La vita quotidiana nei monasteri benedettini

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La vita quotidiana nei monasteri benedettini

Prima che venissero pubblicati i Dialoghi il modello di vita monastica più diffuso era quello irlandese
In questa rassegna di vite dei santi molte pagine sono dedicate a san Benedetto.

I due livelli della vita monacale
Il modello di vita del monastero di Montecassino e dei successivi che seguirono la sua Regola era basato più sulla vita di gruppo che sull’ascetismo, che veniva considerato un secondo livello, più difficile, da susseguirsi al cenobio.

Il carattere moderato della Regola
Il modello di vita della Regola non riguardava l’eremitaggio. Non era un percorso impegnativo, però era necessario seguire delle regole precise. Non erano necessari eccessive veglie o eroici digiuni ma ognuno poteva bere una dose moderata di vino e aveva la sua razione considerevole di cibo. L’unico divieto era la carne degli animali.

L’umiltà e l’obbedienza
L’ascetismo era considerato una via per l’orgoglio. I monaci che seguivano la Regola invece dovevano vivere una vita umile e seguire gli ordini dell’Abate, eletto dalla comunità, al quale si doveva un’obbedienza assoluta. Quando si trattava di persone ostinate, disobbedienti o superbe l’Abate ordinava loro di compiere cose impossibili, come punizione. Lo stesso san Benedetto le considerava un ottimo esercizio per l’autoumiliazione.

Le pene per essere riammessi nella comunità
Chi era allontanato dall’oratorio e dalla mensa doveva, per esservi riammesso, prostrarsi per terra ai piedi dei propri colleghi alla fine del divino Officio nell’oratorio finché l’Abate non decideva che la pena fosse sufficiente. Faceva parte dell’umiltà anche il non possedere oggetti propri. Per scongiurare questo fatto, l’Abate controllava periodicamente ogni letto di ogni monaco.

Preghiera e lavoro
La formula che sintetizza al meglio la vita del monaco benedettino è “Ora et labora”. Essendo l’ozio nemico dell’anima, i monaci si dedicavano in ore precise al lavoro della terra e in altri orari allo studio delle cose divine. Se il loco richiedeva che i monaci dovessero vivere del raccolto delle loro mani, come professa la Regola, non dovevano essere malcontenti ma dovevano farlo, come avevano fatto gli apostoli prima di loro. La ricopiatura dei testi, all’inizio, non era la prima occupazione dei monaci. Con l’introduzione dei servi, che lavoravano la terra e vivevano nel convento, i monaci si dedicarono, nello scriptorum a questa faticosa pratica.

La disciplina del tempo e gli orari
Lo stretto legame tra le attività giornaliere dei monaci e le ore del giorno li portò a creare dei congegni meccanici, come il “mattutino” che segnalava nella notte quando era ora di compiere le preghiere. Altre preghiere venivano recitate prima dell’alba e durante il giorno.

Il monastero come comunità economia
Essendo la preghiera l’unico scopo della permanenza nel monastero, i beni dei neo-monaci venivano ridistribuiti tra i poveri o venivano donati al monastero. Così i monaci si ritrovarono ad avere grandi distese di terreno che da soli non potevano coltivare e contro il volere di san Benedetto, il monastero divenne anche un centro economico di moderata rilevanza.

L’ideale dell’autosufficienza e gli scambi con l’esterno
Già prima di questa trasformazione, il monastero aveva sviluppato importanti funzioni economiche. Il modello di vita della Regola prevedeva che i monaci avessero a disposizione tutto nel monastero nel quale dovevano esserci il mulino, l’orto e le officine delle diverse arti dato che loro, senza il permesso dell’Abate, non potevano allontanarsi. Gli sviluppi dell’attività economica però portarono a legare rapporti sempre più stretti con l’esterno. La Regola prevedeva che le eccedenze di artigianato e cibo venissero vendute all’esterno ad un prezzo minore di quello praticato dagli artigiani secolari.

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