Lago di Garda

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IL LAGO DI GARDA

Il lago di Garda, con una superficie di circa 370 kmq, è il più vasto lago d'Italia.
Occupa una profonda fossa, che raggiunge nella parte settentrionale i 278 m sotto il livello del mare.
Il bacino idrografico del lago, formato dalla regione che comprende tutte le acque, i fiumi, i torrenti e gli affluenti, che confluiscono nel lago, calcolato di 2290 kmq, è piuttosto piccolo rispetto alla superficie lacustre. [1]
Tale è la sua estensione, che persino Virgilio, il grande poeta latino, gli dedicò alcuni versi, in cui lo paragona al mare, per la sua estensione e le sue tempeste.[2]
Il territorio della Gardesana veronese si estende ai piedi del monte Baldo e comprende i grandi anfiteatri morenici del Garda, di Rivoli ed, in parte, il territorio originato dalla grande conoide atesina formatasi dall'enorme trasporto di ciottoli, limo e sabbia verso la pianura., dopo lo scioglimento dei ghiacciai. [3]
La grande quantità di acqua presente nel suo bacino, trasforma il Garda in un serbatoio di calore, che contribuisce a mantenere un microclima perennemente temperato, favorendo una vegetazione mediterranea.[4]
Infatti il territorio della Gardesana ha un caratteristico ambiente climatico, che si avvicina, per le condizioni termiche particolarmente felici, a quello "mediterraneo".
La regione del Garda è stata inclusa nella cosiddetta "regione insubrica", caratterizzata da un clima dolce e dalla presenza di specie vegetali ed animali che sono del tutto assenti nelle altre vicine regioni della zona prealpina.[5]
Giuridicamente la zona del Lago di Garda è suddivisa in 82 comuni, dei quali 43 facenti parte della provincia di Brescia, 6 Mantova, 19 Verona e 14 Trento, per un totale di circa 350.000 abitanti, che hanno avuto questo andamento negli anni del dopoguerra [6]:

ANNO
POPOLAZIONE
1951
321.000
1961
332.000
1971
350.000

Dal 1971 ad oggi la popolazione è rimasta pressochè invariata, a causa del forte calo demografico che ha caratterizzato questo ultimo scorcio di secolo.
La popolazione residente è rimasta costante, mentre è cresciuto notevolmente il numero delle persone che si recano sul lago in villeggiatura; anche lo sviluppo edilizio è quasi interamente legato al turismo. [7]
indice
ECONOMIA DELLA ZONA
L’economia lacuale è caratterizzata da due distinti aspetti, che nella realtà si combinano in vario modo, dando luogo alle più varie conformazioni economiche.
Queste due componenti sono : il reddito proveniente dal turismo, che rappresenta l'entrata maggiore, e quello frutto dell'attività produttiva della zona.
L'economia lacuale era originariamente depressa e la spesa turistica rappresentava un afflusso di reddito proveniente dall'esterno, che si presentava sotto forma di spese turistiche e investimenti residenziali, e modificava solo stagionalmente la fisionomia e la struttura dell'economia locale.[8]
Per quanto riguarda la zona del Benaco, l'agricoltura è sempre stata l'attività principale, favorita dal terreno e dal clima, particolarmente favorevole per le più diverse colture.
Infatti le sponde del Garda sono cinte da una corona di fertili colline ricoperte di vigneti, in mezzo ai quali prosperano l'olivo, gli alberi da frutto, il frumento e gli agrumi.
Negli ultimi decenni, grande sviluppo ha avuto l'industria turistica, favorita dalla mitezza del clima e dalla bellezza del paesaggio.
Il lago è diventato in poco tempo un rinomato luogo di villeggiatura, soprattutto per i turisti stranieri.[9]

ANNO
ITALIANI
STRANIERI
1965
1.435.000
3.688.000
Queste presenze sono aumentate costantemente, senza periodi di particolare crisi, fino ad arrivare nel 1996, a circa 8 milioni di villeggianti, di cui il 70 % rappresentato da turisti stranieri.[10]
indice

BARDOLINO
Bardolino si trova sulla sponda orientale del lago di Garda, più comunemente detta sponda veronese.
Bardolino è stato definito "ridente occhio del lago"[11]: definizione meritata considerando l'aperta posizione del paese lungo la sponda veronese del Garda.
L'origine di questo paese è assai remota e risale ai palafitticoli, verso la fine del terzo millennio prima di Cristo. [12]
Da borgata, sia pur importante, di agricoltori e pescatori, dagli anni Cinquanta Bardolino è divenuto una rinomata stazione turistica ed uno dei più frequentati centri balneari della riviera.[13]
Bardolino conserva la tipologia di un centro agricolo, benchè‚ dopo la seconda guerra mondiale, il turismo rappresenti la principale fonte di ricchezza per la sua popolazione.
Prodotti caratteristici sono l'olio e soprattutto il vino, le cui produzioni hanno ormai soppiantato tutte le altre colture.
La viticoltura di questa zona ha preso l'indirizzo di una produzione di pregio altamente qualificata, rappresentata ottimamente dal vino che prende il nome da questo paese.
Infatti l'origine del vino "Bardolino" riguarda la posizione geografica della zona produttiva, facente capo, appunto, al Comune di Bardolino.[14]
La zona di produzione del "Bardolino" comprende gran parte del territorio dei Comuni di Bardolino, Garda, Lazise, Affi, Costermano, Cavaion, Torri del Benaco, Caprino, Rivoli, Pastrengo, Bussolengo, Sona, Sommacampagna, Castelnuovo, Peschiera e Valeggio.
La denominazione "Bardolino classico", invece, è riservata esclusivamente al vino prodotto nella zona più antica, corrispondente al territorio compreso fra i Comuni di Bardolino, Lazise, Garda, Affi, Costermano e Cavaion.
Attualmente il comune di Bardolino è il maggior produttore del vino omonimo con un totale d'uve che, nel 1974. si aggirava sui 40-45.000 q.li pari a 28-31.000 hl di vino, che sono passati a circa 176.800 q.li nel 1994, pari a circa 124.000 hl di vino.[15]
La popolazione residente di Bardolino non ha mai subito rilevanti modifiche, mantenendo un livello di crescita pressochè costante :

ANNO
POPOLAZIONE
1951
4.150
1961
4.351
1971
4.400 [16]
1991
5.200
1997
6.000[17]

Per quanto riguarda il turismo valgono le stesse considerazioni riportate per l'intera zona lacustre.
Infatti nel periodo di villeggiatura, i turisti arrivano a quadruplicare la popolazione di Bardolino.

indice

IL QUADRO ECONOMICO GENERALE
TRA '800 e 900
Per capire come e perchè in una zona si siano sviluppate alcune attività a scapito di altre, è opportuno ripercorrere le principali tappe, attraverso le quali si sono sviluppate determinate scelte.
Durante il secolo XVII il territorio veronese faceva parte della Repubblica di San Marco.
Di questo periodo esistono notizie frammentarie, tali da dare solo un panorama generale della situazione nella zona [18] : la popolazione era dedita all'agricoltura e nella vita economica persistevano le caratteristiche tradizionali, la proprietà fondiaria era generalmente condotta a mezzadria e i prodotti agricoli, in particolar modo l'uva, venivano suddivisi a metà tra il proprietario ed il mezzadro, salvo un quindicesimo del prodotto totale in più al padrone a titolo di regalia, considerato come compenso per i prodotti che il colono e la sua famiglia potevano consumare vivendo sul fondo. [19]
La lavorazione della vigna "ad opera", cioè servendosi di lavoratori non fissi, invece, era rarissima e ristretta a piccoli poderi.[20]
La scarsezza e la povertà delle strade e dei mezzi di trasporto rendevano estremamente limitati e difficili gli scambi e il commercio; le produzioni agricola e manifatturiera convivevano negli stessi luoghi ed erano per lo più dirette all'autoconsumo.[21]
All'inizio del secolo XIX il territorio della Gardesana era suddiviso fra l'Austria e la Repubblica Cisalpina del Benaco voluta da Napoleone, che aveva Desenzano come capoluogo.
Il confine fra le due amministrazioni, tagliando a metà il lago, partiva immediatamente a nord di Lazise e procedeva verso sud-est fino a Verona, dove l'Adige divideva politicamente in due parti la città.[22]
Nel 1801 dopo la sconfitta dell'Austria a Marengo la delimitazione politica tra la nuova Repubblica Italiana e tutta la zona del Garda si ritrovò riunita nel "distretto del Mincio", che comprendeva anche Verona, con capoluogo Mantova.
Questa situazione durò fino al termine della dominazione francese nel 1815 e nei successivi "compartimenti" fino alla liberazione del Veneto nel 1866. [23]
Con l'entrata nel Regno Italico di Napoleone all'inizio dell'800, si ebbe un periodo funestato da guerre e occupazioni militari, che causarono il consumo e la dispersione di molte risorse.
La situazione divenne quasi insostenibile anche a causa di alcune stagioni avverse, che provocarono, attorno al 1815, una grave crisi agricola.
Nonostante le continue guerre, la dominazione francese rinnovò l'amministrazione, e pose le basi per una nuova struttura sociale e per nuove forme di produzione, che vennero agevolate dal miglioramento della viabilità, grazie alla sistemazione delle grandi arterie interprovinciali e la costruzione di nuove strade carrozzabili che collegavano i paesi fra loro e con la città. [24]
Cominciarono così a diminuire gli ostacoli al traffico e al commercio e si sviluppò un'economia di scambio, anche se le continue depredazioni e requisizioni napoleoniche ebbero gravi ripercussioni sull'agricoltura e sull'economia in genere.
Quando nel 1814 tornarono gli Austriaci, nel territorio lombardo-veneto, si trovarono di fronte a due realtà economiche estremamente diverse.[25]
Infatti, mentre la Lombardia poteva vantare un efficiente assetto delle attività agrarie, che già nel passato avevano dimostrato di poter competere con le più evolute strutture produttive nord europee, ben diversa era la realtà strutturale e produttiva del Friuli e del Veneto.
In particolare, le manifatture venete, che avevano subito gravi danni a causa della politica economica napoleonica, ormai languivano, subendo il nuovo assetto commerciale che privilegiava i cosiddetti "beni nazionali" austriaci.
Nessun incentivo alle manifatture connotava la politica imperiale, quanto piuttosto la tendenza ad accattivarsi il ben volere delle popolazioni attraverso la riduzione e la perequazione della pressione fiscale e una attenta politica annonaria che garantisse i più elementari mezzi di sostentamento, per scongiurare la carestia.[26]
La viticoltura e la bachicoltura costituivano i pilastri produttivi e reddituali del mondo rurale veneto.
Con l'introduzione della ferrovia, la zona del Lago di Garda venne attraversata dall'importante linea Milano-Venezia e i commerci e i viaggi si moltiplicarono, e l'economia e l'agricoltura ne trassero grande giovamento. [27]
Verso il 1850 le coltivazioni viticole e gli allevamenti di bachi da seta furono colpite da due terribili malattie, l'oidio e il calcino, che, unite ad alluvioni e carestie incrinarono le già modeste potenzialità produttive della zona, cosicchè i primi anni dopo il 1866, quando il Veneto entrò a far parte del Regno d'Italia, furono caratterizzati da una grave depressione.[28]
Inoltre Verona non faceva più parte del Quadrilatero, zona militare formata da Verona con Villafranca, Peschiera e Mantova, e perciò aveva perso la notevole importanza di cui prima era investita.
Di conseguenza il valore del mercato cominciò a calare, la disoccupazione aumentò e si manifestò una forte emigrazione.[29]
Nei primi anni dell'attuale secolo, la viticoltura del territorio gardesano non era ancora stata colpita dalla fillossera; la zona di Bardolino ne fu colpita nel 1911.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la parte della Gardesana confinante con il territorio trentino, occupato dall'Austria, venne direttamente investita nelle operazioni belliche.
Le imponenti operazioni militari connesse col primo conflitto mondiale interruppero la ricostruzione antifillosserica la quale, a causa di questi avvenimenti ed ai difficili anni che seguirono, subì un notevole ritardo.[30]
Durante la prima guerra mondiale si ebbe una diminuzione della produzione causata dalla sottrazione di braccia al lavoro, ma grazie all'impiego di donne, vecchi, bambini ed invalidi, cui venne affidata l'agricoltura, si riuscirono a garantire le produzioni fondamentali; inoltre vennero concessi esoneri e licenze per il personale delle aziende agrarie, per rendere meno gravi i danni alla produzione.[31]
Inevitabilmente la produzione successiva segnò una sensibile diminuzione.
I 13.500 ettari di vigneto specializzato esistenti nella collina veronese, prima della guerra, si erano ridotti nel triennio 1929-31 a soli 8.500, e la produzione dell'uva dai 514.000 qli del periodo 1909-14 era scesa a meno della metà, 207.300 qli.[32]
Dopo la guerra furono iniziate molte opere per ricostruire le zone sede di operazioni di guerra, e nonostante il clima della ricostruzione non fosse tranquillo a causa di scioperi e violenze, si riuscì a far ripartire le attività produttive.[33]
La ripresa non si fece attendere e quando salì al potere il governo fascista erano in fase di sviluppo varie nuove attività, fra cui quella industriale, grazie anche al clima di forzata "tranquillità sociale" che venne instaurato.
In questo periodo, inoltre, l'agricoltura in particolar modo ebbe notevole impulso grazie al progresso tecnico e ai miglioramenti fondiari.
La viticoltura era però ristagnante, decaduta rispetto al periodo antecedente al 1914.
La causa fondamentale sembra legata al minor consumo da riferire al diminuito potere d'acquisto della popolazione, e alle minori possibilità di esportazioni. [34]
Nel 1939 ebbe inizio la seconda Guerra Mondiale : l'inflazione aumentò in maniera incontrollabile e i rifornimenti divennero sempre più difficili a causa della scarsità dei raccolti e dell'assorbimento da parte delle truppe tedesche di gran parte delle risorse.[35]
Anche quando cessarono le ostilità, la situazione non migliorò perchè i mezzi tecnici insufficienti, gli scioperi e le agitazioni non permisero una regolare ripresa dell'attività produttiva.
Dopo enormi sforzi per ricostruire le zone distrutte dai bombardamenti e per riportare l'economia verso i livelli prebellici, negli anni Cinquanta ebbe inizio il vero e proprio sviluppo economico, il cosiddetto "boom", dovuto soprattutto ai settori secondario e terziario.[36]

indice

LA VITICOLTURA
Il Veneto è terra di antiche tradizioni viticole, perciò l'attuale fisionomia viticola della Regione non può essere considerata il frutto esclusivo delle recenti scelte.
Anche dopo la ricostruzione post-fillosserica di fine Ottocento il Veneto ha saputo dare una particolare qualificazione alle proprie produzioni, grazie alla rilevante presenza della cooperazione vitivinicola sia sul piano tecnico che su quello sociale e grazie anche alla spinta impressa dalla disciplina per la tutela delle denominazioni di origine dei vini.
Questo è un fatto interessante se si considera che nel secolo scorso le produzioni vitivinicole venete erano notevolmente decadute, con eccezione di quelle tradizionalmente più importanti.[37]
La superficie coltivata a vite da uva da vino, copre nella regione complessivamente 175.275 ettari, di cui 119.000 ha in coltura specializzata, a fronte di appena 61.000 ha coltivati a vite da uva da tavola.
Significativa è l'evoluzione della coltura della vite da promiscua a specializzata negli ultimi decenni :[38]


ANNO
COLTURA PROMISCUA
COLTURA SPECIALIZZATA
1960
ha 406.106
ha 57.993
1969
ha 261.151
ha 82.179
1970
ha 97.890
ha 116.164
1977
ha 56.096
ha 119.118

La produzione viticola è una delle componenti fondamentali dell'economia agricola veronese ed occupa un posto di primo piano nell'ambito nazionale.
Infatti la provincia di Verona detiene il primato esclusivo, tra tutte le provincie italiane, di maggior produttore di vini a denominazione di origine controllata.[39]
La viticoltura a Verona è quasi totalmente insediata nelle zone pedemontane e collinari, e copriva nel 1977 circa 30.000 ettari, di cui quasi 26.000 in coltura specializzata.
La produzione annuale si aggira sui 4 milioni di quintali, per un potenziale vinicolo di circa 3 milioni di ettolitri, di cui quasi la metà a denominazione di origine controllata, che nella provincia di Verona sono
- Bardolino
- Valpolicella
- Soave
- Bianco di Custoza
- Lugana
- Valdadige
Il rimanente della produzione è dato dai vini che vanno sotto il nome di Verona, bianco e rosso e Durello.[40]
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TESTIMONIANZE
Vi sono innumerevoli e indiscutibili testimonianze della coltura della vite nell'antichità in Verona e della rinomanza dei suoi prodotti.[41]
Si hanno prove della coltivazione dell'uva risalenti al periodo delle palafitte, proprio nella zone del Lago di Garda, precisamente a Pacengo.
I reperti archeologici provano inoltre che le popolazioni pre-romane conoscevano la vite e ne sfruttavano il prodotto trasformandolo in vino.
Ovunque sono state rinvenute moltissime testimonianze enoiche databili con l'età romana, come innumerevoli sono le pagine di letteratura dedicate al vino nel corso dei tempi; inoltre sotto il selciato di Verona si continuano ancora oggi a trovare "cauponae" e "tabernae", le antiche osterie romane.[42]
Vi sono anche testimonianze di viticoltura nella zona risalenti al dominio etrusco (7° - 5° secolo a. C.) quando certamente vi era produzione vinicola : l'odierno "Valpolicella" viene identificato con il vino "Retico", esaltato dagli scrittori latini e tanto apprezzato sulle mense imperiali.[43]
Nella decadenza generale che seguì lo sfacelo delle istituzioni imperiali, la disastrosa situazione agricola ebbe tragiche ripercussioni sulla coltura della vite, la cui coltivazione venne completamente abbandonata.
Solo lo sviluppo del Cristianesimo salvò dalla completa decadenza la vitivinicoltura, anche se ne limitò la produzione allo stretto necessario.[44]
La vite rientrò poi di prepotenza nella storia come fondamentale strumento di ripopolamento delle campagne di tutta Europa durante il Medioevo, e progressivamente venne trasformata da coltura di prestigio in impresa economica commerciale, mirante ad un sempre maggior profitto.
La presenza del vigneto divenne sempre più rilevante, finchè, a metà dell'Ottocento rappresentava il vero punto di forza dell'agricoltura veronese, tanto che tutto il territorio era coperto dai vigneti, poichè con essi il contadino oltre ad assicurarsi una bevanda per consumo personale, rispondeva facilmente alle richieste del padrone e aveva inoltre a disposizione una merce agevolmente negoziabile.
Spesso però era merce dequalificata, a causa dei luoghi inadatti in cui spesso era coltivata la vite e delle tecniche di coltivazione che privilegiavano la quantità sulla qualità.[45]
Per ovviare a questi problemi, nacquero varie società ed accademie allo scopo di divulgare notizie e tecniche per cercare di migliorare la produzione vitivinicola.
Ad esempio nel 1872 nacque a Verona la "Società enologica", che aveva lo scopo di produrre vini pregiati e farli apprezzare sul mercato, mentre l'"Accademia di Verona" organizzò cicli di conferenze e dimostrazioni pratiche contro la peronospora e l'oidio [46], che apparve nella zona del lago di Garda verso il 1851, ma nonostante le precise indicazioni sull'uso dello zolfo per combattere la "crittogramma della vite", i viticoltori tardarono molto ad usarlo.
Nel 1857 la produzione era sensibilmente calata e si dovette ricorrere all'importazione dei vini per i bisogni locali e si pensò di "comporre bevande alcoliche le quali potessero per qualche guisa tener luogo al vino mancante".[47]
Si dovette arrivare al 1860 perchè lo zolfo venisse largamente utilizzato per combattere questo grave malanno.
Nacque in quegli anni anche la "Società veronese", che creò le prime piccole cantine sociali e nel 1875 fece partecipare alla Fiera Enologica di Torino alcuni vini veronesi, che ebbero l'opportunità di aprirsi nuovi sbocchi per l'esportazione.[48]
Grazie a tutte queste iniziative, che fecero acquisire notevoli conoscenze agli agricoltori, fra la fine dell'800 e l'inizio del '900, la produzione viticola conobbe un notevole miglioramento.
Nel 1880 fece la sua prima apparizione nei vigneti di Villafranca la peronospora, ma solo nel 1887 furono effettuate con successo le prime applicazioni di lotta con il solfato di rame unito alla calce.
Nel 1894 si ebbero i primi allarmi in provincia di Verona dell'invasione della fillossera, originaria dell'America del Nord, un vero flagello distruttore per la vite europea, che era già stata precedentemente segnalata in altre zone viticole italiane, mentre nella zona del lago si manifestò palesemente verso il 1910.[49]
Solamente come conseguenza alla diffusione delle terribili malattie crittogrammiche, cominciò a cambiare il modo di produrre ed investire.
Iniziarono ad essere utilizzati i trattamenti chimici di difesa e l'uso generalizzato dell'innesto con la vite americana, immune alla filossera, con cui si riuscì a mantenere pressochè inalterata la qualità del vino.
Si fecero inoltre più consistenti gli investimenti di capitale nella produzione e nell'immagazzinamento del vino, mentre diminuirono gli investimenti a vite in pianura e si intensificarono le colture nelle zone collinari, con enorme vantaggio per la qualità dei vini.
Per comprendere quale grande importanza rivestisse il vino nell'economia veronese, basti pensare che nel 1903 funzionava a Verona una Borsa vinicola, che aveva lo scopo di facilitare il commercio dei vini.[50]
Nonostante l'avvento delle due guerre mondiali abbia frenato la produzione vitivinicola, essa comunque ha sempre mantenuto un posto importante nell'economia della zona.
La produzione vitivinicola non ha subito grandi innovazioni dal punto di vista tecnico-produttivo fino al 1960, quando si è affermata una serie di modifiche tecnologiche, sia per quanto riguarda le coltivazioni che la produzione, che hanno avuto il merito di abbassare i costi di produzione e livellare la qualità dei vini per riuscire a conquistare il mercato di massa.
Il miglioramento della vite è sempre stato concentrato sull'ottenimento di particolari innesti o sulla soluzione di problemi di resistenza ai parassiti e a particolari tipi di terreno, ma i risultati sono sempre stati limitati dai lunghi tempi necessari per ottenerli.
Negli ultimi anni, grazie all'uso delle biotecnologie, prima fra tutte la coltura in vitro, sono stati fatti passi da gigante in questo campo.[51]
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I CONSORZI DI TUTELA
Dopo la ricostruzione fillosserica, la produzione viticola specializzata subì un vistoso incremento.
Di pari passo il commercio del prodotto confezionato e venduto in damigiane registrò un sensibile incremento.
Per soddisfare la crescente domanda, i commercianti veronesi introdussero imponenti quantitativi di vini di altre regioni italiane, a prezzi ben più convenienti, per trasformarli e rivenderli poi con il nome di "Bardolino", "Valpolicella", "Soave", ecc.
Sotto la spinta di questa evidente inflazione riguardante la denominazione d'origine, la tutela della produzione, problema sempre fortemente sentito dai produttori locali, si rendeva assolutamente necessaria.[52]
I Consorzi volontari tra produttori sono organismi di autodifesa della produzione enologica.
Rappresentano la volontà di tutti gli operatori che vi aderiscono, di imporsi una autodisciplina tesa a conseguire miglioramenti qualitativi del vino oggetto della difesa consortile, promuovendone l'espansione commerciale e tutelandone il nome contro un uso indebito e nocivo.[53]
Questi organismi esistevano in Italia già prima della legge 930/63, in cui si legge che "il Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste può affidare al Consorzio volontario per la tutela di un vino a denominazione di origine controllata o controllata e garantita, l'incarico di vigilare sull'osservanza delle disposizioni di cui alla legge medesima e ai disciplinari di produzione, con facoltà di costituirsi parte civile nei relativi procedimenti penali".[54]
Nella provincia di Verona, nonostante esistano una decina di vini a denominazione controllata, "Lugana", " Valdadige Bianco", "Valdadige Rosso", "Valdadige Pinot Grigio", "Valdadige Schiava", "Lessini-Durello", "Bardolino", "Soave", "Valpolicella" e "Bianco di Custoza", solo per questi ultimi quattro sono stati creati i Consorzi.
Ad esempio, prendiamo in considerazione il Consorzio di Tutela del Vino Bardolino.
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IL CONSORZIO DI TUTELA DEL VINO BARDOLINO
Il 3 aprile 1926 venne costituito il primo Consorzio di difesa per il vino tipico Bardolino.
L'attività di questo Consorzio, basata su un lacunoso decreto legge del 1924, fu alquanto limitata, poiché questa norma non rendeva obbligatoria l'appartenenza dei produttori al Consorzio e non stabiliva alcuna sanzione per coloro che incorressero in abusi nei riguardi del vino tutelato.[55]
Nel 1937 a seguito di una legge modificatrice del decreto, i produttori veronesi diedero vita ad un unico Consorzio di difesa per la tutela dei vini pregiati veronesi, la cui delimitazione delle zone produttive fu oggetto nel 1939 di un attento e completo studio.[56]
Il Consorzio di tutela vino Bardolino si è costituito per volontà dei produttori il 23-12-1969, a seguito del riconoscimento della denominazione di origine controllata del vino Bardolino con D.P.R. n. 196 del 28 maggio 1968.
Ha poi avuto l'incarico da parte del Ministero dell'Agricoltura e Foreste il 21-01-1980, di far rispettare gli adempimenti di controllo sulle uve e sul vino Bardolino.
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LA DENOMINAZIONE D'ORIGINE DEI VINI
Dopo la ricostruzione fillosserica, la produzione viticola specializzata subì un vistoso incremento.
Di pari passo il commercio del prodotto confezionato e venduto in damigiane registrò un sensibile incremento.
Per soddisfare la crescente domanda, i commercianti veronesi introdussero imponenti quantitativi di vini di altre regioni italiane, a prezzi ben più convenienti, per trasformarli e rivenderli poi con il nome di "Bardolino", "Valpolicella", "Soave", ecc.
Sotto la spinta di questa evidente inflazione riguardante la denominazione d'origine, la tutela della produzione, problema sempre fortemente sentito dai produttori locali, si rendeva assolutamente necessaria.[57]
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NORMATIVA
La denominazione d'origine è regolata fondamentalmente dal decreto n. 930 del Presidente della Repubblica, del 12 luglio 1963 e dalla più recente legge n. 164 del 10 febbraio 1992, che integra le normative della Comunità Europea in materia.
Per denominazioni d'origine dei vini si intendono i nomi geografici e le qualificazioni geografiche delle corrispondenti zone di produzione.
Può comprendere anche i territori vicini, quando in essi esistono analoghe condizioni naturali e, alla data di entrata in vigore del decreto, si producono in essi, da almeno dieci anni, vini immessi sul mercato con la medesima denominazione, purchè abbiano analoghe caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche e siano prodotti da uve provenienti dai vitigni tradizionali della zona, vinificate coi metodi della zona stessa.[58]
Le denominazioni di origine dei vini vengono distinte in : semplice, controllata, controllata e garantita.[59]
La Denominazione d'origine "semplice" designa i vini ottenuti da uve provenienti dai vitigni tradizionali della corrispondenti zone di produzione, vinificate secondo gli usi locali e costanti delle zone stesse.[60]
La denominazione d'origine "controllata" è invece riservata ai vini che corrispondono a condizioni e requisiti stabiliti, per ciascun vino, dai relativi disciplinari di produzione.[61]
La denominazione d'origine "controllata e garantita", infine, è riservata a vini di particolare pregio che rispondono alle condizioni e requisiti stabiliti dai disciplinari; simile alla denominazione d'origine controllata, ma più restrittiva, poichè più localizzata.
Inoltre la denominazione d'origine controllata e garantita è riservata a vini già riconosciuti DOC da almeno cinque anni e che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, rispetto alla media di quelle di vini analoghi, per effetto dell'incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale ed internazionale.[62]
Nei disciplinari di produzione sono stabilite : la denominazione di origine del vino, la delimitazione della zona di produzione delle uve, le condizioni di produzione, la resa massima dell'uva in mosto o vino, le caratteristiche fisico-chimiche ed organolettiche che deve presentare il vino, nonchè la gradazione alcoolica minima naturale.[63]
La specificazione "classico" è consentita in aggiunta alla denominazione d'origine "controllata" e "controllata e garantita" del prodotto della zona d'origine più antica, quando nella zona sono compresi anche altri territori.
La legge 10 febbraio 1992 n. 164, che disciplina le denominazioni d'origine dei vini, cita anche l’ Indicazione Geografica Tipica.
La zona di produzione di un vino IGT deve comprendere un ampio territorio viticolo che presenti uniformità ambientale e conferisca caratteristiche omogenee al vino stesso, e per il quale sussista un interesse collettivo al riconoscimento del vino in esso prodotto.
In queste zone possono essere comprese anche aree a denominazione d'origine controllata e controllata e garantita.[64]
La denominazione controllata dei vini può essere applicata se viene dimostrata la reputazione del prodotto, che deve essere basata su vari fattori di qualità, che rendono il luogo geografico unico, quali fattori ecologici, e fattori umani o tecnologici, che hanno più o meno impatto sulla produzione.
Secondo la Convenzione di Lisbona del 1958 la denominazione d'origine controllata è la designazione geografica di un posto d'origine, che dipinge il carattere del vino, molto legata all'origine e a vari fattori.
E' una forma di protezione giuridica per i produttori, che possono immettere sul mercato prodotti opportunamente documentati, e hanno il diritto esclusivo di usare quel nome.
La denominazione d'origine però non serve a molto se questi prodotti devono concorrere con altri di diversa origine, con denominazioni scorrette e prezzi più bassi.
Infatti i vini a denominazione d'origine controllata hanno costi superiori a causa delle maggiori spese che una produzione limitata e controllata comporta.[65]
La denominazione d'origine non è accettata in USA, dove viene utilizzata solo una generica "indicazione d'origine", mentre nei paesi anglosassoni questo aspetto della produzione è regolato più dal mercato che dallo stato.
La Comunità Europea lascia gli stati liberi di regolare questa materia entro il marchio VQPRD ( vino di qualità prodotto in regione limitate).[66]
Il recepimento della normativa comunitaria con la legge 164/92 ha finito per sconvolgere la gestione della denominazione d'origine dei vini.
Principale novità è stata l'introduzione del concetto di obbligatorietà dell'aderimento alle decisioni dei Consorzi di tutela esteso a tutti i produttori e vinificatori.
Ciò significa che le decisioni prese da circa il 40% degli iscritti all'albo, questa approssimativamente la percentuale dei viticoltori aderenti ai Consorzi, diventano di fatto direttive per tutti i produttori.
La normativa della CE ha inoltre bloccato l'estensione e l'impianto di nuovi vigneti, necessari per equilibrare la viticoltura italiana.
Questo è veramente un problema per la zona di Bardolino in cui vi una forte richiesta di impianti viticoli, in parallelo con la crescente richiesta del vino Bardolino nelle sue varie tipologie.
Infatti un produttore che voglia aumentare la produzione deve acquistare da altri che già posseggono e intendono cambiare coltura, il diritto di reimpianto dei vigneti.
1. Controllo delle superfici iscritte all'albo dei vigneti, mediante accertamento dell'effettiva rispondenza sul terreno, sia al momento della richiesta di iscrizione dell'azienda, sia successivamente con controlli periodici a campione significativo.
2. In base a quanto previsto dalla legge 164/92 in relazione al controllo delle rese uva/ha, il consorzio provvede ad informare i viticoltori sulla metodologia di controllo della produttività basandosi sul minor numero di gemme/ha tramite una corretta potatura, in modo da rientrare nei limiti previsti dal disciplinare.
Nel periodo estivo si verifica in campo la corretta potatura invitando le aziende con maggior produttività ad effettuare un adeguato diradamento dei grappoli in modo da rientrare nelle rese legali.
3. Riscontro delle uve e dei mosti e della gradazione minima zuccherina, effettuata a campione significativo seguendo le rilevazioni zuccherine in campo e ripetuta settimanalmente al fine di consigliare ai viticoltori il momento ottimale per la vendemmia.
L'elaborazione dei dati analitici ed i relativi indici sono fatti dall'Istituto per la viticoltura di S.Michele all'Adige dal 1982.
4. Controllo in fase di maturazione del vino prodotto dalle aziende associate.
5. Gli associati detentori del vino devono obbligatoriamente richiedere il prelevamento preventivo per poter commercializzare il loro vino Bardolino.
Questi controlli hanno effettivamente portato ad un miglioramento qualitativo del vino Bardolino DOC commercializzato.
5. Il controllo delle rispondenze del prodotto, per l'immissione al consumo, alle caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche previste dal disciplinare di produzione, viene effettuato tramite prelevamenti prima dell'imbottigliamento in cantina e successivo riscontro con prelievo di bottiglie.
Tutti i campioni vengono sottoposti all'analisi organolettica della commissione di assaggio della Camera di Commercio di Verona e del Consorzio e all'analisi chimica effettuata presso il laboratorio del Consorzio.
Le partite ritenute idonee in quanto superano una soglia minima di qualità, sono immesse al consumo con il marchio e contrassegno consortile che identifica, per il consumatore l'avvenuto controllo di origine e qualità da parte del Consorzio.
6. Controllo sui mercati di consumo mediante verifiche formali e di merito.
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LA VINIFICAZIONE
Con il termine vinificazione si intende l'insieme delle operazioni necessarie per trasformare le uve e il loro succo in vino.
Esistono vari tipi di vinificazione, corrispondenti ai diversi tipi di vino ed alle diverse attrezzature utilizzate.
Di seguito verranno brevemente illustrate le fasi della vinificazione, e i più importanti metodi utilizzati.
Schematicamente la vinificazione comporta quattro stadi principali :
1 - le operazioni meccaniche di lavorazione delle uve, durante le quali l'uva viene portata dal vigneto alla cantina, per essere sottoposta alla pigiatura , che consiste nel rompere la buccia dell'uva in modo da liberare la polpa e il succo.
Il sistema di pigiatura influenza la vinificazione e la qualità del vino ottenuto, a seconda dell'aspetto assunto dall'uva durante questo processo.
Possiamo ad esempio citare la tecnica del Medoc, nella quale la pigiatura molto ridotta e molti acini conservano la loro forma, in quanto l'uva viene trattata a mano, come nelle vinificazioni artigianali utilizzate fin dai tempi antichi, prima dell'avvento dei macchinari, come le pigiatrici-diraspatrici centrifughe, che riducono l'uva allo stato di poltiglia.[67]
La cantina Zeni utilizza dagli anni Settanta circa le pigiatrici meccaniche, ma conserva tuttora, in un piccolo Museo del Vino ad essa annesso, una rarissima pigiatrice in legno del 1300, che veniva azionata manualmente.
Abbiamo poi la fase della diraspatura , che consiste nel separare gli acini d'uva e nell'allontanare il raspo.
Nell'antico sistema manuale il raspo veniva separato manualmente in cantina oppure al vigneto, alla fine di ogni filare, come ad esempio per le uve bianche, che nel tragitto fino alla cantina rischiano di perdere freschezza, e l'uva veniva leggermente pigiata nei mastelli di raccolta.
Oggi anche questa fase automatizzata.[68]
2- Segue poi la fermentazione.
I tipi di contenitori e le attrezzature di fermentazione sono estremamente vari e in continua evoluzione.
La fermentazione è lo stadio più importante per quanto riguarda la qualità finale del vino, infatti a seconda del metodo di fermentazione utilizzato otteniamo vini diversi.
Per esempio, il vino rosso ottenuto dalla fermentazione in presenza di vinacce, cioè le sostanze del succo, e anche quelle che si trovano nelle parti solide.
All'epoca della vinificazione artigianale, ogni regione aveva i propri metodi di vinificazione e le proprie attrezzature tipiche.
Con lo sviluppo della vinificazione industriale, la standardizzazione e le evoluzioni delle tecniche, gli impianti si sono fortemente modificati ovunque.
Per la costruzione dei contenitori di fermentazione, un tempo veniva usato il legno, mentre i più moderni tini sono in acciaio inossidabile.
I tini di legno continuano per ad essere utilizzati nelle piccole aziende o per alcuni "crus" ancorati alla tradizione.[69]
Con il termine "cru" viene indicato uno specifico vigneto o anche una sua piccola parte ben determinata, che produce vini di qualità superiore.
Nell'azienda F.lli Zeni vengono utilizzati tini di rovere, soprattutto per la fermentazione delle uve rosse.
Abbiamo poi la macerazione, che si può definire una estrazione frazionata, durante la quale si scelgono i costituenti dell'uva opportuni da far disciogliere, sono utili e dotati di buon aroma e sapore.
Tutto ciò che differenzia alla vista e al palato il vino rosso da quello bianco la conseguenza della macerazione.[70]
3 - Successivamente abbiamo la cosiddetta separazione del vino, che consiste nel travasare il vino dalla vasca di fermentazione in un altro recipiente dove si rifinirà e dove verrà conservato.
La vinaccia sgrondata viene estratta dalla vasca e torchiata in modo da estrarre tutto il vino che essa contiene.
Anche questa fase un tempo veniva eseguita con torchiatrici in legno, azionate manualmente, mentre adesso sono automatizzate.[71]
4- Recentemente sono state perfezionate nuove tecniche dette fermentazioni secondarie, come la fermentazione malolattica, che sono ulteriori fasi di completamento, affinamento, rifinitura.
Si tratta di operazioni durante le quali abbiamo la decomposizione dell'acido malico in acido lattico ed anidride carbonica.
Questa è una delle operazioni che migliorano la qualità del vino, rendendone il sapore meno acido, per la quale la Cantina F.lli Zeni si rivolge a laboratori esterni, una operazione agevole e sicura, in quanto necessaria la presenza di un'elevata concentrazione batterica.[72]
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ESPORTAZIONI
La zona del Veronese è sempre stata una zona particolarmente dinamica in fatto di collegamenti con l'estero.
Insieme alla zona del Chianti, tra le regioni italiane che ha sempre privilegiato il mercato estero rispetto al quello nazionale.
La maggior parte delle imprese vitivinicole veronesi opera quasi esclusivamente con l'estero.
Alla fine del secolo scorso, periodo nel quale l'azienda in esame inizi la sua attività, cominciava già a diventare diffusa l'esportazione di vino.
Era un'attività tutt'altro che facile, a causa dei carenti mezzi di trasporto e degli onerosi dazi imposti dai Paesi europei nei confronti dell’esportazione del vino italiano.
Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, essi erano scarsi e tutt'altro che sicuri.
Si trovano a tal proposito documenti[73] nei quali si lamentava la disonestà degli addetti alle ferrovie, che rubavano i carichi di uva e vino; inoltre le tariffe dei mezzi di trasporto erano esorbitanti.
L'arrivo della ferrovia in molti Comuni soprattutto del Mezzogiorno, portò situazioni che potremmo definire "speculative".
Ad esempio, nel 1871 nel Salernitano vi erano disponibili 60.000 ettolitri di vino, che si sarebbero venduti al prezzo di 5 lire l'ettolitro; dopo qualche anno, con l'apertura della ferrovia che unisce Salerno a Napoli, il prezzo salì a lire 20 l'ettolitro, poi a 25 e oltre.[74]
Per quanto riguarda i dazi, invece, vi era in Europa una marcata tendenza al protezionismo.
Nonostante ci il vino italiano riusciva comunque a vendere molto all'estero, la maggior parte dei vini esteri - francesi, spagnoli e tedeschi - erano prodotti utilizzando quelli italiani come vini da taglio.[75]
I principali paesi importatori di vini italiani a fine Ottocento erano :
GERMANIA
I dazi tedeschi erano i più onerosi, a causa della presenza al Governo del Principe di Bismarck, accanito difensore del protezionismo.
Nonostante queste tasse rendessero impossibile esportare in Germania a prezzi accettabili, la vendita di vini italiani in quel Paese, benchè marginale, era in costante aumento.[76] i dati possono rendere l'idea della situazione delle esportazioni verso la Germania :



VINO IN BOTTI
VINO IN BOTTIGLIE
1870-1874
1.918 ettolitri in media
800 in media
1875-1878
4.195 ettolitri in media
3.800 in media
1879-1882
36.572 ettolitri in media


IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Nel 1878 venne firmato a Vienna un trattato di commercio con cui venivano fissati dei dazi inferiori rispetto a quelli delle altre nazioni, per le regioni Piemonte, Veneto, Lombardia e Italia Centrale: per queste regioni il dazio era di 8 lire al quintale, per gli altri Stati saliva a 50 lire al quintale.
Le esportazioni di vino furono decisamente maggiori nei confronti di questa monarchia, rispetto a quelle verso la Germania : circa 25.000 ettolitri in botti annui attorno al 1875 e 32.000 bottiglie annue.[77]

SVIZZERA
Le relazioni commerciali con la Svizzera non erano facili, perchè , oltre ad esserci un dazio federale, peraltro non altissimo, esistevano degli esorbitanti dazi cantonali.
Nonostante ci le esportazioni verso questo Paese sono sempre state di quantitativi piuttosto elevati, e in costante aumento.[78]


VINO IN BOTTI
VINO IN BOTTIGLIE
1870-1874
55.463 ettolitri in media
7.500 in media
1875-1878
89.115 ettolitri in media
11.700 in media
1879-1882
104.632 ettolitri in media


Fino agli anni Settanta stato il più importante cliente della cantina in esame.
Oggi la Svizzera l'unico paese in cui l'azienda esporta vino sfuso a causa degli altissimi dazi su quello imbottigliato.
STATI UNITI D'AMERICA
A fine secolo nel Nord America vi era un fortissimo protezionismo e un certo proibizionismo, come testimoniano alcuni editti che comminavano severe pene a chi offriva o accettava da bere, e comunque l'uso del vino era ancora molto limitato e, a causa degli elevatissimi dazi, ristretto alle classi più agiate.
Nel 1893 l'esportazione di vino si aggirava sui 400 q.li .[79]

AMERICA DEL SUD E CENTRALE
Anche questi stati erano dei grandi importatori di vino italiano, soprattutto l'Argentina, come dimostrano questi dati :[80]

VINO IN BOTTIGLIE
1870-1874
142.500 in media
1875-1878
496.900 in media

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ESPORTAZIONI OGGI
Arrivando ai nostri giorni, si può affermare che l'esportazione mondiale di vino è concentrata nelle mani dei paesi facenti parte del G7, assieme a Svizzera, Olanda, Belgio, Danimarca e Svezia; mentre i maggiori importatori sono USA, Germania e Regno Unito, ma solo in termini di valuta, ma non in termini di volume, infatti la gran parte delle vendite è diretta in Europa.
La Comunità europea, comunque, resta il più grande produttore ed esportatore mondiale di vino : nel 1988 produceva il 70% della produzione mondiale, con 209 milioni di litri.
Tra i paesi europei l'Italia ha un ruolo predominante con circa un milione di ettolitri, equivalenti al 34% della produzione mondiale.
Dal 1978 al 1987 la produzione europea aumentata, ma solo grazie all'entrata di nuovi paesi produttori come la Grecia, la Spagna e il Portogallo.
In termini di qualità, in quegli anni aumentata la produzione di vini a denominazione d'origine controllata, mentre calata quella dei vini da tavola.
Negli ultimi anni si assistito ad un calo nel consumo di vino da parte degli stessi paesi produttori, dovuto al cambio delle abitudini, come l'introduzione del lavoro continuato, inoltre i giovani preferiscono altre bevande, e le frequenti campagne antialcol non sono accompagnate da norme educative.[81]
I paesi non produttori, come la Germania, importano vino non imbottigliato a prezzo minore e lo esportano imbottigliato, ricavandone un valore aggiuntivo rispetto ai paesi produttori, poichè non devono subire spese di produzione, ma solo quelle di imbottigliamento.
Dagli anni Cinquanta all'inizio degli anni Ottanta la produzione di vino italiano è cresciuta continuamente, arrivando a 86 milioni di ettolitri, grazie al notevole miglioramento delle condizioni di vita, con un diffuso aumento del reddito.
Questo cambiamento può illustrare l'aumentato il consumo di vini VQPRD ( vini di qualità prodotti in regioni limitate ), come economicamente spiegato dalla legge della sostituzione di Engel, la quale afferma che con l'aumentare del reddito, la quantità di beni alimentari acquistata non aumenta all'infinito : ad un certo livello di reddito i beni vengono sostituiti con altri di qualità superiore.[82]
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LE ESPORTAZIONI ITALIANE
Negli anni Sessanta le esportazioni italiane di vino fluttuavano tra i 200 e i 300 milioni di litri.
Nei primi anni dopo il trattato di commercio libero nella Comunità
Europea, verso il 1970, l'esportazione italiana si aggirava sul miliardo di litri, di cui la maggior parte verso la Francia, al posto di quello algerino.
Negli anni Ottanta a causa della contrazione del mercato USA, che ha sempre rappresentato uno dei maggiori consumatori del vino italiano, col 30% delle esportazioni, soprattutto a causa dello scandalo del metanolo, le esportazioni verso gli USA vengono quasi dimezzate.p.253-254
A causa della caduta del mercato nord americano, cui la contrazione di altri mercati, l'Italia cercò di conquistare quello anglosassone; infatti al contrario di quelle francesi, le strategie italiane si basano su pochi mercati scelti : la Germania, che il principale, gli Stati Uniti d'America, il Regno Unito e la Francia , per un totale dell' 82% delle esportazioni.
quindi capire che la contrazione di uno di questi mercati abbia preoccupanti ripercussioni sull'economia italiana.
Nei primi anni Novanta cominciata l'espansione verso il Giappone, ma nonostante ciò le esportazioni continuano a calare.
Negli anni Novanta c'è uno stallo del mercato sia domestico che estero, con un calo di quasi un terzo rispetto agli anni Settanta, a causa dell'affermarsi del vino del Nuovo Mondo che meno costoso.[83]
La vera sfida che l'Italia deve sostenere infatti contro i nuovi Stati esportatori, presenti soprattutto nel Nuovo Mondo: Cile, Argentina, Australia, Usa e Sud America, che negli ultimi anni sono diventati forti produttori di vino e si presentano sul mercato internazionale con un rapporto qualità-prezzo assai vantaggioso spesso spiazzante per i prodotti italiani.[84]

CANADA
Il mercato del vino in Canada regolato da dieci monopoli autonomi, che dettano le regole per l'importazione e la maggior parte di essi applicano politiche discriminatorie contro i produttori esteri, nonostante gli accordi GATT fino agli anni Novanta il consumo di vino cresciuto molto, e molto più che in USA, dopo c'è stato un forte calo, dovuto all'affacciarsi sul mercato dei nuovi paesi produttori.
Prova ne sia che recentemente vi stato un calo delle importazioni dei vini italiani, francesi e spagnoli, a favore di quelli cileni, australiani e americani.

GIAPPONE
Negli ultimi anni sta crescendo anche il mercato giapponese.
Negli anni Settanta il volume delle vendite di vino in questo paese era pari a zero, mentre durante gli anni Novanta diventato pari a 100 milioni di litri, e si punta sul potenziale di crescita a lungo termine.
Il consumo pro capite ancora molto basso, ma si punta sul fatto che la popolazione è molto numerosa.
Il consumo di vino aumentato grazie anche all'occidentalizzazione del modo di vivere, e al boom delle vacanze all'estero.[85]
Negli anni Novanta le importazioni di vino italiano sono calate a causa di una crisi economica e soprattutto a causa di una politica discriminatoria verso i vini esteri, con tasse indirette sulle importazione.
Dopo i molti reclami ricevuti, anche da parte del GATT, ora non esistono più tasse all'importazione, ma è necessario un certificato d'origine e un certificato di analisi a causa dello scandalo del metanolo, provocato nel 1992 da tracce di MITC, un insetticida usato durante la fase di fermentazione, nel vino italiano, trovate dagli Stati Uniti, che indissero una campagna contro l'Italia.
L'uso del metanolo nella fermentazione del vino non pratica diffusa, ma in quel periodo il Ministero delle Finanze italiano aveva fissato nuove tasse sull'alcool etilico maggiori di quelle fissate sull'alcool metilico.
Alcuni operatori disonesti per aumentare grado alcolico, si servirono perciò del l'alcool metilico (metanolo) per pagare meno tasse.

USA
Negli anni Settanta gli Stati Uniti d'America erano considerati una specie di nuovo Eldorado per il settore vinicolo, mentre nella prima metà degli anni Ottanta, a causa soprattutto del sopracitato scandalo del metanolo,
Si creò un clima di neoproibizionismo, che, assieme al calo dei prezzi del vino americano e il dollaro non più solido come in precedenza, ma vacillante, produsse un forte calo nella domanda di vino italiano.


1870-1919
1920
1940-1960
1970
1998
Germania

3%
10%
15%
Austria

2%
7%
10%
Francia

1%
5%
10%
Norvegia Olanda Danimarca

3%
10%
Svizzera
2%
3%
5%
8%
10%
Centro America Messico

5%
20%
USA Canada

5%
20%
Giappone

5%

Come si evince dalla tabella precedente, fatta eccezione per la Svizzera, con la quale i rapporti sono iniziati durante la prima guerra mondiale, con gli altri Stati europei il commercio è iniziato verso gli anni Cinquanta, mentre oltreoceano, durante gli anni Settanta-Ottanta, e per il Giappone addirittura nell'ultimo decennio.
Per quanto riguarda le quantità vendute le Americhe la fanno da padrone, con quasi la metà, oggi, della produzione, seguite dalla Germania e dagli altri Stati europei.
Ultimo il Giappone, che per ha iniziato da pochissimo ad importare vino.
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