La basilica di sant'ambrogio (milano)

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Testo

LA BASILICA DI SANT’AMBROGIO

Il Romanico lombardo è il primo tra i linguaggi artistici regionali a svilupparsi autonomamente. Questo è dovuto sia alla vicinanza della Francia, con la quale s’intrattenevano rapporti commerciali, sia all’affermazione politica ed economica del libero comune di Milano. La Basilica di Sant’Ambrogio fu costruita da un gran prelato milanese alla fine del IV secolo.
La basilica fu poi rinnovata nella parte absidale in età preromanica. Con tutta probabilità la costruzione non iniziò prima del XI secolo per terminare nel 1128, quando fu decisa l’erezione del campanile nord, detto dei Canonici. Esso è una massiccia torre quadrata, che si accompagna ad un campanile più antico ed ancora più austero, detto Campanile dei Monaci. Le fondamenta della basilica precedente furono conservate e questo spiega la banalità della pianta: una navata centrale delimitata da laterali semplici e priva di transetto. Vennero invece interamente ricostruite, le tre navate e la cupola, e aggiunti l’ampio atrio e il secondo campanile, a sinistra della facciata. La chiesa vera e propria prolunga le proprie mura laterali verso l’esterno dando origine ad un vasto quadriportico. Mentre in epoca paleocristiana nel quadriportico si raccoglievano tutti coloro che, non essendo ancora stati battezzati, non potevano accedere direttamente alla chiesa, ora esso assume la funzione di principale luogo di riunione di tutti i cittadini del comune.
La basilica, a semplice pianta rettangolare, ha le medesime dimensioni del quadriportico e si compone di tre navate terminanti con altrettanti absidi semicilindriche. La navata centrale larga il doppio delle altre, si articola in quattro campate quadrate. Le prime tre sono coperte da volte a crociera, mentre la quarta, a ridosso del presbiterio, è stata successivamente coperta con una cupola. Le navate laterali sono formate da otto campate minori (campatelle); ciascuna di esse ha una superficie pari ad un quarto di quella coperta da una campata della navata centrale. La copertura delle navate laterali è a crociera e su di esse s’imposta il matroneo (galleria collocata sopra ciascuna navata laterale, e aperta sulla navata centrale spesso riservata alle donne). Nella parte superiore della facciata si aprono tre finestroni. Ad essi corrisponde, sul lato esterno, una loggia a cinque arcate sovrapposta a uno dei bracci minori del quadriportico. La copertura è del tipo a capanna e i materiali impiegati nella costruzione sono quelli tipici della tradizione lombarda: soprattutto mattoni e muratura intonacata. Il ritmico alternarsi dei grandi pilastri delle campate maggiori con i piastrini intermedi di quelle minori scandisce lo spazio interno con geometrica regolarità. La medesima successione, del resto, si ripete anche all’esterno, dove si hanno contrafforti più o meno pronunciati a seconda che corrispondono ai pilastri maggiori o a quelli minori. Pilastri e contrafforti sono, insostituibili elementi strutturali. Nella Basilica di Sant’Ambrogio, però, essi diventano anche importanti elementi decorativi, poiché interrompono la piatta continuità delle pareti creando un affascinante succedersi di elementi illuminanti e di superfici in ombra. Una ricca decorazione plastica (l’arte di modellare figure ed oggetti con materiali molli, come creta, cera e simili), anima i capitelli, le ghiere degli archi, le cornici che ornano gli stipiti e l’architrave del portale maggiore. Motivi analoghi, lesene (pilastri che sporgono da un muro che hanno funzione decorativa) e archetti pensili, ricorrono anche nel porticato dell’atrio, e nel campanile quadrato. Tra gli arredi dell’interno vanno menzionati: il pulpito (struttura autonoma o addossata ad una colonna di forma perlopiù poligonale da cui parla il predicatore in genere situato nella navata centrale fuori dal presbiterio), composto nel XIII secolo con frammenti di epoca precedente e appoggiato su un sarcofago del IV secolo, ma soprattutto l’altare-reliquario in lamina d’oro ed argento, con smalti e pietre preziose, un capolavoro dell’oreficeria del IX secolo, opera del maestro Vuolvino.

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