Lo spazio e il tempo

Materie:Tesina
Categoria:Multidisciplinare

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Testo

Tesina multidisciplinare
A cura di LORENZO M.
LICEO CLASSICO
- LO SPAZIO, IL TEMPO -

INDICE
FILOSOFIA Lo spazio e il tempo in Kant
LATINO Seneca e il “De brevitate vitae”
GRECO Apollonio Rodio e le “Argonautiche”
ITALIANO “L'Infinito” di Leopardi
Il viaggio di Dante: lo spazio, il tempo e i loro valori morali
STORIA Dal 1939 al 1941: la “guerra lampo” tedesca
ENGLISH Space and time in Joyce's “Dubliners” and “Ulysses”

Immanuel KANT
Spazio e tempo come forme a priori della sensibilità
Nella prima parte della Critica della ragion pura, detta Estetica trascendentale, Kant studia i princìpi a priori della sensibilità, vale a dire lo spazio e il tempo. Il piano su cui si muove l’indagine (estetica) critica è quello trascendentale, vale a dire quello dell’indagine non sull’oggetto, ma sul nostro modo di conoscerlo.
Questo problema è uno dei più rilevanti che incontra nel periodo pre-critico. In quel periodo Newton aveva supposto l'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti, mentre Leibniz aveva negato che spazio e tempo avessero una realtà in se stessi e aveva proposto di considerarli come semplici relazioni tra corpi. Kant affronta questo problema tentando di conciliare le due ipotesi e giunge alla soluzione che spazio e tempo non sono né una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a priori della sensibilità umana. Esse condizionano ogni nostra esperienza sensibile in quanto le cose ci sono presentate sempre situate all'interno di uno spazio e di un tempo. Da un lato questi dunque operano solo in presenza dei dati dell'esperienza, ma dall'altro sono ricavati per astrazione dalla sensazione.
L'estetica trascendentale è in Kant "l'apprensione immediata dei dati sensibili e ordinati nelle relative forme a priori". Questa intuizione è la sintesi del contenuto extrasoggettivo che deriva dalle impressioni sensibili, e della forma, propria del soggetto che colloca i dati nello spazio e nel tempo.
Nell'intuizione si costituisce dunque un mondo dell'esperienza organizzato nelle forme dello spazio e del tempo: noi sintetizziamo i dati che ci provengono dalla sensibilità con le forme a priori che strutturano tali dati. Fondandosi sui dati delle intuizioni, le operazioni conoscitive sono formulate attraverso giudizi sintetici a priori.
Il problema viene affrontato partendo dall'analisi della nostra capacità di conoscere con i sensi: la sensibilità, che ha come caratteristiche fondamentali la passività e la recettività. Noi conosciamo perché siamo modificati dagli oggetti che agiscono sulla nostra capacità di rappresentazione producendo una sensazione. Attraverso questa sensazione però non conosciamo direttamente gli oggetti come sono in se stessi, ma solo come ci appaiono dalle modificazioni che provocano su noi stessi cioè attraverso il fenomeno.
Nella conoscenza sensibile che Kant chiama intuizione empirica vengono distinti due elementi: la materia, cioè il contenuto della modificazione sensibile che sta alla base della nostra conoscenza, e la forma, che ordina il contenuto secondo determinati rapporti. La materia è fornita a posteriori dall'esperienza, mentre la forma viene a priori dalla sensibilità. Perciò le forme a priori della sensibilità non derivano dall'esperienza e per questo Kant le chiama intuizioni pure.
SPAZIO
Lo spazio non è né una realtà oggettiva in se stessa, né semplici relazioni fra oggetti. Lo spazio è la forma a priori del senso esterno. Ciò significa che noi disponiamo nello spazio, secondo rapporti e relazioni nostri, le cose che sono esterne a noi. Lo spazio come forma a priori perciò non può essere ricavato dall'esperienza: infatti, osservando due oggetti e la loro distanza, si presuppone già la loro collocazione in un ordinamento spaziale. Kant perciò lo definisce come "la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cioè la condizione soggettiva della sensibilità, sotto la quale soltanto ci è possibile l'intuizione esterna".
Nella prima parte della sua indagine Kant si chiede che cosa sia lo spazio e cerca di dimostrare che è una rappresentazione a priori e una rappresentazione intuitiva pura.
Noi ci rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi, tutti ordinati in uno spazio nel quale è possibile determinare la loro grandezza e i loro rapporti specifici. Lo spazio per questo:
non è un concetto empirico che può essere tratto da esperienze esterne; per riferirmi a ciò che è esterno a me devo poterlo rappresentare in uno spazio che deve già essere presente.
la stessa esperienza esterna è possibile solo se esiste la rappresentazione a priori di spazio. Quindi lo spazio è una necessaria rappresentazione a priori che sta alla base di tutte le rappresentazioni esterne.
Successivamente Kant indaga le condizioni a priori della nostra conoscenza spaziale per dimostrare che solo la rappresentazione di spazio in quanto forma a priori e intuizione pura rende possibili le conoscenze sintetiche a priori proprie della geometria. Infatti la geometria è una scienza che determina le proprietà dello spazio sinteticamente, quindi, perché sia possibile una conoscenza di esso lo spazio deve essere originariamente un'intuizione
Solo se lo spazio è un'intuizione pura, che cioè ha sede solo nel soggetto e costituisce la disposizione di esso a lasciarsi modificare da oggetti é possibile conoscere le proposizioni geometriche, che sono apodittiche, cioè connesse con la coscienza della loro necessità.
TEMPO
Nello stesso modo il TEMPO non è altro che la forma del senso interno, cioè dell'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno. Ciò significa che noi ordiniamo nel tempo tutti i dati della nostra sensibilità, disponendoli unitariamente e stabilmente secondo l'ordine della coesistenza o della successione. Il tempo perciò non viene ricavato astraendo da una successione di fenomeni, ma, al contrario, è ciò che rende possibile il fatto che noi ci rappresentiamo determinati fenomeni in coesistenza o successione.
Il tempo non è un concetto empirico tratto da una qualche esperienza. La simultaneità o la successione delle esperienze non si presenterebbe neppure se come fondamento a priori non vi fosse la rappresentazione del tempo.
Il tempo a differenza dello spazio ha una sola dimensione: tempi differenti non sono simultanei, ma successivi (mentre spazi differenti non sono successivi, ma simultanei). Queste leggi fondamentali non sono tratte dall'esperienza perché senza di queste non sarebbe possibile un'esperienza, ma sono anteriori a tali esperienze.
Il tempo è una rappresentazione necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni.
Anche il tempo come intuizione pura rende possibili le conoscenze sintetiche a priori; altrove Kant sosterrà che le conoscenze sintetiche a priori che il tempo rende possibili sono quelle dell'aritmetica e della meccanica pura, o teoria generale del movimento. Il concetto di tempo però ha una portata più ampia rispetto a quello di spazio perché è un'intuizione a priori che sta alla base di tutte le intuizioni empiriche.
Infatti, se in modo diretto esso è la forma a priori del senso interno, in modo indiretto lo è anche del senso esterno, in quanto anche i dati del senso esterno ci giungono solo tramite le modificazioni del senso interno.
GLOSSARIO di Filosofia:
ESPERIENZA: Il termine è usato da Kant in due significati:
a) insieme dei dati della sensibilità riuniti nella nostra conoscenza
b) come risultato dell'attività sintetica della sensibilità e dell'intelletto
ESTETICA: Deriva da aistheta greco, i fatti sensibili, quindi disciplina riguardante la conoscenza sensibile o la percezione, l’indagine. Kant utilizza questo termine proprio con il suo significato etimologico nella Critica alla ragion pura. Con estetica però si indica anche la disciplina filosofica che si occupa dell'arte e del bello e nella Critica del Giudizio viene definito il giudizio estetico come un giudizio di gusto riguardante l'arte e il bello in generale. Nel primo caso rientra la trattazione dello spazio e del tempo come forme a priori del mondo sensibile o estetico.
FENOMENO: E' l'oggetto dell'intuizione sensibile, che si dà nelle forme a priori dello spazio e del tempo e nella sintesi unificatrice delle categorie. E' l'oggetto dell'esperienza possibile,ma non ci permette di cogliere le cose come sono in se stesse.
GIUDIZIO: E' la facoltà di giudicare, di attribuire un predicato a un soggetto. Il giudizio sintetico è un giudizio in cui il predicato non è ricavato dal soggetto per analisi, ma tramite l'esperienza (a posteriori) o nella sintesi operata dalle forme a priori dell'intelletto. Quest'ultimo è il giudizio sintetico a priori ed è considerato da Kant come la forma delle proposizioni scientifiche, perché all'universalità e alla necessità aggiunge l'estensività della conoscenza.
IN SE': L'oggetto considerato indipendentemente dalla rappresentazione con il quale viene conosciuto come fenomeno. Detto anche noumeno, in un primo tempo gli viene attribuita un'esistenza indipendente come sostrato "materiale" dell'oggetto fenomenico. Più tardi diverrà un concetto limite con la funzione negativa di circoscrivere le pretese dalla sensibilità. In questo caso indica tutto ciò che non è conoscibile dall'intelletto umano.
INTUIZIONE: La conoscenza che si rapporta in modo immediato agli oggetti della sensazione. Se è considerata come materia della conoscenza è intuizione empirica, se è considerata come forma è intuizione pura. Lo spazio e il tempo sono forme pure dell'intuizione.
PRIORI (A): Kant definisce conoscenze "a priori" le conoscenze universali e necessarie. Queste conoscenze devono essere indipendenti dell'esperienza e sono messe in contrapposizione con ciò che è "a posteriori". Le conoscenze a priori sono pure se non sono mescolate con nulla di empirico: queste conoscenze sono per Kant le spazio, il tempo e le categorie
SENSAZIONE: Effetto di un oggetto sulla capacità rappresentativa del soggetto, cioè il modo in cui noi siamo colpiti dagli oggetti dell'esperienza sensibile. Fornisce il contenuto dell'intuizione.
SENSIBILITA': "Capacità di ricevere rappresentazioni, mediante il modo in cui siamo affetti dagli oggetti"
TRASCENDENTALE e TRASCENDENTE: Derivano dalla Scolastica dove erano usati come sinonimi e indicavano quei concetti generalissimi che trascendono le categorie aristoteliche. Kant distingue trascendente da trascendentale. Mentre il primo indica ciò che per sua natura è oltre ogni conoscenza sensibile, trascendentale è specifico di una conoscenza non degli oggetti, ma della natura a priori di tali oggetti, indica una modalità di conoscere che, pur essendo a priori, si realizza solo in rapporto con l’esperienza. Trascendentale in conclusione indica non un contenuto, ma una forma del conoscere: l’insieme di elementi a priori che rende possibile una conoscenza oggettiva.
SENECA
Il tempo come concetto fondamentale del
"De Brevitate vitae"
PENSIERO DI SENECA
La filosofia di Seneca unisce elementi pitagorici e cinici, provenienti dalla sua prima educazione, dando grande importanza all'esame di coscienza quotidiano e alle scienze naturali.
Anche nelle tragedie vengono rappresentati caratteri estremamente negativi, forse a significare proprio che "senza retta ratio e filosofia non esiste via di scampo".
Per inquadrare il pensiero di Seneca bisogna ricordare che essendo figlio di un importante retore era destinato ad una carriera politica di prim'ordine. Furono però i casi della vita (malattia, esilio, ruolo di educatore e di consigliere) che accentuarono nella sua filosofia il carattere etico del quale trattò tutti i temi fondamentali: passioni, rapporto tra uomo e tempo, libertà, incoerenza della schiavitù, felicità, ruolo del sovrano. Dal canto suo Seneca aggiunse uno spiccato interesse per la natura ed i fenomeni naturali. Molte furono le filosofie che influenzarono il pensiero di Seneca, le principali furono quella stoica, epicurea e platonica.
Seguendo la filosofia STOICA Seneca:
- sostiene che ci si possa gradatamente avvicinare alla perfezione del saggio controllando e superando le proprie passioni
- è convinto che al raggiungimento della felicità non nuocciano le buone condizioni
- ha una visione del saggio libero da ogni condizionamento esterno ed è capace di considerare le difficoltà della vita come puri esercizi alla virtù
- nega la proprietà privata e considera assurda la divisione tra liberi e schiavi utilizzando queste argomentazioni: la fortuna è in grado di invertire in ogni momento i ruoli, tutti gli uomini appartengono comunemente allo stesso universo e si può essere liberi giuridicamente, ma schiavi delle proprie passioni.
In comune con l'EPICUREISMO notiamo invece:
- l'invito a non temere la morte
- il tentativo di interiorizzare i problemi esistenziali cercando in se stessi la soluzione
- la concezione del tempo e l'invito a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo
Seneca è però anche influenzato dal PLATONISMO, di cui condivide:
- l'elogio della conoscenza pura
- la filosofia come iniziazione che porta l'uomo dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della conoscenza distinguendolo dall'animale
- la filosofia come mezzo per raggiungere un distacco dalla quotidianità
- il progetto di un principato filosoficamente orientato
"de brevitate vitae"
TEMI PRINCIPALI
Il De brevitate vitae è uno dei 10 trattati in forma dialogica nei quali Seneca espone le sue teorie filosofiche ed in questo caso il rapporto tra uomo e tempo.
E' dedicato a Paolino, del quale abbiamo poche informazioni; forse si tratta di Pompeo Paolino, prefetto dell'Annona e padre di Paolina, moglie di Seneca.
Il dialogo inizia con un paradosso: la vita non è breve, ma siamo noi con le nostre preoccupazioni a renderla tale. Il tempo è l'unico vero possesso dell'uomo, ma non ce ne rendiamo conto e lo sciupiamo in mille occupazioni e passioni. L'errore che compie l'uomo è di non vivere per sé, ma per le ambizioni, gli avversari e il patrimonio, tutte cose che non gli appartengono, cadendo così nel secondo paradosso: quello di una persona avara di tutto ciò che non gli appartiene e invece prodiga del suo vero e unico possesso.
Il problema del tempo era molto sentito dai ceti dominanti di quel tempo e da Seneca, che alternava momenti di intensa attività e di isolamento.
Il tempo è l'unico nostro possesso, ma dato che non ne possiamo conoscere la durata è assurdo ipotecare il futuro, mentre è molto più utile un saggio ed intenso uso del presente. In una stupenda metafora Seneca avvicina lo scorrere del tempo ad un fiume in piena che se non siamo in grado di seguire intensamente ci travolge.
Seneca attua così una critica corrosiva nei confronti di tutti gli altri valori che non ci appartengono e dipendono dal caso, ed esalta il saggio, che si preoccupa solo del presente vivendo ogni giorno come se fosse l'ultimo.
Il passato, se ben vissuto, può essere recuperato dalla memoria e con esso le esperienze di vita e le gesta dei grandi. Il futuro può essere inglobato nella previsione e il saggio ha la possibilità di amare il proprio destino ricongiungendo nel presente anche passato e futuro e raggiungendo così una dimensione divina.
Seneca recupera passato e futuro come dimensioni psichiche:
- il PASSATO, ben vissuto e libero dal rimorso, è recuperato dalla memoria e può estendersi anche oltre i confini della vita;
- il FUTURO, libero dall'ansia e dalla speranza che il saggio ha bandito dall'animo, è recuperato dalla previsione.
- Il presente può così inglobare in se stesso anche passato e futuro.
La filosofia stoica si può riassumere in un principio: "Ama il tuo destino". E' questo il più difficile dei comandamenti, come si vede anche dal fatto che il saggio stoico è rimasto un'utopia, mentre il santo cristiano si è affermato nella realtà.
Lo stile del De brevitate vitae è semplice, chiaro ed incisivo, con figure retoriche elementari, perché secondo Seneca un linguaggio troppo ricercato nasconde un animo meschino.
I dialoghi non sono né di modello platonico (dibattito serrato) né aristotelico (diverse opinioni esposte a turno), ma sono più simili alle diatribe dove i cinici o gli stoici parlavano ad una folla per convincerla delle proprie idee.
BRANO
Mirari soleo cum video aliquos tempus petentes
et eos qui rogantur facillimos;
illud uterque spectat propter quod tempus
petitum est, ipsum quidem neuter:
quasi nihil petitur, quasi nihil datur.
Re omnium pretiosissima luditur;
fallit autem illos, quia res incorporalis est,
quia sub oculos non venit ideoque vilissima
aestimatur, immo paene nullum eius pretium est.
Annua, congiaria homines carissime accipiunt
et illis aut laborem aut operam aut diligentiam
suam locant:
nemo aestimat tempus;
unto illo laxius quasi gratuito.
"De Brevitate Vitae" VIII
Resto sempre stupito quando vedo alcuni che,
come se niente fosse, chiedono per sé
spazi di tempo altrui, e altri che,
se glielo si chiede, sono pronti ad accordare
ore e ore della loro giornata;
il fatto è che tutti prendono in considerazione
lo scopo per cui si chiede di impegnare il tempo,
ma nessuno valuta il tempo in sé: lo si chiede,
come se fosse una cosa da nulla, e,
come se fosse niente, lo si concede.
Eppure si gioca con la cosa più preziosa
che ci sia; inganna perché è immateriale,
perché non la si vede:
per questo non le si dà importanza,
anzi è ritenuta quasi di nessun valore.
Le rendite annue, gli stipendi si pagano cari:
la gente se li suda e vi investe attività e impegno;
al tempo invece nessuno dà valore;
lo si usa con larghezza come si fa con una cosa
che non costa nulla.
APOLLONIO RODIO
Il lungo viaggio per regioni estreme ed ignote nelle
“Argonautiche”
L’AMBIENTE CULTURALE
Droysen, il maggiore storico dell’ellenismo definisce gli estremi cronologici della civiltà ellenistica tra: la morte di Alessandro Magno avvenuta nel 323 a.C. e la battaglia di Azio del 31 a.C.
Dall’incontro-scontro tra Grecia e Asia nacque una civiltà diversa, originale, frutto della sincresi degli elementi più vitali dell’una e dell’altra, che Droysen chiamò “Ellenistica”, intendendo con questa denominazione evidenziarne tanto la radice greca quanto la sua contaminazione con le culture degli altri popoli.
Gli elementi che distinguono il nuovo periodo, cioè l’espansione e l’universalizzazione della cultura, ebbero inizio anche prima della morte di Alessandro Magno, durante le fortunate imprese del padre Filippo, ma si svilupparono decisamente in seguito, con le lotte fra i Diadochi, ed il sorgere di nuovi centri culturali, soprattutto in Egitto, dove Alessandria divenne il maggior centro della civiltà ellenistica con la sua biblioteca contenente circa 700.000 volumi, mentre altre città come Pergamo e Antiochia si resero famose per l’arte.
Con l’affermarsi di nuove città della cultura in terre non greche scompare ben presto quella intimità spirituale tra i cittadini, che distingueva la polis ellenica, mentre agli ideali universali ed eroici subentrano i sentimenti personali, le attività tecniche e scientifiche.
I CARATTERI ORIGINALI DELLE ARGONAUTICHE:
una nuova visione dello spazio e del tempo in consonanza con la cultura ellenistica
Esponente della nuova cultura ellenistica, Apollonio Rodio è il primo poeta dopo Omero, che riprende l’antica materia eroica, adattandola nello sviluppo dell’azione e nel gusto della narrazione al mutato clima culturale. Canto epico non sentito certamente nel profondo dell’animo, poiché l’ideale eroico era scomparso molti secoli prima, ma poesia narrativa prettamente ellenistica, che adatta al tema antico motivi recenti di avventure e di amore, creando qualcosa di mezzo tra l’epica ed il romanzo narrativo. Pertanto l’opera, anche se muove dal tradizionale epos omerico, per lo spirito antieroico che l’anima, per la sottile analisi della passione amorosa tra Medea e Giasone, per la coerenza della struttura e la preziosità dello stile si situa all’interno della nuova cultura ellenistica. Le Argonautiche risultano piuttosto una riscrittura moderna ed alessandrina dell’epica canonica, in quanto recepisce numerose novità quali gli aitia, gli excursus, l’andamento coerente della narrazione.
Le Argonautiche si ispirano al mito degli Argonauti che, con le vicende dell’eroe Giasone e di Medea, era noto già al tempo di Omero, il quale nell’Odissea ricorda la nave Argo ed il suo travagliato viaggio. Apollonio lo sceglie come il più adatto alla trattazione epica, per la molteplicità dei particolari mitici, l’antichità della leggenda, ma soprattutto per le possibilità descrittive, che ad un erudito alessandrino permetteva il lungo viaggio degli Argonauti per regioni estreme ed ignote. Il tema del viaggio assume infatti una posizione centrale nello sviluppo della narrazione.
Ma il tono dominante delle due parti del viaggio è profondamente diverso: nel viaggio di andata prevale l’azione umana guidata dalla razionalità e dalla tecnica, mentre il ritorno è affidato in misura molto più larga a interventi risolutivi delle divinità, e comunque è pervaso da un senso di scoramento per la perdita di ogni sicurezza e di ogni dominio dello spazio.
Il viaggio di andata è minuziosamente descritto in tutte le tappe fino alla Colchide dall’indovino Fineo, non altrettanto il viaggio di ritorno, che l’indovino lascia intendere affidato all’intervento divino (2, 317 sgg)
Inoltre la novità maggiore che Apollonio presenta rispetto al modello omerico è la corrispondenza tra la descrizione dell’ambiente e la situazione psichica dei personaggi: ad esempio il brano sulla Sirte (4, 1237-1249), che visualizza la disperazione e l’impotenza degli Argonauti
Anche il tempo acquista una sua importanza testimoniata dalla maggiore attenzione riservata alla successione cronologica dei fatti e al loro inserimento in una catena causale. In Omero ogni episodio appariva circoscritto in se stesso e immerso in un’atmosfera fuori del tempo e dello spazio; in Apollonio i luoghi sono indicati con precisione, i tempi calcolati in modo da dare l’idea della durata dell’evento, i molteplici casi in cui si frammenta l’azione ricondotti con coerenza all’impresa centrale.
Il tema della estensione cronologica consente inoltre ad Apollonio di rivisitare la concezione Aristotelica espressa nella Poetica a proposito della “unità di azione”. Secondo Apollonio l’unità del poema risulta dall’unità dell’azione svolta, non dalla presenza di una figura attorno alla quale si concentri lo svolgimento degli eventi. L’unità del poema va infatti ricercata non nel personaggio fulcro dell’azione, ma nell’impresa degli Argonauti in tutto il suo sviluppo temporale. Apollonio accetta le norme aristoteliche anche per quanto riguarda il precetto aristotelico che l’ampiezza del poema epico deve corrispondere in linea di massima alle quattro opere drammatiche, che ad Atene si rappresentavano in un giorno (il poema è costituito da quattro libri).
Inoltre a confronto con l’assoluta atemporalità omerica (Omero conosce solo il passato assoluto), le Argonautiche presentano un incrocio continuo di piani temporali, tra il passato dei miti precedenti rispetto a quello degli Argonauti, il presente continuo dell’azione primaria, la narrazione cioè del viaggio di Giasone, nei cui confronti di tutti i riferimenti all’universo contemporaneo del poeta rappresentano il futuro.
LA STRUTTURA DELL’OPERA
L’intera narrazione si dispone in quattro libri che svolgono tre grandi sezioni attraverso le quali il racconto dell’impresa procede in modo lineare e cronologico. I primi due libri contengono la prima delle tre sezioni: l’allestimento della nave Argo e il viaggio fino alla Colchide. Nel terzo libro è narrata la parte culminante del mito: la conquista del vello d’oro, con l’aiuto di Medea, che consente a Giasone di superare le prove imposte da Eeta. Il lungo e avventuroso viaggio di ritorno è oggetto del quarto libro.
Il soggetto mitologico risale alla storia di Frisso, figlio di Atamante re di Orcomeno, che, perseguitato dalla matrigna, era fuggito con la sorella Elle su un ariete dal vello d’oro capace di volare, che lo aveva portato fino alla Colchide, sulla costa orientale del Ponto Eusino (la sorella era caduta nel braccio di mare che da lei prese il nome di Ellesponto). Là, per volere di Zeus, era stato accolto dal re Eeta, che gli aveva concesso in sposa la figlia maggiore Calcione. L’ariete era stato sacrificato, e sul suo vello vegliava un drago. Pelia, re di Iolco, che teme un rivale in Giasone, figlio del fratellastro Esone, lo invia a riconquistare il vello. Giasone compie la lunga navigazione con una schiera di eroi a bordo della nave Argo, e riporta in patria il vello d’oro accompagnato da Medea, la seconda figlia di Eeta, che con le sue arti magiche causerà la morte di Pelia.
Colchide: odierna Georgia corrispondente alla costa orientale del mar Nero
Iolco: antichissima città greca della Magnesia sul golfo di Pagase, odierna Volos
Orcomeno: antica città della Beozia presso l’odierna città omonima.
Bitinia: regione della odierna Turchia asiatica che si affaccia sul Mar Nero e sul Mar di Marmara
Temiscira: antica città sulle rive meridionali del Mar Nero alle foci del Termodonte, oggi fiume Terme, dove secondo la tradizione risiedevano le Amazzoni.
La descrizione del viaggio fatta dall’indovino Fineo
Subito, appena m'avrete lasciato, vedrete,
là dove il mare si stringe, le rupi Simplegadi,
che mai nessuno, vi dico, ha attraversato uscendone incolume,
perché non sono saldamente fissate alle loro radici, 320
ma spesso si scontrano l'una con l'altra e si riuniscono insieme,
e sopra si leva la piena dell'acqua, e ribolle,
e intorno l'aspro lido terribilmente risuona.
Ascoltate il mio consiglio, se veramente compite il vostro viaggio
con saggezza e rispettando gli dei: non vogliate 325
cercare voi stessi la morte, procedendo diritti,
stoltamente, seguendo la vostra età giovanile.
Fate dapprima la prova con una colomba, in auspicio,
e speditela davanti alla nave. Se passa le rupi,
e arriva al Ponto sana e salva con le sue ali, 330
non trattenetevi più nel vostro cammino;
prendete in mano i remi e navigate lo stretto:
allora la vostra salvezza sarà nelle braccia
più che nelle preghiere. Perciò lasciate da parte
ogni altra cosa, e faticate con tutte le forze; 335
prima però non vi vieto di pregare gli dei.
Ma se invece, volando in mezzo alle rocce, l'uccello perisce,
tornate indietro: sarà molto meglio cedere
agli immortali: non sfuggirete alla morte,
tra queste rocce, neanche se Argo fosse fatta di ferro. 340
Guai a voi, non osate andare oltre i miei vaticini,
neanche se mi credete tre volte più odioso ai Celesti
di quel che sono o anche più: non osate passare
se l'augurio che vi ho indicato non fosse propizio.
Riguardo a questo, sarà ciò che deve essere. 345
Ma se sfuggite all'urto delle rocce ed entrate illesi nel Ponto,
navigate allora tenendo alla destra la terra bitinia,
ma dovete guardarvi dai frangenti fin quando,
dopo avere doppiato il rapido Reba ed il Capo Nero,
giungerete al porto dell'isola Tinia. 350
Di là, non molto lontano, vi dirigerete
alla terra dei Mariandini, che si trova di fronte;
qui è la discesa all'Ade e qui si tende l'alta scogliera Acherusia: il vorticoso
Acheronte la taglia in profondo, e riversa 355
le sue acque da una enorme voragine. Là, non lontano,
costeggerete le molte colline dei Pafiagoni,
quelli su cui regnava un tempo Pelope Enezio,
e dal suo sangue si vantano d'essere discesi.
E c'è un promontorio, rivolto all'Orsa Maggiore, 360
scosceso da ogni parte, che chiamano Capo Carambi;
e su di lui si dividono le tempeste di Borea,
perché tocca il cielo, proteso sul mare aperto.
Quando si è passato questo, si stende la Grande
Spiaggia. All'estremo della Grande Spiaggia 365
presso una punta, si gettano le acque impetuose
dell'Halys: là vicino il più piccolo
Iride volge al mare i suoi vortici bianchi.
Più avanti, sporge dal continente il grande gomito,
e sfocia il Termodonte in un golfo tranquillo 370
posto al di sotto del capo di Temiscira,
dopo avere attraversato una vasta pianura.
Lì è la piana Doanzia e là vicino
le tre città delle Amazzoni, e poi il paese dei Calibi,
……..Ma voi continuate la rotta
finché sarete arrivati al recesso segreto del mare,
dove attraverso la terra di Cita (Colchide), scendendo dai monti Amaranti,
lontano, e dalla pianura di Circe, il Fasi impetuoso 400
riversa dentro il mare le vaste correnti.
Spinta la vostra nave sino alla foce del fiume,
allora vedrete le torri di Eeta Citeo
e ìl bosco ombroso di Ares, dove sopra la cima
d'una quercia è disteso il vello, ed un drago, 405
prodigio orrendo a vedersi, lo veglia in ogni momento:
né giorno né notte il dolce sonno vince i suoi occhi spietati.
Così disse, e subito li colse il terrore a sentirlo;
a lungo rimasero colpiti, senza parole, poi finalmente
parlò il figlio di Esone, angosciato dal vaticinio terribile: 410
Giacomo LEOPARDI
L'infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare
COMMENTO
Composto nel 1819, L'infinito è il primo degli idilli, nonché una delle liriche più note del Leopardi. Le riflessioni del poeta sul rapporto fra il pensiero umano e l'infinità dell'universo sia nello spazio sia nel tempo si traducono non in filosofia in versi ma in autentica poesia. Inoltre, in questo componimento prende forma la poetica del vago e dell'indefinito.
Questa breve poesia può essere divisa in questo modo:
vv. 1-3: Indicazione, ma non descrizione, di uno spazio concreto (l'area delimitata dalla siepe) e di un'abitudine personale (consuetudine di salire sul colle e stato d'animo).
vv. 4-8: Astrazione e visione mentale dello spazio. Non è un'azione definita, ma una durata evidenziata dai gerundi "sedendo e mirando".
vv. 8-13: Il minimo evento dello "stormir (del vento) tra queste piante" segna il passaggio dall'immaginazione spaziale a quella temporale. Il poeta instaura una contrapposizione tra concreto e presente, e spazio e tempo immaginati dal pensiero.
vv. 13-15: Il pensiero si smarrisce generando piacere.
In questi quindici densissimi versi Leopardi concentra una profonda esperienza interiore, trasportandoci in un viaggio tra ciò che è delimitato, "finito", umanamente sperimentabile, e ciò che va oltre le possibilità dei nostri sensi ed è raggiungibile solo nell'immaginazione. Noi uomini, infatti, siamo una piccolissima cosa rispetto all'Universo, la nostra vita occupa una frazione infinitesimale del suo tempo, e solo con un grande sforzo di immaginazione possiamo figurarci uno spazio e un tempo senza fine.
Nello Zibaldone troviamo questa riflessione del 12 agosto 1823 sulla dignità dell'uomo:
“Quando egli, considerando la pluralità dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo ch'è minima parte d'uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intensamente riguardandola, si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero dell'immensità delle cose, e si trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell'esistenza; allora con questo atto e con questo pensiero egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà, della forza e della immensa capacità della sua mente, la quale, rinchiusa in sì piccolo e mènomo essere, è potuta pervenire a conoscere e intendere cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener col pensiero questa immensità medesima della esistenza e delle cose”.
Nell'Infinito, il poeta dice (o immagina) di trovarsi in un luogo preciso, che ama e frequenta abitualmente: un colle solitario, tradizionalmente identificato nel monte Tabor, che domina sulle campagne sopra Recanati. Solo, in cima al colle, in uno spazio circoscritto e delimitato da una siepe, il poeta siede e guarda, ma non riesce a vedere: proprio questo fa scattare il meccanismo immaginativo.
Si tratta di un'esperienza paradossale: non è la possibilità di vedere dall'alto ampi spazi, ma l'ostacolo alla vista, l'esperienza dei limiti umani, a suggerire l'idea dell'infinito. Annota infatti Leopardi nello Zibaldone (28 luglio 1820): “L'anima immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario”.
Agli spazi senza fine si associano immediatamente sovrumani silenzi e profondissima quiete, che producono un sentimento di paura, di sgomento. Leopardi ama il silenzio e la quiete di quel luogo, che gli permettono di meditare e fantasticare. Ma, proiettati in uno spazio sterminato, il silenzio e la quiete diventano quasi insopportabili, poiché si oppongono implicitamente all'idea di vita, che è fatta di suoni, di rumori, di movimento.
Poi, qualcosa strappa il poeta alle sue immaginazioni: una realtà concreta ma effimera come il vento interrompe i suoi pensieri, ma contemporaneamente li rilancia in direzione di un approfondimento del problema. Il poeta viene riportato al qui e ora, ma la voce del vento tra le piante suggerisce immediatamente un confronto con quello infinito silenzio, e la mente si tuffa negli abissi del tempo, quasi cercando di misurare le inconcepibili dimensioni dell'eterno attraverso il confronto tra l'interminabile fila delle stagioni passate (morte) e quella presente (viva), di cui si sente il suono.
L'immaginazione permette di collocare l'io che vive qui e ora nell'infinità del tempo e dello spazio. Ne deriva una sensazione di annegare, di naufragare nel mare dell'immensità. Ma allo sgomento ora si sostituisce, o si aggiunge, paradossalmente, un sentimento di dolcezza, che non viene spiegato, ma comunicato, attraverso le parole vaghe e indeterminate del testo e i loro suoni.
Tra reale e immaginario, spazio e tempo, finito e infinito ci sono relazioni complesse, che risultano particolarmente evidenti sul piano lessicale. Notiamo come la poesia si apra e si chiuda con parole di apprezzamento, di piacere (sempre caro - m'è dolce) e con riferimenti a luoghi, concreti (il colle, la siepe) oppure astratti o metaforici (l'immensità, il mare), accompagnati da aggettivi dimostrativi (questo, questa) che sottolineano la vicinanza fisica o psicologica.
In tutta la lirica è evidente il contrasto tra i termini concreti e molto comuni del finito e i termini più astratti dell'infinito, accompagnati da aggettivi che ne intensificano il significato. Ma sono ancora più significativi i collegamenti e gli intrecci tra questi due campi: dati concreti, come gli ampi spazi nascosti dalla siepe o la quiete e il silenzio del colle, si collegano a interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete dell'infinito immaginato, mentre il suono del vento si oppone a quello infinito silenzio, e al sentimento del presente e della vita che quel suono suscita si contrappongono il sentimento dell'eterno e della lunghezza incommensurabile del tempo trascorso, delle morte stagioni.
Dal punto di vista formale, la poesia ha un'architettura speculare: è divisa in due parti uguali, di sette versi e mezzo, che corrispondono alle due esperienze dell'infinito spaziale e dell'infinito temporale; ai due estremi troviamo gli unici versi sintatticamente conclusi; le due serie di termini riguardanti lo spazio e il tempo sono disposte e graduate in modo opposto.
Ma altri segni indicano la continuità di un percorso, come la frequenza di congiunzioni coordinanti, o la sinalefe al centro del verso 8 (...spaura. E come il vento...), che contrasta la separazione segnata dal punto. Osserviamo inoltre la frequenza degli enjambements:: è come se la sintassi premesse continuamente contro i confini della metrica, spingesse ad andare oltre, come fa il pensiero alla ricerca dell'infinito.
POETICA DI LEOPARDI
I più recenti studi su Leopardi attribuiscono un'importanza fondamentale al suo pensiero e considerano la riflessione filosofica di Leopardi non come un elemento esteriore e aggiuntivo, ma come l'elemento generatore della sua poeticità.
La poetica di Leopardi si fonda su un sistema di idee continuamente meditato che si sviluppa con coerenza e con una grande capacità di penetrazione conoscitiva e riscontrabili nello Zibaldone. Al centro del pensiero si pone subito un motivo pessimistico: l'infelicità dell'uomo. Rifacendosi ad un modello settecentesco, Leopardi identifica la felicità con il piacere sensibile e materiale. L'uomo, però, non desidera un piacere, ma il piacere, infinito per durata ed estensione, e come tale irraggiungibile: perciò, non potendosi soddisfare, sarà sempre infelice.
Nella prima fase dalla sua vita, Leopardi, vede la natura come una madre benigna e attenta che ha offerto agli uomini le illusioni con le quali essi possono velare gli occhi di fronte alla realtà malvagia. Gli antichi e i bambini, più vicini alla natura erano più capaci di immaginare e perciò più felici, più grandi e più eroici di noi. Il progresso e la ragione hanno allontanato l'uomo da quella condizione privilegiata e lo hanno reso infelice. Questa prima parte del pensiero è detta pessimismo storico: la condizione negativa del presente è frutto di una decadenza e di un allontanamento dalla felicità. In questo periodo Leopardi assume un atteggiamento titanico: il poeta, unico depositario dell'antica virtù, sfida da solo il fato maligno.
Con il passare del tempo il pensiero del poeta cambia e dopo un periodo in cui Leopardi, attraverso una concezione dualistica, contrappone una natura benigna ad un fato maligno rovescia la sua concezione della natura che, più che al bene dei singoli, pensa alla conservazione della specie. Il male non è perciò un semplice accidente, ma rientra nel piano della natura, la quale ha messo nell'uomo il desiderio di una felicità infinita senza dargli i mezzi per raggiungerla. Da una madre benigna e attenta si passa ad un meccanismo cieco ed indifferente alla sorte delle sue creature. La colpa dell'infelicità non è più l'uomo stesso, ma la natura. Cambia anche la concezione della felicità, che non è più assenza di piacere, ma un male dovuto a fenomeni esterni, ai quali nessuno può sfuggire. Tutti gli uomini, di ogni epoca, di ogni età, sotto ogni forma di governo sono necessariamente infelici. Il pensiero di Leopardi in questa seconda fase della sua vita è detto pessimismo cosmico: l'infelicità non è più legata ad una condizione relativa,ma alla condizione assoluta di uomo. Abbandona per questo la poesia civile e il titanismo, considerando vane la protesta e la lotta. Leopardi vive un periodo di contemplazione lucida, distaccata ed ironica della realtà. Il suo idolo non è più l'eroe antico, ma il saggio stoico, il suo pessimismo diventa cosmico.
DANTE ALIGHIERI - IL PARADISO
Il viaggio di Dante: lo spazio, il tempo e i loro valori morali con riferimento al I Canto
Mentre la struttura e l’ordinamento dell’Inferno e del Purgatorio erano in gran parte frutto della inventiva di Dante, la struttura e l’ordinamento delle sfere paradisiache gli erano dati dall’astronomia medievale. Qui si trovava di fronte a un compito opposto: risolvere e sublimare la troppo solida realtà empirica in sembianza simbolica. Egli doveva organizzare una rappresentazione particolare del viaggio dalla terra al cielo. Ogni specie di viaggio, sia pure un volo, è legato a determinate circostanze di spazio e di tempo, e alla necessità di superare impedimenti e resistenze, non fosse altro quelli offerti dalle distanze. Il poeta ha saputo realizzare con arte magistrale il prodigio di un viaggio celeste senza tempo, senza spazio, senza resistenze. Il pellegrino va sempre più in alto, sollevato e tratto dalla luce celeste che si specchia negli occhi di Beatrice. Si sposta senza accorgersene, senza sapere se sia lo spirito soltanto a muoversi o se anche il corpo lo segua
S’i’ era sol di me quel che creasti 73-75
Novellamente, amor che ‘l ciel governi,
tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.
Inoltre non prova fatica alcuna, né sensazioni di tempo o di spazio. Riconosce i diversi cieli e vi si orienta solo in base alla loro gradazione concettuale. Trascorre velocissimo da stella a stella e gli sembra di star fermo. Le dimensioni dei cieli sono immense: si va da un raggio minimo (cielo della luna) di 215.152 km, a uno massimo (cielo stellato) di 128.963.429 km. Spostarsi quindi da un segno zodiacale a quello immediatamente più vicino (da Mercurio in Ariete a Venere in Pesci, e da Venere in Pesci al Sole in Ariete) implica un movimento che copre uno spazio immenso. La velocità con cui Dante percorre milioni di chilometri nel breve spazio di un giorno non può che apparire miracolosa per un essere umano. In verità il viaggio di Dante è un fatto reale ma soprattutto è ascesa dell’uomo finalmente libero dal peccato verso il suo luogo naturale.
La ripartizione spaziale degli abitatori celesti su questa o quella sfera ha valore puramente dimostrativo per il visitatore mortale. Infatti, dopo aver attraversato tutte le sfere, e avervi riconosciuto beati di ogni genere, nello sconfinato Empireo gli si mostra ancora una volta l’intero Paradiso con tutti i beati e tutti gli angeli disposti in una nuova forma, di gigantesca rosa. Il primo ordinamento viene negato ed affermato dal secondo, annullato e spiegato.
Alla fine del Purgatorio si era interrotta la narrazione del viaggio. Con il primo canto del Paradiso essa riprende con l’indicazione astronomica della stagione e dell’ora: i “quattro cerchi” che formano “tre croci” indicano l’Est, dove in congiunzione con l’Ariete (la migliore stella) sorge, nell’equinozio di primavera, il sole che ora rifulge nello splendore del Mezzogiorno. La determinazione astronomica dell’ora della salita al cielo mostra la centralità della “poesia della scienza” e gli elementi di questa scienza: i quattro cerchi e le tre croci stanno a indicare le quattro virtù cardinali (fortezza, prudenza, giustizia, temperanza) e le tre teologali (fede, speranza, carità), mentre il cerchio rimanda all’idea di perfezione e la croce a quella di salvezza. La scienza insomma è una manifestazione della presenza divina. Dante si uniforma alle leggi divine che regolano l’universo ed entra in consonanza con il volere divino.
Surge ai mortali per diverse foci 37-42
La lucerna del mondo; ma da quella
Che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.
Beatrice si volge verso il sole, Dante cerca di fare altrettanto, ma solo per poco riesce a sostenerne la vista. Torna allora con lo sguardo a Beatrice, si sente trasformare e portare oltre i limiti dell’umano. Beatrice gli spiega che suono e luce dipendono dal fatto che essi hanno abbandonato la terra e stanno salendo verso il cielo. Dante, purificato dal viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio, sale alle stelle.
Il “trasumanar”, come dice Dante, è una tappa fondamentale dell’ascesa verso Dio, lo introduce nel mondo del miracolo e della grazia e dà al suo intelletto una nuova recettività dello spazio senza limiti e delle leggi che lo governano, del tutto diverse da quelle terrestri. Nasce da qui il bisogno di Dante di spiegare nel primo canto in maniera razionalistica la natura del viaggio. La salita a Dio, nella perfezione dell’unità di anima e corpo, rientra nell’ordine generale dell’universo. Dante scopre nel suo viaggio che l’intero universo è manifestazione di Dio, e l’ordine gli si rivela come legge suprema, anzi la forma essenziale del creato. L’ordine come forma divina dell’universo è il concetto fondamentale attorno a cui ruota tutto il Paradiso: ogni essere è collegato con tutti gli altri e tutto il cosmo è in moto verso Dio, forma perfetta, atto puro.
E (Beatrice) cominciò: “Le cose tutte quante 103-105
Hanno ordine fra loro, e questo è forma
Che l’universo a Dio fa simigliante.

La visione di un infinito mare, che è quello delle cose esistenti e disseminate in forme molteplici per l’universo, popolato e solcato da navi, è testimonianza di una poesia per un verso metafisica, ma per altro verso concreta, il tentativo di conciliare la realtà storica fatta da uomini diversamente distribuiti e operanti all’interno di un ordine precostituito e predisposti ad un fine. In questa visione il mare rappresenta l’ordine universale.
Anche tutta la realtà deve dunque trovare la sua sistemazione nell’ordine divino; solo così gli accidenti e i fenomeni possono farsi davvero storia, acquistare senso e valore. Solo così è possibile superare le contraddizioni sulla base sicura della legge morale improntata all’obbedienza della volontà divina.
STORIA
Dal 1939 al 1941: il “blitzkrieg” (guerra lampo) tedesco
Lo spazio e il tempo sono due concetti che influenzarono molto la politica offensiva tedesca. Nelle intenzioni dei capi nazisti si sarebbero dovute sanare le ferite rimaste aperte dal 1919, riconquistando la Posnania, la Prussia orientale e il corridoio di Danzica, estendendo verso est il territorio tedesco, attraverso una guerra lampo basata sulla sorpresa, sulla velocità e sulla potenza. L’obiettivo ultimo era rappresentato dalla realizzazione di un disegno politico ed economico teso alla conquista di un nuovo “spazio vitale” verso est, che avrebbe reso la Germania una potenza invincibile.
Hitler viene incoraggiato nella guerra di conquista anche dalla debolezza degli avversari, Francia e Inghilterra, che perseguono ostinatamente la loro politica di “appeasement” ad ogni costo.
Il 23 agosto 1939 il patto di non-aggressione tra Germania e URSS è un passo ulteriore verso il conflitto mondiale. Esso prevedeva la spartizione della Polonia e l’occupazione sovietica di ex territori dell’impero zarista (le repubbliche baltiche e la Finlandia), ma soprattutto consente ai due paesi, in realtà nemici, di guadagnare tempo utile alla preparazione bellica, differendo il momento dell’inevitabile scontro diretto.
La storia della seconda guerra mondiale può dividersi in quattro parti.
La prima, che giunge fino all’attacco di Hitler alla Russia, è contrassegnata dalle campagne “lampo” di Polonia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio e Francia e dalla battaglia di Inghilterra, prima battuta di arresto nell’andamento del conflitto. Avendo rinunciato all’invasione delle isole britanniche, Hitler, prima di rivolgersi contro Stalin, porta a termine la conquista del sud-est europeo: è questa l’ultima campagna lampo.
La seconda parte comprende la resistenza russa, l’aggressione giapponese e i primi colpi di arresto inferti dalle forze dell’Asse agli Alleati, sia in Europa e in Africa che nel Pacifico. Dal 7 dicembre 1941 (attacco a Pearl Harbour) il conflitto, divenuto mondiale, ha visto una serie di vittorie tedesco-giapponesi; un anno dopo, alla fine del 1942, il vento comincia a girare: El Alamein, Stalingrado, isole Midway, Guadalcanal segnano il confine delle conquiste delle nazioni dell’Asse. La controffensiva alleata comincia a organizzarsi; il suo avvio è lento e faticoso, poiché il nemico è padrone di importantissime posizioni strategiche e mantiene sotto il suo giogo numerose nazioni.
La terza parte della guerra va dal novembre 1942 (battaglia di Stalingrado) al gennaio 1945, periodo in cui il cerchio si stringe inesorabilmente intorno alla Germania e al Giappone che, a poco a poco, sono costrette ad abbandonare la maggior parte delle loro conquiste. In questo periodo inoltre determinante appare la potenza industriale delle Nazioni Unite, che farà sentire sempre di più il suo peso sulla bilancia.
La quarta parte infine è costituita dall’assalto finale, prima in Europa, poi in Asia.
Il periodo delle campagne lampo va dunque dal settembre del 1939, fino a giugno del 1941 (invasione dell’URSS). La strategia della “guerra lampo” era fondata sul massiccio impiego di carri armati e dell’aviazione nello sfondamento delle linee nemiche, lasciando alla fanteria motorizzata il compito di eliminare le ultime sacche di resistenza. Il 1° settembre 1939 i tedeschi varcano i confini polacchi a occidente, mentre i sovietici li superavano ad oriente. Alla fine del mese la Polonia, smembrata in due, scomparve di fatto dalla carta dell’Europa. Nel frattempo, il 3 settembre, Francia e Gran Bretagna avevano dichiarato guerra alla Germania. Ma approfittando della lentezza di reazione degli alleati, che rimangono fermi per alcuni mesi, Germania e Russia procedono nella guerra lampo, la prima occupando la Danimarca e la Norvegia, poi Belgio, Olanda e Lussemburgo (maggio 1940), la seconda conquistando Estonia, Lettonia, Lituania e Finlandia. Infine il 14 giugno, dopo la sconfitta delle Ardenne e la rotta di Dunkerque, Parigi è occupata, la Francia divisa in due dall’armistizio: nella parte nord del paese il potere fu assunto da un governatore militare tedesco, mentre nel sud con capitale Vichy, si insediava il governo collaborazionista presieduto dal maresciallo Pétain. Intanto da Londra il generale Charles De Gaulle chiedeva ai francesi di continuare la lotta contro i tedeschi a fianco degli inglesi per liberare la Francia.
La Gran Bretagna, ormai sola, viene attaccata il 1° settembre 1940 con un’operazione aerea, che aveva l’obiettivo di piegare la resistenza britannica. Ma l’operazione risulta essere più difficile del previsto, dopo 10 giorni di offensiva la Luftwaffe aveva perso circa 450 apparecchi, mentre la RAF ne perdeva solo 153. In una seconda ondata di attacchi gli apparecchi tedeschi abbattuti erano 400 contro 219 della RAF, che, nonostante tutto restava sempre padrona del cielo inglese. Così alla fine di ottobre, si può dire che la guerra lampo aerea è fallita, e sta per cominciare la battaglia di logoramento.
Il 22 giugno 1941 Hitler dà il via all’ ”operazione Barbarossa”, cioè all’invasione dell’Unione Sovietica, avviata secondo lo schema della guerra lampo: l’avanzata tedesca fu rapidissima e in solo tre mesi vennero percorsi centinaia di chilometri, a fine agosto i tedeschi assediavano Leningrado, a metà ottobre conquistavano Kiev e si attestavano a poche decine di chilometri da Mosca. Ma a questo punto la resistenza sovietica si fece più decisa e la mobilitazione fu totale. Come già era accaduto ai tempi dell’invasione napoleonica i sovietici, ritirandosi, distruggevano o trasferivano tutto ciò che non poteva essere difeso. Con il sopraggiungere dell’inverno l’avanzata tedesca rallentò, solo nel giugno 1942 poté essere raggiunta Stalingrado. Nella seconda metà del novembre 1942 l’Armata rossa lanciò una massiccia controffensiva nella zona di Stalingrado, riuscendo a rompere l’assedio e a circondare la VI armata tedesca, che alla fine di gennaio 1943 si arrese. Fu la prima vera sconfitta della Wehrmacht e segnò la fine del mito della sua invincibilità e il capovolgimento degli equilibri militari sino allora favorevoli alla Germania. Nel frattempo la “guerra lampo” si era trasformata in una lunga guerra, che richiedeva un continuo ricambio di uomini e mezzi.
Sia la battaglia di Inghilterra che il fallimento dell’invasione dell’Unione Sovietica segnano la disfatta della “guerra lampo” e l’inizio della guerra di logoramento da cui la Germania uscirà stremata. A questo punto il vero problema era costituito dalla capacità di rifornire continuamente di mezzi e di uomini il fronte. L’espressione “guerra lampo” non indicava solo un’efficace strategia dei generali tedeschi, ma rappresentava anche un indirizzo economico-produttivo, capace di sostenere brevi campagne militari, tali da non costringere ad uno sforzo economico alla lunga insostenibile. Germania, Giappone e Italia furono infatti travolti proprio dall’impossibilità di sostenere la mobilitazione sui vari fronti, una volta che il conflitto aveva assunto le caratteristiche di guerra lunga e di logoramento.
Viceversa, nel fronte degli Alleati la superiorità nel campo tecnologico, ma soprattutto la capacità produttiva degli Stati Uniti avevano determinato un rovesciamento della situazione. Fra il 1940 e il 1945 gli Stati Uniti produssero da soli due milioni e mezzo di camion, 90.000 carri armati, 300.000 aerei. Oltre all’enorme sforzo produttivo, anche la superiorità tecnologica determinò la vittoria alleata. Basti pensare alla messa a punto dei dispositivi di radio-localizzazione e di televisione, comunemente noti sotto il nome di “radar”, che hanno avuto un ruolo di capitale importanza nelle operazioni difensive ed offensive aeree e navali. Infine la realizzazione della prima bomba atomica da parte degli Stati Uniti ha costretto il Giappone, già in posizione assai critica, ad abbandonare definitivamente il conflitto.
La corsa al miglioramento del materiale bellico, attraverso l’applicazione di innovazioni tecniche, è proseguita durante tutti i sei anni di durata della guerra. Le innovazioni tecnologiche sperimentate in tempo di guerra ebbero un’importante ricaduta anche nella produzione di pace.
James JOYCE
The Joyce's vision of space in Dubliners and of time in Ulysses
POETICAL POINT OF VIEW
The importance of Joyce is that he had renewed the literature. His books are very different from the tradition. Joyce uses the technique of the manipulation of time and he doesn't respect the chronological order; he uses the association of ideas and flashback. In his stories there isn't only one point of view, but he expresses the points of view of many characters. He became famous with his neologism and his "exploration" of the language, but he always uses the same theme: the dryness of his time.
DUBLINERS
Dublin, Joyce's city of birth is represented as the symbol of the entire world, like a dead background. The theme of death is common in his novels: the last is "The dead" and the last word is "dead". His novels were written between 1903 and 1914, and were published in 1915. They are divided into four parts, like the human life:
- 3 stories about children
- 4 stories about young boys
- 4 stories about adults
- 3 stories about public life
The last story is a sort of summing up of the themes of each story.
Dubliners are chronicles of spiritual, political and social paralysis of a city. The fifteen novels of Dubliners reflect an Ireland disappointed, annoyed and displeased. Captives of boredom, soul and feelings become dry, the characters of these stories apparently banal, try to escape from the immobility of their country.
The common elements of the stories are:
THE THEMES:
- Paralysis;
- Concreteness of reality opposed to the need of spirituality.
- Money like the symbol of a repressed wish.
- The negative Irishman, drunk and violent.
- The hope of escape and the feeling of suffocation; isn’t present in the later novels, because the adults have lost any hope.
- The East, connected with the escaping theme. The East is far from reality and from everyday life.
THE MOVEMENT:
The travel, often useless, of the character to find something. All the characters escape or try to escape from Dublin in search of an "Eden", which they can't find.
THE EPIFANY:
It is the discovery of reality (from the Magi), the moment of revelation. Joyce is often negative when the main characters discover something new. Many small things contribute to this factor.
THE MUSIC:
A vital form of art in many parts of the world (for example in Italy), but not in Ireland. It's a way to escape and helps the memory and the stream of consciousness.
THE IRISHNESS:
Being Irish, oppressed by traditions, morality and customs.
THE WINDOW:
There are two sorts of people: who looks out of the window and who looks through the window into the house. Outside the life passes; the one who looks out from the windows doesn't live really, but he looks the other people living. It's a symbol of apathy, of the people, who don't take part in social life.
ULYSSES
It’s the story of Bloom and his friend's Dedalus (Joyce projection, often used in his books) wandering, through Dublin on June 16th, 1904 (the day when the poet had his first walk with his future wife Nora Barnacle), projected against the background of the journey of Ulysses. Ulysses represents the prototype of the complete man: son, father and husband. Bloom is an anti-hero, like Eliot said, used by Joyce as a constant reminder of the decadence of our modern age. Other people say that Bloom is a hero, with positive qualities, such as sympathy, generosity and faith in human progress. Joyce shows us Bloom’s life from many angles, from the interior monologue to a "mini-drama".
Bloom day is projected against the story of Ulysses, and each scene in the book is related to a specific episode of the Odyssey. In the first part of the book Dedalus, come back home from Paris, set off to find his friend and "spiritual father" Bloom, who is in search of a "spiritual son". When the two friends meet, Bloom "adopt" Dedalus and offers to take him home and give him shelter. At home Molly Bloom waits for them, like Penelope, thinking of her past and present life, with a mental, interior monologue. This "river of words" called "stream of consciousness" ends with the words "yes", like a total, non-judgemental, acceptance of life.
Ulysses caused a great scandal when it was published in Paris for his technical innovations and for his explicit language. It was banned for a long time in England and in the U.S. The sexual frankness of Leopold Bloom, an unsuccessful middle-aged married man, and of his wife Molly, is a necessary part in the complete rendering of their mental life.
Joyce has shown all human history in one day, one set of events, past and present, significant and insignificant, trivial and heroic, familiar and exotic; it’s just a matter of points of view, and author has none and all of them.
BIBLIOGRAFIA
INGLESE:
- A. Cattaneo, A world of words, Signorelli, Gaggiano (MI), 1995
- J. Joyce, Dubliners, a cura di M. Stagi Scarpa, Sei, Torino, 1992
LATINO:
- , Hyperlatino, Didael, Milano, 1998
- B. Conte, Letteratura latina, Le Monnier, 1992
FILOSOFIA:
- C. Ciancio G. Ferretti, Il nuovo Filosofia I testi II, la storia, Sei, Torino, 1995
- F. Cioffi e altri, Profilo di storia della filosofia II, B. Mondadori, Milano, 1998
ITALIANO:
- E. de Paolis, Lo specifico letterario III, CEDAM, padova, 1995
- R. Villa, Testi e scrittura, B. Mondadori, Milano, 1995
- G. Baldi S. Giusso, Dal testo alla storia Dalla storia al testo III/1, Paravia, Torino, 1993
- G. Bondioni, Guida alla Divina Commedia. Milano, Ghisetti e Corvi editori, 1999
- A. Pagliaro, La Divina Commedia nella critica. III Il Paradiso.Firenze, D’Anna, 1966
STORIA
- L. M. Chassin, Storia militare della seconda guerra mondiale. Firenze, Sansoni, 1964
- E. J. Hobsbawm, Il secolo breve. Milano, Rizzoli, 1997, (Biblioteca Universale Rizzoli)
GRECO
- Apollonio Rodio, Le Argonautiche, traduzione di Guido Padano, introduzione e commento di Guido Padano e Massimo Fusillo. Milano, Rizzoli, 1998 (Biblioteca Universale Rizzoli)

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