Il canto gregoriano

Materie:Appunti
Categoria:Musica

Voto:

2 (2)
Download:1212
Data:03.07.2008
Numero di pagine:14
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
canto-gregoriano_1.zip (Dimensione: 14.13 Kb)
trucheck.it_il-canto-gregoriano.doc     49 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

IL CANTO GREGORIANO
Il canto Gregoriano è legato intimamente alla religione e alla chiesa cristiana, più specificamente cattolica perchè fino al 1500 costituiva una sola religione estesa in tutta Europa fino ai paesi dell’est. Invece il canto tradizionale della chiesa anglicana si chiama Antems, invece quella della chiesa Protestante (luterana poiché deriva dalla riforma di Lutero) pone al centro del culto il Corale scritto in lingua tedesca.
Il canto Gregoriano nasce nella Terra Santa, e esso accompagnava i primi canti del cristianesimo. Inoltre nei primi anni la musica ebraica, il modo di leggere i testi sacri degli ebrei, influisce sul canto Gregoriano. La musica ebraica era legata al canto religioso, veniva effettuata nelle sinagoghe e nei loro riti (Pasqua, nei sacrifici a Dio, come invocazione a Dio prima della battaglia); con inni e canti a Dio accompagnati da strumenti e danze. Nelle sinagoga o nei riti ebraici potevano cantare solo le voci maschili, e le voci bianche dei bambino maschi: la donna non può cantare. Infatti nei primi tempi anche i cristiani affermavano che la donna doveva tacere in chiesa. Insomma il Canto Gregoriano come la religione cristiana si innesta sulla religione ebraica, il canto e le musica avevano quindi una matrice ebraica.
Gli strumenti diffusi presso gli ebrei erano:
- KIMNOR strumento a 10 corde pizzicate
- LIRA
- LIUGAB strumento a fiato
- SCHOFFAR realizzato con le corna di montone o di caprastrumento sacro per antonomasia, utilizzato ancora oggi nelle sinagoghe (strumento a fiato).
- IL SALTERIO strumento a corde pizzicate
- TAMBURELLI anche quelli a sonagli
La più antica forma di canto ebraico prende il nome di Cantillazione, forma di declamazione dei testi sacri e dei salmi, basata sulla ripetizione continua di una stessa nota con lievi inflessioni verso l’alto o verso il basso. Il testo nel canto Gregoriano è determinante, il canto dei salmi poteva avvenire in tre diverse forme:
- MODO DIRETTO un versetto di un salmo veniva cantato da un solista e veniva ripetuto dal coro
- MODO RESPONSORIALE nel quale il solista declamava le strofe e il coro risponde declamando il ritornello.
- MODO ANTIFONICO prevede l’alternanza di due cori, nella realizzazione del salmo.
Il Jubilus è un canto diffuso presso gli ebrei e consiste in lunghi vocalizzi sulla parola Halleluja. I vocalizzi sono l’estensione di una vocale su più note.

LA MONODIA LITURGICA CRISTIANA
Le musiche greche e romane , non essendo state fissate per iscritto, svanirono gradualmente con lo sparire delle relative civiltà. Un’altro antico repertorio di tradizione orale riuscì a giungere alla fase della stesura scritta , che ha quindi reso possibile la sua sopravvivenza. È quello che viene denominato canto gregoriano, ma che è più corretto definire MONODIA LITURGICA CRISTIANA. Non avendo testimonianze sul canto cristiano dei primi secoli, si può supporre che la prima comunità cristiana per le sue celebrazioni, un tipo di canto non diverso da quello delle sinagoghe. La liturgia ebraica era caratterizzata dal fatto di essere CANTILLATA: le parole venivano intonate su formule melodiche tradizionali, costituite da intervalli musicali piccolissimi (detti “microtoni”, perché più piccoli di un semitono), spesso la voce si spostava da una nota all’altra, quasi scivolando (glissando). Il ritmo era modellato sul ritmo verbale stesso; la “cantillazione” era un’amplificazione della parola liturgica, che quindi attribuiva maggiore importanza. La principale eccezione a questa regola era la SALMODIA: i salmi (preghiere in poesia della bibbia adottate integralmente dal Cristianesimo) venivano cantati imperniandole la recita su un’unica nota continuamente ripetuta, fatta precedere e seguire da formule di intonazione e cadenza (come modo diretto).m fin dalla prima generazione di discepoli, la nuova religione si diffuse rapidamente in tutto il bacino del mediterraneo. Il greco divenne la lingua maggiormente usata dalla liturgia: e in greco furono scritti sia i vangeli che tutti gli altri libri del Nuovo Testamento.
In Occidente, quando finirono le persecuzioni, il latino si affiancò al greco, come lingua liturgica; ma il latino non divenne lingua ufficiale della chiesa d’Occidente, fino alla metà del 4 secolo. Per esempio le parole amen e alleluia sono ebraiche, mentre è in greco la preghiera Kyrie eleison(signore pietà). Ma la struttura della messa latina non era così come la conosciamo oggi, non risale a prima dell’8 sec. Una grande svolta avvenne quando Costantino emanò l’editto di Milano; nel quale veniva riconosciuto il diritto alla libertà di espressione per tutti i culti religiosi.
Dopo circa trecento anni di problematici rapporti con le autorità statali, il cristianesimo inaugurò un epoca dove il proprio ruolo della vita politica e religiosa divenne sempre più influente: il passaggio tra 4 e 5 sec fu caratterizzato dagli editti di Teodosio (re barbari che impedisce il culto pagano) e Onorio che , giungevano fine ad eliminare i templi gli atti di culto di tutte le religioni. Nel 4 secolo furono poste le basi per l’affermazione ufficiale della chiesa, attribuendole una totale visibilità pubblica:
- si costruirono numerose basiliche
- ci si avviò ad istituzionalizzare, ampliare e fissare per iscritto il cerimoniale liturgico che fino ad allora era gestito dalle singole comunità in modo libero e creativo.
Furono inoltre adottati elementi del culto pagano e dal cerimoniale di corte dell’imperatore per accrescere il fasto della liturgia e renderla degna di quella che era diventata la nuova religione di Stato; entrarono in uso:
- abiti e insegne di funzionari imperiali
- gesti di prostrazione alla divinità
- espressioni di uso giuridico
CANTO LITURGICO: AMPLIFICAZIONE DEL TESTO SACRO
Parte integrante della solennità del rito, era la musica. Così come il sacerdote si rivestiva dei para menti sacri per evidenziare il superamento della sua persona concreta e poter agir in nome di cristo, così avvolgendosi nella dimensione inusuale della ed elevata del canto, la proclamazione del testo liturgico si innalzava da semplice livello di linguaggio umano a quello di parola di Dio.(il suo compito era quello di innalzare e di rendere divina la parole)
Questa funzione di amplificazione rituale, la musica svolgeva inoltre una funzione di amplificazione fonica: in una sala o in una basilica la parola cantata era molto più sonora e percepibile di quella parlata. Un’altra fondamentale funzione della musica applicata al testo sacro è l’amplificazione melodica: la monodia liturgica cristiana non faceva altro che esplicita la musicalità del latino. La lingua latina aveva una caratteristica: gli accenti delle parole consistevano soprattutto nell’elevazione melodica della voce, più che in una intensificazione.
La lingua latina determina tutto l’assetto del canto gregoriano, metro, ritmo e melodia e nasce in funzione, si modella sulla lingua latina, abbiamo delle testimonianze: Cicerone ad esempio descrive il linguaggio come un cantus obscurior, canto più nascosto, del resto lo stesso termine greco prosodia deriva da pros odè cioè vicino al canto, come la parola accentus significa vicino al canto. Di ogni parola latina si può rintracciare una specie di diagramma melodico, il cui punto più alto corrisponde alla sillaba accentata.
GLI STILI SILLABICO E MELISMATICO
Il CANTUS non aveva un'unica possibilità di realizzazione , e il suo grado di melodizzazione dipendeva dallo stile richiesto nelle singole circostanze: in una voce antifona ( breve versetto che introduce e conclude il canto di un salmo, vedi salmodia responsoriale, salmodia antifonica, salmodia diretta), la melodia era più semplice e tale stile viene detto SILLABICO (ad ogni sillaba del testo corrisponde una nota), il cantore poteva elaborare lo schema di partenza uno stile più ricco, detto STILE MELISMATICO O STILE FIORITO (vocalizzi = melismi).
Anche il ritmo si modellava fedelmente sulla dizione parlata del testo; i melismi poi venivano cantati con grande libertà.
Il legame tra la linea melodica del canto e l’accentuazione del testo liturgico (amplificazione melodica), caratterizza l’80 per cento del repertorio Gregoriano che è giunto fino a noi.
ECCEZIONI DELL’AMPLIFICAZIONE MELODICA
- Un caso riguarda i SALMI, la cui intonazione avveniva in modo simile a quello ebraico descritto sopra: se la voce doveva fissa su un’unica nota (corda di recita) era impossibile seguire il profilo di ogni parola.
- Un caso riguarda gli INNI: erano composizioni poetiche di lode a Dio , cantate (in greco) fin dagli inizi del Cristianesimo, soprattutto grazie a S.Ambrogio, l’innodia latina ebbe una vasta diffusione , assumendo forma strofica con versi regolarmente ritmati e testo facilmente comprensibile. Gli inni nascono in lingua greca e quindi non c’e uno stretto legame tra parole e melodia. La melodia infatti si presenta più marcata e accentuata.
- L’ultima importante causa era l’obbedienza ad un criterio più generale. Lo stesso legame melodico tra parola e nota veniva applicato anche nelle intere frasi.l’arcta descritta dalla voce parlata all’interno di ogni frase, che sottolineava la parola con un innalzamento vocale, era riprodotta allo stesso modo in musica, attraverso un identico percorso. Può quindi capitare che la parola meno importante sacrifichi la sua linea melodica per uno slancio verso l’apice della frase.
RITI LITURGICI
Il canto liturgico diede luogo a tradizioni di canto diverse nelle varie regioni d’Europa subendo l’influenza anche degli stili di canto locali. Dal 4 sec in poi, sotto la spinta della Chiesa, ci fu un processo di coagulazione della liturgia e del canto liturgico in vaste unità regionali.
- Da una parte la Chiesa d’occidente in lingua latina, con il canto vetero-romano (rito romano antico), il rito ambrosiano (rimasto intatto fino ad oggi), il rito gallicano (in Francia = Gallia), il rito celtico (nelle zone influenzate dai celti), e il rito ispanico.
- Dall’altra parte si trovavano le chiese d’Oriente, frammentate in una vasta pluralità di riti e di lingue diverse, che si avviava ad una separazione da Roma nel 1054 dalla scissione tra cattolici e ortodossi.
Il 6 sec si concluse con il papato di Gregorio Magno, colui dal quale il canto gregoriano prese nome (melismatico, sillabico Romano antico e Gallicano). Prima si riteneva che egli avesse avviato una grande riforma del canto liturgico, modellandolo nella struttura definitiva. Studi più recenti hanno rivelato che non esiste nessun documento attendibile che dimostri un intervento determinante del papa riguardo la musica.(colomba).
L’intenzione del papa era quella di rispettare e stimolare le autonomie locali, non di modificarle in favore di un’unificazione imposta dall’autorità centrale.
PRIMO APPROFONDIMENTO
Nell’ambito del canto liturgico della chiesa di Occidente ci sono pervenuti i primi esempi di notazione musicale (9 sec/ 1800), quelli invece scritti con i neumi risalgono al 10 sec. Senza un supporto scritto la composizione e la trasmissione delle melodie non poteva avvenire, così come non potevano essere accettati riti religiosi senza canto, occorrevano così delle scuole di canto per l’istruzione dei cantori. Grazie al Papa Sergio 1 nasce una scuola cantorum pontificia che diventerà fondamentale in Occidente. Furono gli stessi monasteri a dare un primo compito per la pratica musicale in particolare quello benedettino a partire dal 6 sec con la fondazione di abbazie come quella di NONANTOLA e più tardi della cattedrali come MERTZ E SAN GALLO. La notazione musicale non impedisce lo sviluppo del canto Gregoriano.
Il percorso didattico dei cantori dura 10 anni che non mira sola alla memorizzazione dei canti.
Per analizzare le tecniche e i trucchi di memorizzazione utilizzarono il TRACTUS (canti solistici che sostituiscono l’alleluja durante la quaresima e nella messa dei defunti costituiti da versi separati e da pause quindi sono ASSIMMETRICI e il DEUS, DEUS MEUS.
1. si consideri che ciascun canto liturgico si può accumulare ad un altro in espressione di un certo “tipo melodico”. Per esempio sia il TRACTUS DEUUS CHE IL DEUS, DEUS MEUS, intonano i loro versi sulle corda di recita “fa” (repercussio) e hanno in comune anche la nota finalis o di riposo “re”. Non sempre però l’oscillazione tra repercussio e finalis nei versetti del tractus è così nitida poiché nella melodia vengono inserite altri tipi di note.(nel canto comunque rimangono questi due poli di attrazione. Quindi un tipo melodico si distingue sia dalla sua destinazione (tractus) quanto per le note polari della melodia
2. inoltre ci sono determinate formule melodiche fisse valide per l’apertura o la chiusura del canto di un determinato tipo, come il Tractus, che il cantore ha memorizzato.
3. inoltre il cantore sa che dovrà suggerire l’articolazIone in versetti tipica del TRACTUS. Il versetto è costituito da 4 segmenti (è assimetrico perché presenta 3 pause per respirare) la melodia del versetto ha quindi 4 tappe fondamentali che possiamo definire note cardine (re, do, fa, re) l’analisi della melodia dimostra che le intonazioni sono una diversa dall’altra, eppure tutte seguono un profilo melodico simile dette scheletro melodico fondamentale.
Queste 3 formule furono rese comuni e potevano essere utili alla memoria del cantore improvvisatore. I poemi omerici sono per secoli stati destinati alla trasmissione orale esercitata dagli aedi. Quindi possiamo attribuire l’acquisizione di alcune formule per l’intonazione e la memorizzazione del canto Gregoriano al fatto che derivano dal modo di declamare gli antichi poemi epici.
Era la pratica del canto che conduceva i cantori ad adottare lo schema più opportuno per passare dalla corda di recita ad un’altra nota cardine del versetto.
A volte il cantore poteva inserire più o meno consapevolmente in un canto, formule provenienti da altri canti.
Il cantore poteva quindi modificare le melodie liturgiche a seconda dei costumi musicali tipici della propria cultura e delle proprie capacità, quindi cambia il loro modo di improvvisazione ma l’elemento conservatore nei vari pezzi era quello dato dai 2 punti di appoggio. Fu solo di conseguenza alla nascita del Sacro Romano Impero che inizia ad esserci la necessità di modificare ilò canto Gregoriano partendo però da diversi tipi di canto esistenti.
LE INNOVAZIONI DEL 9 SEC
Fra l’8 e il 9 sec ci fu un cambiamento significativo: le innovazioni del introdotte nel periodo carolingio diedero inizio ad un epoca totalmente diversa, i quali caratteri si estendono fino ai nostri giorni. Questa rivoluzione non fu dettata da ragioni musicali, ma essenzialmente politiche. Inizialmente i Franchi, per la loro strategia di espansione in Europa, si allearono con il papato. In questo modo ci furono numerosi scambi tra Roma e Aquisgrana: si può pensare infatti al soggiorno di Papa Stefano 3 presso Pipino il Breve, alla successiva discesa di quest’ultimo in Italia, e alla celebre incoronazione di Carlo Magno quale sovrano del Sacro Romano Impero, a Roma nella notte di natale da Leone 3.
Nel corso di questi contatti ci si rese conto che il canto liturgico in uso presso i Franchi era molto diverso da quello Romano: quindi si intende la differenza tra il rito Gallicano e il Vetero-Romano.
La monarchia carolingia non restò indifferente a tale constatazione, che sembra riguardare la sfera ecclesiastica o quella musicale, e agì di conseguenza. Pipino e i suoi discendenti non si consideravano semplici laici, ma sovrani dotati di un’investitura divina, visibilizzata dall’unzione con l’olio sacro: quindi non ritenevano estraneo ai loro compiti occuparsi dei problemi religiosi. La motivazione più importante che determinò il loro intervento nel fatto che tollerare il pluralismo nei riti locali avrebbe compromesso il progetto di accentrare il potere nell’autorità imperiale: l’unificazione politica del Sacro Romano Impero marciava a pari passo con l’unificazione religiosa.
Genesi del canto franco-romano
Si cercò di trapiantare presso i franchi il rito romano, inviando presso di essi maestri di Roma o accogliendo a Roma alcuni cantori franchi come allievi; ma ci furono comunque molti problemi.
È naturale che il forzato inserimento del canto romano al posto di quello gallicano si concluse in un prodotto ibrido, frutto di una reciproca contaminazione. Siamo infatti in un’epoca dove la musica era affidata esclusivamente alla memoria dei cantori e alle loro capacità dei modelli melodici tradizionali. Si dimostra infatti che il canto vetero-romano facesse abbondante uso di microtoni(intervalli più piccoli del semitono); questa era un’ulteriore difficoltà per i Franche che non erano abituati a questo sistema di altezze. Secondo Giovanni Diacono erano queste le sottigliezze non erano recepite dai barbari Franchi; possiamo rendercene conto anche noi se volessimo imparare i canti delle popolazioni arabe, intessuti di microtoni: un compito troppo raffinato alle nostre orecchie, abituate a dividere l’ottava in 12 semitoni.
Quindi il traguardo che entrambi volevano raggiungere (abolire il canto gallicano per quello vetero-romano) sarebbe rimasto irraggiungibile.
L’operazione si concluse con la creazione di un nuovo tipo di canto, prodotto dalla mescolanza dei due, che può essere definito franco-romano.
Per cementare l’unità dell’impero anche attraverso la musica, i sovrani carolingi imposero a tutti i territori a loro soggetti di adottare questo nuovo canto liturgico ufficiale. Per superare l’ostacolo nacque quindi una leggenda tipicamente medioevale, conferendo al canto franco-romano un nome che non fu più dimenticato: canto Gregoriano.
Si narrava che Papa Gregorio 1 dettasse i suoi canti ad un monaco, alternando tale dettature a pause molto ampie, era in queste pause che avveniva il prodigio: una colomba, posata sulla spalla del Papa, gli stava suggerendo frase dopo frase. Quindi sarebbero stesso Spirito Santo (la colomba) ad aver inventato il nuovo canto, diffondendolo tramite papa Gregorio. Così il canto Gregoriano conquistò tutta l’Europa. Questa fu la chiave della volta della musica Occidentale. Lo stabilizzarsi del repertorio Gregoriano fu infatti pieno di importanti conseguenze.
CODIFICAZIONE DEL REPERTORIO GREGORIANO
La presunta origine divina del canto Gregoriano fece sì che esso assimilò il libro ispirato da Dio: la Bibbia. Come i testi della bibbia dovevano essere tramandati con assoluta fedeltà, così il canto gregoriano doveva essere tramandato senza alcun mutamento, per rispettare quindi la volontà dello Spirito Santo. Ecco formarsi allora il concetto moderno di repertorio: un corpus di musiche ben definito e fissato, posto sotto il segno dell’immutabilità.
Con questo ci fu quindi il graduale tramonto della pratica improvvisativi del canto liturgico. Da ora in poi divenne sempre più importante rimanere fedeli al testo musicale e l’improvvisazione venne relegata in ambiti ristretti.
METODOLOGIA DIDATTICA
Quest’ultima mutò, trasformando la creatività tipica della tradizione orale in un apprendimento passivo del repertorio già costruito: quindi nacque anche il concetto di imperare a memoria. Il cantore ormai apprendeva le proprie melodie dalla voce del proprio maestro come fossero oggetti perfettamente compiuti e indeformabili, ripetendoli ogni volta sempre identici; e per impadronirsi di tutti i canti liturgici gli erano sufficienti 10 anni di studio.
La codificazione del gregoriano e l’esigenza di tramandarlo intatto sono le cause della grande svolta della musica tra l’8 e il 9 sec.
CLASSIFICAZIONE DEL REPERTORIO GRAGORIANO NEGLI 8 MODI
Per favorire il nuovo tipo di memorizzazione , i teorici carolingi cercarono di dividere il repertorio a seconda del modo, cioè il tipo di scala musicale usata. Nella fase più antica del canto liturgico si impiegavano sistemi molto più semplici: le melodie ruotavano intorno ad una nota che era più importante delle altre , detta corda madre, che poteva essere do, re o mi. Poi si passò ad evidenziare un 2 polo di attrazione: le melodie possedevano sia la nota dominante (repercussio) sia nella nota finale (finalis). In epoca carolingia si formò una griglia di 8 modi entro la quale vennero classificati tutti i canti Gregoriani (ovvero otto modi di scale musicali con diverse successioni di toni e semitoni, ognuno con la propria finalis e repercussio). Ma questa classificazione non si adattava a tutto il repertorio liturgico. Alcuni di essi allora furono fortemente inseriti nel sisteme degli otto modi. Altri impossibili da normalizzare furono chiamati modo irregolare o peregrino.
NASCITA DELLA SCRITTURA NEUMATICA
Inizialmente a servirsi dei neumi(segni convenzionali)sui libri liturgici furono i sacerdoti e i diaconi, non i cantori veri e propri.
Infatti i testi di loro competenza erano spesso intonati in stile di una salmodia su una corda di recita fissa , e solo in alcuni punti dovevano piegarsi in inflessioni e cadenze alla finalis. Per evitare incertezze i celebranti evidenziarono tali punti con apposite annotazioni, la cui funzione era molto simile a quella della punteggiatura, e forse proprio da essa deriverebbe l’origine di questi primi segni di notazione musicale. Infatti questi segni di punteggiatura ebbero degli antenati alla corte di Carlo Magno.
È giustificato evidenziare un rapporto tra il rifiorire della parola scritta, e la nascita della scrittura musicale. Lo sbalorditivo consumo di pergamena documentato nell’epoca carolingia era dovuto:
- sia all’esigenza di ordine e chiarezza nell’amministrazione dell’impero
- sia alla necessità di conservare la lingua latina, minacciata dall’avvento delle lingue romanze.
- Per assicurare la sopravvivenza del canto Gregoriano, impedirne corruzioni e alterazioni e mantenerlo uniforme in tutto l’impero.
Dal 10 sec cominciarono ad essere compilati dagli stessi cantori professionisti che costituivano la schola cantorum manoscritti musicali. Di piccolissime dimensioni, essi non servivano per la pratica musicale concreta: fungevano da archivio a cui fare riferimento per controllare di non aver deviato dalla tradizione. La scrittura musicale non implicava l’abitudine di leggere musica da un testo al momento dell’esecuzione: questo avvenne in maniera graduale.
L’AMPLIFICAZIONE ORIZZONTALE: TROPI E SEQUENZE
Questo è un altro prodotte dell’epoca di Carlo Magno: i tropi e le sequenze. Conosciamo un monaco dell’abbazia svizzera di San Gallo uno dei tanti che utilizzò questi prodotti: Notker Balbulus.
Essi consistono nel “farcire” , di parole lunghe, melismi privi di testo che fanno parte di alcuni canti, in modo che ogni nota del melisma corrisponda a una sillaba del nuovo testo. Un tale espediente come dice Notker, agevola la memorizzazione della melodie. Ma la loro funzione non è tutta qui.
Il testo aggiunto deve essere coerente con le parole del canto originario, ma ne è un’amplificazione. Per esempio, ad un melisma sulla parola Kyrie, furono adattate le parole onnipotente padre Dio creatore di tutte le cose, che è una parafrasi della parola kyrie. Se il gregoriano è l’amplificazioni della parola latina , i tropi e le sequenze sono a loro volta un’amplificazione del canto gregoriano.
I tropi consiste anche nella semplice aggiunta di un nuovo melisma, oppure nell’inserzione di nuove frasi, complete di parole e musica, per amplificare il canto di partenza anche dal punto di vista della durata, rendendolo alle maestose celebrazioni delle grandi abbazie. Le sequenze, che probabilmente erano in origine le prose adatte ai melismi dell’Alleluia, divennero composizioni completamente autonome, in poesia; in esse, coppie di strofe erano cantate sulla stessa frase musicale ripetuta. Se i tropi, fino al sec 13, furono aboliti del tutto dal concilio di Trento alla metà del 16 sec, quattro sequenze sono invece sopravvissute nell’uso liturgico fino ai tempi moderni.
AMPLIFICAZIONE VERTICALE: POLIFONIA
Polifonia= sovrapposizione di melodie diverse
Un ultimo grande passo fu compiuto nell’epoca carolingia: la polifonia fu inserita a pieno diritto nella liturgia ed ebbe il privilegio per la prima volta nella storia, di essere tramandata da fonti scritte. La possibilità di arricchire polifonicamente il canto liturgico è testimoniata fin da molti secoli prima, e rientrava nel campo della tradizione orale. I musicisti del 9 sec hanno solo incanalato l’antica pratica di cantare a più voci nella spinta generale verso una codificazione scritta. La polifonia era la risposta ideale all’esigenza di accrescere la solennità del rito , senza alterare il canto liturgico ormai Gregoriano ed intangibile: esse ne era solo un’amplificazione verticale, così come tropi e sequenze erano un’amplificazione orizzontale.

Esempio