermano queste ipotesi. Molte delle persone intervistate sostengono infatti che la loro maggior preoccupazione non è la quantità di denaro che possono guadagnare, quanto piuttosto riuscire a dimostrare di saper svolgere bene l’attività che sono chiamati a compiere.
A conferma di ciò, è possibile osservare come le persone che vincono ad una lotteria non smettono di lavorare, sebbene svolgano compiti che possono apparire noiosi e ripetitivi. La maggior parte delle persone non cesserebbe di lavorare anche se possedesse una ricchezza tale da vivere agiatamente per il resto della propria vita.
Questo perché il lavoro offre importanti benefici tra i quali si può individuare:
1. Sicurezza del redito. Salari e stipendi sono la risorsa principale da cui la maggior parte degli individui dipende per soddisfare le proprie necessità. In assenza di un reddito tendono a moltiplicarsi le ansie sulla capacità di affrontare la vita quotidiana.
2. Acquisizione di competenze e capacità. Un’occupazione, anche se di routine, fornisce la base per l’apprendimento e l’esercizio di competenze e capacità.
3. Diversificazione dell’esperienza. Il lavoro garantisce l’accesso ad ambiti di vita diversi da quello domestico. Nell’ambiente di lavoro, anche quando le mansioni sono relativamente monotone, gli individui possono apprezzare lo svolgimento di attività che si discostano da quelle private.
4. Strutturazione del tempo. Per gli individui che hanno una regolare occupazione la giornata è di solito organizzata in base al ritmo di lavoro. Questo può risultare talvolta oppressivo, ma fornisce dall’altra parte una struttura alle attività quotidiane. I disoccupati indicano spesso nella noia uno dei loro principali problemi e sviluppano un senso di indifferenza nei confronti del tempo.
5. Contatti sociali. L’ambiente di lavoro offre spesso l’opportunità di stringere amicizie e di condividere con altri una serie di attività. La cerchia dei potenziali amici e conoscenti di un individuo escluso dal contesto lavorativo tende a restringersi.
6. Identità sociale. Il lavoro viene di norma apprezzato per il senso di stabile identità sociale che offre. Specialmente per gli uomini la stima di se è spesso legata al contributo economico dato al mantenimento della famiglia. Non è difficile, sulla base di questo elenco, comprendere perché la disoccupazione possa minare l’adesione degli individui ai valori sociali.
Tuttavia le persone che svolgono una professione il cui status è basso individuano nel denaro la principale forma di ricompensa lavorativa. Il salario e la sicurezza del posto del lavoro sono gli elementi che vengono più tenuti in considerazione nelle professioni meno prestigiose.
Una possibile spiegazione di ciò possiamo rintracciarla nella teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow. Egli identifica una scala di cinque livelli nei quali suddivide i bisogni che tutte le persone tendono a soddisfare, partendo dalle necessità essenziali di riproduzione e salendo man mano che un set di bisogni viene soddisfatto. I bisogni fisiologici di nutrirsi ed avere un’attività sessuale occupano il primo livello, seguiti poi dalle esigenze di sicurezza, amore autostima. Infine il bisogno di realizzazione personale, ossia il desiderio di dare sfogo alle proprie capacità, occupa la posizione più alta nella scala elaborata da Maslow. E’ probabile che le persone impegnate in professioni di status inferiore tendano a soddisfare essenzialmente i bisogni posti più in basso sulla scala di Maslow, in quanto non sono sufficientemente gratificate per curarsi di altre esigenze, come il desiderio di aumentare la propria autostima oppure la possibilità di una realizzazione professionale. Una spiegazione più radicale potrebbe invece suggerire che egli individui che svolgono le professioni di più alto livello non abbiano alcun interesse ad assegnare mansioni “interessanti” alle persone in una posizione inferiore, in quanto vogliono godere in forma esclusiva degli elementi più soddisfacenti e creativi di un’attività.
LAVORO RETRIBUITO E LAVORO NON RETRIBUITO
Tradizionalmente si tende a far coincidere il lavoro con il lavoro retribuito, ma si tratta di una semplificazione. Il lavoro non retribuito ( ad esempio la manutenzione della propria auto o le attività domestiche) occupa uno spazio rilevante nella vita di molte persone. Numerose forme di occupazione non rientrano nelle categorie convenzionali del lavoro retribuito. Gran parte del lavoro svolto nell’ambito del l’economia informale, ad esempio, non viene registrato dalle statistiche ufficiali sull’occupazione. L’espressione economia informale designa le attività esterne alla sfera dell’occupazione regolare, che comportano talvolta un pagamento in denaro, talvolta uno scambio diretto di beni o servizi. L’economia informale comprende anche numerose altre attività non retribuite cui le persone si dedicano in casa e fuori casa. Grazie al fai-da-te, ad esempio, vengono autoprodotti merci e servizi che altrimenti dovrebbero essere acquistati; il lavoro domestico, tradizionalmente riservato alle donne, è solitamente non retribuito, ma è comunque lavoro, spesso molto duro e faticoso; il lavoro di volontariato per associazioni di assistenza e altre organizzazioni svolge un importante ruolo sociale. Insomma, il lavoro retribuito è importante per le ragioni dette in precedenza, ma la categoria generale di lavoro è significativamente più ampia. In termini generali il lavoro, retribuito o meno, può essere definito come lo svolgimento di compiti che richiedono uno sforzo fisico o mentale con l’obbiettivo di produrre beni o servizi destinati a soddisfare i bisogni umani. Un’occupazione è una prestazione di lavoro regolarmente retribuita con un salario uno stipendio. In tutte le culture il lavoro è la base dell’economia, cioè l’insieme delle attività concernenti la produzione e la distribuzione di beni e servizi.
TENDENZE DEL SISTEMA OCCUPAZIONALE
Nelle società moderne l’economia si basa sulla produzione industriale. L’industria moderna si differenzia fortemente dai sistemi premoderni di produzione, fondati principalmente sull’agricoltura. Nelle società moderne solo una piccola parte della popolazione lavora nell’agricoltura che oltretutto è divenuta essa stessa un’attività industrializzata. Anche l’industria moderna è in continuo cambiamento, in funzione dell’innovazione tecnologica e del più ampio contesto socio-economico. Se consideriamo l’evoluzione del sistema occupazionale nei paesi industrializzati durante il XX secolo, vediamo con grande chiarezza questi cambiamenti. All’inizio del secolo il mercato del lavoro era dominato da mansioni industriali di tipo manuale, ma con il tempo la situazione è cambiata a tutto vantaggio delle occupazioni impiegatizie nel settore dei servizi. Nell’ultimo scorcio del secolo questo fenomeno si è ulteriormente accentuato e specificato a vantaggio dei lavori più qualificati, con un prevalente contributo femminile; a un ritmo sensibilmente inferiore sono cresciute le occupazioni nel settore dei servizi e del commercio, mentre sono diminuite le occupazioni impiegatizie tradizionali e, più sensibilmente quelle manuali. Le cause di questi cambiamenti sembrano molteplici. Tra esse, la continua introduzione di macchine risparmiatrici di manodopera, processo che negli ultimi anni è culminato nella diffusione della tecnologia informatica nell’industria.
L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA
Secondo alcuni studiosi stiamo oggi assistendo alla transizione verso un nuovo tipo di società non più basata prevalentemente sull’industrializzazione. Per descrivere questo nuovo ordine sociale sono state coniate diverse espressioni come società post-industriale, età dell’informazione ma quella che pare aver acquisito maggiore diffusione è economia della conoscenza.
Nell’economia della conoscenza la crescita della ricchezza è alimentata dalle idee e dalle informazioni; la maggior parte della forza lavoro è impegnata non nella produzione e distribuzione dei beni materiali, ma nella progettazione, nello sviluppo e nella commercializzazione di beni immateriali. La maggioranza di noi guadagna denaro vendendo aria: nulla di quello che produciamo può essere pesato, toccato o facilmente misurato. I nostri prodotti non vengono stoccati nei porti, immagazzinati nei depositi o spediti in vagoni ferroviari. La maggior parte di noi si guadagna da vivere fornendo servizi, informazioni e analisi in un call center, in uno studio legale, in un ufficio pubblico o in un laboratorio scientifico. Qual è la diffusione dell’economia della conoscenza all’inizio del ventunesimo secolo? Uno studio ha cercato di calcolarne le dimensioni misurando il peso dei settori legali alla conoscenza (alta tecnologia, istruzione e formazione, ricerca e sviluppo, finanza) in termini di investimenti e produzione. Alla metà degli anni ’90 l’industria della conoscenza copriva complessivamente oltre metà della produzione complessiva. Bisogna riconoscere che l’economia della conoscenza è un fenomeno difficile da definire, sia quantitativamente che qualitativamente. E’ più difficile misurare il valore dei beni materiali che quello di idee. Tuttavia è innegabile che la produzione e l’applicazione della conoscenza stanno diventando sempre più determinanti per l’economia delle società occidentali.

DIVISIONE DEL LAVORO E INTERDIPENDENZA ECONOMICA
Una delle caratteristiche maggiormente distintive del sistema economico moderno è lo sviluppo di una divisione del lavoro altamente complessa e diversificata. Nelle società tradizionali il lavoro extra- agricolo consisteva nell’esercizio di mestieri appresi attraverso un lungo periodo di apprendistato, contraddistinti da una caratteristica fondamentale: il lavoratore provvedeva di norma a tutti gli aspetti dell’intero processo produttivo, dall’inizio alla fine. Con l’avvento della produzione industriale moderna, molti mestieri tradizionali scomparvero del tutto mentre la maggior parte di quelli che sopravvissero fu incorporata in processi produttivi complessi e parcellizzati. La società moderna ha assistito anche un cambiamento dei luoghi in cui il lavoro può svolgersi. Prima dell’industrializzazione si lavorava soprattutto in casa, con il contributo di tutti i componenti della famglia. L’introduzione delle macchine industriali, prima a vapore e poi elettriche, contribuì alla separazione tra abitazione e lavoro. Le fabbriche divennero i luoghi fondamentali dello sviluppo industriale: in esse vennero a concentrarsi macchine e attrezzature mentre la produzione di massa sostituiva progressivamente quella artigianale. Chi accettava di lavorare nelle fabbriche veniva addestrato a svolgere un compito specifico ricevendo in cambio un salario. La prestazione lavorativa era soggetta al controllo dei responsabili dello stabilimento, che si preoccupavano di introdurre nuove tecniche per incrementare la produttività e la disciplina del lavoratore. Il contrasto tra le divisioni del lavoro nelle società tradizionali e in quelle moderne è davvero straordinario. La scarsa divisione del lavoro aveva un importante conseguenza sul tipo di economia delle società tradizionali: faceva si che la maggior parte della popolazione godesse di autosufficienza economica, poiché produceva cibo, vestiario e altri manufatti capaci di soddisfare i propri bisogni fondamentali; nelle società moderne, invece, l’altissima divisione del lavoro ha provocato un’enorme espansione del interdipendenza economica. Per i beni e i servizi necessari al nostro sostentamento tutti noi dipendiamo da un numero incalcolabile di altri lavoratori. Nelle società moderne la grande maggioranza degli individui non produce il cibo con cui si alimenta, le abitazioni nelle quali alloggia, i beni materiali e i servizi che consuma. I primi sociologi hanno scritto molto sulle conseguenze della divisione del lavoro sia per i singoli lavoratori che per la società nel suo complesso. Per Marx l’avvento dell’industrializzazione e del lavoro solitario comportava l’allienazione dei lavoratori: nella fabbrica essi perdevano completamente il controllo del proprio lavoro, erano obbligati a svolgere compiti monotoni e ripetitivi, venivano privati di ogni capacità creativa. Nel sistema capitalistico gli operai finiscono per adottare un approccio strumentale al lavoro, riducendolo a semplice strumento per guadagnarsi da vivere. Durkheim aveva una concezione più ottimistica della divisione del lavoro. A suo giudizio a specializzazione dei ruoli professionali rafforzava la solidarietà sociale, determinando il passaggio della solidarietà meccanica, tipica delle società tradizionali e fondata sull’uniformità, alla solidarietà organica, tipica delle società moderne e fondata sulle differenze. Anziché vivere in unità isolate e autosufficienti gli individui venivano ad essere legati dalla reciproca dipendenza, e la solidarietà era favorita dalle relazioni multidirezionali tra produzione e consumo. Durkheim riteneva questa una soluzione altamente funzionale per la società, anche se era consapevole del fatto che essa era minacciata da cambiamenti troppo rapidi, suscettibili di produrre questa perdita dei punti di riferimento normativi che egli chiamava anomia (forma patologica di malessere sociale).
LA PRODUZIONE DI GRUPPO
Questa interdipendenza sociale ha contribuito alla formazione di gruppi di lavoro nonché gruppi di produzione.
L’idea di fondo è quella di accrescere la motivazione dei lavoratori consentendo ai gruppi di collaborare al processo produttivo, invece di esigere da ciascun lavoratore di trascorrere la giornata svolgendo sempre lo stesso compito. Un esempio di produzione di gruppo è dato dai circoli di qualità, chiamati anche gruppi di problem-solving composti da un minimo di 5 a un massimo di 20 lavoratori che si incontrano regolarmente per discutere e risolvere problemi di produzione. Ai lavoratori che appartengono a questi circoli viene impartita una formazione aggiuntiva che consente loro di partecipare attivamente alla discussione dei problemi produttivi. I circoli di qualità sono stati introdotti negli Stati Uniti, che li avevano importati da alcune imprese giapponesi, per poi diffondersi in tutto l’Occidente. Essi rappresentano che i lavoratori possiedono le competenze per contribuire alla definizione dei compiti che svolgono. Anche in contesti lavorativi non automatizzati il lavoro di squadra si sta diffondendo in misura crescente come strumento per accrescere l’efficienza, stimolare lo sviluppo del prodotto, risolvere i problemi di produzione.
Il lavoro di squadra, o teamworking rappresenta l’attuazione di procedure di autogestione ed arricchimento delle mansioni lavorative. All’interno di un team i lavoratori possono acquisire diverse competenze, scambiandosi a turno i compiti, organizzando autonomamente la produzione e assumendosi la responsabilità del controllo della qualità e dei livelli di produzione. Il teamworking consente di mettere in atto delle dinamiche lavorative più coinvolgenti e stimolanti per i lavoratori. I sostenitori del lavoro di squadra ritengono che solo attraverso questa organizzazione del lavoro in questo modo sia possibile procedere con successo alla riduzione dei tempi morti, causati sia da fattori umani che tecnologici. I teamworking prevede che vi siano dei gruppi che possano organizzare autonomamente il proprio lavoro e predisporre le attività con cui realizzarlo. I gruppi dispongono quindi di una notevole discrezionalità nell’impostare tempi e metodi della produzione.
Questo sistema riduce la necessità di una supervisione e permette al gruppo di assumere il controllo del processo di produzione. Nonostante ciò all’interno di questi gruppi di lavoro talvolta emerge la figura del leader che assume un ruolo di leadership ovvero di conduttore del gruppo. Il leader può essere eletto dal gruppo stesso che dirige e quindi si parla di leadership emergente. Solitamente questa figura è caratterizzata da bune capacità intellettive, competenza tecnica, esperienza non che buona capacità nel persuadere e motivare il gruppo. Solitamente il leader per adempire al suo compito fa capo a due elementi fondamentali come la considerazione e strutturazione. Il primo elemento consiste nel prendere in considerazione le idee e le proposte di ogni componente del gruppo; il secondo elemento consiste nel saper organizzare in maniera efficiente il lavoro.
Questo approccio è usato spesso nella pubblicità e nel marketing: le squadre si formano attorno alla campagna per il lancio di un certo prodotto, subito dopo vengono smantellate e i loro membri destinati a nuovi progetti. Mettendo insieme persone di diversa formazione, le piccole squadre possono massimizzare le capacità e i contributi di ciascuno, sviluppando una maggiore creatività nella soluzione dei problemi.
IL MULTISKILLING
La produzione di gruppo e il lavoro di squadra vanno di pari passo con il multiskilling, cioè lo sviluppo di una forza lavoro con competenze multiple, capace di assumersi un’ampia gamma di responsabilità. La preferenza per il multiskilling ha ripercussioni sul processo di reclutamento del personale. Mentre un tempo le assunzioni erano determinate prevalentemente dall’accertamento dei titoli di studio e delle capacità professionali, molti datori di lavoro oggi cercano soggetti adattabili e in grado di acquisire rapidamente nuove competenze. La conoscenza approfondita di un dato software, ad esempio, può essere meno preziosa dell’attitudine a elaborare nuove idee. Le specializzazioni sono spesso una risorsa, ma i dipendenti che trovano difficile applicare creativamente capacità circoscritte a contesti nuovi possono non essere considerati adatti a un ambiente lavorativo flessibile e innovativo. Essere in grado di collaborare con altri ma anche di lavorare in maniera indipendente, di prendere l’iniziativa e di affrontare le sfide con creatività sono tra le qualità oggi più ricercate dai datori di lavoro. Il multiskilling è strettamente connesso con il concetto di formazione sul lavoro. Anziché impiegare persone con specializzazioni ben definite, molte aziende preferiscono assumere non-specialisti capaci di sviluppare nuove competenze direttamente sul posto di lavoro. Nel momento in cui cambiano le condizioni tecnologiche o di mercato, le aziende riqualificano i propri dipendenti a seconda delle mutate esigenze, anziché ricorrere a costose consulenze o sostituire il personale. Investire in un nucleo di dipendenti in grado di lavorare flessibilmente per l’azienda nel lungo periodo può essere una maniera strategica per affrontare un epoca di rapide trasformazioni. Questa forma di addestramento è economica perché non intacca in maniera significativa il numero di ore lavorate pur consentendo ai lavoratori coinvolti di ampliare le proprie competenze.
LA SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE
Con il tempo si ci è resi conto che le condizioni psico-sociali del lavoratore potevano influenzare la produzione. Al fine di determinare la veridicità di tale supposizione ebbero luogo gli esperimenti della scuola delle relazioni umane.
Le radici della scuola delle relazioni umane vanno ricercate nel XIX secolo, nelle ricerche svolte da Durkheim sull’anomia (una forma patologica di malessere sociale) e sui temi della solidarietà e dell’integrazione sociale. La corrente denominata scuola delle Relazioni Umane nacque nel corso della prima guerra mondiale. L’obiettivo della scuola era sviluppare un modello di relazione tra impresa e forza lavoro che puntasse sull’incentivazione dei lavoratori. Secondo i sui sostenitori, un simile approccio avrebbe permesso di aumentare l’efficacia dei processi produttivi e, al tempo stesso, di rendere più soddisfacente lo svolgimento delle attività lavorative. Il punto di partenza della scuola delle Relazioni Umane fu una serie di esperimenti condotti presso la Hawhawthorne Western Eletric Company a Chicago nel 1924. Una prima analisi venne condotta per cercare una relazione tra le condizioni ambientali all’interno dell’impianto (come la temperatura, l’umidità, l’illuminazione), la frequenza dei turni di riposo e la produttività dei dipendenti. Furono selezioni due gruppi di lavoratori che vennero spostati in differenti aree della fabbrica, ed uno dei due gruppi venne sottoposto ad alcuni cambiamenti nelle condizioni di lavoro. La produttività di entrambi i gruppi fu costantemente monitorata e l’esito dell’esperimento rilevò che il gruppo sperimentale aumentò la propria produttività prescindere dal variare di alcune condizioni ambientali, come l’illuminazione. L’output (produzione) del gruppo sperimentale cresceva anche nei momenti in cui l’illuminazione veniva ridotta sino ad equivalere a quella prodotta da una candela. Allo stesso tempo, anche la produttività del gruppo di controllo era cresciuta.
Il secondo set di esperimenti venne condotto in una sala di assemblaggio ed era focalizzato ad esaminare dettagliatamente gli effetti delle variazioni delle condizioni ambientali. Anche in questo caso, la produttività dei gruppi aumentava indifferentemente dalle variazioni che i ricercatori introducevano. La spiegazione a cui giunsero i ricercatori era che i lavoratori selezionati per gli esperimenti si consideravano parte di un gruppo speciale e si accorgevano di essere al centro di diverse attenzioni. Ciò contribuiva ad innalzare il loro morale e quindi la loro produttività.
Una successiva serie di ricerche venne condotta nei primi anni trenta. Queste riguardarono l’osservazione dettagliata di un gruppo di 14 persone che lavoravano in una banca, per un periodo di sette mesi. In tale occasione, le persone osservate vennero lasciate nel loro ambiente di lavoro quotidiano, dove fu però introdotto un sistema di incentivi economici per premiare ogni aumento dell’output. I membri del gruppo iniziarono a controllare autonomamente la propria produttività, limitandola a quanto ritenevano fosse giusto lavorare in relazione al compenso che ricevevano giornalmente. A tal fine definirono dei criteri per valutare delle soglie minime e massime di produttività; ogni trasgressore veniva redarguito verbalmente e anche minacciato fisicamente.
Questi studi influenzati notevolmente da teorici del management, sono divenuti famosi perché riuscirono a dimostrare l’importanza degli aspetti sociali nei contesti lavorativi descrivendo il modo in cui i membri di un gruppo di lavoro riuscivano a soddisfare determinate esigenze sociali intervenendo sulla produttività complessiva del gruppo. Le ricerche condotte dalla scuola delle relazioni umane misero in luce diversi punti deboli delle teorie manageriali più classiche, che trascuravano l’importanza che i legami informali fondati sull’amicizia o sull’appartenenza di gruppo rivestivano all’interno della struttura formale di una organizzazione. All’interno di una organizzazione formale stava dunque un’organizzazione informale, costituita da un tessuto di relazioni sociali basate su elementi affettivi come sentimenti ed emozioni, e che includeva e permetteva di esprimere tutti quei legami e quegli atteggiamenti che non potevano figurare su un organigramma, ma che risultavano determinanti nella configurazione dei comportamenti all’interno dell’organizzazione. I dirigenti incaricati di gestire simili gruppi, coesi ed affidati al punto di riuscire a controllare i livelli di produzione, avrebbero dovuto, secondo Mayo, sviluppare delle abilità sociali per aumentare l’attaccamento dei dipendenti al proprio lavoro e renderli più partecipi alla vita organizzativa. Mayo sosteneva che fosse possibile aumentare le motivazioni dipendenti, favorendo la loro cooperazione con la dirigenza e prestando più attenzione alle loro esigenze di natura sociale. Molti manager furono allora incoraggiati ad intervenire negli ambiti informali della propria organizzazione, al fine di ottenere e sviluppare un maggior consenso da parte dei dipendenti. La validità degli esperimenti condotti fu poi messa in discussione da alcuni ricercatori.
Psicologia del lavoro
Elton Mayo insieme ad altri psicologi e sociologi della Harvard University con i loro esperimenti e le loro ricerche, tentarono di migliorare la produttività, misero in evidenza l’importanza dello sviluppo di buone relazioni interpersonali tra i lavoratori come requisito essenziale per il rendimento produttivo. Nei successivi sviluppi del settore hanno giocato un ruolo molto importante altri studiosi e ricerche relative alle dinamiche di gruppo. Le aziende moderne dimostrano grande interesse per gli atteggiamenti dei dipendenti, le loro idee e il loro umore, infatti si diffonde sempre più l’opinione che gli atteggiamenti favorevoli verso l’azienda provochino una maggiore produttività. Gli atteggiamenti verso il lavoro ai quali è prestata maggiore attenzione sono la gratificazione, l’alienazione, la dedizione all’organizzazione e la motivazione alla mansione. Le gratificazioni vengono suddivise in intrinseche ed estrinseche. Le caratteristiche intrinseche sono quelle legate al contenuto del lavoro stesso, quindi ne fanno parte il successo, la competizione, il riconoscimento, la crescita e la responsabilità. Le caratteristiche estrinseche dipendono dall’ambiente di lavoro e comprendono la paga, i vantaggi aggiuntivi, la sicurezza sul lavoro, i criteri di conduzione dell’azienda e le condizioni di lavoro. L’alienazione è un senso di inadeguatezza e di emarginazione, o un sentimento di mancanza di significato del proprio lavoro e delle proprie capacità. La dedizione all’organizzazione è un sentimento complessivo verso l’azienda. Gli aspetti che rappresentano una forte dedizione sono: un’intima adesione agli scopi e agli ideali dell’organizzazione, una buona disposizione a impegnarsi in suo favore e una forte aspirazione a continuare il proprio lavoro al suo interno. Il coinvolgimento dei lavoratori è stato perlopiù analizzato come sentimento verso la propria mansione. Un atteggiamento positivo verso il lavoro è apprezzato perché favorisce l’autostima, diminuisce lo stress e, generalmente, migliora il rendimento. Lo stimolo economico non è così essenziale per gli atteggiamenti e le motivazioni del lavoratore. Il denaro è necessario per la sopravvivenza e per garantire un adeguato tenore di vita, ma dopo aver appagato i bisogni basilari, le persone aspirano ad altre affermazioni nell’ambiente di lavoro. I cambiamenti tecnici e sociali si verificano oggi così rapidamente da richiedere un repentino adeguamento dei sistemi organizzativi del lavoro, pena il loro stesso fallimento. E’ in questo contesto che emerge la figura dello psicologo industriale che si rifà alla teoria della psicologia industriale o meglio conosciuta come psicologia del lavoro. La psicologia del lavoro è lo studio dei comportamenti e degli atteggiamenti degli individui e dei gruppi in relazione allo svolgimento della loro attività professionale. L’applicazione della psicologia agli ambiti lavorativi mira a migliorare il rapporto tra individuo (o gruppo), azienda e ambiente di lavoro. Questo studio si occupa prevalentemente di progettazione, esecuzione e valutazione di procedure di selezione professionale, così come della messa a punto di prove psicologiche (test e interviste) per la scelta dei candidati. Gli psicologi del lavoro svolgono attività di consulenza all’interno delle aziende relativamente allo sviluppo delle carriere, alla formazione del personale, al miglioramento delle condizioni di produttività e al ricollocamento nel mondo del lavoro delle persone in mobilità. Gli psicologi industriali hanno il compito di studiare e progettare strutture di formazione e addestramento alle nuove tecnologie, sensibilizzando le aziende e gli organismi sociali deputati a questo compito. Per attuare tali progetti, è necessario contemperare le necessità produttive delle aziende con le richieste dei lavoratori, le esigenze sociali (ad esempio, l’inserimento lavorativo dei portatori di handicap o la riqualificazione professionale per i soggetti rimasti senza lavoro) e la quantità di fondi a disposizione. Perché il progetto formativo sia effettivamente adeguato a una certa persona, dotata di determinate capacità e in una specifica situazione professionale, culturale ed esistenziale, assumono dunque molta importanza le conoscenze fornite dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicologia dell’educazione. Le attuali procedure di selezione del personale, pur non essendo sempre in grado di garantire con assoluta certezza che una persona sia adatta a un certo impiego, sono molto più attendibili che in passato. La maggior parte di esse si basa sull’analisi delle capacità richieste per un determinato lavoro e, con un qualche margine di cautela, delle caratteristiche di personalità necessarie per garantire il successo in un certo ruolo. Quando è opportuno, queste procedure includono una valutazione dell’intelligenza e delle abilità specificamente richieste per l’impiego, ottenuta attraverso prove psicologiche. Gli strumenti a disposizione, oltre a test e questionari, sono molteplici e derivano in gran parte dalla psicologia sperimentale e dalla psicologia sociale.
Come già detto il lavoro rappresenta fondamentale importanza nella vita di un singolo individuo e della collettività. Poiché il benessere psico-sociale del lavoratore influenza la produttività, si è reso indispensabile contrastare tutto ciò che risultava dannoso per il personale. Ultimamente uno dei maggiori disagi in ambito lavorativo e rappresentato dal fenomeno del mobbing. La parola mobbing assume il significato di pratica persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica perpetuata dal datore di lavoro o da colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore per costringerlo alle dimissioni o comunque ad uscire dall’ambito lavorativo. I motivi della persecuzione possono essere dei più svariati: invidia, razzismo,diversità religiosa o culturale rispetto al gruppo prevalente ecc. Gli elementi identificativi del mobbing sono:
• Presenza di almeno due soggetti, il mobber e il mobbizzato (colui che subisce violenza) che entrano in contrasto tra loro;
• Attività vessatoria continua;
• Scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.
Dall’analisi del fenomeno sono state individuate due principali tipologie:
• Mobbing verticale: messo in atto dal datore di lavoro con l’intento di indurre il dipendente a licenziarsi;
• Mobbing orizzontale: praticato dai colleghi di lavoro e la vittima è uno di loro.
Solitamente l’azione di isolamento della vittima viene amplificata dai comportamenti dei “side mobbers”, cioè tutti quei soggetti che, pur non essendo diretti responsabili delle condotte “mobbizzanti”, scelgono di restare spettatori silenziosi delle persecuzioni a danno della vittima.

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