Autoritratto di Alfieri vs autoritratto di Foscolo

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AUTORITRATTO DI ALFIERI vs AUTORITRATTO DI FOSCOLO

I sonetti di Alfieri e Foscolo sono l’autoritratto dei due poeti, di cui il primo è stato preso come modello per il secondo. Il ritratto fisico di Alfieri è contenuto nelle due quartine, mentre quello di Foscolo solo nei primi 5 vv.; nelle due terzine di Alfieri e nei rimanenti 9 vv. di Foscolo, c’è la descrizione del carattere e dell’atteggiamento. Dal punto di vista metrico e lessicale, il primo sonetto presenta nelle terzine rime in –ai (mai e assai che danno importanza al ruolo di determinazione logica e cronologica che l’autore dà ad avverbi e congiunzioni) e –ite (mite- lite- Tersite, quasi a sottolineare il contrasto nel poeta rappresentato da Achille e Tersite). Il sonetto di Foscolo, invece, ha nelle due terzine delle rime in –ode (prode- lode, quasi che il poeta voglia sottolineare che le sue azioni gli devono fama, l’unica cosa assieme al riposo che gli darà la morte), -oso (pensoso- riposo), -ace (tenace- piace che potrebbero sottolineare il contrasto tra ragione e passione: il poeta tende tenacemente a soddisfare il suo lato passionale, malgrado egli loda la ragione che gli permette di arrivare alla fama dopo la morte).
C’è una differenza evidente tra le due descrizioni: la prima esordisce con un’apostrofe allo specchio, mentre la seconda inizia subito con l’analisi dell’aspetto fisico.
Le analogie non solo si trovano negli stili aspri e spezzettati, in contrasto con quello petrarchesco limpido e armonioso, ma anche nei contenuti dei due autoritratti: per quanto concerne l’aspetto fisico entrambi hanno i capelli rossi e radi (“capelli or radi in fronte, e rossi pretti”; “solcata ho fronte […] crin fulvo”), il capo che tende a guardare in basso (“capo a terra prono”; “capo chino”), bei denti (“denti eletti”, “denti tersi”) e la carnagione del viso chiara (“pallido in volto”; “emunte guance”). Ma anche per quanto riguarda la descrizione del carattere, ricca di contrasti ottenuti con antitesi (vv. 9, 12, 13 che contiene un’antonomasia; vv. 11-12, 13-14), ci sono degli aspetti in comune: entrambi hanno la mente e il cuore in contrasto (v.11; v.13), ovvero c’è un contrasto tra l’Illuminismo, che vede la predominanza della ragione, e il Romanticismo, che, viceversa, vede il prevalere della componente passionale. Ciò colloca i due poeti in una posizione intermedia tra le due epoche e fa dei due poeti rispettivamente un “Protoromantico” e un “Preromantico”.
In entrambi gli autoritratti ci sono dei richiami alla poesia petrarchesca nella descrizione fisica: bianca pelle (ribadita anche più avanti, al v.8 con “pallido in volto”), “occhi azzurri”, “bel labro”, “giusto naso”, “denti eletti”; “denti tersi”, “guance emunte”, “bel collo”, “labbro tumido acceso”, “giuste membra” . In entrambe le descrizioni, tuttavia, c’è un carattere che viene escluso dalla tradizione petrarchesca, e cioè i capelli rossi che si sostituiscono ai capelli biondi.
Per quanto riguarda il carattere dei due poeti, è evidente la mutezza che esso assume in entrambi i casi: in Foscolo è “mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, / pronto, iracondo, inquieto, tenace”; allo stesso modo in Alfieri è “or duro, acerbo, ora pieghevol, mite, / irato sempre, e non maligno mai; […] per lo più mesto, e talor lieto assai, or stimandomi Achille, ed or Tersite”.
E’ evidente come in questo caso e anche in altri sonetti dello stesso autore ci sia un richiamo a Petrarca testimoniato dall’immagine dell’io nel mezzo di due forze contrastanti e della ricerca della solitudine ( ad esempio, Tacito orror di solitaria selva). C’è inoltre un altro richiamo a Petrarca che si riscontra anche nell’autoritratto di Foscolo: i due poeti sono sottoposti alle modifiche fisiche causate dal tempo (“capelli, or radi in fronte”/ “crin fulvo”). In Petrarca questo particolare è evidente in “Eran i capei d’oro all’aura sparsi” che sottolinea come i capelli dell’amata Laura un tempo fossero stati del color dell’oro, mentre ora abbiano perso la loro lucentezza.
In quanto protoromantico, Alfieri non riesce a convivere con la mentalità della seconda metà del Settecento; ad esempio egli critica la matematica ed assume un atteggiamento di sfida accompagnato da stravaganza e bizzarria: questo suo stato d’animo si può comprendere al v. 10 (“irato sempre”). La stessa cosa vale per Foscolo- che visse nello stesso contesto storico di Alfieri- ne è testimonianza il v. 11 (“iracondo, inquieto”).

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