Geografia della popolazione mondiale

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Testo

GEOGRAFIA DELLA POPOLAZIONE
La popolazione:
La popolazione mondiale è formata da 6 miliardi di persone e questa cifra è determinata da un grande incremento negli ultimi secoli. Negli ultimi 3 secoli si registra, infatti, un andamento iperbolico:
Primo tempo: Anno 0 → 250 milioni - 1650 → 500 milioni
Secondo tempo di 154 anni: 1804 → 1 miliardo
Terzo tempo di 123 anni: 1927 → 2 miliardi
Quarto tempo di 47 anni: 1974 → 4 miliardi
Stima dell’ONU per il 2028 (54 anni) → 8 miliardi
La stima dell’ONU è importante perché indica che la popolazione mondiale continuerà a crescere, ma un po’ più lentamente che in passato.
Perché nel 1650 inizia l’andamento esponenziale della popolazione? Fino al 1650 la popolazione era determinata dalla natura e decimata da carestie, epidemie, guerre. Da quell’anno giungono dall’America patate (si adatta bene alle pietanze centro-settentrionali dell’Europa) e mais, fornendo nuove fonti di cibo. Inoltre, le scoperte coloniali creano il fenomeno del colonialismo e quindi l’accumulo di ricchezze da parte di alcuni paesi, ora in grado di condurre ricerche scientifiche. Nel ‘600 si assiste ad un trasferimento delle scoperte scientifiche in campo pratico-economico. Da qui la rivoluzione industriale e le prime scoperte scientifiche mediche (nel 1788 è scoperto il vaccino per il vaiolo) cui seguì un miglioramento dell’agricoltura e dell’industrie chimico-farmaceutiche e la diminuzione della natalità infantile. Tutti questi elementi portano all’aumento della popolazione soprattutto in Europa, dove fino al 1900 aumenta del 24%. Nel 1800 l’Asia ospita il 64% della popolazione mondiale. L’Africa subisce un crollo demografico dal 1750 al 1900 in seguito allo schiavismo.
Oggi, nonostante l’immigrazione, l’aumento della popolazione europea è sceso dal 24 al 12,2%. Perché? Il benessere e i miglioramenti economici, che seguirono al passaggio da un’economia agricola ad una industriale, portano ad un’evoluzione della famiglia; si passa, in altre parole, da una famiglia allargata ad un nucleo ristretto. I demografi spiegano questi flussi con la teoria della transazione demografica. Rispetto a qualche secolo fa la popolazione aumenta, ma i fattori dell’aumento hanno funzioni diverse. Prima ad un’elevata natalità corrispondeva un’alta mortalità; oggi in un paese con un buon livello di sviluppo economico, nascono pochi bambini, ma ancora più basso è il tasso di mortalità. Questa situazione può essere sintetizzata in uno spazio cartesiano, dove sull’asse delle ordinate ci sono i valori di natalità e mortalità e sull’asse delle ascisse il tempo. La differenza tra i due grafici (corrispondenti a due periodi diversi) rappresenta l’incremento della popolazione mondiale. I tassi di mortalità sono diminuiti nel tempo, ma non così rapidamente come quelli di natalità. Il tasso di mortalità è sceso perché la rivoluzione industriale ha messo a disposizione farmaci e vaccinazioni, il tasso di natalità è sceso così velocemente per motivi psicologici-culturali (in corrispondenza dell’inizio dell’aumento della popolazione mondiale in seguito alla rivoluzione industriale e sanitaria, crolla il tasso di mortalità, mentre la natalità diminuisce successivamente). Valori della transazione demografica:
Benin ? → natalità 46/1.000, mortalità 13/1.000
Pakistan → natalità 36,4/1.000, mortalità 7,9/1.000
Argentina → natalità 19,4/1.000, mortalità 7,6/1.000
Libia → natalità 44/1.000, mortalità 7,8/1.000
Gran Bretagna → natalità 12,1/1.000, mortalità 10,3/1.000
Paesi Bassi → natalità 12,7/1.000, mortalità 8,7/1.000
Germania → natalità 9,7/1.000, mortalità 10,4/1.000
Italia → natalità 9/1.000, mortalità 9,9/1.000
Duarda ? → natalità 39,1/1.000, mortalità 18/1.000
I tassi di natalità e mortalità sono evidentemente connessi in maniera universalmente proporzionale con il livello economico della nazione. Circa tra il 1200-1500 era presente un incremento moderato, tale incremento è dato dal numero di nati e morti, cioè dal movimento naturale della popolazione. Tra il 1600-1700 nascono molti bambini, ma ne muoiono anche tanti, tutto ciò è chiamato tasso di natalità. Si tratta di un rapporto tra il numero dei nati e la popolazione complessiva, ma nel calcolare questo rapporto si deve tenere in considerazione l’area e il periodo di tempo. Esempio di misurazione: in una regione di 3000 abitanti nascono 6 bambini l’anno. Si fa la proporzione: 3000:6=1000:X → X= (1000x6) / 3000. La stessa modalità di calcolo vale per la mortalità.
La distribuzione geografica della popolazione mondiale:
La distribuzione della popolazione non è omogenea. Il termine di riferimento è la densità di popolazione, cioè: abitanti / superficie del territorio; la densità mondiale è di circa 40,2 abitanti per Km², ma questo dato non è rappresentativo della situazione reale ed effettiva. Da almeno 3.000 anni la popolazione è concentrata in Cina, India e Europa occidentale; in questi territori vive il 46-48% della popolazione. Tuttora circa il 50% della popolazione è radicata sull’8% del territorio in seguito all’interazione reciproca di variabili fisiche, naturali, geografiche, umane, antropologiche e urbanistiche. Queste tre regioni sono accomunate da: regioni periferiche dei continenti, aree favorevoli all’agricoltura, clima mite e aree protette da elementi naturali (deserti, montagne, mari). Nonostante teorie secondo cui è la natura ad influire e favorire le scelte dell’uomo e quindi la distribuzione della popolazione (determinismo naturalistico), è sempre stato l’uomo a scegliere e fornire risposte ad adattamenti ad ambienti simili (variabili antropiche: l’uomo decide del territorio). Di contro alle grandi zone popolate, abbiamo aree di rarefazione: selve tropicali (in diminuzione), deserti caldi (in aumento), elevate latitudini di entrambi gli emisferi (Antartide, Siberia, Groenlandia, ecc.).
I fattori che hanno guidato la distribuzione della popolazione sul territorio:
Lo stanziamento delle popolazioni è determinato da fattori di natura geografico-fisica e antropico-culturale.
• Nell’ambito dei fattori di natura geografico-fisica si parla di spazi (aree non organizzate dall’uomo) e territori (aree organizzate dell’uomo che, anche quando non prevede la presenza fisica dell’uomo, ne porta comunque i segni).
o Tra questi ricordiamo innanzitutto la distribuzione delle terre emerse: il 73% nell’emisfero boreale, contro il 26% nell’emisfero australe.
o Il clima è il complesso delle abituali condizioni del tempo in una determinata zona per un certo periodo (giorni, mesi). Ha tre tipi di azione sulla popolazione: effetto diretto, indiretto e patogeno. L’effetto diretto è legato alla possibilità o meno di vita in determinati spazi in seguito alle condizioni climatiche; in base a quest’effetto si distinguono zone ecumene e anecumene. L’effetto indiretto del clima è legato alla possibilità di svolgere l’agricoltura, nonostante alcuni accorgimenti per favorirla (ad es. canali irrigui). L’effetto patogeno indica che il clima può favorire l’insorgere di malattie, dette appunto climatiche (ad es. malaria, febbre gialla, malattia del sonno). L’insieme di questi effetti ha fatto sì che l’uomo scegliesse alcuni climi, favorevoli all’insediamento.
o Oggi il mare è una via di comunicazione, una fonte di reddito (per la pesca, ad esempio), ma il rapporto delle società con il mare è cambiato nel tempo. Inizialmente il mare era solo una fonte di grandi pericoli: i nemici, le malattie, le onde (non a caso la maggior parte dei paesi non si trovano proprio sul mare, ma sul cucuzzolo). La stessa costa ferrarese fino al 1960 era disabitata, si è popolata negli ultimi 50 anni. Un ingegnere polacco ha calcolato che attualmente nella fascia costiera fino a 50 Km vive circa il 30% della popolazione mondiale, mentre a 200 Km dal mare la popolazione raggiunge il 50%. Ciò significa che oggi è in atto un fenomeno di attrazione dal mare. E’ in ogni caso una tendenza che non si registra in tutti i continenti, ma riguarda solo Europa, Asia e Africa, infatti, nelle Americhe, si manifesta il fenomeno opposto. Nell’America del nord, ad esempio, nel 1849 si verificò la corsa all’oro, cioè una corsa dalla costa verso il centro. Lo stesso vale per l’Australia, popolata da galeotti europei.
o Le grandi civiltà sono tutte sorte lungo grandi fiumi (Nilo, Tigri, Eufrate, Indo, Giallo, Azzurro), ma fiumi altrettanto grandi non hanno svolto alcuna funzione di attrazione (Missisipi). Questo perché l’attrazione non è determinata dal solo fiume, ma una serie di elementi. I romani, ad esempio, amavano far coincidere i confini dell’impero con il corso di un fiume (confini giunti fino a noi), il Reno, ad esempio, segnava il confine tra l’impero e i Germani. Nonostante tutti i progressi tecnici, ancora oggi i fiumi possono svolgere un ruolo importante date certe condizioni. Es. della Siberia: nella cartina della Siberia sono evidenti due assi di popolazione molto precisi: la linea ferroviaria transiberiana e i più importanti fiumi. Si tratta di fiumi che hanno un corso da sud a nord e che quindi sfociano in un mare che gela, di conseguenza l’acqua allaga le terre due volte l’anno (in autunno quando il mare gela e in primavera quando sgela la parte sud del corso del fiume). Nella letteratura sovietica questi fiumi furono addirittura definiti “maledetti”. Nonostante ciò, lungo i fiumi c’è più di un abitante per Km², perché rappresentano l’unica via di comunicazione.
o Non è un caso che le grandi civiltà classiche che noi studiano siano civiltà di pianura; un tempo, così come oggi, il rapporto uomo-montagna è sempre stato difficile per la pratica dell’agricoltura, il clima aspro, le vie di comunicazione, ecc. Ma è questo è un discorso che vale per l’area Euro-asiatica, infatti in America è vero il contrario. Oggi il 57% della popolazione mondiale vive sotto i 200m d’altezza (quindi in pianura), tra i 200m e i 500m vive un altro 24% e più ci innalziamo e minore è la quota di popolazione. Questa è però una media poco rappresentativa, perché ci sono forti differenze tra i vari continenti. Inoltre in questi due secoli assistiamo ad uno spopolamento delle montagne, ma non è sempre stato così, infatti, nel Medioevo la montagna dava sicurezza (la montagna è il settore maggiormente influenzato dal fattore storico).
• I fattori antropico-culturali:
o E’ possibile individuare una relazione diretta tra l’economia e il livello di popolazione, nel senso che quest’ultimo dipende dal livello di sviluppo economico del territorio. Negli ultimi 50 anni la relazione si è spezzata e si è costruito un rapporto inverso. Prima che fosse “inventata” l’agricoltura, la quantità di uomini era condizionata dalle offerte della natura. 10.000 anni fa l’uomo comincia a praticare l’agricoltura, ma è ancora un’attività discontinua, caratterizzata dal “riposo” del campo utilizzato l’anno prima, affinché si reintegri. Quest’anno di riposo è noto come “anno a maggese” e la sua durata dipende dalle condizioni ambientali. Con la rivoluzione industriale del 1700 ha inizio la pratica dell’agricoltura continua, poiché l’industria mette a disposizione concimi, fertilizzanti (prima l’uomo aveva risolto il problema con la consociazione di agricoltura e allevamento) e mezzi di lavorazione. Negli ultimi tre secoli i processi di sviluppo dell’agricoltura sono stati velocissimi, fino ad arrivare all’agricoltura intensiva (=si coltiva tutti gli anni e con elevate rese). Queste tecniche si inseriscono ancora in un rapporto di rispetto con la natura, poi si cercherà di forzare questo rapporto con la selezione varietale, gli incroci. Es. In Cina (agricoltura scarsamente industrializzata) c’è sempre stata un’agricoltura continua, perché la produzione è prevalentemente di riso e il riso richiede l’acqua, che compensa in parte le sostanze nutritive prese dalla pianta. In Russia (agricoltura industrializzata) si è risolto il problema dell’agricoltura discontinua con l’associazione dell’allevamento.
o Anche lo stato ha cercato da sempre di guidare l’incremento demografico, cioè il potere politico ha modificato l’incremento in base ai propri interessi. Nella storia ci sono stati due esempi: il primo è quello della Germania di Hitler, dove si cercò di aumentare la popolazione attraverso una politica basata sugli assegni familiari (lo stesso accade nell’Italia di Mussolini), e il secondo riguarda il periodo della rivoluzione francese, quando superati i 25 anni di età non si potevano avere cariche pubbliche se non si era sposati, o nel 1600 quando Colbert introdusse la tassa sul celibato (lo stesso accadde nel periodo fascista).
o Molte religioni tentano di aumentare i fedeli o cercano di convertire altri, favorendo la nascita di bambini.
Problemi legati alla popolazione:
Se nei paesi “vecchi” i problemi sono legati ad una popolazione anziana (pensioni, infrastrutture per la terza età), nell’Africa subsahariana come in India e negli altri paesi a forte incremento demografico (paesi “giovani”) ci sono i problemi opposti legati alla costruzione di scuole e ospedali. Queste opere richiedono forti fondi economici, quindi quasi tutte queste nazioni hanno tentato, con scarsi risultati, una politica demografica di contenimento delle nascite. La popolazione influenza, dunque, la politica, che tentò con vari metodi di ridurre la natalità (nel Bengala, ad esempio, erano diffusi come “premio” radio transistor per la sterilizzazione di maschi e femmine). Forse solo in Cina la politica demografica ha avuto effetto, contenendo a due il numero di figli dei dipendenti pubblici, pena il licenziamento. Sempre in Cina si presentò una “stranezza” statistica: una maggioranza di bambini maschi, nonostante una maggiore mortalità infantile maschile. Questo fenomeno era legato ad una superstizione culturale, che portava alla soppressione delle figlie femmine o al loro nascondimento senza registrazione anagrafica, con conseguenti stime errate della popolazione.
La città:
Nelle città dei paesi poveri è evidente la contraddizione tra il centro della città, simile al centro di una europea, e la baraccopoli.
Oggi la maggior parte della popolazione vive nelle città: in Africa il 44%, in America latina l’80% (è il paese dei più grandi contrasti) e in Asia il 43%. Secondo le previsioni l’inurbamento nel mondo continuerà a crescere e soprattutto nei paesi poveri. Non tutte le città sono mete in modo indifferenziato, ma solo le grandi città, dove con grandi si intende quelle con più di 100.000 abitanti (definizione dell’ONU).
Area metropolitana → area contrassegnata da una città grande circondata da centri minori (luoghi solo residenziali) con cui intrattiene rapporti di lavoro.
Conurbazione → evoluzione di un’area metropolitana (i centri minori si sono allargati fino a fondersi). E’ il caso di Ruhr, Bologna.
Megalopoli → grandi centri che si fondono l’uno con l’altro. E’ il caso di Boston, Philadelphia, Tokyo.
Suburbanizzazione → la migrazione campagna-città ha come destinazione i centri minori. Nel mondo industrializzato è sempre più problematico vivere nelle grandi città per la criminalità, l’elevato costo e la bassa qualità della vita. La meta non è quindi più la grande città, ma il centro minore.
Disurbanizzazione → la somma algebrica degli abitanti del grande centro e dei centri minori è negativa.
Ma con l’andare del tempo anche nei centri minori diminuisce la qualità della vita, quindi si diffonde l’abitudine di possedere la casa non più in centro, ma in campagna (in questo caso si parla di controurbanizzazione).
Le statistiche:
La prima grande fonte statistica di natura internazionale è l’ONU: pubblica ogni anno un annuario demografico in due lingue (inglese e francese) sui 187 paesi del mondo. L’ONU presenta i dati in modo quasi sempre corretto, ma il livello di attendibilità cambia se facciamo riferimento alle fonti statistiche statali, perché il potere le manipola per dimostrare all’opinione pubblica di avere ben governato. Le altre fonti internazionali sono: Unione Europea, OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio).
Equazione della popolazione → (nati-morti)+(immigrati-emigrati)
Saldo naturale → nati-morti
Saldo migratorio → immigrati-emigrati
Tasso di natalità → nati/pop. tot x 1.000
Tasso di mortalità → morti/pop. tot x 1.000
Tasso di immigrazione → immigrati/pop tot. X 1.000
Secondo gli ultimi dati ONU la distribuzione sul territorio della natalità non è omogenea, ma abbiamo 5 tassi: tasso elevato in Africa, tasso di natalità modesto alternato a tasso elevato in Asia, tasso medio-basso in America latina, tasso basso in America del nord e tasso molto basso in Europa. Questi dati sono molto simili a quelli del tasso di mortalità, mortalità infantile e incremento della popolazione (probabilmente perché se la popolazione cresce troppo rapidamente, la disponibilità di risorse naturali non è sufficiente). Secondo la FAO, a livello mondiale l’agricoltura attuale produce derrate alimentari per tutti, ma in base a dei meccanismi di natura economica, un paese non può contare sulla sub-probuzione di un altro paese o i prezzi del mercato crollerebbero.
Nonostante tutti gli sforzi di questi anni, si indica ancora una cosa diversa con lo stesso nome secondo le diverse statistiche. In Europa la maggior parte dei paesi considera la mortalità infantile quella nel primo anno di vita, mentre l’ONU quella fino a 5 anni di età (sono quindi due dati non confrontabili).
Sex ratio → maschi/femmine x 1.000
Tasso di fecondità → nati in un anno/numero di femmine tra i 15 e i 49 anni x 1.000
Indice di vecchiaia → popolazione dai 65 anni in su/popolazione totale x 100
Spesso si rappresenta l’età della popolazione di uno stato con la piramide dell’età: si contano quanti abitanti ci sono per ogni anno e si distinguono per maschi e femmine. All’asse delle ordinate corrispondono le classi di età, mentre all’asse delle ascisse la percentuale rispetto alla popolazione di maschi e femmine. La forma assunta dalla piramide è un modo molto approssimativo per capire le condizioni socio-economiche di un paese. Si distinguono: piramide ad accento circonflesso caratteristica dei paesi poveri come la Nigeria (forte tasso di natalità e pochi anziani), piramide a mitria caratteristica dei paesi con un certo sviluppo economico come l’Irlanda (basso tasso di natalità e alta percentuale di anziani), piramide a fuso caratteristica dei pesi molto sviluppati economicamente come l’Italia (la base è più stretta della parte centrale) e piramide atipica come nel caso della Cina (strano andamento frutto delle manovre politiche).
Indice di dipendenza → (popolazione con meno di 15 anni + popolazione con più di 65 anni) / (popolazione tra i 15 e i 65 anni) x 100. Al numeratore si considera la popolazione che non lavora (popolazione a carico perché figli o pensionati) e al denominatore la popolazione che lavora.
Indice di ricambio → (popolazione tra i 15 e i 19 anni) / (popolazione tra i 60 e i 64 anni) x 100. Al numeratore si considerano i giovani che hanno finito la scuola dell’obbligo e si affacciano al mondo del lavoro e al denominatore coloro che stanno per uscire dal mondo del lavoro.
Tasso di alfabetismo → (frequentanti delle scuole) / (popolazione dai 6 anni in su) x 100
Tasso di analfabetismo → analfabeti / (popolazione dai 6 anni in su) x 100
Tasso di scolarità → (scolari e studenti) / (popolazione totale) x 100
Tasso di attività → (popolazione attiva) / (popolazione totale) x 100
Tasso di occupazione → (occupati) / (popolazione con più di 15 anni) x 100
Gli statisti considerano popolazione attiva tre gruppi di persone:
• Gli occupati, coloro che lavorano;
• I disoccupati, coloro cercano una nuova occupazione;
• Gli inoccupati, coloro che sono in cerca di un’occupazione.
Per popolazione non attiva si considera, invece:
• I bambini e i ragazzi fino a 15 anni, anche se lavorano;
• Le casalinghe;
• Gli studenti;
• I pensionati;
• I giovani che fanno il servizio di leva.
Gli attivi sono inoltre distinti in base al settore in cui lavorano: primario (agricoltura, pesca), secondario (industria, artigianato) e terziario (commercio, pubblica amministrazione). Guardando la situazione degli attivi nei vari settori, è possibile capire molte cose di un paese: un basso tasso di agricoltura è segno di un paese molto sviluppato economicamente, un basso tasso di agricoltura e un alto tasso di secondario è segno di un paese di recente industrializzazione (il terziario trae in inganno perché comprende molti mestieri).
Le rappresentazioni grafiche:
• Spazio cartesiano → spazio a due dimensioni utilizzato per rappresentare fatti e fenomeni con due varianti. Il vantaggio è che in modo rapido si capisce l’andamento di un fenomeno, ma ha come limite il fatto di avere solo due dimensioni.
• Istogramma → strumento molto elastico, che si può utilizzare per n settori. Negli istogrammi maggiormente usati l’altezza indica la dimensione assoluta del fenomeno.
• Cartogramma a mosaico → è detto cartogramma perché il disegno di fondo è una carta geografica e a mosaico perché ogni paese ha un colore diverso in base ai valori che registra. E’ la rappresentazione grafica più usata in geografia, perché a colpo d’occhio rende la distribuzione di un fenomeno.
• Settori circolari → si trasformano i dati in angoli con una proporzione. E’ quello più usato per gli strumenti di informazione.
Coordinate polari → ci sono tanti segmenti quanti sono i fenomeni.
Triangoli equilateri → il disegno parte da un triangolo equilatero con gli angoli numerati da 0 a 100 in modo tale che i vertici abbiano sempre valori opposti in base al settore cui si riferiscono. La posizione del punto, dato dall’intersezione dei tre segmenti, dice subito la situazione del paese. Questo tipo di rappresentazione grafica permette confronti molto rapidi.
I confronti possono essere: diacronici (fra paesi uguali, ma in momenti diversi) e sincronici (fra paesi diversi).
LE RAZZE
Un tempo per razza si intendeva: gruppo umano avente una serie di caratteri fisici comuni ereditati dal passato: colore della pelle, statura, forma del cranio e della faccia, colore dei capelli e degli occhi, forma del naso e un certo habitus spirituale. Si identificava, quindi, la razza attraverso i caratteri somatici, o meglio i fenotipi, come se si trattasse di caratteri originari. In realtà i fenotipi si sono manifestati nel tempo, perché sono il frutto dell’evoluzione. Questa concezione di razza aveva portato ad un’ipostatizzazione delle razze: si sono considerati scientifici degli stereotipi e sono stati abbinati dei caratteri culturali a caratteri fisici.
La variabilità dei fenotipi ha messo in crisi questa concezione, poi un contributo decisivo è stato dato dalla genetica.
L’evoluzione:
La scienza che studia i resti fossili è la paleontologia, quella che studia i manufatti è la paletnologia e quella che studia la disposizione dei resti è la tafonomia.
5-7 milioni di anni fa hanno cominciato a manifestarsi le prime divergenze tra uomini e scimmie (rispetto alla nascita del pianeta, la presenza dell’uomo è molto recente). Per una serie di motivi nascono degli scimpanzé diversi dai loro genitori e 4.000.000 di anni fa si notano le prime forti differenze tra coloro che saranno uomini e gli scimpanzé. Lucy, ritrovata in Africa, è l’anello di congiunzione tra i due e si tratta di un australopitecus (in greco picos significa scimmia): è alto 110 cm ed ha una capacità cranica di 400 cm3.
2.500.000 anni fa compare l’homo habilis, che lavora la pietra: è alto 120 cm, ha una capacità cranica di 630 cm3 e appare solo in Africa.
L’homo erectus, cosiddetto perché cammina con due zampe, ha una capacità cranica di 1.000 cm3 e usa il fuoco per mangiare cibi cotti. Appare in Africa, Asia e Europa.
300.000 anni fa compare l’homo sapiens: ha una capacità cranica di 1.400 cm3, pari a quella dell’uomo moderno.
100.000 anni fa compare l’homo sapiens sapiens. Ci sono state anche altre linee evolutive, ma si sono estinte.
L’uomo si è differenziato dalla scimmia nel continente africano, ma potrebbe anche essere l’unico luogo dove i resti sono giunti fino a noi (la polvere vulcanica della Rift valley ha conservato i resti). Dall’Africa l’uomo si è poi spostato verso gli altri continenti utilizzando i passaggi favoriti dalla distribuzione delle terre emerse: dapprima in Asia (60.000 anni fa), poi in Europa e in Australia (40.000 anni fa) e infine in America (15.000 anni fa).
La genetica:
Il nucleo della cellula contiene 23 coppie di cromosomi, che sono filamenti di DNA (acido desossiribonucleico). Il DNA è costituito da un acido fosforico, uno zucchero e una delle quattro possibili basi: questa struttura forma un nucleotide. Una serie di nucleotidi può dar luogo ad un gene.
La cellula germinale maschile e femminile contiene 23 cromosomi, che si fondono con la fecondazione dell’ovulo. In questa fase può capitare che avvenga un errore di copiatura in un nucleotide, quindi, il nascituro avrà un DNA diverso da quello dei suoi genitori. Avviene così una mutazione.
E’ poi l’ambiente sceglie le mutazioni più vantaggiose per la sopravvivenza in quel determinato luogo (selezione naturale), ma svolge un ruolo decisivo anche il contesto culturale (la base alimentare). La natura non è provvida (non ci ha adattato all’ambiente nel quale viviamo), ma è l’ambiente a scegliere l’uomo più adatto.
Oggi le razze si riconoscono quindi in base al patrimonio genetico.
L’evoluzione culturale dell’uomo:
Un primo importante momento nell’evoluzione culturale dell’uomo è stato l’utilizzazione degli utensili (pietra scheggiata, pietra modellata) e del fuoco (300.000 anni fa). La vera cultura inizia 40.000 anni fa con le prime manifestazioni artistiche sulle pareti delle grotte (20.000 anni fa l’uomo crea le prime sculture, dette Veneri, e 10.000 anni fa comincia a lavorare la ceramica). Non c’è ancora una data precisa per la nascita del linguaggio, ma si pensa in ogni caso 50.000 anni fa. La scrittura risale a 5.000 anni fa, le prime civiltà a 3.000 anni fa, le prime abitazioni a circa 15.000 anni fa, l’arco, l’amo e l’arpione 20.000 anni fa e gli abiti 25.000 anni fa.
Le migrazioni:
La storia del genere umano è una storia di migrazioni, che comincia con quella dall’Africa verso gli atri continenti. Il motivo non è conosciuto, ma si pensa per un bisogno di spazio dovuto ad un aumento del numero degli uomini o per la nascita di motivi di conflitto.
I motivi che di norma spingono all’emigrazione sono di repulsione, in altre parole fattori che rendono problematica la convivenza in un certo stato, o di attrazione, in altre parole fattori che attraggono ad andare in un altro continente.
Le migrazioni non sono avvenute tutte nello stesso momento e verso la stessa direzione. All’inizio dell’epoca storica il continente di partenza è l’Asia, mentre negli ultimi 500-600 anni, questo ruolo è stato svolto dall’Europa.
Le migrazioni non sono solo uno spostamento di uomini, ma anche di cultura e tecnologia e in molti casi la cultura o gli stessi uomini sono stati uccisi dai colonizzatori.
Dal punto di vista della geografia umana, le migrazioni sono classificate in base alla loro entità in migrazioni di massa o per infiltrazione, in base ai moventi in migrazioni spontanee o coatte e in base alla loro durata in permanenti o temporanee.
Le migrazioni di massa coinvolgono interi popoli e i loro effetti sono visibili ancora oggi. Per esempio oggi gran parte dell’Europa è popolata dai discendenti dei popoli indoeuropei o ari (la parola “ariano” deriva da un’antica lingua indiana e significa “nobile”, mentre “barbaro” è una parola di origine germanica, che significa “balbettante”), che si sono spostati dall’Ariana verso occidente e sud-est. I Celti sono il risultato di queste prime migrazioni e hanno popolato il 99,9% dello spazio europeo. Un’altra migrazione di massa è quella dei Germani, che spingono i Celti verso ovest e li confinano nelle zone più occidentali dell’Europa. I Germani si spostano verso ovest per fattori di attrazione (la caduta dell’Imparo romano) e di repulsione (la spinta degli Slavi). Dal VII, VIII secolo, l’Europa e l’Africa sono interessate dalla migrazione di massa degli Arabi. Nel V secolo i popoli Cavalieri (i Bulgari) si spostano verso ovest, mentre un’altra ondata di popoli Cavalieri nel IX secolo si stanzia in Ungheria. I Turchi hanno vissuto per millenni in aree asiatiche, poi sono giunti in Europa e hanno popolato l’Anatolia. In genere queste popolazioni si spostavano per terre utilizzando dei percorsi obbligati, le cosiddette porte storiche.
Le migrazioni per infiltrazione riguardano numeri modesti di persone rispetto quelle di massa. Si sono sviluppate in epoca relativamente recente, interessano la storia moderna o contemporanea. L’area di partenza non è più l’Asia, ma l’Europa a causa delle grandi scoperte geografiche, che portano al colonialismo. Le colonie create dagli europei a partire dal 1500 si distinguono in tre grandi categorie in base ai diversi scopi perseguiti dalla potenza coloniale. Le colonie di popolamento sono create per risolvere il problema del sovrapopolamento, quindi del territorio conquistato si sfrutta lo spazio (v. agricoltori siciliani emigrati in Libia, francesi emigrati in Algeria). Le colonie di inquadramento sono create per sfruttarne le risorse (v. sfruttamento delle risorse di minerali e di petrolio del Congo da parte del Belgio). Infine le colonie di posizione sono create per avere una posizione strategica (v. la corona britannica ha conquistato lo stretto di Gibilterra per controllare il Mediterraneo). Nel XVI, XVII e XVIII secolo vi sono quattro popoli che alimentano il processo delle colonie di popolamento: spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi, che si dirigono verso le Americhe e il sud-est asiatico (si parla di circa 3.000.000 di uomini). Il processo diventa più consistente nel IXX secolo, quando in Europa si presentano fattori di repulsione: le ricorrenti crisi agricole spingono anche gli irlandesi e i tedeschi a dirigersi verso gli Stati Uniti. A cavallo tra ‘800 e ‘900 nuovi popoli alimentano i flussi migratori: italiani, greci, turchi, russi, polacchi, ungheresi (circa 15.000.000 di uomini). Questi flusso intensissimo è bloccato improvvisamente dallo scoppio della prima guerra mondiale. Si è fatto un conteggio degli emigrati nel periodo che va dal 1815 (anno del congresso di Vienna) al 1914 (anno dello scoppio della prima guerra mondiale):
Gran Bretagna → 17.000.000
Italia → 10.000.000
Irlanda → 6.000.000
Germania → 6.000.000
Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale non ci sono flussi migratori, che riprenderanno nel secondo dopoguerra. In questo periodo, però, alcuni paesi cominciano a controllare l’immigrazione, facendo entrare solo un certo numero di persone e solo quelle provenienti da certi paesi (norme ancora oggi presenti negli Stati Uniti). Le migrazioni assumono così un carattere intraeuropeo, riguardano cioè spostamenti da un paese all’altro dell’Europa: da Spagna, Portogallo, Italia, Grecia e Turchia verso Svizzera, Belgio, Inghilterra e Germania. Da una decina d’anni a questa parte, anche questi spostamenti sono molto deboli, perché oggi le migrazioni avvengono dalle aree più povere verso quelle più ricche. I principali flussi migratori oggi esistenti sono: dall’America latina verso il nord America, dalle regioni africane verso l’Europa per fattori economici e le migrazioni curde per fattori politici.
Le migrazioni coatte sono migrazioni imposte, ma in realtà le migrazioni volontarie non esistono, sono tutte imposte da condizioni o da altri uomini.
Il caso più emblematico di migrazione coatta è quello dello schiavismo: uno spostamento violento di circa 30.000.000 di africani verso il continente americano. La tratta degli schiavi inizia nel 1442 ad opera dei Portoghesi, quando l’economia delle zone colonizzate ha bisogno di manodopera, ma gli uomini non ci sono perché gran parte degli abitanti del luogo sono stati uccisi dagli stessi colonizzatori. Il fenomeno raggiunge la sua massima consistenza nel XVIII secolo ad opera di inglesi e olandesi. Gli emigrati lavoravano in miniera o in piantagioni (=azienda agricola, dove il lavoro è svolto dalle popolazioni indigene o da persone importate con lo schiavismo, mentre i bianchi colonizzatori svolgono la solo funzione di dirigenti. Le piantagioni sono coltivate con la monocultura, tecnica che rende sterile il terreno, anche se le concimazioni sono molto massicce. I prodotti sono riservati al mercato mondiale.).
Quando in Spagna cade la fortezza di Granada nel 1491, un milione di uomini tra arabi ed ebrei devono abbandonare il paese (motivi politici).
Lo stesso accade in Francia quando è revocato l’editto di Nantes nel 1685, editto che concedeva una certa libertà di culto agli ugonotti, ora costretti a fuggire (motivi religiosi).
Durante la seconda guerra mondiale circa 60.000.000 di uomini hanno emigrato, perché abitavano al fronte (a causa delle guerra). Fra il 1938 e i primi anni 40, 2.000.000 di ebrei sono fuggiti dalla Germania. Dopo la seconda guerra mondiale 12.000.000 di tedeschi sono emigrati verso la Germania ovest (repubblica federale tedesca), perché provenienti da territori ora sotto il dominio polacco (non hanno accettato di diventare cittadini polacchi, conseguenze postbelliche).
Nel futuro le migrazioni coatte saranno sempre più forti, perché oltre a questi motivi, l’economia giocherà un ruolo molto importante. E’ già in atto uno spostamento dalle aree più povere verso quelle più ricche: dall’America del sud verso l’America del nord, dall’Africa verso l’Europa e dall’Asia verso l’Oceania o l’Europa occidentale.
Tendenzialmente le migrazioni si prospettano come dei fatti permanenti, ma non è sempre stato così. Le migrazioni a lungo raggio sono di solito permanenti (ad esempio gli italiani emigrati in America); quelle a breve-medio raggio sono di solito limitate nel tempo (ad esempio gli italiani emigrati in Francia, Germania, Belgio), perché la vicinanza geografica non interrompe il legame con la patria (sono comunque solo i primi ad essere emigrati che tornano, mai le generazioni successive). Quindi le migrazioni internazionali sono tendenzialmente più permanenti di quelle interne. Ora le migrazioni temporanee non esistono più (v. transumanza, alpeggio, emigrazione verso l’Argentina per qualche mese).
Indicatori statistici:
Tasso di emigrazione → emigrati / popolazione x 1.000
Tasso di immigrazione → immigrati / popolazione x 1.000
Bilancio migratorio → (emigrati – immigrati) x 1.000
Tasso di mobilità → (immigrati – emigrati) / popolazione totale x 1.000
Indice migratorio → (immigrati – emigrati) / (immigrati – emigrati)
L’indice migratorio valuta la capacità di attrazione o repulsione di un territorio. I valori oscillano tra +1 (massima capacità di attrazione) e –1 (massima capacità di repulsione). Permette di confrontare i dati di più paesi indipendentemente dal numero di abitanti.
LA FAME NEL MONDO
Oggi gli affamati nel mondo sono 800.000.000 (un abitante su sette), di cui 36.000.000 nei paesi ricchi. Per affamati si intende coloro che non hanno i mezzi per procurarsi gli elementi per sopravvivere (sono in condizioni di sottonutrizione o malnutrizione). 1.200.000.000 di persone vivono con meno di un dollaro al giorno.
Perché? Stiamo assistendo da molti anni ad un dibattito tra due posizioni estreme:
• Posizione maltusiana → prende il nome dall’economista inglese Malthus (1776-1834), che ha pubblicato nel 1798 un saggio. Ha assistito in prima persona all’incremento demografico in atto al suo tempo ed è arrivato alla conclusione che il nostro mondo non è sufficiente per tutti, la fame è, quindi, una conseguenza dell’eccessivo incremento demografico. Mentre la popolazione mondiale aumenta seguendo i ritmi di una progressione geometrica (ad esempio: 2-4-8-16-64...), le risorse alimentari aumentano seguendo i ritmi di una progressione aritmetica (ad esempio: 2-4-6-8-10-12-14...).
• Posizione di Condorcet → Uomo vissuto durante la rivoluzione francese, che ritiene che non è il numero degli uomini la causa della fame nel mondo, ma meccanismi di tipo politico-economico.
La FAO ha distinto i paesi del mondo in tre grandi categorie in base alla disponibilità di calorie in percentuale al fabbisogno (100 è la condizione ottimale per garantire la sopravvivenza):
• Paesi industrializzati → la disponibilità di calorie è di 30-40% superiore del necessario.
• Paesi in via di sviluppo → la disponibilità di calorie è superiore di quella necessaria.
• Paesi più poveri → la disponibilità di calorie è inferiore al necessario.
A livello mondiale la disponibilità di calorie è del 109%, in altre parole il mondo produce un 9% in più delle calorie sufficienti. Questo dato dimostra che la posizione maltusiana non è valida: la fame nel mondo non è causata dal sovrapopolamento, ma da meccanismi economico-commerciali. Ad esempio, alcuni prodotti non sono messi in commercio perché scenderebbero i prezzi e gli agricoltori sono pagati per produrre meno di quanto potrebbero.

Esempio



  


  1. maria

    sto cercando il numero degli abitanti totale di ogni continente: america, asia, africa europa, oceania, antartide