Tettonica a placche

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LA TEORIA DELLA TETTONICA A PLACCHE
Le teorie esposte nelle Unità precedenti hanno avuto un'importanza notevole per la formulazione di quella che oggi è la teoria globale universalmente accettata nel campo della geologia: la tettonica a placche (traduzione dall'inglese plate tectonics). La teoria della deriva dei continenti di Wegener ebbe il merito di introdurre l'idea della Pangea e del movimento orizzontale delle terre emerse, ma i continenti, come abbiamo visto, non vanno "alla deriva"; la teoria dell'espansione dei fondali oceanici di Hess, sebbene supportata da prove certe, non riusciva ancora a raggruppare in un quadro unitario tutti i fenomeni endogeni ed esogeni conosciuti. La teoria della tettonica a placche non ha né un padre né una data di nascita precisa: gli studi e le ricerche che si sono protratti per decenni dopo la scomparsa di Wegener hanno aggiunto gradualmente i tasselli fondamentali per la sua formulazione. Essa è stata definita esplicitamente in alcuni articoli pubblicati tra il 1967 e il 1968, e ha il merito di riuscire a spiegare e a collegare in modo semplice e organico tutti i fenomeni geologici che riguardano la dinamica della litosfera e la dinamica terrestre in generale.
FENOMENI SISMICI E TETTONICA A PLACCHE
L'idea fondamentale della teoria è che l'involucro rigido più esterno del pianeta, la litosfera, sia suddiviso in porzioni più piccole (placche), ognuna incastrata nell'altra come le tessere di un puzzle, a formare una sorta di "guscio" fratturato. In corrispondenza delle fratture, cioè in prossimità dei punti di contatto tra le placche, si verificano le condizioni necessarie per la genesi di fenomeni sismici.In particolare, si identificano quattro zone sismiche, che evidenziano l'esistenza di un movimento relativo delle placche in un quadro dinamico in continua evoluzione:
1) nelle rift valley delle dorsali medio-oceaniche, in cui si registrano ipocentri poco profondi (al massimo 70 km di profondità) associati a in tensa attività vulcanica;
2) lungo faglie molto estese (come la faglia di San Andreas in California o la faglia nord-anatolica in Turchia), sedi di notevoli spostamenti orizzontali, in cui si registrano ipocentri poco profondi ma con assenza di attività vulcanica;
3) in prossimità delle fosse oceaniche e degli arcipelaghi di isole vulcaniche a esse associati (come gli arcipelaghi del Pacifico occidentale), caratterizzati da ipocentri superficiali (fino a 70 km di profondità), intermedi (da 70 a
300 km) o profondi (da 300 fino a 700 km), la cui profondità aumenta con la distanza dalla fossa (fig. 1);
4) all'interno dei continenti, con ipocentri superficiali, in prossimità delle maggiori catene montuose che si sono formate a causa di spinte compressive.
Queste zone sismiche si estendono in fasce allungate e ristrette della litosfera e marcano i bordi delle placche (nrargini di placca), che vengono distinti in base al tipo di movimento relativo che si verifica tra le due placche a contatto (fig. 2):
• margini divergenti (o costruttivi): le placche a contatto si allontanano formando fratture nelle zone di rift; i magmi in risalita colmeranno
queste fratture, generando nuova crosta che andrà a costituire il fondale di nuovi oceani;
• margini conservativi: sono margini in cui si registra solo il movimento relativo orizzontale tra le placche adiacenti in corrispondenza di estese faglie.
• margini coni-ergenti (o distruttivi): le placche a contatto premono l'una contro l'altra provocando lo scivolamento verso il basso della placca composta da litosfera più densa, che si immerge lungo un piano inclinato (piano di Beniu('1) lungo il quale si concentrano gli ipocentri dei terremoti. Il fenomeno che porta la placca più densa a scorrere sotto quella meno densa e a sprofondare per essere riassorbita nel mantello viene chiamato 5ubduzione. La distruzione della crosta oceanica generata dalla dorsale si verifica in corrispondenza delle fosse oceaniche (fig. 3). L'evoluzione di questo tipo di margine porta alla formazione di catene montuose che indicano la fine del fenomeno di subduzione (§ 8).
CARATTERISTICHE DELLE PLACCHE
Il modello proposto oggi prevede la suddivisione in 12 placche principali e numerose altre secondarie (fig. 4). Le placche non sono "piatte", ma seguono la curvatura terrestre e pertanto sono in movimento sii una superficie sferica. Le loro dimensioni sono variabili: esistono placche molto estese come la placca pacifica, che comprende quasi tutto l'oceano omonimo, e placche con superficie ridotta come la placca ellenica, che comprende parte della Penisola balcanica e del Mar Egeo. Anche la loro composizione è variabile: alcune placche sono composte in prevalenza da crosta oceanica (placca pacifica), altre quasi esclusivamente da crosta continentale (placca dell'Iran), altre ancora in egual misura (la crosta oceanica e da crosta continentale (placca africana). Secondo il modello della tettonica a placche, infatti, continenti e fondali oceanici vengono trasportati dallo stesso meccanismo. Non sempre le placche sono delimitate contemporaneamente dai tre tipi di margine descritti in precedenza: esistono placche caratterizzate in prevalenza da margini divergenti (placca africana), destinate ad aumentare la loro superficie; altre placche sono delimitate in prevalenza da margini convergenti (placca pacifica), e sono destinate a diminuire la loro superficie. Inoltre, le dorsali o le fosse di subduzionc possono essere sormontate (la placche in espansione, come accade nella zona occidentale del Nord America, dove la placca nordamericana sovrascorre sulla dorsale Est pacifica che "scompare" nel Golfo di California. La direzione del movimento relativo di una placca rispetto a quella adiacente non è necessariamente perpendicolare alla rift valley della dorsale o alla fossa oceanica: è individuabile solo in prossimità delle faglie trasformi, poiché si tratta dell'unica zona in cui il moto della placca è parallelo alla direzione della faglia. La velocità di separazione delle placche si può calcolare agevolmente studiando l'andamento simmetrico rispetto alla dorsale delle anomalie magnetiche dei fondali; la velocità varia da qualche centimetro all'anno nell'Oceano Atlantico, fino a una ventina di centimetri all'anno nell'Oceano Pacifico (fig. 5).
I MARGINI CONTINENTALI
In questo scenario dinamico, in cui assumono importanza fondamentale i contorni delle placche litosfenche, è necessario delineare le caratteristiche tettoniche dei margini dei continenti che possono trovarsi all'interno delle placche, oppure in prossimità (lei margini di placca. Un criterio fondamentale che viene utilizzato per la classificazione dei margini continentali è la presenza o l'assenza di fenomeni sismici e vulcanici. I margini continentali passivi si trovano all'interno delle placche, seguono il limite tra crosta oceanica e crosta continentale (in corrispondenza della scarpata continentale), sono caratterizzati dall'assenza di fenomeni sismici e vulcanici e dall'abbondante sedimentazione di detriti sulla estesa piattaforma continentale. Margini continentali di questo tipo si ritrovano per esempio ai due lati dell'Oceano Atlantico, in posizione opposta rispetto alla direzione di spostamento della placca, e sono tipici di oceani in espansione.
I margini continentali trasformi formano ripide scarpate continentali, a ridosso della linea di costa, che impediscono lo sviluppo della piattaforma continentale. Sono anch'essi tipici di oceani in espansione (si trovano quindi in posizione opposta rispetto alla direzione di spostamento della placca) e sono conseguenza della non omogeneità della zona di fratturazione continentale che darà origine al nuovo oceano. I margini continentali attivi si trovano in corrispondenza (lei margini convergenti. Normalmente si sviluppano nella direzione di spostamento della placca e sono caratterizzati da un'intensa attività vulcanica e sismica. Molte zone di subduzione sono caratterizzate dalla presenza di margini continentali attivi su almeno una delle due placche (coste occidentali del Sud America). I margini passivi e trasformi si formano come conseguenza della fratturazione continentale che darà origine all'apertura di un nuovo oceano e sono legati a situazioni di stabilità tettonica. I margini attivi sono principalmente legati a strutture caratterizzate da intensa attività tettonica, chiamate "sistemi arco-fossa".
Come si formano gli oceani
I margini continentali passivi e trasformi si trovano ai lati di un oceano in espansione che si forma a causa della separazione continentale. Per capire come si possa fratturare una massa continentale per dare origine a un oceano, possiamo ricostruire quali siano stati i fenomeni che hanno dato origine all'Oceano Atlantico a partire da 180 milioni di anni fa. Il processo inizia quando nel mantello si instaura una nuova cella convettiva, con materiale caldo in risalita che provoca un inarcamento della litosfera continentale stabile. La litosfera ha un comportamento fragile e quindi, quando gli sforzi superano il limite di elasticità, si frattura formando faglie parallele che indicano la futura direzione della rift valley (fig. 8a). Se i moti convettivi originari non sono allineati, producono una dislocazione originaria nelle zone di frattura e quindi la formazione di margini continentali trasformi come le coste africane tra Liberia e Ca merun e la costa dell'America del Sud tra Recife e la Guiana (fig. 6 e 7). Ma torniamo alle fasi iniziali della separazione del continente: a mano a mano che le spinte dal basso e lo stiramento della litosfera proseguono, le faglie formatesi inizialmente nella zona di frattura arrivano a interessare tutto lo spessore del materiale fragile: prismi di roccia di dimensioni gigantesche sprofondano verso il basso, formando un'ampia zona allungata depressa (rift continentale), caratterizzata nella sua parte assiale da eruzioni vulcaniche che daranno origine in seguito alla rift valley della dorsale oceanica (fig. 8b). Quando la zona centrale della rift valley, soggetta a subsidenza, raggiunge quote topografiche al di sotto del livello del mare, può essere invasa da acque salmastre: si formano laghi di origine tettonica che seguono l'andamento allungato della zona fratturata. La frattura continentale può estendersi fino a formare un proto-oceano, collegato ai principali bacini marini già esistenti ma il cui fondale è ancora costituito prevalentemente da litosfera continentale (fig. 8c). Se poi i movimenti distensivi proseguono, si ha l'apertura di un oceano vero e proprio con formazione di litosfera oceanica e di margini continentali passivi (fig. 8d). Attualmente nel mondo esistono situazioni tettoniche in cui si possono riconoscere tutte le fasi evolutive descritte. La fase di fratturazione continentale si riscontra nella zona del Corno d'Africa, nella cosiddetta rift valley africana che si estende dall'altopiano etiopico a Nord (che testimonia l'inarcamento della litosfera), attraversa il Kenya e la Tanzania fino al Mozambico. Numerosi sono i laghi di forma allungata nella zona depressa: Turkana (Kenya), Alberto (Uganda), Tanganica (Tanzania), Malawi Niassa (Malawi-Mozambico) (fig. 9). Poco più a Nord dell'altopiano etiopico si trova il Mar Rosso, che invece rappresenta una fase precoce di apertura di nuovo oceano: nella parte centrale del braccio di mare allungato si hanno evidenze di formazione di crosta oceanica tra le coste dell'Egitto e della Penisola arabica, in origine unite e ora diventate margini continentali passivi. L’Oceano Atlantico,infine, può essere ritenuto un esempio di oceano aperto che ha raggiunto lo stadio adulto.
I sistemí arco-fossa
I margini continentali attivi sono spesso associati a sistemi arro-fos5a: questi si formano nelle zone di convergenza tra due placche e sono la tipica struttura tettonica prodotta dal fenomeno di subduzione, che consiste nello sprofondamento della placca più densa in profondità fino al completo riassorbimento nell'astenosfera (fig. 10).
Le fosse oceaniche sono i luoghi dove la placca più densa, composta da crosta oceanica (la crosta continentale ha una densità troppo bassa per partecipare ai fenomeni di subduzione), si immerge in profondità nella zona di subduzione. Esse sono presenti soprattutto nell'Oceano Pacifico, dove raggiungono i 30 000 km di lunghezza, sono larghe dai 50 ai 100 km e profonde circa 6 km a partire dal fondale oceanico. La placca in subduzione forma la parte esterna della fossa (meno ripida) e trasporta sulla sua superficie un cospicuo spessore di sedimenti oceanici che vengono asportati dall'azione compressiva esercitata dal margine dell'altra placca che, come una ruspa, li accumula sul lato interno (più ripido) della fossa. Se la quantità di sedimenti accumulati (talora misti a lembi di crosta oceanica) è considerevole, essi possono arrivare a emergere sopra il livello del mare, formando arcipelaghi di isole costituiti da lembi di successioni sedimentarie fittamente ripiegati e metamorfosati che prendono il nome di complessi di accrezione. Esempi di isole che si sono originate in questo modo sono Nias e l'arcipelago Mentaway in prossimità della fossa di Giava, a SudOvest dell'isola di Sumatra in Indonesia (fig. 11). Procedendo verso l'interno della struttura, cioè sulla superficie della placca sovrastante, si trova un'area pianeggiante in cui prevalgono sedimenti poco o affatto deformati, chiamata intervallo arco-fossa. Questa zona funge da raccordo cori una serie di rilievi di origine vulcanica (arro vulcanico), che possono porre le loro basi e accrescersi (impostarsi) su crosta oceanica emergendo dalla superficie del mare per formare arcipelaghi di isole (Giappone, Filippine, arcipelago indonesiano), oppure su crosta continentale formando catene montuose di origine vulcanica (cordigliera andina in Sud Ainerica). Le sacche magmatiche che provocano i fenorneni vulcanici sono originate dalla fusione parziale, in prossimità del piano di Benioff, della litosfera oceanica in subduzione. Il materiale fuso, più leggero, in parte risale in superficie formando vulcani a prevalente attività esplosiva con lave di composizione andesitica, in parte dà origine a corpi magmatici (da grossi batoliti a più modesti filoni) che rimangono intrappolati nella crosta sottostante all'arco stesso. Ancora più all'interno, se l'arco vulcanico è insulare, si trova una zona depressa soggetta a distensione che forma (lei profondi bacini impostati su crosta oceanica, chiamati bacini marginali. Esempi di questi bacini si possono trovare nell'area del Pacifico occidentale a ridosso degli arcipelaghi del Giappone (Mar del Giappone), delle Filippine (Mar Cinese Meridionale), delle Curili (Mar di Ohotsk) e delle Aleutine (Mar di Bering): sono compresi tra l'arco vulcanico e il margine continentale passivo dell'Asia orientale. Altri bacini marginali sono i bracci di mare alle spalle dell'arcipelago indonesiano, il Mar Egeo e il Mar Tirreno alle spalle dell'arco vulcanico delle Eolie (fig. 12). Zone depresse interne sono presenti anche se l'arco vulcanico è impostato su crosta continentale; in questo caso il bacino non avrà carattere oceanico e assumerà l'aspetto di una zona pianeggiante emersa, soggetta a essere ricoperta dai prodotti vulcanici e dalla sedimentazione dei detriti che vengono erosi dalla catena montuosa adiacente (per esempio il bacino del Rio delle Amazzoni, la pianura del Gran Chaco e le Pampas in Sud America, a ridosso delle Ande).
PUNTI CALDI
Sebbene la maggior parte delle attività tettoniche si svolga nelle vicinanze dei margini di placca, l'attività vulcanica è presente anche in zone centrali e interne alle placche stesse (vulcanismo intraplacca), come nelle isole Hawaii e come nel Parco Nazionale di Yellowstone negli Usa. Queste aree, caratterizzate da intense effusioni laviche e da notevole inarcamento litosferico, vengono comunemente chiamate punti caldi (dalla terminologia inglese hot spots) (fig. 13). Le lave sono di tipo basaltico, come quelle che fuoriescono dai centri di emissione delle dorsali, ma più ricche in elementi alcalini. La causa di questa attività (che interessa meno dell'1% dei vulcani terrestri) è la presenza, al di sotto delle placche litosferiche, di pennacchi (in inglese marctle plumes), colonne di roccia molto calda che risalgono verso la superficie da parti profonde del mantello. Non è ancora ben chiaro se il materiale incandescente si origini da zone relativamente profonde (700 km) oppure in prossimità del contatto mantello-nucleo esterno. I pennacchi del mantello possono trovarsi indifferentemente all'interno delle placche o ai loro margini, soprattutto in prossimità delle dorsali medio oceaniche (Islanda, isole Azzorre), e possono restare attivi per decine di milioni di anni mantenendo una posizione fissa nel tempo. Ne consegue che l'attività vulcanica, sulla placca in movimento al di sopra di essi, si sposterà nel tempo in una direzione opposta a quella del movimento effettivo della placca, formando una catena lineare di vulcani (fig. 14). Il concetto di punto caldo fu introdotto nel 1963 da J. Tuzo Wilson dell'Università di Toronto, che studiò in particolare l'arcipelago delle isole Hawaii. Attualmente il punto caldo alimenta i vulcani attivi dell'isola di Hawaii (all'estremità sudorientale dell'arcipelago) tra cui il Mauna Loa e il Kilauea. Le altre isole non possiedono vulcani attivi e hanno una superficie più ridotta a mano a mano che si procede verso la parte nordoccidentale della catena, cioè verso le isole più vecchie e maggiormente soggette a fenomeni erosivi. Inoltre, proseguendo l'analisi del fondale oceanico lungo quella direzione, si nota la presenza di guyot (montagne sottomarine dalla cima piatta), costituiti da rocce vecchie fino a 40 milioni di anni, che testimoniano come ormai in quella zona l'attività vulcanica sia estinta da tempo ancora maggiore. La catena di vulcani sottomarini cambia bruscamente direzione e punta decisamente verso Nord per età superiori a 40 e fino a 70 milioni di anni, formando la Catena dell'Imperatore, che si distende fino al largo della penisola di Kamchatka (fig. 15). Sebbene mai osservata direttamente, la presenza dei pennacchi è testimoniata da valori particolarmente alti del campo gravitazionale misurato da satellite, dovuti probabilmente a un eccesso di massa conseguente agli inarcamenti della litosfera in prossimità del pennacchio stesso. Il fatto che i punti caldi abbiano una vita media di circa 100 milioni di anni, durante la quale possono spostarsi leggermente dalla posizione originaria, per poi estinguersi, fa in modo che siano cosiderati una prova del movimento delle placche litosferiche e un valido metodo per ricostruire la loro direzione di movimento.

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