La guerra secondo Quasimodo e Bellezza

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Testo

IL TEMA DELLA GUERRA: TESTI A CONFRONTO. ANALIZZA LE POESIE DI SALVATORE QUASIMODO “ALLE FRONDE DEI SALICI” E “SE VIENE LA GUERRA DI DARIO BELLEZZA.
DOPO AVER ELABORATO LA VERIONE IN PROSA, METTI IN EVIDENZA VALORI E SENTIMENTI ESPRESSI DAI DUE AUTOI ED ESPONI LA TUA OPINIONE IN PROPOSITO.

La guerra: una parola che suscita in tutti noi un senso di turbamento se ripensiamo ai disumani e sanguinosi conflitti che hanno visto protagonista l’essere umano.
E’ questo il tema espresso nelle due poesie “Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo e “Se viene la guerra” di Dario Bellezza. Sono versi che esprimono nei confronti della guerra una amara e assoluta denuncia. La loro traduzione in prosa non risulta difficile: il linguaggio, abbastanza semplice e lineare, rende il contenuto poetico di immediata comprensione, cosa opportuna per la trattazione di un argomento così delicato.
Ne “Alle fronde dei salici” , l’autore pone all’attenzione del lettore l’impossibilità che prova un qualunque individuo a gioire, a cantare, a essere felice quando ci si trova in guerra.
I conflitti (di ogni genere) sono degli scempi dove l’uomo esprime il suo istinto egoistico di autoaffermazione, la sua volontà di dominare su altri individui, dove intere popolazioni ne soggiogano altre, ma, aspetto più importante, sono scempi che lasciano immagini indicibili di distruzione e di rovina.
L’autore ne immortala alcune in poche parole dense di significato e, nel fare ciò, esplicita il suo e il collettivo sconforto e la sfiducia nel genere umano.
Gli uomini, tremanti e sconvolti dalla brutalità della violenza, non possono cantare, la loro voce diventa fioca dinanzi alle spietate conseguenze apportate dalla guerra e così, come gli Ebrei, appendono anch’essi le loro cetre, impetrando Dio.
L’atmosfera creata da una guerra è orribile; l’autore mette in evidenza il fatto che ogni elemento diventa esso stesso carico di malinconia. Non può esistere felicità in un’atmosfera dove anche il vento appare come qualcosa di triste, dove si ascoltano continui urli neri e lamenti senza fine di creature innocenti.
Se Quasimodo, con l’adozione di un plurale indefinito, si identifica con chi subisce direttamente l’orrore di un conflitto e esprime quasi una sorta di solidarietà nei confronti di questi, il Bellezza si immedesima a sua volta a chi la guerra non vuole affrontarla e preferisce morire da disertore. Secondo il Bellezza, nulla può spingere milioni di giovani a morire lontano dalla propria casa, a perdere la propria vita per una “vana” patria.
Egli fa luce sull’esperienza delle persone anziane che hanno vissuto sotto i loro occhi l’incubo della guerra: nei rifugi, in condizioni oscene e di terrore, nella speranza di sopravvivere, considerando ognuno proprio fratello perché costretto a vivere nella stessa situazione di disperazione.
Nei versi del Bellezza il rifiuto e la fuga da ciò che porta violenza sembrano valori civili; è profondo e categorico il disprezzo che egli percepisce verso la guerra. E’ tale che lo spinge a preferire la diserzione o a tradire la propria patria pur di conservare il dono prezioso della vita.
Anche Quasimodo condanna spontaneamente la guerra e partecipa al dolore collettivo, tacendo il canto.
In un ambiente talmente “inquinato” dalla disperazione umana, il canto perde la sua vitalità e non allieta di certo l’animo umano.
Non chiediamoci come mai, nel loro poetare, i due autori rinuncino a dei versi rimati: non avrebbe senso descrivere la guerra come un qualsiasi altro argomento.
“Alle fronde dei salici” è una poesia di impegno civile e non appartiene alla linea ermetica, corrente letteraria a cui aderiva Quasimodo. L’autore ha sentito che in quel periodo (il secondo dopoguerra) fosse necessario lasciare il proprio mondo interiore per identificarsi con i ceti popolari, con le loro sofferenze.
Nessuno dei due poeti ripercorre le orme di chi, in passato, come il Carducci, concepiva il proprio ruolo di poeta come spronatore degli animi agli ideali patriottici, forse perché, al termine della seconda guerra mondiale, hanno potuto comprendere e prendere miglior visione dei danni che l’arroganza umana ha causato.
I due autori non si soffermano solo a ritrarre, con un linguaggio ricercato, una serie di immagini strazianti, ma diventano consapevoli che, al di là delle conseguenze ambientali e materiali, la guerra porta ad un disastro ben più profondo, più grave, più importante: essa annienta l’animo umano.
Si uccide per protesta, si uccide per ideali, si uccide con la convinzione che solo la propria guerra sia giusta. Ma al di là delle motivazioni che spingono a combattere, gli spettacoli finali restano sempre gli stessi: terre insanguinate, case rase al suolo, raccolti devastati, ma anche la disperazione di donne per la morte del proprio figlio, i pianti continui di ragazzini impauriti, vecchi tremanti per l’eco di un bombardamento.
Dunque la guerra distrugge animi, vite, pensieri e con essa muoiono anche quei valori di fratellanza, uguaglianza e libertà che nel corso dei secoli si è cercato di affermare.
Quindi un conflitto non migliora certamente l’uomo, non paga i suoi debiti, non leva le sue colpe, non fa miracoli: esso semplicemente annienta.
Per concludere vorrei invitarvi a immaginare un giovane soldato, appena ventenne, che si trova in un campo di battaglia. Gli viene ordinato di uccidere il nemico altrimenti è lui ad essere ucciso. Egli comincia. Sa che è la morte dell’altro a permettergli di vivere, anzi, di sopravvivere.
Così diventa una belva assetata di sangue. La guerra, l’onda diabolica, gli inietta forza nelle gambe e nelle braccia. Uccide. Vince. Poi, più tardi, si accorge che è lui lo sconfitto. Gli altri hanno perso la vita. Lui ha perso la voglia di vivere.

Commento a “Un uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo.

Cupo, profondo e essenzialmente significativo: è questo lo spirito che si può cogliere nella poesia “Un uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo.
In quest’opera viene espressa una denuncia, amara e severa, sulla condizione dell’uomo alla fine del secondo conflitto mondiale.
L’autore prende visione di un essere umano che sembra avere ripercorso, sebbene così lontani, quei secoli di inciviltà e barbarie che hanno caratterizzato l’età primitiva.
Nella prima parte della poesia, Quasimodo riporta alla luce alcune significative immagini della guerra la quale, sempre, ha provocato morte, dolore e disperazione.
Sono immagini che gli permettono di ascoltare echi lontane nel tempo di violenza e di odio insaziabile.
Nell’uomo odierno egli osserva il risveglio di quello di millenni di anni fa. Era differente nei mezzi di guerra, ma ugualmente spietato e dunque riprovevole.
“Hai ucciso ancora” riflette Quasimodo riferendosi all’uomo, il quale ha ormai perso l’amore e la religione se fomenta guerre. Non esiste o meglio non può esistere amore verso il prossimo, principi di uguaglianza, di umanità reciproca, se la guerra perdura.
La guerra è la lotta tra gli uomini dovuta alla bramosia di potere, di possesso, di prevaricazione, che ha versato sangue ininterrottamente durante il cammino umano.
Così, l’uomo del tempo dell’autore è pervaso dagli stessi istinti che spinsero Caino ad uccidere suo fratello, ma più perfidi, più efferati, in quanto è la scienza, chiave di ingresso nel mondo della civiltà, a permettere all’uomo di versare sangue amaro su innumerevoli pagine di storia.
Ravvisando quell’eco antica così tenace e forte, esorta i figli a far cadere la memoria dei padri nell’oblio. L’umanità potrà trovare salvezza solo se dimenticherà le nuvole di sangue alzate dai padri, le cui tombe verranno maledette.
La poesia di Quasimodo presenta un tono cupo che porta il lettore a ragionare, a essere pienamente partecipe delle sofferenze che hanno colpito il cuore dell’umanità.
Non a caso egli, maledicendo la guerra ed esprimendo il suo pieno dissenso, preferisce liberare il testo da schemi fissi e per diffondere il suo messaggio, si esprime con un linguaggio duro e arricchito di rotacismi. Numerose sono le figure retoriche come similitudini e poi allitterazioni di diverso tipo, come quella della S nel sesto verso.
L’autore “depista” il lettore, sottoponendo ai suoi occhi la vera realtà intrinseca della guerra.
E poi esorta i figli a seppellire le dolorose reminiscenze che hanno visto protagonisti i propri padri, facendo precipitare nell’oblio le loro tombe.
Solo così la violenza potrà esser rinnegata e possa esser costruito un mondo e una cultura che siano veramente a misura d’uomo.
Nonostante tanti disastri, tanti esempi di violenza offerti dalla storia umana, per Quasimodo, si delinea in fondo uno spiraglio di luce per il futuro e fida nelle giovani generazioni che creino una società che sia “umana”.
Per il momento, dinanzi alle immagini rievocate dall’autore, è preferibile giudicare e poi tacere, rimanere in silenzio, così come quello che aleggia alla fine di ogni guerra.

Esempio



  


  1. elena

    il confronto tra "uomo del mio tempo" e "alle fronde dei salici" quasimodo