Pergolesi

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Testo

LA SERVA PADRONA
Composta da due intermezzi di G.B. Pergolesi, prima rappresentazione: come intermezzo all’opera seria Il prigionier superbo, dello stesso Pergolesi, Napoli, Teatro San Bartolomeo, 28 Agosto 1733.
È nota l’importanza della Serva Padrona perché si può far risalire ad essa le origini dell’opera buffa, che avrà un grande sviluppo nella seconda metà del ‘700 e culminerà con Rossigni. Infatti, anche se si possono trovare intermezzi comici nella scuola Napoletana già prima di Pergolesi (Alessandro Scarlatti), è indubbio che la “verve” e gli stilemi dell’opera buffa settecentesca derivano da Pergolesi. Formata da parti recitate e cantate (arie e duetti), l’opera divenne un vero “manifesto” polemico quando nel 1752 fu portata a Parigi nella compagnia Bambini e ne nacque la famosa “Querelle des buffons” che coinvolse in diverse dispute i sostenitori della musica Francese e Italiana: tra gli ultimi J-J. Rosseau, che sostenne il canto e la melodia Italiana.
TRAMA
Uberto (basso) è un vecchio scapolo e nella sua casa spadroneggia la servetta Serpina (soprano).
L’uno è taciturno e brontolone, e l’altra capricciosa, prepotente e civetta. Uberto, che la ha a casa fin da bambina ha un debole per lei, ma Serpina ne approfitta sfacciatamente, comportandosi, nei battibecchi con Uberto, come se fosse lei la padrona. Di solito ne va di mezzo Vespone (parte mimata) l’altro servo di Uberto. Per ristabilire il suo prestigio, il vecchio un giorno finge di volersi sposare. Serpina, su tutte le furie, d’accordo con Vespone annuncia che sposerà un certo Capitan Tempesta. La descrizione immaginaria del terribile tempesta è tale che Uberto si angoscia: e si accorge di essere innamorato di Serpina. Si presenta infine il Capitan Tempesta (Vespone travestito) che, con minacce, propone al vecchio di scegliere: o dare la dote di Terpina, o sposare egli stesso la servetta.
Uberto accetta con gioia la seconda soluzione. E Sepina che non desiderava altro, da serva diventa Padrona.

PERGOLESI
Giovanni Battista (Iesi, Ancona, 1710- Pozzuoli, Napoli 1736) compositore. Figlio di un agronomo al servizio di un architetto militare, potè studiare grazie all’aiuto di alcuni nobili di Iesi, prima nella città natale e poi nel conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo a Napoli. Qui fu allievo di Durante. Nel 1731 presentò il dramma sacro la conversione di San Guglielmo D’ Aquitania; l’anno stesso esordì in teatro con Salaustia , ma l’asito fu infelice.
Ebbe gran successo la sua prime opere buffa , Lo frate innamorato, (1732) su libretto Napoletano di G.A. Federico. Nel 1733 presentò al teatro San Bartolomeo Il prigionier superbo,i cui intermezzi, col titolo La serva padrona, ottennero un vero trionfo ed ebbero subito vita autonoma al di fuori del dramma cui erano destinati. Nel 1734 fu la volta di Adriano in Siria, del quale furono apprezzati soprattutto gli intermezzi, Livietta e Tracollo. Nel 1735 Pergolesi si recò a Roma per darvi L’ Olimpiade al Tor Di Nona. Tornato a Napoli ottenne il posto di organista nella cappella regia. Nell’autunno del 1735 compose la sua ultima opera buffa Il Flaminio. Fu invitato a scrivere uno Stabat Mater , sembrerebbe lo terminasse nel convento del cappuccini di Pozzuoli.
La serva padrona costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione del teatro musicale. Con essa l’intermezzo si elevò a opera buffa; la perfezione delle brevi arie della breve partitura costituì un modello per i decenni a venire.
La vena sentimentale che percorre Lo frate innamorato e il Flaminio fissò una delle caratteristiche dell’opera buffa, che durò fino alla fine del ‘700. Nelle opere serie, complessivamente più modeste , fanno spicco alcune pregevoli arie. Di grande rilievo è invece, tra la musica sacra, lo Stabat Mater, una delle poche composizioni del ‘700 italiano rimaste sempre in repertorio.
Allo Stabat si può avvicinare il Salve Regina in do minore, in queste composizioni più che innovare la musica sacra, Pergolesi lasciò notevoli esempi di purezza stilistica.

ORFEO ED EURIDICE
Opera in tre atti di Gluck, su libretto di R. Calzabili, prima rappresentazione: Vienna, 5 ottobre 1762. una versione francese del libretto fu data all’Operà di Parigi il 2 Agosto 1764.
Quest’opera affermò i principi di una nuova purezza espressiva: la linea disadorna del canto, la scrittura orchestrale, severa e strettamente unita alla parola.
Il protagonista è più che un uomo, è il mitico cantore, l’incantatore di uomini e animali.
Quanto all’ouverture e all’epilogo col lieto fine, esso costituisce una cornice festosa dovuta alla necessità dell’occasione in cui viene rappresentato il compleanno dell’imperatore. Criticata da alcuni questa festosa cornice musicale sembra però contribuire a dare a Orfeo un sapore favoloso e remoto, proprio con il contrasto con la spoglia purezza dei personaggi del dramma vero e proprio.
TRAMA
Euridice è morta, ninfe e pastori la piangono. Orfeo(contralto) impreca contro gli dei, afferma di essere disposto ad entrare nel regno dei morti, pur di riavere la sua diletta.
Giove, impietosito, gli manda allora Amore(soprano) come messaggero. Orfeo riavrà Euridice, purchè non si volga a guardarla né le rivolga al parola, finchè sarà nell’oltretomba. Orfeo esulta.
Nel Tartaro le Furie e gli spettri danzanti si fermano al suono della lira di Orfeo. Il cantore implora le ombre di cedergli il passo, narra la sua disperata passione. Il suo canto è così dolce che anche le furie si placano. Nei Campi Elisi (quadro 2) Euridice (soprano) danza insieme alle ombre serene di eroi e eroine, cantando la beatitudine di quei luoghi senza dolore. Ma Orfeo non può godere di quella serenità è solo Euridice che egli vuole. E finalmente ella gli viene ricondotta: senza guardarla Orfeo la guida, tenendole per mano sulla via del ritorno. Mentre procedono, Euridice è assalita da dubbi crudeli. Colui che senza guardarla la esorta a seguirlo, è veramente Orfeo? E se lo è la ama ancora ? che almeno la guardi una volta. Orfeo non resiste quando Euridice afferma che vuole morire di nuovo piuttosto che non essere amata. Così la guarda ed Euridice sarebbe perduta, se non intervenisse, pietoso, Amore, rendendo le sposa al cantore che la ha amata di amore così perfetto e fedele.

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