A.I.D.S.

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Testo

1. Origine della malattia.
P
ossiamo rilevare da alcuni dati (quali l’origine etnica dei primi malati e la loro diffusione nel mondo) come, oggi, con una certa probabilità, si può affermare che l’AIDS proviene dallo Zaire, stato situato nell’Africa centrale. Una dottoressa deceduta a Copenaghen aveva, nel ’77, lavorato per cinque anni in tale Paese e da esso proveniva l’altro caso rilevato sempre nello stesso anno(1977) in Belgio. Anche gli studi stessi dei ricercatori americani, furono effettuati proprio su malati di AIDS provenienti dallo Zaire.
Da questi dati è stato possibile stendere una mappa di diffusione dell’AIDS nel mondo, cosa che ci permette di rilevare come, la seconda tappa di sviluppo del morbo, sia stata Haiti. Da questa isola l’AIDS si è diffusa verso il Brasile e verso l’America centro-settentrionale. Ecco, dunque, che ritroviamo malati in Messico, negli Stati Uniti ed in Canada, con il coinvolgimento delle città di San Francisco, Los Angeles, New York e Miami. Dagli Stati Uniti essa è arrivata in Europa, e precisamente in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda e Svizzera.
Vie alternative di sviluppo della malattia, nel mondo occidentale, oltre a quella haitiana, sono quelle che vanno dallo Zaire direttamente in Belgio e dallo Stato africano direttamente in Giappone.
A questo punto ci si chiederà, sicuramente, il motivo per il quale l’AIDS si sia sviluppata proprio in questo Paese dell’Africa centrale, ed il motivo per il quale solo negli anni ottanta, la malattia si sia estesa anche al mondo industrializzato. Al primo quesito si può facilmente rispondere, in quanto sembra che l’AIDS venga trasmessa all’uomo da una scimmia, in particolare il Cercopiteco verde, animale che risiede normalmente nello Zaire; meno facile è rispondere all’altro dei quesiti. Comunque, sempre per rispondere a quest’ultima domanda, sembra che uno dei motivi importanti, per cui la malattia si sia diffusa solo oggi al mondo occidentale, risiede nel fatto che negli ultimi tempi si è avuto un aumento degli spostamenti nel mondo da parte dei cittadini zairesi.
Viste le origini e la diffusione dell’AIDS, difficilmente saranno prevedibili i suoi futuri spostamenti, in quanto fino a che non verrà trovato il modo di inattivare il virus, grazie alle libera circolazione delle genti, l’AIDS potrà raggiungere luoghi, che ancor oggi, risultano incontaminati.
2. Contestualizzazione storica.
I
primi casi di AIDS furono osservati all’inizio degli anni Ottanta: si trattava di decessi di maschi omosessuali, peraltro sani, vittime di infezioni che, in precedenza, erano state osservate soprattutto in pazienti che avevano subito trapianti e, per limitare il pericolo del rigetto dell’organo trapiantato, erano stati sottoposti a terapie immunosoppressive, cioè alla somministrazione di farmaci che rendono le naturali difese del corpo meno aggressive nei confronti di agenti estranei. Nel 1983 il medico e virologo francese Luc Montaigner e altri scienziati dell’Institut Pasteur di Parigi isolarono, dal linfonodo di un uomo a rischio di sviluppare l’AIDS, quello che sembrava essere un nuovo retrovirus umano. Poco tempo dopo, sia il gruppo guidato da Jay Levy all’università della California a San Francisco, isolarono un retrovirus da persone infette dal virus ma non malate (denominate sieropositive) e da pazienti con AIDS conclamata (ovvero, che manifestavano già il quadro clinico della sindrome). Tutti e tre i gruppi avevano così isolato quello che oggi è noto come HIV.
“Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’esistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire e, come osservò acutamente un uomo d’ingegno, le piace più attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa con la quale non ci sia altro che rassegnarsi.”
Alessandro Manzoni
Da: I promessi Sposi
CAP. XXXII v. 51-57
Analizzando questo tratto dell’opera manzoniana, ci sembra di intuire che dei pensieri nonostante siano passati anni, continuino ancora a sussistere.
I mali citati sono quelli apportati dalla peste che invade la città milanese nel 1630: in un primo tempo tutti chiusero gli occhi davanti alla realtà dei fatti, poi, quando le prove divennero schiaccianti, si parlò di febbre pestilenziale e, infine, di peste. Ma, trovandosi nella necessità di ammettere un tale grave e comune pericolo, il popolo doveva pur attribuirlo, con il semplicismo che gli è propri, ad una causa qualsiasi, ma umana, e così mentre i più dotti pensavano a strani influssi astrali, la maggior parte dei cittadini le attribuì alle arti diaboliche di gente malvagia, i cosiddetti untori.
L’uomo d’ingegno a cui Manzoni fa riferimento è il milanese contro Pietro Verri, uomo di vasta cultura, aperto a quelle che furono le nuove idee illuministiche, l’Illuminismo infatti è un movimento culturale (filosofico, politico, economico) che si sviluppa in Inghilterra e in Francia e da lì in tutta Europa, che si propone di combattere contro l’ignoranza, la superstizione e i pregiudizi; i centri principali dell’Illuminismo furono proprio Napoli e Milano, le sue parole hanno fondamentale valore in quanto ci fornisce una massima di “ieri” su cui riflettere oggi. Tutto è da ricercare nel perché la collera popolare va ad attribuire un male ad un’inclinazione negativo dell’animo umano, ebbene se la risposta è solo nella vendetta, nella rivalsa verso qualcuno e non verso qualcosa di astratto quale poteva essere una punizione divina vi è sentitamente da riflettere; il punto sta proprio nel capirla.
L’AIDS è stata definita la “peste del Duemila”.
La diffusione dell’AIDS ha richiamato in vita le grandi paure del passato; il 5 giugno 1990 il Parlamento ha varato la prima legge per la lotta all’AIDS, la n. 135, attraverso la quale si intendono affrontare i problemi di cura, prevenzione, organizzazione logistica…, per affrontare la rapida diffusione della malattia. La sua espansione nel contempo ci ha indotti a ripensare criticamente il nostro presente, indebolendo un sempre imminente desiderio di onnipotenza ed aiutandoci a riflettere, fra l’altro, sul senso e sul fine ultimo della nostra esistenza.
Dobbiamo tutti imparare a convivere con questa malattia, recuperando altresì le ragioni della solidarietà contro il pregiudizio e l’indifferenza.
Così come il ‘600 cercava degli uomini da ritenere responsabili della peste, nello stesso modo il nostro secolo ha voluto individuare, all’inizio, dei responsabili in alcuni gruppi sociali, in particolare nei drogati e negli omosessuali; sono stati i primi a dover subire, appunto, i pregiudizi della gente che in loro tende ad individuare le cause della diffusione dell’AIDS.
È impressionante come mentalità seicentesche tornino ad essere presenti nelle menti di persone che appartengono a quello che viene chiamato nuovo millennio.
Per gli omosessuali, una loro scelta di vita è diventata una “condanna” ormai definitiva; è si vero che nei “gruppi a rischio” rientrano principalmente gli omosessuali e i tossicodipendenti, ma è anche vero che c’è stata una crescente diffusione dell’AIDS anche fra soggetti eterosessuali, ma questo dato di fatto sembra avere poca preponderanza.
In questo secolo sono loro i responsabili della “peste”, a quanto pare però non si tiene conto di come loro vivano questa malattia, non si tiene conto che anche loro hanno il diritto di vivere una vita, nonostante gli ostacoli, serenamente, nella consapevolezza di non rappresentare un pericolo. Quello di “sbattere il mostro in prima pagina” è un vezzo antico quando il mondo, fin dai tempi più remoti l’opinione pubblica ha sempre avuto la necessità di scegliersi, un “colpevole” e di scagliare su di lui tutte le frustrazioni represse, le sue riserve di odio, la sua voglia di spettacolare, di moralizzazione, il bisogno inconscio di scaricare le tensioni sociali con una forma di violenza indiretta. È sempre bastato (e purtroppo basterà sempre) che un indice accusatore venisse puntato su un presunto “colpevole” perché si scatenassero contro di lui giudizi e frasi di condanna.
Da sempre le leggi statali si sono ispirate al senso di solidarietà sociale, ma oggi l’egoismo dei singoli sembra voler prevalere sempre più. La solidarietà viene definita come elemento essenziale e basilare del vivere sociale, lo spingersi verso gli altri, alla ricerca di aiuto, protezione…, insomma verso tutti quei valori che spesso vengono mortificati dall’egoismo, dalla violenza, dall’indifferenza, sentimenti in antitesi con la solidarietà. Da un altro punto di vista viene anche da considerare che la solidarietà ci rientri poco, dato che anche precedentemente si è verificato questo atteggiamento umano viene da supporre che esso sia insito nella natura dell’uomo, non nel senso che è di tutti in quanto ci sono differenti modi di pensare, ma nel senso che nella maggior parte della “massa” vi è questa concezione che pare ancora permanere.
Il collegare direttamente l’AIDS agli omosessuali risulta un aggancio errato.
Come spiegare che non è vera l’equazione AIDS = omosessualità?
Dal 1987 al 1994 il contagio in rapporti eterosessuali è rapidamente aumentato passando dal 12,9% al 17,8% dei casi, questa la prova che chiunque, se non rispetta determinate misure precauzionali, può essere infettato, quindi perché continuare a incolpare, a scaricare ingiuste colpe su persone che sono le uniche, e che per il solo fatto di avere tendenze non eterosessuali si ritrovano gravate da infondati pregiudizi; pensare all’AIDS non significa pensare anche agli omosessuali, è come dare vita a una forma di razzismo che ci porta solo a comportamenti, nel vero senso della parola, insensati; è bene sottolineare questi punti fondamentali che non devono mai essere dimenticati quando si parla di AIDS. È ridicola la paura sconsiderata che si è diffusa e che ha portato allo svilupparsi di situazioni deprimenti, gli omosessuali e i tossicodipendenti sono sempre stati colpevolizzati invece di essere aiutati dalla società, per la quale l’AIDS rappresenta proprio un “giusto” castigo contro la loro condizione “oscena” di vita. Tale comportamento del nostro mondo “moderno”, non fa altro che allontanare sempre più i malati dalla guarigione, invece di aiutarli; questa mentalità andrebbe evoluta, portandoli a ragionare in modo più pertinente.
3. Introduzione.
AIDS
o Sindrome da immunodeficienza acquisita, malattia infettiva causata da un particolare retrovirus, denominato HIV. Il termine AIDS rappresenta l’acronimo di sindrome da immunodeficienza acquisita. La patologia, provoca, in particolare, la distruzione di alcune cellule del sistema immunitario, chiamate linfociti T; di conseguenza, i soggetti infetti da HIV diventano vulnerabili a un insieme di affezioni, tra le quali la polmonite, infezioni micotiche e altre malattie, che nel loro complesso costituiscono il quadro clinico caratteristico dell’AIDS. Una di queste affezioni e, spesso, l’instaurarsi di forme di cancro, sono responsabili della morte che, in quasi tutti i casi, costituisce l’esito della malattia. I meccanismi con cui l’HIV causa immunodeficienza non sono ancora stati completamente chiariti dalle ricerche biomediche. In genere, dal momento dell’infezione, per sviluppare l’AIDS sono necessari da sei a dieci anni.
4. Come agisce il virus HIV.
I
l virus HIV è un retrovirus umano; costituito da una capsula lipoproteica (formata cioè da lipidi associati a proteine), all’interno della quale è contenuto il materiale genetico. Sulla capsula, che viene introdotta a spese della cellula infettata, sono presenti numerose molecole, tra le quali una glicoproteina chiamata gp120, che riconosce specificatamente la molecola CD4, un’importante proteina del sistema immunitario umano, localizzata sulla superficie dei linfociti T.
Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV), che si trasmette sessualmente o per contatto con sangue infetto, si insedia nei linfociti T-4 danneggiando il sistema immunitario. Ne risulta un'incapacità dell'organismo di difendersi da qualunque infezione. I sintomi sono perdita di peso, complicazioni neurologiche e deperimento generale e possono manifestarsi anche dopo diversi anni dal contagio. La principale causa del decesso dei malati di AIDS è la polmonite, ma è alta anche l'incidenza di alcune forme di cancro.
Qualunque cellula umana che presenta sulla propria superficie la molecola CD4 è, dunque, un potenziale bersaglio dell’infezione da HIV. Tuttavia, nell’AIDS le cellule più colpite sono quelle di un particolare tipo di linfociti T, chiamati Helper o linfociti T-CD4, poiché tali cellule presentano quantità molto alte della molecola CD4.
Nel sistema immunitario non colpito dall’HIV, i linfociti T-CD4 rivestono un ruolo fondamentale, in quanto aiutano le altre cellule coinvolte nella risposta immunitaria a reagire agli agenti invasori, pertanto, man mano che i linfociti T-CD4 vengono persi nel corso dell’infezione da HIV, le risposte immunitarie dell’organismo diventano gradualmente sempre più inefficienti ciò consente l’insorgenza delle infezioni e del cancro, ossia delle patologie che caratterizzano il quadro clinico dell’AIDS.
L’HIV si diffonde per contatto sessuale con una persona infetta. Presente nelle secrezioni sessuali di uomini e donne, l’HIV si immette nella circolazione sanguigna del partner non infetto attraverso piccole abrasioni che si verificano durante il rapporto sessuale. L’HIV si diffonde anche tramite la condivisione di aghi o siringhe, il che avviene soprattutto tra chi fa uso di droghe iniettabili: in questo caso si verifica l’esposizione diretta del sangue dell’individuo infetto con quello di un altro individuo. La trasmissione dell’HIV attraverso trasfusioni sanguigne è oggi molto rara (meno di un caso su 100.000 trasfusioni), grazie ai test che vengono ormai fatti di routine su tutti i campioni di sangue. L’HIV può, inoltre, essere trasmesso dalle madri infette (al momento del parto o durante l’allattamento al seno), anche se solo il 30% dei bambini nati da madri sieropositive viene contagiato. Non vi è, tuttavia, alcuna prova scientifica che l’HIV possa essere trasmesso attraverso l’aria, le punture di insetti oppure tramite il bacio. Ciò è dovuto anche al fatto che l’HIV è un virus che non sopravvive a lungo quando viene esposto all’ambiente. In ogni caso, vanno accuratamente evitate tutte le pratiche che aumentano le probabilità di un contatto con il sangue di altre persone potenzialmente infette, come la condivisione di spazzolini da denti o di rasoi.
5. Insorgenza e fasi successive della malattia.
P
erché un soggetto passi dall’infezione da HIV alle malattie cliniche che definiscono l’AIDS possono trascorrere da sei a dieci anni o più. Generalmente, nei sieropositivi la malattia progredisce attraverso stadi ben definiti. Entro una-tre settimane dall’infezione con l’HIV, quasi tutti i soggette provano sintomi aspecifici, simili a quelli di un’influenza. In questa fase, denominata “sindrome retrovirale acuta”, l’HIV si riproduce in grandi quantità, circola nel sangue e determina infezioni in tutto l’organismo, soprattutto nei linfonodi. Il numero dei linfociti T-CD4 diminuisce, per poi tornare a livelli quasi normali quando il sistema immunitario inizia a rispondere all’infezione e a limitare la moltiplicazione e la diffusione del virus. I soggetti entrano poi in una prolungata “fase asintomatica” , che può durare anche più di dieci anni. In questo periodo gli individui infetti godono generalmente di salute normale, con livelli di linfociti T-CD4 inferiori ai limiti della norma. Diversamente da ciò che gli scienziati credevano fino a poco tempo fa, anche in questa fase l’HIV continua a moltiplicarsi intensamente; la sua concentrazione rimane relativamente bassa poiché le cellule del sistema immunitario conducono un’intensa lotta contro le particelle virali, uccidendone una grande quantità. In seguito a questa lunga battaglia, il sistema immunitario della persona infetta si deteriora gradualmente, fino ad esaurire completamente le proprie risorse. A questo punto, i pazienti entrano nella cosiddetta “fase sintomatica precoce”: essa può durare da pochi mesi a molti anni ed è caratterizzata dalla rapida diminuzione dei linfociti T-CD4 e da infezioni che tuttavia non minacciano la vita del malato. Quando la compromissione del sistema immunitario raggiunge un punto critico, si presentano le gravi malattie che caratterizzano la “fase sintomatica tardiva”. Anche quest’ultima fase può durare da pochi mesi a diversi anni e nel corso di essa i pazienti possono presentare livelli di linfociti T-CD4 bassi, insieme ad alcune infezioni tipiche dell’AIDS. Nella gran parte dei pazienti giunti a questo stadio si osserva deperimento fisico, accompagnato da perdita progressiva di peso e da mancanza di energia. Alla fine, i pazienti entrano nella fase di AIDS avanzato, durante la quale il numero dei linfociti T-CD4 è bassissimo. La morte avviene nel giro di uno o due anni, a causa dell’insorgenza di cancro o infezioni particolarmente gravi.
Il virus HIV, responsabile nell'uomo della sindrome da immunodeficienza acquisita, si riproduce sfruttando le strutture di alcune cellule del sistema immunitario (linfociti T). Aderendo alla superficie esterna del linfocita, l'involucro del virus si fonde con la membrana cellulare e lascia fluire il materiale nucleare del virus all'interno del linfocita T, dove gli enzimi convertono l'RNA del virus in una molecola di DNA a doppia elica. Il DNA così prodotto entra nel nucleo della cellula integrandosi con il DNA presente. Il DNA virale, integratosi in quello della cellula ospite, presiede alla sintesi di proteine virali, che successivamente si assemblano per formare nuovi virus. Questi fuoriescono dal linfocita T per gemmazione, utilizzando la membrana della cellula infetta per realizzare il proprio involucro esterno.
Com’è stato detto, il decesso per AIDS non è generalmente dovuto direttamente all’infezione da HIV, ma alle infezioni causata dalla distruzione del sistema immunitario provocata dal virus. Queste insorgono, infatti, quando il sistema immunitario non riesce più a proteggere l’organismo contro gli agenti presenti nell’ambiente. L’infezione più comune nell’AIDS è la polmonite, causata da un microrganismo che normalmente colonizza in modo innocuo le vie respiratorie di tutti gli esseri umani. Anche la polmonite batterica e la tubercolosi sono spesso associate all’AIDS. Nell’ultimo stadio, le infezioni possono causare febbre, perdita di peso, anemia e diarrea. Altre infezioni batteriche dell’apparato digerente provocano spesso diarrea, perdita di peso, anoressia e febbre. Nei pazienti con AIDS si osservano frequentemente micosi o infezioni da funghi. Il mughetto o candidosi orale si presenta precocemente nella “fase sintomatica” in un alto numero di pazienti. Le infezioni virali causate soprattutto da membri della famiglia degli Herpes-virus, sono comuni fra i pazienti con AIDS. Uno di questi è il Cytomegalovirus (CMV), che colpisce la retina e può causare cecità. Sono inoltre comuni le infezioni da virus Herpes simplex (HSV) di tipo 1 e 2, che causano lesioni perianali progressive. Molti pazienti con AIDS sviluppano vari tipi di cancro, il più comune dei quali è il sarcoma di Kaposi, una forma di cancro dei vasi sanguigni che provoca lesioni cutanee purpuree, si estende poi agli organi interni e provoca la morte del paziente.
Per la messa a punto di preparati antivirali efficaci contro l’HIV, gli scienziati hanno cercato di individuare i punti deboli presenti nel ciclo di duplicazione del virus. Uno di questi è, ad esempio, la necessità da parte dell’HIV, una volta penetrato all’interno della cellula ospite, di andare incontro alla cosiddetta trascrizione inversa, che consiste nella conversione tipica dei retrovirus, dell’RNA dei cromosoma virale in DNA. Questo processo viene catalizzato da un enzima virale, chiamato trascrittasi inversa, che è assente nelle cellule ospiti. Pertanto, una delle grandi famiglie di farmaci diretti contro l’HIV è quella degli inibitori di questo enzima. Questi composti vengono inseriti dalla trascrittasi inversa nella catena in formazione del DNA, che diventa così totalmente inutilizzabile per la sintesi delle proteine e per la possibilità di riproduzione del virus. Nessuno di questi composti è, tuttavia, mai stato considerato una cura dall’infezione da HIV a causa dei numerosi effetti collaterali.
Un secondo punto debole del ciclo vitale dell’HIV è un enzima ad azione proteolitica, o proteasi, che agisce tagliano le proteine virali in frammenti dotati di attività necessaria alla sopravvivenza e alla moltiplicazione del virus. Una nuova classe di farmaci è, pertanto, quella degli inibitori delle proteasi, che impediscono a questo enzima di svolgere la propria funzione.
La terapia genica è stata utilizzata per cercare di inibire l’espressione dell’HIV introducendo nei linfociti un gene estraneo che interferisce con le proteine regolatrici virali. In altri approcci sperimentali, con la terapia genica è stato possibile introdurre nei linfociti un gene in grado di bloccare l’infezione da parte dell’HIV. Se fosse possibile inserire questo gene nelle cellule staminali del midollo osseo, tutti i linfociti originatisi da tali cellule sarebbero dotati di una protezione nei confronti del virus. Benché questi trattamenti possano sembrare ancora fantascientifici, alcune sperimentazioni cliniche che determinano l’efficacia della terapia genica sono già in corso. Inoltre sono stati avviati studi per la messa a punto di un vaccino che possa esercitare un’azione sia preventiva (consistente nel proteggere le persone immunizzate in caso di contatto con il virus), sia curativa (prolungando la vita o diminuendo la distruzione del sistema immunitario della persone già infette). Dal momento che gran parte di questi trattamenti deve essere somministrata sotto controllo medico e per un lungo periodo di tempo, nel tentativo di ridurre i costi correlati al ricovero ospedaliero dei malati si stanno diffondendo sistemi di cura e di assistenza domiciliare. I servizi sociali forniti da strutture sanitarie pubbliche e da associazioni di volontariato cercano, inoltre, di fornire ai malati di AIDS un sostegno morale e materiale durante il decorso della malattia.
6. Questioni sociali.
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econdo alcune stime, oggi nel mondo vi sarebbero circa 20 milioni di individui sieropositivi, dei quali più di un terzo nei paesi sottosviluppati. L’epidemiologia dell’AIDS è in evoluzione. Originariamente, in Italia l’infezione da HIV era essenzialmente confinata tra individui omosessuali maschi (a causa di rapporti sessuali non protetti). Successivamente, l’infezione ha cominciato ad apparire tra le persone che facevano uso di droghe per via endovenosa. Per quanto riguarda il contagio in rapporti eterosessuali, esso è rapidamente aumentato dal 1987 al 1994, passando dal 12,9% al 17,8% dei casi, per poi stabilizzarsi.
In Italia, dall’inizio dell’epidemia (il primo caso è stato diagnosticato nel 1982), sono stati segnalati circa 30.000 casi. La regione più colpita è la Lombardia, seguita dal Lazio e dall’Emilia Romagna.
A livello mondiale, l’epidemia continua a espandersi in modo inesorabile. In Africa, dove vive il 10% circa della popolazione mondiale, si trova attualmente più del 60% degli adulti infetti. Più del 90% dei casi registrati in Africa è probabilmente dovuto a trasmissione per via eterosessuale. In Africa occidentale l’AIDS è per lo più causato dall’HIV-2, un parente stretto dell’HIV-1, riscontrato invece in Europa, negli Stati Uniti e in Africa centrale. L’epidemia di AIDS che sta attualmente colpendo l’Asia ha mostrato, dal 1992 al 1995, un andamento di crescita pari a circa il 100% di nuovi casi all’anno.
Altri ceppi lontanamente imparentati con l’HIV sono stati segnalati in alcune regioni del mondo. Benché alcuni di questi virus non possano essere identificati con i metodi diagnostici attualmente in uso, il rischio di diffusione è comunque limitato a causa dell’isolamento geografico in cui sono confinati questi ceppi. Lo stesso HIV-2 è estremamente raro al di fuori del continente africano.
In Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha istituito il Centro Operativo AIDS che, tra le altre cose, raccoglie e aggiorna continuamente i dati epidemiologici relativi alla diffusione della malattia.
All’inizio dell’epidemia tutte le speranze della lotta contro l’AIDS erano riposte nello sviluppo di un vaccino affidabile contro l’infezione da HIV; oggi, tuttavia, questo obiettivo non sembra essere così a portata di mano, sia perché il virus ha una grande capacità di mutare il suo aspetto esteriore e di sfuggire, così, al riconoscimento da parte della risposta immunitaria indotta dai potenziali vaccini, sia perché i tempi necessari alla valutazione clinica di ciascun preparato sono molto lunghi.
Pertanto gran parte degli sforzi preventivi è oggi concentrata soprattutto nel fornire al pubblico le corrette informazioni riguardo le vie di trasmissione chiaramente identificate e i comportamenti da adottare a livello personale per ridurre il rischio di infezione. Le campagne per il “sesso sicuro” raccomandano alla popolazione di adottare in tutti i rapporti sessuali le precauzioni necessarie, anche fra partner di lunga data o fra partner entrambi sieropositivi; i preservativi sono generalmente il sistema considerato più efficace nel fornire una barriera protettiva durante il rapporto. Inoltre sono stati avviati programmi volti a ridurre la condivisione delle siringhe e la trasmissione dell’HIV fra i tossicodipendenti.
Alcune regole ferree, come l’uso di indumenti protettivi e la sterilizzazione degli strumenti utilizzati in medicina, hanno ridotto il rischio di contagio sia dei pazienti che del personale impiegato nelle strutture sanitarie. Tuttavia, l’abbandono di pratiche sessuali ad alto rischio (come l’elevata promiscuità o la non utilizzazione del preservativo) non è ancora stato accolto dalla totalità della popolazione, soprattutto in paesi ad alto livello di contagio.
Per limitare il contagio dovrebbero imporsi decisivi cambiamenti in merito ai comportamenti sessuali e l’assunzione di droghe. Gli sforzi di prevenzione tesi a promuovere la consapevolezza sessuale e l’uso del preservativo, specie nelle giovani generazioni, hanno però sollevato la protesta di alcuni gruppi sociali, i quali temono che l’informazione possa tradursi in una maggiore promiscuità sessuale fra i giovani adulti. Allo stesso modo, i programmi di distribuzione delle siringhe fra i tossicodipendenti sono stati criticati perché promuoverebbero l’uso della droga.
Inoltre, varie iniziative per arginare la diffusione dell’HIV, come l’ipotesi di rendere obbligatorio il test per tutta la popolazione, la comunicazione della condizione di sieropositività ai partner sessuali, nonché il test dell’HIV al momento del matrimonio o della gravidanza, sono state criticate come forme di violazione della privacy. La prevenzione tramite informazione di massa viene stimolata da strutture pubbliche e private. Tra le più importanti organizzazioni italiane, vi sono la LILA (Lega Italiana per la Lotta all’AIDS) e l’ANLAIDS (Associazione Nazionale per la Lotta all’AIDS).
Numerosi scienziati ritengono che il ciclo vitale dell’HIV e della sua iterazione con il sistema immunitario dell’ospite non sia ancora conosciuta a sufficienza. Essi, pertanto, si augurano che una parte più consistente dei fondi a disposizione della ricerca sull’AIDS venga rivolta alla ricerca di base, contribuendo allo sviluppo di farmaci e terapie particolarmente efficaci.
Il progetto Quilt, inaugurato nel 1986 dall'organizzazione "NAMES Project", si propone di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sindrome da immunodeficienza acquisita. Ognuno delle migliaia di pannelli di cui è composta la gigantesca trapunta (in inglese quilt) è decorato e dedicato singolarmente alla memoria di una vittima dell'AIDS.
7. Diritti e doveri dei malati di AIDS e dei sieropositivi.
Q
uella che segue è una dichiarazione universale dell’ANLAIDS (Associazione Nazionale Lotta AIDS) a favore dei sieropositivi e della popolazione in generale.
DIRITTI
1- Nei riguardi della legge e della medicina, le persone affette da questa malattia, sono protette dalla legge comune; nessuna eccezione potrà essere loro applicata.
2- Ai malati, debbono essere consentite tutte le cure che sono necessarie, senza alcuna restrizione e debbono essere adottate tutte le precauzioni, perché essendo ospiti indifesi, non subiscano contagi di agenti infettivi.
3- Trasfusioni di sangue, di derivati del sangue e altre terapie, debbono essere effettuate con tutte le garanzie possibili di innocuità.
4- Nessuno deve limitare la libertà o i diritti delle persone, per il solo fatto che sono sieropositive, qualunque sia la loro razza, nazionalità, religione od orientamento sessuale.
5- Ogni riferimento alla malattia presente o futura, fatto senza il consenso delle persone affette, deve essere considerato come pregiudiziale e sanzionato nell’ambito della legge comune.
6- Tutte le azioni tendenti a rifiutare ai soggetti sieropositivi un lavoro, l’alloggiamento, l’assicurazione o un qualunque accertamento diagnostico o intervento terapeutico per qualunque patologia associata, debbono essere considerate discriminatorie, condannate, sanzionate e punite.
7- Tutte le azioni tendenti a rifiutare i sieropositivi o a restringere la loro partecipazione nell’ambito familiare o ad attività collettive, incluse quelle sportive, scolastiche, devono essere considerate discriminatorie e sanzionate.
8- La ricerca del virus o degli anticorpi nei soggetti sani deve essere praticata con il consenso delle persone, tranne nei casi in cui vi sia un’incapacità di intendere e di volere dello stesso paziente.
9- Tutti gli esami di controllo, necessari, debbono essere accompagnati dal rispetto dell’anonimato e coperti dal segreto professionale. I medici debbono garantire il sostegno psicologico, sanitario e sociale.
10- Il segreto professionale, che lega il paziente al medico, e i medici tra loro è assoluto.
DOVERI
1- Non recarsi ai centri trasfusionali, per donare il sangue o per fare analisi di controllo.
2- Non effettuare donazioni di organi o liquidi organici.
3- Avvertire il proprio o i propri partners (anche se occasionali) della sieropositività.
4- Prendere tutte le precauzioni possibili (profilattici, spermicidi), in caso di rapporti sessuali.
5- Si consiglia di avvisare un membro della famiglia, anche se non è un partner.
6- Avvisare il medico curante e lo specialista della sieropositività.
7- Essere consapevoli dell’alto rischio che esiste, nel trasmettere l’infezione a un eventuale nascituro.
8- Non scambiare mai la siringa con un amico.
9- Non gettare le siringhe, potenzialmente infette, nei luoghi pubblici non sicuri e non lasciarle per strada o per terra, nei giardini.
10- Pulire e disinfettare, nel caso di fuoriuscita di sangue o liquidi biologici con alcool candeggina o altro disinfettante disponibile.
8. La legislazione sull’AIDS e sulla droga in Italia.
A
lcune norme di legge vanno conosciute dai medici e dai sieropositivi al fine di non incorrere in sanzioni. Vengono riportati qui di seguito alcuni punti dell’articolo 5 (accertamento dell’infezione) della legge 135/90.
- Gli operatori sanitari che, nell’esercizio della loro professione, vengono a conoscenza di un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche se non accompagnato da stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottando tutte le misure occorrenti, per la tutela della riservatezza della persona assistita.
Fatto salvo il vigente sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale dei casi di AIDS conclamata o le garanzie previste, la rivelazione statistica dell’infezione da HIV deve essere, comunque, effettuata con modalità che non consentano l’identificazione della persona.
La disciplina per le rilevazione epidemiologiche e statistiche è emanata con decreto del Ministero della Sanità, che dovrà prevedere modalità differenziate per i casi di AIDS e i casi di sieropositività.
Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per motivi di necessità clinica e nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire all’identificazione delle persone interessate.
La comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per l’infezione da HIV, può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti.
L’accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l’inserimento nella scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l’accesso o il mantenimento di posti di lavoro.
Si ricordano i divieti per i datori di lavoro:
-è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti, o in persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro, l’esistenza di uno stato di sieropositività.
9. AIDS: risvolti psico-sociali e ruolo della famiglia.
L’AIDS
è forse oggi la patologia che più di qualsiasi altra è riuscita a ricordare alla cultura occidentale che il concetto di malattia non può essere ristretto al puro significato di alterazione biologica. Tali sono le conseguenze sul piano psicologico, relazionale e sociale di questa sindrome, che appare assai arduo pensare di poterla affrontare senza un modello di malattia adeguatamente complesso. Il modello medico tradizionale di malattia si rivela in questo caso inadeguato ed insufficiente. Esso infatti si fonda su una separazione tra il malato (inteso come persona ricca di dimensioni psicologiche, sociali, esistenziali) e la malattia (intesa come evento di alterazione biologica) e concentra l’attenzione sulle manifestazioni (sintomi e segni) dei cambiamenti della struttura o del funzionamento del corpo (patologia) dovute a determinate catene di circostanze casuali (eziologia). Tale modello appare molto funzionale per affrontare le malattie acute, ma poco utile per gestire quelle croniche.
Nel caso delle malattie acute infatti tale modello, mettendo tra parentesi alcune complessità psicologiche e sociali della persona umana, offre due indubbi vantaggi: da un lato riesce ad intervenire in senso terapeutico con più efficacia, dall’altro lato offre al malato la garanzia di poter conservare inalterata la propria identità al di là della momentanea presenza di un elemento vissuto come estraneo, la malattia appunto.
Dal punto di vista esistenziale, il tempo della malattia può così essere vissuto dal paziente come un tempo di “non vita”, in cui è possibile operare una sospensione momentanea, più o meno lunga, dei propri progetti e dei propri ruoli sociali, in attesa di una guarigione che consenta di riprendere le attività sociali abituali.
Tale procedimento di separazione mostra i limiti di fronte alle situazione di cronicità. In tali condizioni diviene sempre più faticoso per il paziente estendere senza limiti il tempo di “non vita”. La sospensione dei propri progetti di vita e dei propri ruoli sociali diviene addirittura intollerabile quando si comprende che il tempo della malattia cronica coincide con il tempo rimasto per la propria esistenza. Di fronte alla cronicità, si rende dunque necessaria la riscoperta e l’utilizzo di un modello di malattia più complesso, che interpreti l’evento morboso come esperienza di vita personale e sociale e che contempli la possibilità del raggiungimento di nuovi equilibri psichici e relazionali.
Le attuali caratteristiche dell’AIDS, il suo sviluppo relativamente lento ed inesorabile, l’assenza di risposte efficaci dal punto di vista terapeutico, connotano indubbiamente la malattia come una situazione di cronicità.
La malattia ritrova così la sua dimensione ineludibile di vicenda esistenziale: il malato si trova ad affrontare il problema di riorganizzare i propri ruoli sociali tenendo conto dei limiti posti dai processi morbosi. Vivere l’AIDS significa dunque verificare la possibilità di essere partner, genitore, cittadino pur all’interno di una situazione di limitazione e di contagiosità. Essere accanto al malato di AIDS comporta di conseguenza, anche come curanti, l’opportunità di confrontarsi con le fatiche poste da un ricollocamento della malattia all’interno del contesto della quotidianità, ove si sviluppa il confronto con i ruoli sociali che il soggetto si è sempre trovato a dover gestire, in qualità di cittadino, lavoratore, coniuge, genitore, figlio, fratello. È all’interno della sfida posta dai vincoli specifici di questa sindrome che chi interagisce con il malato di AIDS, scopre la necessità di confrontarsi anche con tutti coloro che si trovano a svolgere ruoli complementari a quelli che ricopre il soggetto malato. L’attenzione che oggi si pone alla famiglia, e più in generale al più ampio tema dei contesti sociali in cui si colloca il malato di AIDS, non è dunque solo puramente strumentale.
Non si tratta cioè semplicemente di reperire o attivare nuove risorse per l’assistenza di malati cronici o difficili. Si tratta di ripensare i rapporti tra tempo di malattia e tempo di vita, tra vicende individuali e ruoli sociali, tra eventi biologici e dimensione esistenziale.
10. Riferimento a film, e canzoni.
Film.
N
el corso di cine-forum ci è stato possibile osservare vari films riguardo i problemi della discriminazione, come ad esempio la discriminazione che si viene ad instaurare nei riguardi delle persone sieropositive. Per quanto riguarda il nostro gruppo ci è, appunto, toccato analizzare e discutere riguardo la discriminazione nei riguardi delle persone infette dal virus dell’HIV. Il film che abbiamo potuto guardare e che ci ha aiutato molto a scegliere gli argomenti su cui basare il nostro lavoro, è “Philadelphia” film prodotto nel 1993, che ha come protagonista Tom Hanks.
In questo film si racconta la storia di un avvocato di successo, “Andrew Beckett”, omosessuale, e che si trova di fronte ad un problema molto grande: l’AIDS. A causa di questo problema, si cominciano a notare sul suo corpo delle lesioni, ed i suoi principali, accortisi che egli era affetto da HIV, creano una situazione per farlo apparire incompetente, in modo da trovare una buona ragione per licenziarlo. Egli allora decide di rivolgersi ad un avvocato per fare causa ai suoi principali, ma tutti gli sbattono la porta in faccia, a causa della sua malattia. A questo punto egli decide di affrontare da solo questo processo, ma un suo amico avvocato decide, nonostante la paura di essere contagiato, di aiutarlo. Così intraprendono insieme questo processo, che vinceranno, ma alla fine del processo, a causa dell’aggravarsi della malattia, Andrew muore.
Gli argomenti trattati in questo film, secondo la nostra opinione, sono due; ossia rendere consapevole tutto il mondo di cosa significa convivere con una malattia che ti uccide lentamente, e che sai di non poter curare in nessun modo; e il problema della discriminazione nei confronti delle persone che hanno contratto questo virus letale.
Canzoni.
Streets of Philadelphia
I was bruised and battered and I couldn’t tell
what I felt
I was unrecognisable to myself
I saw my reflection in a window I didn’t know
my own face
oh brother are you gonna leave me
wastin away
on the streets of Philadelphia
I walked the avenue till my legs felt like stone
I heard the voices of friends vanished and gone
at night I could hear the blood in my veins
black and whispering as the rain
on the streets of Philadelphia
Ain’t no angel gonna greet me
it’s just you and I my friend
my clothes don’t fit me no more
I walked a thousand miles
just to slip the skin
the night has fallen, I’m lyin’awake
I can feel myself fading away
so receive me brother with yor faithless kiss
or will we leave each other alone like this
on the streets of Philadelphia.
11. Conclusioni.
C
ome abbiamo già detto, il compito del nostro gruppo è stato quello di analizzare i problemi riguardanti la discriminazione nei confronti delle persone infette dal virus dell’HIV. Compito tutt’altro che facile in quanto il problema è abbastanza serio, infatti è un problema che riguarda la popolazione mondiale, e non è molto facile individuare le cause di queste azione discriminatorie, noi abbiamo fatto del nostro meglio per cercare di individuare queste cause. Secondo un’attenta analisi del film, di varie enciclopedie, libri, siamo riusciti ad individuare che la causa principale di queste azioni dipende principalmente del fatto, che ancora nel ventunesimo secolo, la maggioranza delle genti sviluppa mentalità per lo più “medievali”. Attraverso l’analisi dei “Promessi Sposi” si può capire che la gente in quel periodo cercava di incolpare qualcuno per l’arrivo della peste, in quel caso furono incolpati gli “untori”. Oggi si suole dare la colpa agli omosessuali e ai tossicodipendenti, individuando in questi gruppi sociali le persone che hanno reso possibile l’espandersi del virus dell’HIV.
Secondo il nostro parere, è alquanto vergognoso, vivere in una civiltà molto evoluta per quanto riguarda la tecnologia, le comunicazioni, etc., ma che poi non è capace di essere aperta ad accogliere varie categorie di persone, che si distinguono solo per il credo, la razza, o gli orientamenti sessuali.
L’AIDS è una malattia in aumento progressivo che colpisce principalmente i giovani. Per contrastarla, poiché finora non esiste cura efficace né vaccino, dobbiamo adottare l’unica arma che abbiamo: la prevenzione. L’Aids è legato in gran parte alla droga e all’attività sessuale. I consigli e i suggerimenti che possiamo dare sono appunto quelli di evitare rapporti sessuali non protetti, non scambiarsi aghi o siringhe, ed evitare qualsiasi tipo di contatto diretto con del sangue infetto. Questi consigli sono dettati dalle conoscenze scientifiche e, quindi, devono essere considerate come imperativi medici, non come suggerimenti basati su ideologie e credenze religiose. Ognuno è libero di agire secondo le proprie convinzioni morali, sociali e religiose, ma ha il dovere di rispettare la salute degli altri.
L’unica possibilità che abbiamo di modificare l’andamento dell’epidemia dell’AIDS sta nell’adottare misure contro la droga e le abitudini a essa legate e accettare alcune restrizioni o comportamenti più sicuri nei rapporti sessuali. Se si agisce secondo le indicazioni sopra descritte, non si rischierà di contrarre l’AIDS.
Inoltre, è utile e necessario avvicinare, aiutare e confortare senza timore le persone sieropositive e i malati di AIDS, perché essi hanno un immenso bisogno della solidarietà di tutti.
Evitare il contagio è importante, non emarginare chi è stato contagiato è ugualmente importante.
L’isolamento è, infatti, dannoso e pericoloso, contribuisce a demoralizzare chi è stato contagiato e lo spinge a nascondere a tutti la propria condizione, rendendo più difficili le cure e favorendo ulteriori contagi.
La solidarietà e l’affetto, invece, aiutano a controllare l’infezione e non comportano rischi. Sentimenti questi che siamo certi di trovare nell’animo dei giovani e giovanissimi, puri di cuore.

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