L'eutanasia

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EUTANASIA

Pratica di porre fine alla vita di un individuo senza dolore, detta anche "morte dolce". È possibile distinguere diversi tipi di eutanasia: innanzitutto quella "collettivistica" o collettiva (cioè di più persone) e quella "individualistica" o individuale (che riguarda la singola persona). Forme di eutanasia collettivistica sono l'"eugenica", con cui per migliorare la qualità della razza vengono eliminate persone portatrici di handicap, e l'"economica", con cui sono soppresse persone anziane o comunque inutili nel processo economico per favorirne altre socialmente più utili. L'eutanasia individualistica, che consiste in genere nel porre fine alle sofferenze di una persona destinata comunque a morire, si distingue a propria volta in "attiva" e "passiva".

Nell'eutanasia attiva si causa la morte della persona con un comportamento; in quella passiva, che si suddivide ulteriormente in "consensuale" e "non consensuale", la morte costituisce una conseguenza di un comportamento passivo od omissivo, cioè di non azione. L'eutanasia passiva consensuale, anche detta "volontaria", si ha quando una persona abbia espresso in modo chiaro e inequivoco la volontà di non sottoporsi a particolari trattamenti chirurgici o farmacologici; l'eutanasia passiva non consensuale si ha invece quando una persona non abbia espresso in vita la volontà di non essere curato, e la decisione se sottoporlo a particolari trattamenti medici rimane dunque al medico o ai familiari più stretti.

Cenni storici

L'eutanasia è una pratica antica, che si fa risalire ad alcune società dell'antichità dove era permessa per gli anziani. Nell'antica Grecia, così come a Roma, era infatti possibile praticarla in particolari situazioni: così scrissero Socrate, Platone e Plutarco, il quale riferì che a Sparta venivano soppressi i bambini che presentavano gravi difetti fisici. Con l'avvento delle organizzazioni religiose, l'eutanasia divenne tuttavia moralmente ed eticamente inaccettabile. Il cristianesimo, l'ebraismo e l'islamismo, ritenendo sacra la vita umana, condannarono qualsiasi forma di eutanasia. La condanna morale, emessa a livello religioso dalle principali confessioni, divenne quindi legale, trovando prima un'enunciazione nelle norme morali e quindi negli ordinamenti giuridici della quasi totalità degli stati.

Nei primi anni quarant'anni di questo secolo, in particolare nel 1935 in Gran Bretagna e nel 1938 negli Stati Uniti d'America, furono fondate delle organizzazioni a sostegno di un progetto di "liberalizzazione" dell'eutanasia. Condannando con fermezza giuridicamente e moralmente l'eutanasia collettivistica, tali organizzazioni propugnarono un ammorbidimento delle norme allora vigenti, che di fatto equiparavano l'eutanasia individuale all'omicidio, in modo da poter alleviare le sofferenze di malati terminali costretti a lunghe sofferenze e senza speranza alcuna di guarigione. Il consenso guadagnato nel corso di questi decenni è testimoniato dall'apertura che la legislazione di diversi paesi occidentali ha mostrato almeno nei confronti dell'eutanasia passiva consensuale e non consensuale.
Questioni legali
I problemi che restano aperti sono naturalmente molti. Riconoscere l'eutanasia individuale passiva non consensuale non significa infatti legittimare quella collettivistica, chiamata talvolta a giustificazione dello sterminio nazista, né implica il mettere alcuno nelle condizioni di decidere della vita di un'altra persona; è indubbio però che coloro i quali considerano sacra e inviolabile la vita, oltre che la libertà individuale, ritengano profondamente ingiusto lasciar decidere della vita di una persona, anche se sospesa tra la vita e la morte, a un'altra. Molti osservatori ritengono comunque che oggi, per quanto vietata, l'eutanasia individuale sia in segreto praticata in molte società, almeno in quei casi in cui ci si trovi di fronte a una persona condannata a soffrire e senza speranze di guarigione e soprattutto allorché la persona malata abbia in vita chiaramente espresso la volontà di non essere sottoposta a particolari trattamenti medici.
In Italia, dove non esiste una disciplina specifica sull'eutanasia, i princìpi religiosi del cristianesimo e i valori morali dominanti hanno spinto verso un'interpretazione giuridica restrittiva che ha di fatto equiparato l'eutanasia all'omicidio, o all'omicidio del consenziente (reato per il quale è prevista una pena minore) o nell'istigazione o nell'aiuto al suicidio; e che talvolta ha giudicato con pene severe anche il semplice rifiuto di fornire cure forse essenziali per il prolungamento della vita, negando così la possibilità di ricorrere spontaneamente all'eutanasia passiva consensuale (peraltro lecita) e spingendo invece verso il suicidio.
In altri paesi come l'Olanda, dove è da tempo possibile optare per l'eutanasia passiva, il dibattito sull'ammissibilità dell'eutansia attiva è sempre più vivace. Proprio in Olanda la Royal Dutch Medical Association, l'associazione dei medici olandesi, ha rivisto nel 1995 la normativa che regola la pratica medica, sottolineando l'importanza della responsabilizzazione del paziente, che generalmente pone fine da sé alla sua vita assumendo un'overdose di farmaci prescritta dal medico ("suicidio assistito"), ma prevedendo anche che il medico stesso possa prestare assistenza (e garantendogli, se ha seguito le procedure previste dall'Associazione, la tutela sul piano legale). Un altro stato dove è stata recentemente introdotta (1996) un'innovativa legislazione che consente il suicidio assistito da un medico è l'Australia.

Questioni mediche

La classe medica è da sempre al centro delle controversie riguardanti l'eutanasia. I governi, i gruppi religiosi e gli stessi medici concordano sì sul fatto che i professionisti della salute non debbano necessariamente utilizzare "misure straordinarie" per prolungare la vita alle persone che soffrono di malattie terminali, e che la decisione se utilizzare o meno mezzi straordinari dovrebbe spettare alla famiglia del paziente, ma è proprio la labilità del confine fra misura ordinaria o straordinaria a rendere difficile la valutazione. Ausili della tecnologia moderna come i respiratori artificiali, che rendono oggi possibile mantenere in vita le persone anche quando il coma è irreversibile e le funzioni cerebrali appaiono irrimediabilmente danneggiate, possono infatti essere ritenuti da un medico una misura ordinaria (perché vista nell'ottica del progresso scientifico) e da un familiare straordinaria (ma può accadere anche il contrario). A giudizio dei sostenitori dell'eutanasia prolungare la vita di una persona significa in casi come questi infliggere ulteriori sofferenze fisiche o deperimenti organico-fisici da cui potrebbe anche non essere possibile riprendersi, provocare una grande sofferenza ai familiari del paziente e causare una notevole spesa per il servzio sanitario (fattore di cui bisogna purtroppo tenere sempre più conto). Coloro che sono contrari ritengono invece che esista un reale pericolo di abuso dell'eutanasia, da parte dei medici che, a causa del crescente successo della medicina nel trapianto di organi, potrebbero violare i diritti del donatore morente per preservare in condizioni ottimali gli organi da espiantare.

Per regolamentare aree così delicate e complesse della vita umana sono in corso di elaborazione nuove definizioni giuridiche e professionali di morte e di responsabilità medica in relazione a essa. Fra queste, la più importante è per ora quella di "morte cerebrale" (cessazione dell'attività elettrica del cervello), il preludio irreversibile della morte dell'individuo, riconosciuta nella maggior parte dei paesi come il momento in cui cessare, con il consenso della famiglia, di fornire le cure che tengono in vita l'individuo stesso.

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