Formazione culturale nel corso della storia

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Testo

Mappa Concettuale
Introduzione
Nel corso della storia si è potuto osservare che la formazione educativa e culturale di un individuo si è verificata grazie all’influenza e all’intervento di diversi fattori, come possono essere la società, la famiglia, la scuola e persino la socializzazione con gli stessi coetanei dell’individuo.
Da questi il bambino sin dalla prima infanzia trae regole, comportamenti e convinzioni che manifesterà all’interno della sua società. Lo si può notare nei diversi periodi storici in cui l’educazione che viene impartita, acquista caratteri sempre diversi. Talvolta però anche a distanza di diversi secoli vengono riprese certe linee e certe idee come è possibile osservare dall’epoca dell’oratoria di Quintiliano al periodo storico caratterizzato dal Positivismo durante il 1800 in cui si dà molta importanza all’istruzione e quindi alla scuola, dove coloro che devono aiutare il bambino nella sua formazione sono gli insegnanti. All’interno della scuola si possono però delineare certi climi che si rifanno alla società del tempo come è possibile notare durante il periodo Fascista del 1930-40, il cui clima dominante era quello autoritario.
Metodologia
“La scuola”
La scuola è un istituzione e una forma di organizzazione che nasce per raggiungere una serie di obiettivi formativi che la collegano con la società nel suo complesso. Nella nostra società uno dei tratti caratteristici della modernità è stato proprio l’espansione dell’attività della scuola, cosi che oggi essa è divenuta “scuola di massa” e raccoglie al suo interno il maggior numero possibile di giovani per periodi della vita sempre più estesi, coincidenti con l’intero arco compreso fra la prima infanzia e il raggiungimento della condizione adulta. Ciò si realizza nel quadro di un “sistema formativo” che coordina l’attività dei diversi ordini e tipi di scuola di un dato territorio. La creazione dei sistemi formativi scolastici nella nostra società si basata, in parte, sulla convinzione che la scuola sia un’istituzione fondamentale per risolvere gran parte delle problematiche sociali più rilevanti attraverso la trasmissione culturale, l’incentivo al cambiamento, allo sviluppo del sistema scientifico-tecnologico e produttivo,all’estensione della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo. La scuola non è quindi solo un argomento di studio fondamentale per le scienze della formazione, ma anche per le scienze socio-umane nel loro complesso. Infatti nella società contemporanea l’istituzione scolastica ha grandissimo rilievo, con una complessa organizzazione formale, un alto numero di specialisti, strutture architettoniche apposite; essa infatti è l’impresa più grande nella maggior parte dei paesi industrializzati.
A questo riguardo la sociologia funzionalista ha sottolineato l’importanza della scuola nel mantenere l’ordine e la continuità del sistema sociale nel suo complesso. Da questo punto di vista la scuola garantisce formalmente la trasmissione culturale, la socializzazione, lo sviluppo individuale, il controllo sociale. Inoltre come definisce il sociologo Robert Merton appartengono alla scuola anche una serie di funzioni “latenti” come la custodia dei bambini, lo sviluppo di una cultura giovanile, la socializzazione ad alcune regole fondamentali per l’inserimento nel mondo del lavoro (come la puntualità, la disciplina, e così via).
Nel complesso la sociologia funzionalista, ritiene che la scuola nelle società democratiche, assolva in modo complessivamente valido i suoi compiti, e costituisca un importantissima risorsa per mettere gli individui in condizioni di pari opportunità sociali. Ciò si collega con l’idea che la scuola sia fondamentale per la creazione di un “capitale umano” indispensabile per la crescita economica attraverso la formazione e la selezione di persone adatte a promuovere l’avanzamento scientifico- tecnologico.
La sociologia conflittualista vede invece nella scuola uno strumento fondamentale a disposizione dei gruppi socialmente dominanti per mantenere la propria condizione di privilegio nell’accesso al potere politico o economico. La scuola sarebbe perciò il luogo dove i membri delle classi subalterne sono indotti ad accettare l’ideologia dominante, posizioni subalterne e condizioni di disuguaglianza sociale. Per i sostenitori della teoria del conflitto, tra cui Passeron e Bordieu, la scolarizzazione di massa anche ai livelli più alti dell1istruzione è ritenuta sostanzialmente inutile per l’effettiva parità di opportunità, dal momento in cui vengono richieste credenziali sempre più alte per i posti di lavoro di prestigio e la selezione colpisce più pesantemente gli studenti provenienti dalle classi socioeconomiche più svantaggiate. Secondo la sociologia del conflitto inoltre le probabilità di successo scolastico e sociale sono fortemente influenzate dalla classe sociale di origine, in quanto le opportunità educative per l’accesso ad una determinata credenziale non sono omogenee, né lo è l’accesso, a parità di titolo di studio, alla posizione sociale.
Al contrario, la difesa della posizione funzionalista ha condotto alcuni studiosi, come Herrnstein e Jensen, a sostenere che l’insuccesso scolastico o le condizioni di inferiorità sociale dipendono in parte da aspetti legati alle capacità innate degli individui, e in particolare al loro quoziente di intelligenza.
Altra posizione è quella degli studiosi neoweberiani come Radall Collins, secondo i quali le scuole superiori e le università hanno anzitutto la funzione di far acquisire gli stili culturali dei membri delle classi medie e superiori, con il relativo tentativo di chiudere l’accesso alle posizioni vantaggiose agli individui privi del titolo di studio adeguato. Più in generale occorre ricordare che la scuola si basa anche su una serie di ideologie, ossia su sistemi di convinzioni e atteggiamenti ampiamente condivisi a livello sociale.
Nel contesto scolastico è importante sottolineare che lo sviluppo sociale non permette solo l’incontro regolare con il gruppo dei pari e l’arricchimento delle capacità di interazione e comunicazione, ma favorisce pure la costruzione di nuove capacità di pensiero attraverso l’intervento di insegnanti adulti e la presenza di situazioni di apprendimento appositamente studiate a questo scopo.
A questo riguardo le ricerche dello psicologo sociale Kurt Lewin sugli stili di leaderschip hanno fornito un importante strumento per l’analisi delle relazioni stabilite dagli insegnanti con i gruppi-classe identificabili rispettivamente come “climi” autoritari, democratici e permissivi. A ciascuno stile di conduzione della classe corrispondono così precisi effetti sul gruppo e sui comportamenti degli individui al suo interno.
Più in generale si può affermare che la psicologia dell’apprendimento scolastico sia stata fortemente influenzata, in questi ultimi anni, da una concezione “costruzionista” dell’apprendimento e dello sviluppo di una psicologia culturale, dove la situazione scolastica viene considerata anzitutto come interazione di un gruppo di soggetti con la cultura, anche intesa come la “micro-cultura” della classe. In linea con questa prospettiva Bruner afferma che alla base dell’azione formativa stanno precisi “modelli della mente” e dell’apprendimento, dotati di conseguenze altrettanto riconoscibili sulle pratiche di insegnamento e sulle modalità di apprendimento dei discenti. Questi modelli sarebbero sostanzialmente quattro e dovrebbero essere fusi in “unità coerente” una teoria integrata del processo di insegnamento-apprendimento:
* I bambini apprendono per imitazione: l’insegnamento si basa sull’atto del “mostrare” e presuppone la motivazione, la capacità di riconoscere gli obiettivi e i mezzi, e di riprodurli;
* I bambini apprendono per esposizione didattica: l’insegnamento presuppone l’ignoranza e la “passività” del discente, la presenza della conoscenza, già costituita, “fuori” di lui e la necessità che fatti, regole e principi gli vengano esposti dal docente;
* I bambini apprendono “come pensatori”,costruttori attivi di un modello del mondo: l’insegnamento deve fare in modo che questo sia mediato e ampliato nello scambio intersoggettivo dell’attività formativa;
* I bambini apprendono come “soggetti intelligenti”, in grado di riconoscere la differenza fra conoscenze personali e conoscenze “oggettive”depositate nella cultura: l’insegnamento deve aiutarli a compiere questa distinzione e a penetrare nelle conoscenze depositate nella loro cultura di appartenenza.
Anche il tema degli stili cognitivi è oggi considerato molto rilevante per lo studio dell’insegnamento-apprendimento nella situazione scolastica. Secondo lo psicologo dell’educazione Piero Boscolo gli stili cognitivi sono modalità di elaborazione dell’informazione in compiti diversi ed in settori diversi del comportamento, come ad esempio l’intuitività o analiticità, la dipendenza o indipendenza dal campo. L’importanza di questo argomento di studio dipende dal fatto che la scuola tende a privilegiare determinati stili piuttosto che altri. Gli studi di Robert Sternberg sugli stili di insegnamento dimostrano ad esempio che gli alunni con stile analogo a quello del docente ottengono in genere risultati migliori. A questo argomento si collegano anche le ricerche sulla molteplicità delle intelligenze, sviluppate principalmente dallo studioso americano Howard Gardner. Per Gardner ciascuna intelligenza implica determinate modalità di interpretazione e organizzazione della realtà individuabili attraverso opportune prove sperimentali, in quanto la nostra specie ha conosciuto un’evoluzione che l’ha portata a pensare in lingua, a concettualizzare in termini spaziali (intelligenza sociale), a fare analisi di tipo musicale (intelligenza musicale), a fare calcoli servendosi di strumenti logici e matematici, a comprendere gli altri e noi stessi (intelligenza emotiva). Gardner ritiene infatti che le diverse modalità delle intelligenze siano decisive per l’impostazione dell’ attività scolastica secondo forme adeguate all’apprendimento degli allievi.
La scuola è quindi infatti uno “sfondo” importantissimo per la crescita dell’individuo, un luogo di socialità allargata in cui le regole di vita comune vengono lasciate dalla famiglia.
Storia
“Il Fascismo”
Un esempio di stile di leaderschip caratterizzato dal clima autoritario è possibile riscontrarlo negli anni del fascismo in cui a partire dal 1925 in Italia ad opera di Benito Mussolini iniziò a consolidarsi la dittatura fascista; il progetto politico di Mussolini mirò alla fascistizzazione dello stato e della società civile, cioè alla subordinazione non solo delle istituzioni e dell’amministrazione pubblica, ma anche di tutte le forme della vita associata al potere fascista e alla sua ideologia. Il controllo del regime si estendeva anche alla scuola: occasione privilegiata per educare i giovani al fascismo.
Il 25 marzo 1927 l'allora ministro dell'istruzione Pietro Fedele dichiarava di voler "fascistizzare la scuola", la quale doveva in particolare educare la gioventù a "comprendere il fascismo" e a partecipare attivamente "al clima storico creato dalla rivoluzione fascista”. Per sottolineare questa volontà dello Stato di controllare ogni elemento della vita dei giovani, dopo qualche anno il Ministero della Pubblica Istruzione fu ribattezzato Ministero dell'Educazione nazionale, a cui veniva affidato anche il controllo dell’Organizzazione nazionale Balilla.
Nel febbraio del 1929 veniva imposto ai maestri elementari il giuramento di fedeltà al regime fascista, obbligo esteso poi anche agli insegnanti di scuole medie ed università. Nell'anno scolastico 1930-31 venivano adottati i libri di testo unico per tutte le scuole elementari italiane, scritti da una commissione costituita dal regime.
Il fascismo creò una serie di istituzioni rivolte ai giovani che raccoglievano tutti i ragazzi dai 6 ai 21 anni. Ad ognuno di essi veniva consegnato una tessera che recava scritto: .
I ragazzi indossavano la stessa uniforme e venivano suddivisi in squadre formate in base all'età. I più piccoli facevano parte dei figli della Lupa dai 6 agli 7 anni,l'animale che aveva nutrito Romolo e Remo, i fondatori di Roma per cui il fascismo ebbe un culto particolare. Sopra di loro c'erano i Balilla dagli 8 ai 15 anni, in memoria di un ragazzo che nel 1946 lanciò un sasso a Genova contro gli occupanti austriaci.
Gli altri gradini erano occupati dagli avanguardisti, dai 15 ai 18,dai giovani Fascisti e dai giovani Universitari, dai 18 ai 21. Anche per le fanciulle, piccole italiane e giovani italiane avevano gli stessi gradi, lo stesso inquadramento, lo stesso spirito di disciplina. Ma nell'educare le fanciulle italiane bisognava tener presente che esse erano destinate dal regime,una volta diventate adulte,a essere “madri e mogli esemplari”.
Queste organizzazioni svolgevano attività ricreative, ginniche, assistenziali: nel 1937, esse confluirono in un'unica organizzazione, la Gioventù italiana del Littorio (G.I.L), che contava otto milioni di aderenti.
"Giovinezza" era il titolo dell'inno ufficiale del fascismo. E il mito dei giovani e della giovinezza accompagnava ogni manifestazione del fascismo. I giovani erano il futuro del fascismo che era esso stesso giovinezza e nei giovani il fascismo vedeva l'uomo nuovo da forgiare. Il fascismo attribuiva anche molta importanza alla preparazione fisica, occasione per rafforzare la salute e quindi la razza, per vivere collettivamente, per prepararsi ai sacrifici ed alla sofferenza, per essere sempre pronti ad affrontare la prova più alta: la guerra. Tutta l'organizzazione educativa del fascismo aveva infatti metodi e stili premilitari, inserendo i giovani in associazioni, gruppi, attività che li educassero in senso rigorosamente fascista. Il motto della Gil era una frase di Mussolini quanto significativa:"Credere,obbedire,combattere".
Il 16 giugno del 1935 nasceva il "sabato fascista". Il pomeriggio del sabato, dedicato solitamente al riposo e alle attività personali, doveva essere invece destinato all'addestramento, militare e politico, della nazione e quindi tutti i bambini ed i ragazzi inquadrati nella Gil dovevano partecipare alla ginnastica, agli addestramenti ed alle lezioni, che si tenevano in ogni paese.
“Figli della Lupa in parata”
Fulcro del fascismo italiano era Benito Mussolini, il duce. La sua immagine era in ogni aula.
I libri di scuola ne percorrevano la biografia, soffermandosi in particolare sui temi del duce fanciullo, già coerente, fin dall'infanzia, ai grandi temi del fascismo: forza, generosità, senso del dovere, fedeltà alle scelte, carriera brillante, passaggio dalla povertà iniziale alla posizione di massimo prestigio. I giovani, attraverso la scuola, le lezioni del sabato, i giornali imparavano ad "amarlo" perché, come recitava la propaganda, "Benito Mussolini ama molto i bambini. I bimbi d'Italia amano molto il duce".
La propaganda collegava sapientemente aspetti della biografia o del carattere del duce con altrettanti aspetti della storia o dell'ideologia del fascismo in un continuo rimandare dell'uno all'altro.
A partire dal 1938 anche l'Italia fascista aveva emesso leggi razziste che colpivano gli italiani di religione ebraica. I bambini ebrei furono allontanati dalla scuole pubbliche, agli adulti fu impedito di esercitare libere professioni. Tutti gli ebrei furono censiti e schedati, una schedatura che servì, dopo il 1943, ai fascisti della Repubblica sociale italiana ed ai tedeschi per arrestarli e deportarli nei campi di sterminio. Alcuni, per continuare a vivere, si rifugiarono subito all'estero, altri cercarono temporaneamente tranquillità nei piccoli paesi.
Arte
“Paul Klee”
Sempre in questi anni dal 1920 al 1931 in Germania insegnava in una scuola d’arte Paul Klee, pittore astrattista, che condusse un attività didattica molto intensa e profondamente innovatrice. Ma l’avvento del nazismo e le spietate persecuzioni contro gli ebrei (Klee era di famiglia ebraica) lo costrinsero ad abbandonare l’insegnamento e a fare ritorno in Svizzera,dove rimase fino alla morte.
Paul Klee nasce a Munchenbuchsee, Berna in Svizzera nel 1879. Frequenta le scuole a Berna, dove intraprende anche studi musicali.Nel 1898 decide di dedicarsi alla pittura. Si iscrive all'Accademia di Monaco, dove segue i corsi di Franz von Stuck. Nel 1901 soggiornò in Italia, tornandovi negli anni successivi più volte. Si recò a Parigi nel 1905 e alcuni anni dopo nel 1910 fece il grande incontro con Kadinskij. Tra il 1901 e il 1905 Klee realizza lavori su vetro e opere grafiche di ispirazione simbolista. Con queste partecipa alla mostra internazionale della Secessione di Monaco (1906). Nel 1905 si reca a Parigi, dove vede le opere degli impressionisti. La sua preferenza va, però,a van Gogh e Cézanne. Nel 1906 Klee si stabilisce a Monaco, qui ottiene, nel 1911, la prima personale presso la Galerie Tannhauser. A Monaco entra in contatto con Alfred Kubin, ma soprattutto con gli artisti di "Der Blaue Reiter". Con loro partecipa alla seconda mostra del gruppo, nel 1912.
Oltre che per la pittura Klee ebbe una viva passione per la musica, soprattutto per il violino.Era figlio di un insegnante di musica tedesco e di una musicista di origine svizzera. Cosi Klee sente come tanti altri contemporanei il significato musicale della pittura e perciò la sua funzione espressiva invece che rappresentativa.
Inizialmente è soprattutto un grafico ed evidenzia l’importanza della linea riempiendo molti fogli di disegni, ma intuisce presto le enormi possibilità del colore, che scopre finalmente, in tutta la sua evidenza, attraverso lo splendore della luce solare africana,durante un viaggio in Tunisia nel 1914. Il viaggio a Tunisi del 1914 ebbe una notevole influenza sul suo stile, facendogli prediligere le tonalità cromatiche tipiche di questa area geografica. E’ a questo punto che può affermare: “Io e il colore siamo una cosa sola. Sono pittore.”
Paul Klee iniziò ad insegnare al Bauhaus nel 1920, quando la sua fama di espressionista sui generis si è ormai diffusa in tutta la Germania; vi rimane fino al 1931 insegnando “Teoria della composizione”. La decisione di insegnare in questa scuola superiore d’arte ebbe riflessi sia sulla vita, sia sulle opere di Klee; la necessità di comunicare un sapere spinge infatti l’artista all’elaborazione di una propria posizione teorica e questo lo sollecita a rendere espliciti e a esplorare più profondamente i mezzi espressivi e i metodi di lavoro di cui si serve.
Da questa esperienza di insegnante Klee scrive alcuni saggi, come ad esempio il fondamentale scrittosull’educazione“Padagogische Skizzenbuch”(Taccuino di schizzi pedagogici;1925).
Gli ultimi lavori dell'artista,specie quelli su tela di juta e su carta, come ad esempio:“Prigioniero”(1940) , “Ragazza affamata” (1939) “Uomo selvaggio” (1939) ne sono i più rappresentativi anche perchè riflettono un profondo stato di depressione e di angoscia per le vicende della Germania nazista.
Costretto a tornare a Berna, continua a dipingere con grande fervore, nonostante l'insorgere di una fatale malattia.Paul Klee muore a Muralto (Locarno) nel 1940.
Attività Artistica
Klee nella sua attività artistica,apporta un contributo di grande importanza al dibattito sull’ “astrazione”. Klee non intende mai l’astrattismo come qualcosa di totalmente separato dalla realtà, questo è infatti una tendenza all'astrazione intellettuale, un procedimento della mente che astrae dai fatti, dall'esperienza. Poiché secondo Klee noi ci formiamo continuamente,giorno dopo giorno, vivendo immersi nel mondo che ci circonda, tutto ciò che sentiamo non può essere che la nostra reazione emotiva di fronte alla realtà.
Paul Klee rappresenta insieme a Wassily Kandinskij, il pittore che ha dato il maggior contributo ad una nuova pittura fondata su caratteri astratti. Egli però, a differenza di Kandinskij, non ha mai praticato l’astrattismo come unica forma espressiva, ma l’ha inserita in un più ampio bagaglio formale e visivo dove i segni e i colori hanno una maggiore libertà di evocazione e rappresentazione. Si potrebbe dire che, mentre per Kandinskij l’astrattismo rappresenta una meta, per Klee l’astrattismo è un punto di partenza per rifondare una pittura che rappresenti liberamente il mondo delle forme e delle idee.
L’approdo ad una pittura astratta, in Klee, ha esiti molto diversi da quelli di Kandinskij. Mentre il pittore russo pratica un’astrazione totale e rigorosa, Klee sembra divertirsi a depurare le immagini fino a giungere a delle rappresentazioni che sono più ideografiche che astratte. In questo caso realizza un quadro a linee incrociate che simulano la planimetria di una città, da qui il titolo «Strade principali e secondarie». L’effetto è decisamente decorativo, ma non esclude una riflessione sulle nuove realtà metropolitane, che, già negli anni Trenta, diventano paesaggio artificiale totale, escludendo dal proprio interno qualsiasi altra varietà morfologica.
Strade principali e secondarie,1929;

Del resto nelle pitture di Paul Klee, come in quelle di altri astrattisti, è spesso riconoscibile uno spunto tratto dalla realtà esteriore vista al microscopio, invece che a occhio nudo secondo la nostra comune abitudine,come ad esempio“Squame di un ala di farfalla” o “Fioriture di Paul Klee”. Si tratta forse di collegamenti inconsci, tali però da confermare il fatto che l’uomo non può immaginare niente che non esista già in natura.
La pittura di Klee, comunque, è raffinata, intellettuale, rarefatta e spesso allusiva e simbolica come dimostrano i titoli delle opere che sono evocativi e suggestivi, applicati all’opera dopo la stesura pittorica e non precedentemente come programmi da attuare.
In linea generale viene considerato uno dei padri della pittura astratta.
Spesso, però, il suo lavoro assume un carattere prettamente figurativo, oscillando tra espressionismo e una vaga intonazione surrealista.
Klee è un rivelatore straordinario di universi interiori. La sua sensibilità gli permette di scoprire relazioni magiche tra forme, luoghi, simboli, colori.
Per Klee l'artista è uno scienziato che, sulla scorta della propria sensibilità e capacità intuitiva, giunge a scoprire magiche relazioni, a tradurle in immagini. Ne deriva una sorta di mondo parallelo, continuamente in bilico tra visibile e invisibile, tra astratto e figurativo. Per questa sua prerogativa, Klee è una figura fondamentale dell'arte del '900. In tempi successivi sono stati molti gli artisti che hanno raccolto la lezione. La sua vasta cultura visiva, che spazia dall’arte italiana, con riferimento a Leonardo e Michelangelo, a quella della frequentazione del gruppo Blau Reiter, gli fornisce una solida base su cui costruire il proprio mondo figurativo, mantenendosi tuttavia al di fuori di qualsiasi corrente organizzata. Possiamo dire che Klee gioca con l’estetica dell’astrazione, si serve di spunti e convenzioni per proprie esigenze liberamente espressive e non ubbidisce a un programma, piuttosto improvvisa con vivacità alternata a ironia.
Le immagini di Klee assomigliano ad architetture, città immaginarie, acquari, orti botanici, labirinti, spartiti musicali, arabeschi dello spirito. Al loro interno si collocano elementi organici, nuotano pesci dorati, svolazzano uccelli variopinti, si dipanano scritture immaginarie, si intrecciano simboli, note e ideogrammi. In alcune opere i diversi elementi vengono orchestrati sulla base di schemi matematici e teorie musicali.
Paesaggio con uccelli gialli 1923
Klee non si occupa particolarmente di problematiche sociali, politiche, psicologiche, così care ad altri artisti del suo tempo. Klee è pittore di fantasia, di incantamenti.
In tutta la sua opera appare proteso a reinventare il mondo, a rendere visibile quanto di magico e misterioso è racchiuso in esso.
Nei vent'anni più importanti della sua carriera realizza circa 9000 opere, in massima parte di piccolo formato, usando supporti alquanto disparati: dal foglio di carta, alla tavola, alla tela, alla tela applicata su legno. A volte dipinge su tele o tavole coperte di gesso, giungendo persino a inciderle o a sgraffirle, dava appunto un titolo alle sue creazioni, indicandolo in inchiostro e in caratteri gotici in fondo ai suoi disegni. Klee si era costruito un intero alfabeto di segni caratteristici: frecce,spirali, quadrati,per dare forma tangibile alle sue visioni.
Ognuna delle sue opere più grandi appare per noi un universo di domande,di segreti,d’incanti o di malinconia che ci afferra e ci trattiene. Una delle sue tele “Strade principali e secondarie”(1929), è, credo, la pittura che può offrire ai nostri occhi la più vertiginosa immagine dell’infinito.

Segni in giallo 1937

Natura Morta 1940

La bella giardiniera 1934

Latino
“Quintilano”
Un grande esempio nella storia dell’insegnamento fu Marco Fabio Quintiliano, professore di retorica e primo insegnante ad essere stipendiato dallo stato intorno al 68-69 d.C. Quintiliano spagnolo di Calagurris, nato tra il 35 e il 40 d.C., fu educato in Roma, dove anche il padre era professore di retorica.
Con la morte di Nerone (68-69 d.C.) si concluse il periodo travagliato dei successori di Augusto. Così Flavio Vespasiano quando prese il potere si trovò dinanzi a un compito difficile: recuperare le classi dirigenti alla fiducia nello stato, assicurare una buona amministrazione alle province, restaurare le finanze statali, rivendicare all’Italia il ruolo di centro dell’Impero; e capì dunque che una corretta amministrazione esigeva funzionari civili e militari culturalmente preparati e coscienti delle loro responsabilità. Di qui il suo interesse per la cultura e soprattutto per la scuola superiore di retorica, da cui usciva il personale con alto livello di qualificazione: governatori, ufficiali di grado superiore, magistrati. L’uomo giusto per rispondere alle esigenze dei Flavi fu trovato in Quintiliano, che fu regolarmente stipendiato.
Nei primi anni dopo il 90 d.C. Quintiliano scrive e pubblica l’ “Institutio oratoria” opera educativo- didattica, che dedica all’amico Vittorio Marcello.
L’ opera è composta da dodici libri:
* I - II libro : Comprendono la metodologia dell’educazione a cominciare dalla prima infanzia e gli elementi fondamentali dell’insegnamento retorico.
* III - VII libro : Sono dedicati alla inventio e alla dispsitio (ricerca e distribuzione del materiale e delle considerazioni relative all’argomento).
* VIII - XI libro : Riguardano il linguaggio, lo stile, l’esercizio della memoria e il modo di esporre.
* XII libro : Illustra la funzione e i doveri dell’oratore nei confronti della società e dello stato.
L' "Institutio oratoria" si delinea, dunque, come un programma complessivo di formazione culturale e morale, scolastica ed intellettuale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente, dall’infanzia fino al momento in cui avrà acquistato qualità e mezzi per affrontare la vita sociale (il termine "institutio" sta ad indicare, propriamente, "insegnamento, educazione, istruzione).
Quintiliano scrive quest’ opera in quanto per lui come per Cicerone, l’orator copre un ruolo molto più ampio, perché l’oratoria viene considerata un requisito indispensabile per chiunque partecipi alla vita civile e politica. Da qui nasce infatti una prima considerazione, la formazione dell’orator non può limitarsi al periodo in cui il giovane studia e si esercita nella scuola di retorica, ma è altrettanto importante se non forse di più il periodo della scuola di grammatica. Anzi la prima educazione inizia sin da quando il bambino apprende a parlare; e sino ai sette anni, al suo ingresso nella scuola di grammatica, il bambino potrà assimilare un primo insegnamento attraverso l’attività di gioco.
Quintiliano propone un insegnamento individualizzato, cioè che tenga conto delle diversità dei ragazzi che apprendono prima o dopo. Inoltre ritiene utile ed importante il confronto tra ragazzi, in modo che questi interagiscano tra loro.
Di conseguenza l’ “Institutio oratoria” possiede una sua portata al di la delle epoche storiche, poiché riguarda la teoria generale dell’educazione dell’uomo
Per Quintiliano modello di eloquenza è Cicerone. A lui in parecchie occasioni riconosce le doti che fanno l’eccellente oratore. Al pari di Cicerone egli afferma la necessità di una formazione culturale “polivalente” che comprenda filosofia, musica, geometria, matematica, storia, diritto. Tuttavia su un punto significativo Quintiliano pare dividersi dal suo modello. Cicerone afferma che l’oratore deve possedere una vasta conoscenza delle dottrine e delle scuole di filosofia, e con la sua pratica personale ha dimostrato che in lui potevano convivere l’oratore e il filosofo, ma non ha mai teorizzato l’unificazione delle due discipline o il fatto che l’una, la retorica, inglobasse in sé l’altra.
Quintiliano poi a differenza di Cicerone pensa che la lingua latina sia meno duttile di quella greca e che il latino non può reggere il confronto per la povertà del lessico. Il suo parlare è piano, ma non manca di vivacità, poiché Quintiliano non dimentica mai che scrive per insegnare e perciò vuole interessare l’uditore e il lettore.

Pedagogia
“Roberto Ardigò”
Grande importanza all’insegnamento e all’educazione si afferma anche negli anni del positivismo, che si diffonde a partire dalla prima metà dell’800. Sono quelli gli anni in cui Roberto Ardigò, filosofo e pedagogista italiano, propone il suo pensiero pedagogico, presentando nel modo più coerente e conseguente le posizioni positiviste. Nel corso di oltre un trentennio egli ha sempre sostenuto un suo preciso disegno culturale: affermare la validità del positivismo come una concezione generale del mondo, autonoma e autosufficiente, contrapposta radicalmente a tutte le posizioni metafisiche, idealistiche e spiritualistiche. Il suo pensiero rappresenta pertanto il punto più avanzato ed elaborato raggiunto dal positivismo italiano.
Roberto Ardigò nasce a Casteldidone nel 1828 in una famiglia benestante che si impoverì e si trasferì a Mantova dove muore nel 1920. Nel 1851 divenne sacerdote, ma l’anno seguente segna l’inizio di quel processo che porterà Ardigò nel 1871 a lasciare la veste di sacerdote poiché non condivideva più la fede cattolica, forse per la cultura e le idee positiviste che lo portarono ad allontanarsi dalla chiesa. Dal 1853 la sua vita è tutta dedicata all’insegnamento nella scuola elementare, nel ginnasio, nel liceo e nell’istituto tecnico, ma anche dal 1881 all’università di Padova come professore di storia della filosofia.
I suoi scritti sono molti e, per la maggior parte, nascono dall’insegnamento; tra i più importanti vi sono: nel 1893 “La pedagogia come scienza dell’educazione”, nel 1869 “Lo spirito su Pietro Pompanazzi” (filosofo positivista) in cui afferma l’autonomia della ragione. Per Ardigò molto importante è la trilogia “Il vero”, “La ragione”, “L’ unità della coscienza” in cui espone in modo sistematico il suo positivismo.
Roberto Ardigò propone la pedagogia come scienza dei fatti educativi, è un idea innovativa perché prima l’educazione era considerata un fatto spirituale. In particolare viene individuato un procedimento educativo, una successione di automatismi: l’attività porta l’esercizio, questo porta l’abitudine e questa porta l’ abilità; quando questa è ben consolidata l’obbiettivo è raggiunto. L’apprendimento è principalmente educativo; infatti nel bambino che apprende l’acquisizione di abitudini determina l’ abilità che poi forma l’educazione. L’educazione è costituita da tutto ciò che uno sa fare e proprio per questo a scuola si insegnano le abilità in quanto ciò che si sa e si sa fare bene è molto utile per la formazione della persona. La sua pedagogia è basata sull’ osservazione dei fatti educativi.
Per Ardigò tutta la realtà è natura, e in tale ambito l’unica conoscenza valida è quella scientifica che parte dal fatto come dato certo; così di conseguenza anche il processo educativo è natura, è osservabile.
Ogni formazione naturale è determinata da alcuni fattori, e questi sono le “matrici dell’ educazione”. Cioè quei fattori esterni all’educando che lo conducono all’acquisizione di quelle abitudini nelle quali si identifica l’educazione. Queste “matrici” sono: la società, la famiglia, la scuola, le maestranze professionali (per esempio gli artigiani), le istituzioni speciali (per esempio collegi, caserme). Tutte danno un contributo e grazie all’azione di queste matrici il giovane viene formato. Nell’ educazione non c’è nulla di misterioso, tutte le attività sono orientate.
Per Ardigò la “lezione delle cose” è la lezione migliore. Vi sono vari tipi di “lezioni” : quelle formali fatte servendosi solo delle parole, quelle fatte per mezzo delle stesse cose, reali, e il metodo seguito in queste si chiama per ciò reale o intuitivo o anche sperimentale.
Vi sono poi le esposizioni con metodo deduttivo (dal particolare al generale) e induttivo (dal generale al particolare); che tanto nell’uno quanto nell’altro si deve procedere dal noto all’ignoto, dal semplice al complesso, dal facile al difficile.
Il metodo intuitivo o sperimentale o reale è quindi per Roberto Ardigò il metodo didattico più adatto per la formazione del bambino. Questo può essere diretto in quanto il bambino osserva e impara e nel gioco ha un contatto diretto ma anche libero con la realtà; e può essere poi indiretto.
Italiano
“Positivismo e Verismo”
Il Positivismo influenzò diversi settori tra cui quello letterario, questo movimento ebbe larga diffusione a partire dalla prima metà dell’ottocento, ed è l’espressione ideologica della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente sviluppo della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche. Il Positivismo è infatti caratterizzato dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso, metafisico o idealistico e dalla convinzione che tutto si può interpretare e capire attraverso la scienza. Il positivista quindi crede solo nei fatti “positivi”, dimostrabili scientificamente e sperimentalmente, e vede nella scienza l’unico strumento capace di spiegare la realtà e di dominarla; di qui deriva anche la fede nel “progresso”, garantito appunto dalle conquiste scientifiche.
Grazie ad uno straordinario sviluppo della scienza le condizioni generali di vita migliorarono, un po' ovunque si diffuse una visione ottimistica dell'avvenire e nelle classi borghesi crebbe il senso di fiducia nelle possibilità creatrici dell'uomo.
Anche nella letteratura si ha l’esigenza di trasformare il romanzo in uno strumento scientifico e di rappresentare la realtà in tutte le sue forme, questa fu ripresa dallo scrittore Emile Zola che diede la sistemazione più compiuta alle teorie naturaliste e riassunse quasi nella sua opera il movimento. Le concezioni che stanno alla base della narrativa zoliana si trovano esposte nella forma più organica nel volume “Il romanzo sperimentale” del 1880. La scienza sostiene Zola, non ha ancora trovato con certezza tutte le leggi che regolano la vita passionale e intellettuale dell’uomo; ma due principi si possono già affermare: l’eredità biologica e l’influsso esercitato dall’ambiente sociale. La conclusione di tutto il discorso di Zola è che come il fine della scienza sperimentale è far si che l’uomo diventi padrone dei fenomeni per dominarli, così anche il fine del romanzo sperimentale è impadronirsi dei meccanismi psicologici per poi poterli dirigere. Il romanziere ha quindi un fine importantissimo, aiutare le scienze politiche ed economiche nel regolare la società.
L’immagine di Zola che si diffuse in Italia fu innanzitutto quella del romanziere scienziato e “realista”, nonché dello scrittore “sociale”.
In Italia il realismo più preciso è il Verismo che si ha soprattutto nelle novelle e nei romanzi. Il Verismo nasce nella seconda metà dell'800 come conseguenza degli influssi del Positivismo che suscitò negli intellettuali fiducia nel progresso scientifico. In questo periodo il romanzo verista viene chiamato sperimentale appunto perchè era scritto in modo documentato e scientifico. Il Verismo, deriva direttamente dal Naturalismo, e queste due tendenze letterarie, condividono una narrativa realistica, impersonale e scientifica, che non lascia trapelare nessun intervento né giudizio da parte del narratore, mentre differiscono per quanto riguarda i contesti dove sono ambientate le vicende. Il Naturalismo si focalizzava di norma su ambienti metropolitani e classi (dal proletariato all'alta borghesia) legate alle grandi città e al loro sviluppo; il Verismo invece, privilegiava le descrizioni di ambienti regionali e municipali e di gente della campagna.
Verso la fine degli anni '70, grazie all'impegno critico di Luigi Capuana e al genio narrativo di Giovanni Verga, si afferma quindi il Verismo. Fra i principali motivi che contribuirono all'affermazione di questo movimento vi fu prima di tutto la crescente attenzione verso lo sviluppo del sapere scientifico, che sembra fornire gli strumenti più adeguati all'osservazione e alla spiegazione dei fenomeni naturali e dei comportamenti umani. Il secondo elemento determinante fu l'emergere della questione sociale in genere e in particolare, il diffondersi dell'interesse per le condizioni di vita del Meridione, un argomento che costituiva la materia privilegiata per quell' analisi oggettiva della realtà che i nuovi orientamenti della cultura consideravano un'esigenza primaria. Un ulteriore motivo di diffusione fu la volontà di favorire la crescita del livello culturale dei ceti popolari.
GIOVANNI VERGA
Nasce a Catania il 2 settembre del 1840 in una famiglia di agiate condizioni economiche e di origine nobiliare. Ad undici anni inizia gli studi alla scuola di Antonino Abate, letterario e patriota, e, poi, del canonico Mario Torrisi. Il tipo di educazione ricevuta è, sul piano politico, patriottica risorgimentale e, sul piano letterario, sostanzialmente romantica. Si iscrive alla facoltà di legge ma non termina gli studi, tutto preso dalle vicende storico-politiche (dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia).
Fondamentali nella sua vita sono gli anni fiorentini (1865-72), dove avviene l'incontro con L. Capuana, con il quale inizia un rapporto d'amicizia e un sodalizio letterario. Più tardi si trasferisce Milano, città in cui vivacissimi sono gli scambi letterari; la fase milanese coincide con la maturità dello scrittore e con la grande stagione dei capolavori. L'ultima fase della vita del Verga è caratterizzata dallo scambio epistolare con la contessa Dina di Sordevolo, conosciuta a Roma e amata per tutta la vita. Muore a Catania nel 1922.
Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere veriste composte dal ’78 in poi; e ciò da origine ad una tecnica narrativa profondamente originale e innovatrice, che si distacca sia dalla tradizione sia dalle contemporanee esperienze italiane e straniere. Nelle sue opere l’autore si “eclissa”, si immedesima nei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le parole. A raccontare infatti non è il narratore “onnisciente” tradizionale, che interviene nel racconto ad illustrare gli antefatti o le circostanze dell’azione, a tracciare il ritratto dei personaggi, a spigare i loro stati d’animo, a commentare e giudicare i loro comportamenti. Nelle opere del Verga la “voce” che racconta si colloca tutta all’interno del mondo rappresentato, è allo stesso livello dei personaggi;non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare, ma il narratore immedesimandosi nei personaggi adotta il loro modo di pensare e usa il loro stesso modo di esprimersi. E’ come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda, e resta anonimo. Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché Verga nei Malavoglia e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese.
Un esempio chiarissimo di questi ambienti è fornito dalla novella “Rosso Malpelo” che è la prima novella verista pubblicata dal Verga (1878) e che inaugura la nuova maniera di narrare. La storia narra di un ragazzo di nome Malpelo, che si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo. La logica che viene utilizzata fa infatti dipendere da una qualità essenzialmente morale (“malizioso e cattivo”) un dato fisico, naturale, i capelli rossi; rivela cioè una visione primitiva e superstiziosa della realtà, estranea alle categorie razionali di causa ed effetto, che vede nell’ individuo “diverso” un essere segnato come da un’ oscura maledizione, che occorre temere e da cui è necessario difendersi.
Tutta la vicenda è narrata dal punto di vista in cui a raccontare non fosse lo scrittore colto, ma uno qualunque di vari minatori della cava in cui lavora Malpelo. Non solo, ma questo anonimo narratore, tipico delle opere verghiane che trattano di ambienti popolari, non informa sul carattere e sulla storia dei personaggi, né offre dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l’ azione. L’autore ne parla come se si rivolgesse ad un pubblico appartenente a quello stesso ambiente, che avesse sempre conosciuto quelle persone e quei luoghi. E se la voce narrante commenta e giudica i fatti, non lo fa certo secondo la visione colta dell’autore, ma in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare, che non riesce a cogliere le motivazioni psicologiche autentiche delle azioni e deforma ogni fatto in base ai suoi principi interpretativi.
Il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, paragoni e proverbi in cui traspare la struttura dialettale nella sintassi, tipica del linguaggio popolare.
La grandezza di Verga consiste nel darci i sentimenti, le sofferenze, il linguaggio di queste persone. Egli infatti visse in un'epoca di transizione, caratterizzata dal passaggio dall'idealismo dell'Italia risorgimentale allo scetticismo positivistico dell'Italia post-unitaria, tanto vero che questa rinuncia all'idealismo romantico in nome di un atteggiamento di fiducia nella scienza si tradusse nel Verga in una forma di rassegnazione e accentuò la sua visione pessimistica della vita, vista come una drammatica lotta in cui solo il più forte è destinato a vincere e il più debole è costretto a cedere.

Inglese
“The education in the Victorian age”
During the first part of Queen Victorian’s reign, only the rich and the aristocrats were able to send their sons to exclusive private schools the boys were sent to famous private schools; such as Eton, which were very sever. The girls were educated at home either by their parents or by governesses and learnt how to become goodwives and mothers, also social graces such as playing a musical instrument, drawing, embroidery and how to write a letter with good handwriting.
Until they were old enough to go away to a boarding school or college, or have a tutor, upper and middle class children were taught in their homes by governesses. Although a governess had to have the education and manners of a "lady," she was treated as a servant. However, the other servants did not accept her either because she shared a level of intimacy with the master's children. The life of a governess was a life of isolation. Even so, it was almost the only option for an unmarried middle-class woman who needed to earn her own living.
The industrial revolution in England brought wealth and prestige to the nation and England became the most important nation in the world. Many people such as manufacturers and factory owners became extremely wealthy at the expense of the poor workers.
The industrial revolution caused a shift in population from the country to the towns, where the poor, with their large families, lived in difficult conditions, in unhealthy flats or houses, badly built, with little sanitation, without air or light. All the family had to work to maintain the family even from six years old. They worked hard up to sixteen hours a day, six days a week for low pay. Many children fell ill and often died in outbreaks of cholera and tbc, diseases that arose from the poor hygienic conditions.
Few working class children received any education because it was felt it would make them discontent with their lot. The fortunate few went to dame schools; charitable institutions run by women in their own homes, where reading, writing, and simple arithmetic were taught.For the others the only possibility was Sunday school, organised by the church, where they learnt to read and study the Bible.
From 1780 to 1870, all elementary schools were "voluntary," that is, they were established and maintained by private effort, by individuals, religious groups, or charitable organizations. After 1833 they were assisted by an increasing amount of government money in the form of grants.
The aim of the Act was to provide schooling for all children of districts where voluntary schools could not meet the needs. In those districts, boards were formed to create and maintain new schools. The boards had the power to levy rates from students for the support of the schools(to a maximum of 9 pence per week). These rates were in addition to governmental subsidies. The boards were high-profile, coveted positions. The candidates were well-known, though rarely for their educational expertise.
Although in 1870 the law said all children, to five and ten years old, had to go to school, many poorer families did not send their children to school. They could not afford the penny a day it cost, and they could not afford to lose the extra money the children could be earning if they worked. After 1891 schooling became free for all.
There could be as many as 70 or 80 pupils in one class, especially in cities. The teachers were very strict. The most important lessons were about the three R's; Reading, wRiting and aRithmetic. Children were often taught by reading and copying things down, or chanting things till they were perfect. A condition admirably described by Dickens in his novel “Hard Times” 1854.
“L’ istruzione durante l’epoca vittoriana”
Traduzione:
Durante la prima parte del regno della regina Vittoria, l’istruzione era disponibile soltanto per i nobili e i ricchi che potevano permettersi di mandare i loro figli in scuole private esclusive. I maschi venivano mandati in scuole famose come Eton, dove l’istruzione era molto rigida. Le ragazze venivano istruite a casa o dal loro genitore o dai governanti, imparavano come diventare buone mogli e madri. Anche le doti sociali come suonare strumenti musicali, disegnare, ricamare e come scrivere una buona lettera con una buona calligrafia.
Sino a quando erano grandi abbastanza di andare al convitto o al collegio oppure avere un tutore maschio i bambini delle classi medie e alte erano istruiti a casa dai governanti. Benché una governante doveva avere l’istruzione, le buone maniere di una “gran dama”, lei veniva trattata come una serva. Tuttavia gli altri servi questo non l’accettavano perché lei condivideva un livello di intimità con i figli del padrone. La vita di una governante era una vita di solitudine. Anche se era così, era quasi l’unica scelta per una donna nubile della classe media che doveva guadagnare da vivere.
La rivoluzione industriale in Inghilterra (prima metà dell’800) portava ricchezza e prestigio alla nazione e l’Inghilterra diventò la più importante nazione del mondo. Molte persone, come proprietari di fabbriche e industriali diventavano estremamente ricchi alle spese della povera gente.
La rivoluzione industriale significava uno spostamento di popolazione dalle campagne alle città, dove i poveri con le loro grandi famiglie vivevano in difficili condizioni, in case o appartamenti mal costruiti con pochi servizi igienici, luce o aria. Tutta la famiglia doveva lavorare anche dall’età di sei anni. Lavoravano duramente sino a sedici ore al giorno, sei giorni alla settimana per pochi soldi. Molti bambini si ammalavano e spesso morivano a causa di colera o tbc, malattie che nascevano a causa delle scarse condizioni igieniche.
Pochi bambini delle classi lavorative ricevevano un’istruzione perché si credeva che un istruzione potrebbe generare scontento con la loro posizione sociale. I pochi fortunati andavano in scuole condotte da donne nelle loro proprie case,generalmente caritatevoli, dove si imparava a leggere scrivere e la semplice aritmetica. Per gli altri l’unica possibilità erano le “scuole della domenica” (catechismo) organizzate dalla chiesa dove imparavano a leggere e studiare la Bibbia.
Dal 1780 al 1870 tutte le scuole erano “volontarie” cioè erano mantenute da gruppi religiosi, organizzazioni caritatevoli. Dopo il 1883 le scuole erano assistite da soldi del governo nella forma di concessioni. Lo scopo dell’atto era di dare istruzione per tutti i bambini di zone dove le scuole volontarie non erano sufficienti. In queste zone si erano formati dei consigli per creare e mantenere nuove scuole. I consigli avevano il potere di chiedere somme di denaro dagli studenti per il mantenimento delle scuole (fino ad un massimo di 9 penny alla settimana.). Queste somme erano in più alle somme del governo. I consigli avevano una posizione di alto prestigio. I candidati erano ben conosciuti benché erano raramente esperti nell’istruzione.
Benché la legge del 1870 diceva che tutti i bambini tra i cinque e i dieci anni dovevano andare a scuola, molte delle famiglie più povere non mandavano i loro bambini a scuola perché non potevano permettersi il costo di 1 penny al giorno e non potevano permettersi di perdere i soldi che i bambini guadagnavano se avessero lavorato. Dopo il 1891 le scuole erano gratis per tutti.
Nelle città potevano esserci settanta o ottanta studenti in una classe. Gli insegnanti erano molto severi, le più importanti lezioni erano le tre “R”( Reading, wRiting and aRithmetic) lettura, scrittura e aritmetica. I bambini venivano spesso insegnati con il metodo di leggere e capire o ripetendo le cose sino a quando la lezione veniva imparata perfettamente.
Una condizione ammirevolmente descritta da Dickens nel suo romanzo “Hard Times”(Tempi Duri) nel 1854.
Biologia
“Il sistema nervoso”

La formazione culturale ed educativa di un individuo si ha sicuramente grazie all’apprendimento di nuove informazioni, al saper adattarsi agli ambienti esterni e ad imparare ad agire intorno a questi. E’ infatti verificato che una qualità essenziale che distingue gli esseri viventi dagli oggetti inanimati è la loro capacità di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno e di mantenere un ambiente interno relativamente stabile. Il sistema d’organi responsabile delle risposte agli stimoli interni ed esterni è il sistema nervoso. Infatti il compito fondamentale di questo sistema è quello di controllare l’ambiente interno ed esterno di un animale, integrare le informazioni sensoriali così ricevute e coordinare le risposte, volontarie ed involontarie, dei numerosi sistemi dell’organismo. Tutte queste funzioni sono svolte dai neuroni, le unità strutturali e funzionali del sistema nervoso, e questi sono validamente assistiti dalle cellule di nevroglia che forniscono loro protezione e sostegno metabolico e meccanico.
Le due principali suddivisioni sono il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema nervoso periferico (SNP).
Il sistema nervoso centrale è costituito dal cervello e dal midollo spinale, responsabili dell’integrazione e del coordinamento dei dati sensoriali e dell’emissione dei comandi “motori” cioè che innescano un azione. Il cervello è anche la sede di funzioni superiori come l’intelligenza, la memoria e l’emozione. Qualsiasi comunicazione fra il SNC e il resto dell’organismo ha luogo attraverso il sistema nervoso periferico, che comprende tutto il tessuto nervoso presente nell’organismo al di fuori del SNC.
Il sistema nervoso periferico ha una componente afferente, che porta le informazioni sensoriali al SNC, e una componente efferente, che conduce i comandi motori ai muscoli e alle ghiandole, che, collettivamente sono detti “organi effettori”.
Nella divisione efferente, del SNP, si possono individuare due sottosistemi: il sistema nervoso somatico, che opera un controllo volontario sui muscoli scheletrici, e il sistema nervoso autonomo o vegetativo, preposto alla regolazione involontaria della muscolatura liscia, cardiaca e delle ghiandole.
Il sistema nervoso autonomo è poi suddiviso in sistema simpatico ( che ha in genere effetti stimolanti) e sistema parasimpatico (che in genere ha un effetto rilassante).
Tutte le funzioni del sistema nervoso implicano che i neuroni possano comunicare sia fra di loro, sia con cellule di altro tipo, come quelle dei muscoli e delle ghiandole endocrine. Sulla base della loro funzione, possiamo distinguere tre tipi di neuroni:
* I neuroni sensoriali, percepiscono le condizioni presenti sia all’interno sia all’esterno del corpo e trasmettono le informazioni relative ai neuroni del SNC. Le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno comprendono sensazioni tattili, termiche e pressorie, come pure i dati raccolti da sensi più complessi, come la vista, l’olfatto, l’udito e il gusto. Le informazioni sensoriali interne hanno a che fare con la percezione della posizione reciproca dei muscoli scheletrici e con la percezione dell’attività dei sistemi digerente, urinario e respiratorio.
* I neuroni motori o motoneuroni trasportano istruzioni emesse dal SNC agli organi effettori, per esempio ai muscoli scheletrici; chiamati così perchè possono produrre un “effetto” un cambiamento.
* Gli interneuroni o neuroni associativi comprendono elementi localizzati esclusivamente nel cervello e nel midollo spinale (nel SNC). Essi hanno la funzione di connettere tra di loro altri neuroni, di analizzare gli imput sensoriali e di coordinare gli imput motori.
La cabina di comando del sistema nervoso umano è il cervello. Il cervello di un essere umano adulto è molto più voluminoso e complesso del midollo spinale . Esso contiene quasi il 98% del tessuto nervoso dell’organismo. In media, il cervello di un adulto pesa 1,4 kg ma le sue dimensioni variano da individuo a individuo; quello dei maschi è generalmente più grande di circa il 10% rispetto a quello delle femmine.
Il cervello consiste di sostanza grigia e di sostanza bianca.
La sostanza grigia è costituita dai corpi cellulari dei neuroni ed è organizzata in “nuclei”, ossia in gruppi di cellule che svolgono particolari funzioni, oppure si stratifica sulla superficie del cervello, formando la cosiddetta corteccia cerebrale.
La sostanza bianca, costituita da fasci di assoni, forma “tratti”, o “vie”, nervosi che circondano i nuclei e li collegano alla corteccia cerebrale. Come nel caso del midollo e dei nervi spinali, il cervello può comunicare direttamente con altri tessuti e organi del corpo, per mezzo dei nervi cranici, che dividono da esso.
Nel cervello di un essere umano adulto si possono distinguere sei aree principali:
• Il telencefalo : è suddiviso nei due grandi emisferi cerebrali, destro e sinistro, nei quali la porzione più superficiale è la corteccia cerebrale. I processi di pensiero cosciente, le sensazioni, le funzioni intellettuali, le funzioni mnemoniche e i comportamenti motori complessi hanno origine in questi emisferi.
• Il diencefalo con il talamo e l’ipotalamo : Il talamo contiene centri di elaborazione per le informazioni sensoriali in entrata. Sotto di esso si trova l’ ipotalamo, che contiene nuclei implicati nell’elaborazione delle emozioni, nella funzione autonoma e nella produzione di ormoni. L’ipotalamo è il centro principale a livello del quale avviene la comunicazione fra il sistema nervoso e quello endocrino.
• Il mesencefalo elabora le informazioni visive e quelle uditive e genera risposte motorie involontarie legate al mantenimento del tono muscolare e della postura. Esso contiene anche centri implicati nel mantenimento dello stato di coscienza.
• Il ponte è una struttura che mette in connessione, grazie a numerosi assoni, diverse altre strutture del cervello. Il ponte contiene anche nuclei che controllano la funzione respiratoria.
• Il ponte è collegato al midollo allungato, il segmento del cervello che ha come proseguimento il midollo spinale. Esso trasmette informazioni sensoriali al talamo e agli altri centri del tronco cerebrale; contiene anche importanti centri implicati nella regolazione di funzioni autonome, come la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, la respirazione e le attività digestive.
• Il cervelletto calibra i movimenti nel loro svolgimento sulla base delle informazioni sensoriali e dei ricordi di movimenti precedenti. La sua attività contribuisce a regolare i muscoli posturali, a conservare l’equilibrio e a riprodurre movimenti appresi, per esempio nell’ esecuzione di un gesto atletico ben coordinato.
Indice
Mappa concettuale
Introduzione
Metodologia
Storia
Arte
Latino
Pedagogia
Italiano
Inglese
Biologia
Pag.
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Tesi di diploma Metodologia
Tesi di diploma Anno scolastico 2004/2005

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