STRUTTURALISMO GENETICO DI JEAN PIAGET

Materie:Tesina
Categoria:Psicologia

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Testo

Mariscuola
T a r a n t o
17° CORSO P.MRS – 4^ SEZ.
Anno 2003
ALCUNE CONSEGUENZE DIDATTICHE DELLO STRUTTURALISMO GENETICO DI
JEAN PIAGET
A cura di:

C° 2^ Cl. Np Vincenzo FIGOLI
C° 2^ Cl. Np Antonio SCOGNAMIGLIO
C° 2^ Cl. Np Roberto PENTA

Relatore e coordinatore:

Dott. Prof. Ferdinando DUBLA
INDICE
CAPITOLO I
Jean PIAGET
Pag.
I.1 Vita e Opere 04
I.2 Pensiero filosofico e pedagogico 04
I.3 Struttura Cognitiva 05
I.4 Autoregolazione 06
I.5 Strutturalismo Genetico 07
I.6 Conclusioni 09
CAPITOLO II
Jean Jacques ROUSSEAU
Pag.
II. 1 Vita e Opere 10
II. 2 Il Problema della buona natura 11
II. 3 Il Problema del contratto sociale 12
II. 4 Emilio 12
II.5 Rousseau iniziatore della pedagogia moderna 12
II.6 I limiti di Rousseau 13
II.7 Conclusioni 13
CAPITOLO III
Dal Pragmatismo Americano all’Attivismo di John DEWEY
Pag.
III. 1 Il Pragmatismo – Una filosofia Americana 14
III. 2 John DEWEY – Vita e Opere 15
III. 3 Lo strumentalismo – il pensiero non come norma ma
come strumento all’azione 16
III. 4 La ragione come tecnica di dominare gli eventi e di
promuovere il miglioramento del mondo 17
III. 5 Democrazia ed educazione – metodo attivo 17
CAPITOLO IV
Pag.
George KERSCHENSTEINER
IV. 1 Vita e Opere 19
IV.2 Il lavoro come: “Disciplina Spirituale” ed “Elemento primario di cultura e
di formazione morale” 19
Fonti 22
In questa relazione, redatta attingendo appunti illustrati dal relatore e coordinatore Dott. Prof. Ferdinando DUBLA, durante il corso di Metodologia della Comunicazione Formativa, e dalle fonti, sia di materiale cartaceo che multimediale, come meglio specificato nella pagina finale, approfondiamo il concetto dello strutturalismo genetico di Jean PIAGET, analizzando ove possibile alcune sue conseguenze didattiche con dei collegamenti a Jean Jacques ROUSSEAU, John DEWEY e George KERSCHENSTEINER.
CAPITOLO I
JEAN PIAGET
(Neuchâtel 1896-Ginevra 1980).
I.1 - Vita e Opere
Psicologo svizzero studiò scienze naturali all'Università di Neuchâtel, laureandosi nel 1918. Si dedicò in seguito, sotto la guida di E. Claparède (1873-1940)1, agli studi di psicologia dell'infanzia, perfezionandosi a Ginevra e a Parigi. Nel 1922 divenne professore di psicologia dell'età evolutiva dell'Istituto Jean Jacques Rousseau fondato a Ginevra da Claparède e nel 1940 ne fu nominato direttore. Nel 1955 creò, sempre a Ginevra, il Centro Internazionale d'Epistemologia Genetica, (che consiste nello studio del significato che hanno concetti quali spazio, tempo, velocità, causalità, ecc., attraverso la loro acquisizione).
Notevole è stato il suo contributo alla metodologia didattica soprattutto nel campo della psicologia infantile. Infatti paragona l’evoluzione soggettiva a quelle genetico-storiche (paragona la vita dell’uomo all’evolversi dell’universo).
Le sue opere principali:
Il Linguaggio e il Pensiero del Fanciullo (1923); Giudizio e Ragionamento nel bambino (1924); La Rappresentazione del Mondo nel Fanciullo (1926); La nascita dell'Intelligenza (1936); La Psicologia dell'Intelligenza (1947); Trattato di Logica (1949); Saggezza e Illusioni della Filosofia (1965); Biologia e Conoscenza (1967); Lo strutturalismo (1968); La presa di Coscienza (1974); Riuscire a Capire (1974).
_____________________________________________________________ 1 Claparède (che cercò di fornire una base sperimentale alla pedagogia e ai suoi metodi di indagine; sostenendo che l’educazione funzionale, si basava, oltre che sull’interesse, anche sull’esigenza di individualizzazione dell’insegnamento c.d. “Scuola su misura “)
I.2 - Pensiero filosofico e pedagogico.
Le ricerche di Piaget si sono rivolte soprattutto alla psicologia dell'età evolutiva, e in particolare allo sviluppo dell'intelligenza, descritta nelle sue varie operazioni nell'intero arco dello sviluppo intellettuale, dalla nascita all'adolescenza, egli critica sia le impostazioni di tipo associazionista (che definisce genesi senza struttura), sia quelle di tipo gestaltista (che definisce struttura senza genesi).
Secondo Piaget, il bambino attraversa una serie di fasi evolutive e ogni fase ha una sua strutturazione che la rende qualitativamente, e non solo quantitativamente, diversa da quella precedente. La prima fase (divisa a sua volta in vari altri periodi) è quella senso-motoria. L’intelligenza, infatti, si sviluppa su una base pratica attraverso l’azione.
Oggi nonostante gli approfondimenti e le modifiche operate, il suo lavoro rimane architrave negli studi dei processi di apprendimento, la stessa definizione di apprendimento può derivare dai suoi studi quale inteso ad acquisire concetti, nozioni, elaborazioni, esperienze, ovvero “prendere qualcosa su di sé”. L’apprendimento è quel processo che permette di decodificare la realtà, produrre esperienze, operare un bilancio critico della stessa esperienza, - capacità di costruire strutture conoscitive ovvero la mappa conoscitiva che ogni individuo si costruisce a partire dalla prima infanzia utilizzando gli stimoli. Più saranno forti gli stimoli come basi, più saranno, con il passare degli anni, grandi le mappe conoscitive.
E’ nel contempo simile e diverso per ciascun individuo e viene elaborato in modi differenti, seppur con identici meccanismi di strutturazione. E’ il frutto dell’intelligenza, viene confrontato/verificato con i risultati, come capacità generale di apprendimento. E’ uno dei concetti chiave della didattica.
Una ricostruzione dell’affermarsi della prospettiva strutturale in ogni settore del sapere tra gli anni Cinquanta e Sessanta si ha in un libro di Jean Piaget del 1968, Lo strutturalismo. Piaget mostra la progressiva penetrazione dell’idea di struttura in ambito linguistico, psicologico, matematico, nelle scienze umane e sociali, e fissa i caratteri di innovazione portata dallo strutturalismo in filosofia.
I.3 - Struttura cognitiva
All’inizio il bambino ha a disposizione solo un corredo innato di riflessi, le sue percezioni non sono né coordinate tra loro, né coordinate all’azione. Progressivamente si formano le prime abitudini, le prime coordinazioni tra percezione e azione. Gli schemi d’azione progressivamente acquisiti vengono perfezionati e interiorizzati, nella ricerca naturale da parte del bambino di un adattamento all’ambiente, adattamento inteso in termini di equilibrio attivo e che si compone di due processi in stretta interdipendenza tra di loro l’assimilazione (l’incorporazione nei propri schemi naturali delle offerte dell’ambiente) e l’accomodamento (la modificazione del comportamento sulla base delle richieste ambientali). Il possesso di schemi d’azione interiorizzati reversibili segna l’ingresso nella fase dell’intelligenza operatoria concreta della fase dell’intuizione.

La struttura non è un ordine oggettivo, qualcosa di positivamente riscontrabile nella realtà, ma piuttosto il modo in cui guardiamo, studiamo, osserviamo la realtà.
Bisogna ovviamente dire che le fasi non sono distinte e separate ma esiste uno sviluppo dialettico (arte di saper ragionare, interpretare la realtà confutare tesi con antitesi - discussione e contemplazione della verità razionale pura -) delle stesse e ciò avviene in modo che i processi siano presenti comunque contemporaneamente, ma vi sia predominanza di uno sull’altro.
I.4 - Autoregolazione
PIAGET si pone una domanda come psicologo - come funziona l’intelligenza nell’individuo che apprende? Ciò che definisce è una suddivisione di atti operati dalla coscienza individuale che si distinguono principalmente in:
ASSIMILAZIONE : acquisizione di stimoli esterni che costituiscono il materiale di costruzione delle mappe cognitive. Fissazione di schemi comportamentali.
ACCOMODAMENTO : modificazione della struttura cognitiva n base all’acquisizione di schemi nuovi, cioè di nozioni che elaborate producono modificazioni comportamentali.
EQUILIBRAZIONE : si tratta dell’autoregolazione delle capacità assimilativa e accomodativa, che permette la crescita di un individuo, la sua maturazione in seno alla società.
AUTOREGOLAZIONE : è quella capacità che un individuo acquisisce e che lo fa definire maturo. In altre parole, quando nuovi stimoli non intaccano profondamente i suoi schemi comportamentali/mappe cognitive, anche se ciò provoca però una minor capacità di assimilazione di nuovi concetti.
Di merito,in considerazione, dei prerequisiti accertati degli allievi è la struttura cognitiva che è formata da fattori cognitivi2 che permettono l’apprendimento e la conoscenza.
I.5 - Strutturalismo Genetico
Secondo Piaget l’autoregolazione è caratteristica permanente. I momenti e le fasi di questa struttura sono:

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2fattori cognitivi: intelligenza, memoria, creatività e associazione, motivazione, linguaggio.
I risultati del suo lavoro e le conseguenze educative dello strutturalismo genetico vengono da PIAGET presentati nella conferenza all’UNESCO alla fine degli anni ‘60 descrivendone i cinque punti cardine:
1) Ogni persona ha diritto all’educazione;
2) L’educazione deve essere gratuita;
3) I genitori hanno, per priorità, il diritto di scegliere il genere di educazione da impartire ai loro figli;
4) L’educazione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al potenziamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; (educazione intellettuale e morale);
5) L’educazione deve favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e tra tutti i gruppi razziali e religiosi, come pure lo sviluppo delle attività delle nazioni unite per il mantenimento della pace.
Sotto si riporta lo schema delle conseguenze dello strutturalismo genetico derivante dal quarto punto:
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Strutturalismo genetico, studio delle strutture operatorie con cui vengono pensate e sviluppate storicamente le scienze e che “comportano inoltre un carattere di autoregolazione nel senso cibernetico del termine”.
Quindi possiamo dire che la educazione intellettuale è la conquista dell’autonomia e si conquista adottando i metodi attivi di Dewey mentre la educazione morale è l’educazione e lavoro di gruppo dove si arriva all’autodisciplina interna incoraggiata al massimo.
II.7 - Conclusioni
Le conseguenze dei suoi studi, che si rifanno a quelli di ROUSSEAU ed all’attivismo di J.DEWEY, si fondano essenzialmente nello slancio democratico dell’individuo e dei gruppi che evolvendosi modificano in positivo la società.
Si deduce che la COMUNICAZIONE FORMATIVA3 è intenzionale con metodi e tecniche didattiche che sono:
➢ Contenuti (interesse reale motivazione intrinseca)
➢ Stimolare al metodo (organizzazione di strategia)
➢ Esercizio (cooperazione) del lavoro di gruppo (autodisciplina)
Detto ciò un buon formatore deve saper trasmettere:
➢ Contenuti (interesse della persona – interessi reali con motivazione intrinseca)
➢ Metodo come organizzazione di strategia (insegnare la giusta strategia)
➢ Autoregolazione sociale-lavoro di gruppo (autodisciplina, educazione intellettuale e morale, tramite il lavoro di gruppo- indispensabile allo sviluppo della personalità)
L’esperienza vissuta e la libertà di ricerca, senza le quali la conquista di qualsiasi valore umano, non è che illusione.
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3Comunicazione formativa: che derivano da comunicazione=comuni/azione = azione in comune e relazione tra soggetti che, tramite la comunicazione, si rapportano tra di loro e formare=scopo intenzionale del formare altri individui.
CAPITOLO II
Jean Jacques ROUSSEAU
Introduzione
Per molti studiosi Jean-Jacques Rousseau è anticipatore e precursore di Marx, per altri è illuminista, per altri è antilluminista, per alcuni è liberale, per altri è il primo teorico del socialismo; per tutti è il primo grande teorico della Pedagogia Moderna. Comunque letto e interpretato è certo che Rousseau raccoglie con i suoi scritti la vena profonda dell’Illuminismo, getta le basi del Romanticismo e fornisce geniali intuizioni pedagogiche a cui le maggiori correnti filosofiche moderne si rifaranno. Quindi la figura del Rousseau è davvero fondamentale per la storia del concetto di educazione, tanto che il suo lungo romanzo-saggio dedicato all’educazione, l’Emilio, sia l’opera fondamentale della Pedagogia Filosofica Moderna, quasi un testo di rifondazione della disciplina. Tornare alla natura e rispettarla: è questo l’aspetto più noto della filosofia di Rousseau.
II.1 - Vita e opere
Nacque a Ginevra il 28 giugno 1712 da padre artigiano. Perduta la madre in tenera età, ebbe un’agitata adolescenza. Fuggito a sedici anni da Ginevra, condusse una vita errabonda per la Savoia, finché non lo accolse in casa propria la giovane Madame de Warens a Chambéry (con la quale convisse dieci anni. In questo soggiorno e nel precedente vagabondaggio si formò il suo inconfondibile carattere, indipendente, insofferente, impetuoso nei sentimenti e profondo nell’amore per la natura) che lo convinse a convertirsi e lo fece educare a Torino, nel convento dello Spirito Santo, dal quale Rousseau si allontanò ben presto vivendo ramingo per qualche anno ed esercitando le professioni più disparate. Rifugiatosi nuovamente presso Madame de Warens a Chambéry, divenne suo segretario e compagno e visse con lei alcuni anni. Nel 1742 si trasferì a Parigi, dove si guadagnò da vivere come segretario particolare, tutore e copista di musica e qui divenne amico di Denis Diderot, che gli commissionò alcuni articoli di musica per l'Encyclopédie.
Nel 1749 partecipò a un concorso bandito dall’Accademia di Digione sul tema “se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito a corrompere o a purificare i costumi”, con un Discorso sulle scienze e sulle arti, che è una violenta requisitoria contro il progresso che allontana l’uomo dall’innocenza dello stato di natura.
Nel 1754 riprese l’argomento nel Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini Dal 1756 al 1762 soggiornò all’Ermitage presso Montmorency, dove in questi anni scrisse i suoi tre capolavori, La nuova Eloisa, l’Emilio e Il contratto sociale, con il quale, assumendo le difese della volontà popolare contro il diritto divino dei re, contribuì a preparare il terreno ideologico sul quale si sviluppò la Rivoluzione francese. Rousseau si procurò, con le sue opere polemiche e anticonformiste, l'ostilità dei potenti di Francia e poi di Svizzera, dove si era rifugiato.
Nel 1762 fuggì prima in Prussia e poi in Inghilterra, dove fu accolto dal filosofo scozzese David Hume. Nel 1767 Rousseau fece ritorno in Francia malato e turbato visse miseramente gli ultimi anni portò a termine la sua autobiografia, le Confessioni” autobiografia fortemente romanzata. Soccorso dal marchese Girardin che lo accolse nel suo castello di Ermenonville, presso Montmorency si spense nel 1778.
II.2 - Il problema della buona natura
Gli uomini nascono liberi ma sono ovunque in catene
Il principio fondamentale del R. è che l’uomo, naturalmente buono, viene traviato da una società corrotta.
Egli però, a differenza comune degli illuministi, ritiene che non sia la RAGIONE, ma piuttosto il SENTIMENTO, ad esprimere la vera, buona natura dell’uomo.
Il DISCORSO sulle Scienze e sulle Arti, è una violenta requisitoria contro il progresso che allontana l’uomo dall’innocenza dello stato di natura. Alla società dell’epoca egli opponeva uno stato di natura che era inteso da Rousseau come una condizione in cui gli uomini vivevano "liberi, sani, buoni e felici".
Per Rousseau l’uomo non era ma è diventato malvagio ed ingiusto, il suo squilibrio non è originario, ma derivato dalla società.
L’attenzione di Rousseau è tutta rivolta all’uomo presente, corrotto e disumano paragonato all’uomo selvaggio o primitivo; mentre nell’EMILIO l’uomo di natura è chi ha potuto sviluppare la sua persona nell’autonomia della propria natura, libera da ogni imposizione esterna, da ogni influsso corruttore delle opinioni sociali.
L’uomo di natura è colui che vede con i suoi occhi, giudica con il suo cuore e non riconosce autorità fuori della propria ragione.
II.3 - Il problema del contratto sociale
Democrazia diretta esercitata da ogni cittadino personalmente
Nel CONTRATTO SOCIALE il R. delinea uno stato che instauri l’uguaglianza e la perfetta libertà nell’obbedienza alla legge.
Questa deve fondarsi sulla volontà generale che è la tendenza al bene universale, patrimonio dell’umanità in cui si realizza anche la volontà particolare o bene soggettivo.
R. vuole una democrazia diretta esercitata da ogni cittadino personalmente, e non per delega di rappresentanti e distingue la volontà generale dalla volontà di tutti che esprimono solo una somma di egoismi.
Quindi occorre formare il cittadino nuovo fuori dalla società corrotta, per renderlo capace di formare la società nuova, incorrotta. Emilio è il tipo di cittadino educato in tale modo.
II.4 – EMILIO
Immune da ogni influsso familiare e sociale
L’opera delinea un modello di uomo senza il quale il “modello di società” definito nel Contratto Sociale non poteva neppure essere pensato. Prima che all’istruzione di un fanciullo ed alla preparazione di un adulto o, meglio, di un cittadino, Rousseau punta alla formazione di un uomo: “vivere è il mestiere che gli voglio insegnare. Uscendo dalle mie mani, egli…..sarà prima di tutto un uomo: tutto quello che un uomo deve essere, egli saprà esserlo all’occorrenza, al pari di chiunque: è per quanto la fortuna possa fargli cambiare condizione, egli si troverà sempre nella sua.”(cfr. Emilio, libro 1°). Emilio è immaginato dall’autore come un fanciullo sano e vigoroso, di intelligenza comune, di condizione agiata; ed il suo educatore è un uomo saggio, colto, di spirito aperto e giovanile, che si occupa solo dell’educazione del suo ragazzo. Emilio viene educato in una villa di campagna dove sono dei servi, dei conoscenti e degli amici, tutti cospiranti col maestro alla sua educazione. E’ così immune da ogni influsso familiare e sociale.
L’aiuto dell’educatore tende solo a sviluppare la spontanea forza naturale di Emilio entro la comune vocazione umana senza predeterminazione alcuna; e poiché lo sviluppo avviene in rapporto all’età, l’opera dovrà differenziarsi successivamente.
R. divide il suo romanzo pedagogico in cinque libri: infanzia (1-2 anni), fanciullezza (3-12), preadolenscenza (13-15), adolescenza (16-20) e, quindi, giovinezza.
II.5 - ROUSSEAU iniziatore della pedagogia moderna
Dà inizio alla pedagogia come scienza autonoma.
Rousseau non ha mai inteso fare dell’Emilio un testo pratico di didattica perché la forma di educazione che ne deriva non potrebbe essere generalizzata per troppo evidenti ed insuperabili difficoltà.
In esso ha affermato il principio che l’educazione deve svolgersi al servizio della natura umana, in virtù di un dinamismo interiore che non deve essere compresso dall’esterno dalla mentalità sociale corrente.
Con ciò ha descritto una didattica praticamente impossibile, ma ha nello stesso tempo posto un principio fondamentale, innovatore, fecondissimo, a cui si riconduce tutto il movimento pedagogico seguente, e che anzi, si può dire, dà inizio alla pedagogia come scienza autonoma.
II.6 - I limiti di ROUSSEAU
Per il suo temperamento R. è portato al paradosso, il suo ottimismo totale nei riguardi della natura non gli permette di vedere il contrasto tra la coscienza morale e la passione inerente alla natura stessa e non derivata dalla corruzione della società.
Il suo pessimismo totale verso la società lo spinge a cercare un’educazione solitaria che lo porta a sottomettere Emilio all’influsso onnipotente dell’educatore.
Né R. ebbe una visione chiara della psicologia infantile e le sue età appaiono troppo definite e separate. In realtà ogni età contiene in sé i germi dell’età successiva e l’uomo, pur in modo diverso, è intelligente ed affettivo fin dall’infanzia.
Questi motivi negativi fanno sì che egli non possa sviluppare a pieno il luminoso concetto dell’educazione promotrice di autoformazione, né possa manifestare pienamente il pensiero implicito nelle sue opere, che una forte democrazia è principalmente frutto di una libera educazione.
II.7 - Conclusioni
Con la sua dottrina sociale e politica Rousseau è stato certamente all'origine delle concezioni della moderna democrazia.
Tuttavia alcuni storici ritengono che anche le moderne ideologie totalitarie si siano ispirate, almeno in parte, alla sua concezione dello stato come incarnazione dell'astratta volontà generale di una collettività.
Con Jean-Jacques Rousseau si enfatizza la necessità della conoscenza da parte dell'educatore delle leggi che caratterizzano l'evoluzione psicologica dell'umano e vengono gettate i primi fondamenti della disciplina che prenderà il nome di psicologia evolutiva.
A tal proposito nel 1912 a Ginevra venne fondata dal Claparede e da Piaget un istituto per la ricerca di psicologia evolutiva intestato a suo nome.
Le teorie pedagogiche di Rousseau favorirono invece metodi educativi più permissivi e più attenti all'aspetto psicologico dell'educando, esercitando un profondo influsso su riformatori come lo svizzero Pestalozzi.
Inoltre la ricerca pedagogica degli ultimi trent’anni continua ad individuare in Rousseau un punto di riferimento importante per i problemi dell’individualizzazione dell’insegnamento-apprendimento.
CAPITOLO III
DAL PRAGMATISMO AMERICANO
All’ATTIVISMO di
John DEWEY
III.1 – Il Pragmatismo – Una filosofia Americana
Il pensiero filosofico e pedagogico di John Dewey si sviluppa negli U.S.A. in un periodo ove si preferiscono i pensatori Anglo-sassoni alla prevalente tradizione della cultura europea la quale era volta alla ricerca teoretica di una verità che poi desse norma all’azione.
Per quanto si tratti di una preferenza e non di una regola è certo che l’Inghilterra è stato il classico paese dell’empirismo, della ricerca etica sviluppata sui principi soggettivi dell’utile o del sentimento, del liberalismo politico ed economico.
Questa tendenza al primato dell’esperienza e dell’azione nella stessa considerazione culturale acquista particolare importanza e sviluppo nel mondo anglo-sassone d’America, divenuto, come tutti sanno, un grande popolo, con la conquista della libertà e della potenza attraverso l’audacia ed il lavoro.
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4pragmatismo: teoria che nasce dall’osservazione e dallo studio delle azioni pratiche dell’uomo.
Dalla sua esperienza storica questo giovane popolo ha ricavato un caratteristico ottimismo verso la vita e verso i poteri dell’attività umana; ed è stato portato a porre come criterio di valutazione della bontà e quindi della verità delle idee la loro capacità di riuscita nell’attuazione pratica.
Il pragmatismo era dunque presente nel costume e nella mentalità americana prima ancora di dar luogo ad un pensiero filosofico. Pragmatismo4, che può definirsi come, metodo d’interpretare ciascuna concezione secondo le sue conseguenze pratiche. In altre parole non è la logica, ma è l’azione che convalida l’idea – la riuscita pratica, più che indice di verità, è la verità stessa.
E’ considerato iniziatore del pragmatismo filosofico l’americano Carlo PEIRCE (1839 – 1914), che in un suo articolo del 1878, Come rendere chiare le nostre idee, proponeva, quale criterio di chiarezza, la ricerca degli effetti d’importanza pratica che le idee producono.
Ma il pragmatismo acquistò fama e risonanza mondiale specialmente per le opere del suo continuatore psicologo e filosofo William James. La riuscita dell’idea nell’azione la cui verità non è valutata obiettivamente ma soggettivamente.
La verità è nella rispondenza dell’idea all’oggetto voluto, ed ognuno vuole ciò che è conforme ai suoi desideri ed ai suoi sentimenti, ciò che lo soddisfa.
III.2 - John DEWEY – Vita e Opere
John DEWEY (1859 – 1952), professore prima all’Università di Chicago poi alla Columbia University di New York, è illustre come pedagogista e come filosofo.
Nella cronologia delle sue opere, i testi pedagogici precedono quelli propriamente filosofici che, composti nell’ultimo tratto della sua vita, rappresentano il coronamento del suo pensiero.
Procedendo dalla sua esperienza educativa alla considerazione filosofica (mentre assai più frequenti sono i pensatori che deducono la pedagogia da un sistema filosofico prefissato) il Dewey si mostra perfettamente coerente al suo metodo che fa dell’esperienza la base di ogni sviluppo di pensiero.
Il libro che meglio rappresenta gli sviluppi filosofici della sua pedagogia, è Democrazia ed Educazione (1916). Altre sue opere filosofiche sono: Ricostruzione filosofica (1929); Esperienza e natura (1925); La ricerca della certezza (1930); Logica (1938).
Le opere più rilevanti che racchiudono il suo pensiero pedagogico sono: Il mio credo pedagogico (1897); Scuola e società (1899); Esperienza ed educazione (1938) e L’educazione di oggi (1940).
III.3 - Lo strumentalismo - Il pensiero non come norma ma come strumento
dell’azione
Dewey si definì strumentalista: intendendo per strumentalismo l’assunzione del pensiero come strumento per risolvere i problemi dell’azione.
Lo strumentalismo coincide con il pragmatismo, purchè quest’ultimo riconosca come idonei a verificare la validità dei giudizi soltanto quei risultati che “siano operativamente stabili capaci di risolvere il problema specifico che ha provocato quelle operazioni”.
Assume un concetto d’esperienza che supera di molto quello di coscienza o di soggettività. L’esperienza è per lui “qualcosa che è vasta e profonda per almeno quanto tutta la storia su tutta la terra; una storia che include la terra e i correlati fisici dell’uomo”. Insomma gli eventi e le persone, la natura nell’uomo e l’uomo nella natura.
Per il Dewey non è esatto dire “io sperimento, io penso”: l’espressione giusta è “si esperimenta, si pensa”.
L’esperienza porta quindi alla conoscenza che è fatta di sensazioni; la sensazione è all’inizio della conoscenza, come stimolo all’investigazione e alla riflessione, ma di per sé non è conoscenza. Finchè la mia matita corre scrivendo bene sulla carta, io non avverto la sua pressione sulla carta o sulla mano che la regge; ma se la matita improvvisamente si spunta, ecco in me il sentimento che qualche cosa non va bene, e provvedo temperandola o sostituendola.
La sensazione ha segnato la rottura di un’abitudine in corso e stimolato ad iniziare un altro modo d’azione; soltanto la riflessione per la ricerca di questo nuovo modo produce la conoscenza, anzi la stessa distinzione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto.
Ogni indagine in genere, si svolge con il procedimento seguente:

1) Orientamento iniziale che è offerto dalla stessa situazione problematica;
2) Sviluppo razionale di quell’orientamento o intellettuazione del problema;
3) Controllo dell’ipotesi che ne sorge mediante l’osservazione e l’esperimento;
4) Rielaborazione intellettuale con formulazione di nuove idee;
5) Loro verificazione.
III.4 - La ragione come tecnica di dominare gli eventi e di promuovere il
miglioramento del mondo
Supremo valore è il pieno, progressivo sviluppo dei nostri poteri attivi; compito dell’intelligenza è di condurre da situazioni instabili ed ambigue a situazioni nuove più ricche, più armoniche, più dinamiche alla stregua di una previsione ideale: di umanizzare sempre di più la natura secondo indicazioni implicite della natura stessa; in una parola, di promuovere il miglioramento del mondo, nel senso di una ricostruzione razionale della vita che il Dewey concepisce principalmente come tecnica capace di dominare gli eventi. Così la scienza, come determinatrice delle tecniche, acquista la massima importanza per la direzione dell’azione e per la soluzione dei problemi umani.
III.5 - Democrazia ed Educazione – Metodo Attivo
I termini di valore, ideale, democrazia, bene e male sono sempre usati dal Dewey. Ma è il termine di democrazia quello a cui ci si deve uniformare, inteso non come valore assoluto, che ci farebbe cadere nel fondamentalismo, ma come valore imprescindibile per la crescita della società. Senza democrazia non ci può essere partecipazione, non vi può essere crescita della società ma solo uniformità di atteggiamenti, quindi automatismi e meccanicità.
Così il pensiero filosofico di Dewey si ricongiunge al credo pedagogico: “Il dovere dell’educazione è il dovere morale fondamentale di una comunità. Con le leggi e le pene, con l’agitazione e la discussione sociale, la società può darsi regola e forma in un modo più o meno caotico e casuale”. Ma mediante l’educazione la società può formulare i suoi scopi, organizzare i suoi mezzi e le sue risorse, e plasmarsi così con definitezza e con economia, nella direzione in cui desidera muoversi.
La scuola è quell’istituzione sociale in cui sono intenzionalmente concentrati tutti gli agenti più adatti per condurre il fanciullo ad impiegare le sue energie ai fini sociali. Essa è vita, non preparazione alla vita; deve essere vita in comune, che porti l’alunno ad entrare in rapporto con gli altri in un’unità di lavoro e di pensiero, da cui sorgerà (e non da imposizione del maestro) la genuina e sincera disciplina scolastica.
Anche nell’educazione scolastica il valore della democrazia è imprescindibile al quale ci si deve uniformare se si vuole ottenere la partecipazione attiva dell’allievo, se si vuole cioè attuare il metodo attivo di apprendimento, il valore imprescindibile è inteso come valore che ci fornisce gli strumenti per saper ascoltare, per dare la possibilità di espressione e comunicazione, per impedire l’affermazione di valori assolutistici che generano mancanza di dialettica e comunicazione e quindi annullano il processo cognitivo.
Concetto con il quale viene espresso che i meccanismi che compongono la società vengono modificati solo grazie alla partecipazione democratica degli individui con le loro individualità nel complesso
learning by doing = Imparare facendo.
L’educazione è per il Dewey “attività che si svolge dal gioco al lavoro” ove allo stadio iniziale sta l’esperienza intesa come attività impulsiva su qualunque materiale provando e sbagliando e se ne traggono i suoi problemi genuini. Dare al ragazzo qualcosa da fare e non da imparare subito. E’ il fare che suscita i problemi e mette in movimento il pensiero.
Così il metodo scolastico non è più risolto in formule generiche ed astratte (come avverrebbe nel caso di un esclusivo individualismo) ma s’individualizza concretamente come guida dell’azione e si riveste di caratteri morali come la franchezza, l’aderenza alle situazioni, la volontà di imparare, l’onestà e il senso di responsabilità.
In quest’ottica la scuola diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, che è in continua interazione con altri metodi d’esperienza associata al di fuori delle mura della scuola.
La democrazia, nel metodo didattico, è per il Dewey la base della scuola nuova e del metodo attivo.
Metodo ove tutto si riduce a tener conto dello sviluppo delle capacità e degli interessi nel fanciullo: sviluppo in cui l’aspetto attivo precede l’aspetto recettivo, l’immagine (strumento dell’educazione) precede l’idea, e la forza crescente si esprime attraverso gli interessi. Interessi dunque che, come non vanno repressi così non vanno lusingati, ma permanentemente coltivati.
In conclusione crede che “l’educazione sia il metodo fondamentale del progresso e della riforma sociale”, perché solo per questa via il progresso sociale si opera dall’interno dell’uomo.
Pur senza affermare l’esistenza di valori normativi assoluti egli ritiene che la società democratica e la scuola debbano suscitare il consenso a dei valori di diritto.
CAPITOLO IV
George KERSCHENSTEINER
(1854-1932)
IV.1 - Vita e Opere
Tra i pedagogisti scientificamente maturi e provati a una lunga meditata esperienza didattica per il rinnovamento della scuola tedesca eccelle soprattutto la figura di George Kerschensteiner.
Dapprima maestro elementare, egli fu poi, ottenuta la laurea in matematica, insegnante delle scuole medie; rivoltosi in seguito ai problemi dell’educazione, venne nominato ispettore scolastico e professore onorario di pedagogia all’Università di Monaco. La sua opera principale è Il concetto della scuola del lavoro (1912).
Egli risentì principalmente l’influsso del Dewey, pur assumendo di fronte al problema del lavoro scolastico atteggiamenti fondamentalmente originali, anche in relazione ai particolari aspetti che il problema presentava in Germania.
Il Kerschensteiner pensava che la sostanza dell’educazione deve consistere nella formazione della personalità; che questa deve essere formazione civica in una Stato “di diritto e di cultura”; che il contributo del cittadino ai compiti culturali dello Stato è la professione, la quale perciò deve collocarsi al centro dello sforzo educativo; che, mentre la maggior parte dei giovani deve essere necessariamente educata al lavoro manuale, anche nello svolgimento delle attività scolastiche di studio deve dominare la stessa legge del lavoro come promotrice di “disciplina spirituale”.
IV.2 – Il lavoro come: “Disciplina Spirituale” ed “Elemento primario di cultura e di formazione morale”
Egli, da un lato, cerca un rinnovamento profondo dell’istruzione professionale vera e propria nelle classi superiori della scuola popolare, concentrando intorno ad essa ogni altro elemento di cultura; per un altro lato, introduce un’attività di lavoro anche nelle classi inferiori, non solo perché conforme allo spirito attivo del fanciullo, ma anche perché mezzo sommamente idoneo di formazione morale. Il suo concetto trovò aspre opposizioni da parte di chi vedeva nella scuola del lavoro soltanto l’educazione degradata e tecnica: soltanto il lavoro manuale e non il lavoro spirituale, morale e civico ad esso collegato, che era il vero scopo a cui egli tendeva.
La didattica del lavoro proposta dal Kerschensteiner intende sviluppare l’attività intellettuale e morale che è sempre collegata con ogni lavoro pratico.
Ad esempio, si dia al ragazzo una tavola di legno di certe dimensioni col compito di ricavarne una cassetta con certi requisiti. Egli deve farci sopra le sue osservazioni e
misurazioni, formarsi un progetto, scoprire le difficoltà, superarle con opportuni calcoli,
vagliare le possibilità di realizzazione, decidere ed eseguire: la riuscita della sua esecuzione darà la prova della bontà del procedimento seguito e metterà in evidenza gli eventuali errori e le necessarie correzioni. Si sviluppa così una regola che può definirsi in quattro gradi: Osservazione, Sintesi (progetti e ipotesi di lavoro), analisi (elaborazione ed esecuzione del progetto), verifica.
Tutto ciò ha una portata educativa di primo ordine, in quanto è formazione all’obiettività, cioè a trattare, stimare e realizzare le cose per il loro effettivo valore, e quindi formazione alla moralità, poiché la moralità consiste appunto nell’anteporre il valore obiettivamente pregevole a quello che è pregevole solo soggettivamente. Lo spirito si tempra e si matura nell’accettazione di questa legge dell’obiettività, che impone la sottomissione alle norme tecniche d’ogni processo produttivo come condizione della sua riuscita, anche a costo di duri sforzi e di penose fatiche: solo a questo prezzo si avrà la soddisfazione di produrre qualche cosa d’utile a sé ed agli altri.
Il Kerschensteiner ritiene che lo stesso procedimento possa e debba applicarsi anche al lavoro intellettuale: e ne dà l’esempio su una versione del latino.
E’ stato però giustamente osservato che questa concezione non può estendersi alle attività propriamente creative dello spirito: il che costituisce un limite alla sua affermazione, che ogni bene di cultura sia “energia latente” trasformabile, attraverso il lavoro, in “energia cinetica”, cioè in azione produttiva: l’uomo non si realizza soltanto nel “fare”.
Oltre all’educazione al lavoro, il Kerschensteiner assegna alla scuola il compito di moralizzare la funzione professionale e quello di promuovere il miglioramento etico dell’organismo sociale nel quale la professione deve essere esercitata. La professione infatti è considerata prima come fonte di guadagno personale: punto di vista legittimo ma insufficiente e facilmente degenerabile in forme illecite di concorrenza e d’inganno: occorre dunque che la scuola si organizzi come comunità di lavoro che si attui nella cooperazione e nella solidarietà, in una tensione d’affettivo perfezionamento, in spirito d’onestà e di responsabilità. Su questo punto fu però osservato dal Foerster che occorreva anche una adatta cura dell’anima e una sistematica chiarificazione del giudizio morale, come difesa contro le eventuali tentazioni dell’egoismo corporativo non meno dannoso dell’egoismo personale. Il Kerschensteiner accettò l’osservazione, ma non ne trasse particolari sviluppi.
Nella comunità scolastica di lavoro, vivaio di virtù sociali, il futuro cittadino acquista la capacità di contribuire al miglioramento dello Stato, la comunità morale che progredisce storicamente verso l’ideale di “Stato di cultura e di diritto”. Ciò non soltanto mediante l’educazione professionale, ma anche organizzando la propria vita come in un “corpo sociale autonomo”, nel quale gli alunni siano esercitati a forme di autogoverno.
Però, su questo punto, il Kerschensteiner appare titubante tra una tendenza educativa veramente democratica, come la trovava Dewey e nell’esempio americano, e la concezione hegeliana dello Stato assoluto ancora prevalente in gran parte della cultura tedesca.
La formazione e l’educazione si ha solo con il lavoro
GGF

Fonti
Ausili didattici multimediali:
• www.dubladitattica.it
• Metodologia della comunicazione formativa – corso multimediale a cura di Ferdinando DUBLA
• Enciclopedia De Agostini OMNIA2000
• Enciclopedia Microsoft® Encarta® 99. Edizione 1999
Ausili didattici cartacei:
• F. DUBLA - Dispensa di metodologia didattica della comunicazione formativa – Scuola Sott.li M.M. TA – Ed. 2002
• A. BARONI – La pedagogia e i suoi problemi nella storia del pensiero. Ed. La Scuola – 1972
• G.. GIULIETTI, Le dottrine pedagogiche di Comenio,Locke,Rousseau, Ed Canova, s.d,
• L. VOLPICELLI, La Pedagogia,Maestri e idee dell'Età Moderna, Ed. Vallardi, 1970,
• G.. REALE, D. ANTISERI, M. LAENG, Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi ,Vol. 2, Ed. La Scuola, 1986
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