La Malattia, epicentro del terremoto umano e universale

Materie:Tesina
Categoria:Multidisciplinare
Download:732
Data:01.12.2004
Numero di pagine:17
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
malattia-epicentro-terremoto-umano-universale_1.zip (Dimensione: 417.17 Kb)
trucheck.it_la-malattia,-epicentro-del-terremoto-umano-e-universale.doc     517.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

La “malattia”
epicentro del terremoto umano e universale
Percorso pluridisciplinare per esami di stato
Nunzio D.

Introduzione
La “malattia”, sinonimo di disagio, di angoscia, caratterizza tutta l’arte del ‘900.
È quell’angoscia, «una paura che è presagio di un terremoto», di cui parla Kierkegaard, è quel «grande urlo infinito attraverso la natura» che Munch ha impresso sulla tela.
La condizione umana è permeata da un senso di vuoto e di solitudine: l’uomo vive in un mondo diviso, preda dell’angoscia per gli orrori del nazismo e della guerra, vive rapporti sociali privi di razionalità, in una totale disintegrazione dell’individualità.
Ogni uomo è solo con se stesso, solo in quell’«assurda avventura» (Sartre) che è l’esistenza.
LA “MALATTIA”, EPCENTRO DEL TERREMOTO UMANO E UNIVERSALE

TEMA: IL DISAGIO ESITENZIALE NEL ‘900

SOTTOTEMI PER MATERIE:
• Letteratura italiana:
Pirandello e svevo
• Letteratura latina:
Seneca e sant’agostino
• Letteratura inglese:
Pinter
• Filosofia:
Kierkegaard e sartre
• Storia:
Fascismo e nazismo
• Storia dell’arte:
Munch e picasso
• Geografia astronomica:
L’attività interna della terra: fenomeni vulcanici e sismici
LETTERATURA ITALIANA
…un involontario soggiorno sulla terra…
Il romanzo del 900
Pirandello e Svevo
Il romanzo del '900 è interrogativo, notturno, teso verso l'ignoto: all'ottimismo subentra il senso della catastrofe. Alle sicurezze razionalistiche subentra la crisi.
La negatività è il segno inconfondibile di tutta l'arte del '900: l'io è un io malato, sgretolato. L’arte da orizzontale si fa verticale: dalla domanda "che cosa c'è dietro?" (cioè dagli effetti risalire alla causa, secondo un'idea di legge precisa che regola la vita), si passa alla domanda "che cosa sta sotto?”, qual è la "sub-stantia" nascosta sotto le apparenze, qual è il senso della realtà?

Pirandello è attento all’individuo, alla sua angoscia di uomo solo, umiliato e offeso dagli altri e dalla vita.
L’uomo non può conoscere se stesso perché mentre si illude di essere uno si accorge che ognuno degli altri ha di lui una visione diversa e quindi egli finisce per sentirsi centomila; inoltre, per poter assumere un ruolo nella società in cui vive, deve nascondersi sotto una maschera, cioè in un atteggiamento innaturale, formale, che snatura il suo vero io e lo fa sentire nessuno.
D’altra parte, se ognuno si nasconde dietro una maschera, è anche impossibile una reale comunicazione fra gli uomini, che si conoscono soltanto convenzionalmente, e ognuno è solo e smarrito nel dramma dell’incomunicabilità, cioè del vuoto doloroso della vita, che è soltanto una “enorme pupazzata”, in un mondo con parvenze assurde ed effimere, negato non solo al colloquio con Dio e con gli uomini ma anche con se stesso.
L’arte di Pirandello mette in evidenza quest’angosciosa crisi non indagando, però, sulle cause sociali e morali della solitudine ma sul disperato dibattersi dell’IO che tenta di rendersi vivo ma si ritrova travolto dal caos della vita.
E nella stessa direzione è orientata l’arte di Svevo.
I suoi personaggi si dibattono in un continuo travaglio interiore che l’autore cerca di portare a galla attraverso un’accurata indagine psicologica. Essi sono infelici e inetti, “malati”, incapaci di affrontare la realtà che li circonda.
Svevo studia i contraddittori moti della coscienza individuale, ma con benevolenza, amaramente consapevole che essi sono il riflesso diretto della crisi di certezze che è propria di tutta la società.
“La vita attuale è inquinata alle radici”, afferma Svevo.
LETTERATURA LATINA
L’anima e il corpo
Il corpo: la prigione dell’anima
... Ut quid perversa sequeris carnem tuam?
Ipsa te sequatur...
(Sant’Agostino, Confessiones, IV, cap.XI)
... Nam corpus hoc animi pondus ac poena est ;
premente illo urguetur, in vinclis est...
(Seneca, Episulae morales ad Lucilium, VII, 65)
Seneca e Sant’Agostino, due figure così diverse e lontane, ma tuttavia così vicine.
Cos’è che li rende tali?
La comune ricerca di un senso profondo dell’esistenza, di una libertà e di un verità che risiedono all’interno di noi stessi, nella nostra anima.
«Perché segui la tua carne?», chiede Sant’Agostino alla sua anima turbata.
«Il corpo è il fardello e la pena dell’anima», afferma Seneca.
É questo un tema che avvicina i due pensatori.
Il corpo è solo una piccola particella dell’universo, una limitazione alla libertà e alla conoscenza.
L’unica salvezza per l’uomo è la Verità.
Ad essa, sebbene in modi diversi, tendono ambedue i filosofi.
Per Seneca verità è sinonimo di libertà, e l’unico mezzo per raggiungere entrambe è la filosofia, che sola indica la via da percorrere.
Per Sant’Agostino la verità va cercata in Dio, essere immutabile ed eterno; va cercata dunque dentro di noi, perché è lì che risiede Dio, nei nostri cuori, come afferma anche lo stesso Seneca: «prope est a te deus, tecum est, intus est».
“Guardate dentro voi stessi”, è dunque il messaggio che arriva fino a noi.
LETTERATURA INGLESE
The existential meaningless of life…
At the centre of Pinter’s plays is the existential meaninglessness of life, the alienation of the man: he neither aspires to explain life nor to tell coherent stories. He mirrors the insecurity of the human condition in a world which is capricious and malevolent.
The alienation of the man
Pinter’s plays belong to the “Theatre of the Absurd” and like the Absurdists Pinter
re-proposes recurrent themes in his works:
the menace;
the room;
the intruder;
false identity;
blindness;
mistrust in family ties;
mistrust in human relationships;
failure to recollect the past;
inability to communicate;
solitude;
deception and elusiveness;
reality and unreality.
His plays have no real plot: the events do not constitute any kind of development; the plays elaborates a sense of the way life is, the way people are, a sense of the unmeaning accumulation of experience.
The inability to communicate is a central theme in Pinter’s plays.
His characters are incapable to have real relationships with other people, there is not place for true friendship or love.
The other is considered an enemy, an antagonist, an intruder, and so human relationships are based on suspicion, fear and also violence.
His characters are alone, locked in their own world, the room, a sort of motherly womb protecting from the outside world, but which can turn it in a prison.
FILOSOFIA
L’esistenza precede l’essenza
Il primato del singolo
“La massa è falsità”
Kierkegaard afferma che le verità oggettive di cui si occupava la filosofia hegeliana sono del tutto insignificanti per la vita dell’essere umano. Più importante della ricerca della Verità con la V maiuscola è per Kierkegaard la ricerca di quelle verità importanti per il singolo individuo.
È importante trovare la “verità per me”, dice.
Kierkegaard contrappone, insomma, l’individuo al “sistema”.
A suo parere Hegel aveva dimenticato di essere un uomo. Kierkegaard si fa beffe del tipico professore hegeliano che, mentre si affanna a spiegare tutta l’esistenza, non si ricorda neppure come si chiama e dimentica di essere un uomo, semplicemente un uomo, non la proposizione incarnata di un astruso paragrafo.
La parola chiave della filosofia di Sartre, come per Kierkegaard, è esistenza, un termine con il quale non si intende la stessa cosa che esistere. Anche le piante e gli animali esistono, quindi vivono, ma essi non sanno che cosa ciò significhi. L’uomo è l’unico essere consapevole della propria esistenza. Sartre dice che le cose fisiche sono in-sé, ma l’essere umano è anche per-sé. Essere uomo è quindi diverso dall’essere una cosa.
Sartre afferma inoltre che l’esistenza umana viene prima di ogni suo significato: il fatto che io esista è anteriore a che cosa sono io. “L’esistenza precede l’essenza”: l’uomo non possiede una natura eterna cui fare riferimento. Per questo motivo non serve chiedersi quale sia il significato della vita in generale. In altre parole, siamo condannati a improvvisare: siamo come attori che vengono mandati in scena senza avere un ruolo, un copione o un suggeritore che possa sussurrarci in un orecchio quello che dobbiamo fare. Noi stessi dobbiamo scegliere come vogliamo vivere.
Ma quando l’uomo sente che vive, e che un giorno morirà, e non esiste niente cui tenersi stretto, cui aggrapparsi, subentra allora l’angoscia. Sentimento che nasce dall’assoluta libertà dell’uomo.
Sartre sente la libertà come una maledizione: “l’uomo è condannato ad essere libero”, condannato perché non ha creato se stesso, e tuttavia è libero. Perché quando viene buttato nel mondo è responsabile di tutto quello che fa. Per tutta la vita l’uomo è condannato a scegliere. Non esistono né valori eterni né norme alle quali può appellarsi: per questo è ancora più importante quale scelta fa, perché è totalmente responsabile delle sue azioni.
Sartre mette in evidenza proprio il fatto che l’uomo non può mai sfuggire alla propria responsabilità per quello che fa: deve fare le proprie scelte e non può, per sottrarsi a quelle responsabilità, affermare che tutti dobbiamo adeguarci, ad esempio, a determinate aspettative circa il modo in cui dobbiamo vivere. Chi scivola così nella folla anonima è soltanto un uomo massificato e impersonale: è in fuga da se stesso e vive una vita di menzogne. La libertà umana invece ci impone di fare qualcosa di noi stessi, di esistere autenticamente.
Sartre nella sua filosofia riflette anche sul rapporto con gli altri. L’uomo è destinato sin dalla nascita a vivere con gli altri, sorge così un sentimento nuovo, la vergogna. Questo è un sentimento che proviamo avvertendo di essere oggetto dello sguardo altrui, di essere come staccati da noi stessi. “Mi si vede, dunque sono”, dice Sartre parafrasando la famosa affermazione cartesiana. Il mio corpo non è solo la condizione del mio punto di vista, ma è anche oggetto di punti di vista, quelli degli altri, che io non potrò mai assumere. Questo sguardo viene vissuto con angoscia.
L’“altro” è un antagonista, un pericolo. In quanto sono visto, io sono vulnerabile, indifeso, ho un corpo che può essere ferito. L’“altro” è l’inferno.
STORIA
L’annullamento dell’Io
I totalitarismi e le masse
Le adunate “oceaniche” promosse dal regime fascista testimoniano la grande presa esercitata dai totalitarismi sulla folla.
Nella nuova era della competizione e del libero mercato, gli individui avvertono un più forte, anche se inconscio, bisogno d’identificazione e rassicurazione.
Il consenso di massa, essenziale a ogni regime, si fonda perciò sulla compenetrazione tra cittadini e Stato, al di fuori dei meccanismi della democrazia parlamentare; sull’autorità carismatica del capo; sul rifiuto degli stranieri e dei “diversi” e in generale sull’aggressività proiettata contro i nemici esterni, veri o presunti.
I regimi totalitari tendono a riprodurre, sulla scala dell’intera società, il modello dell’organizzazione industriale e militare: cercano cioè di realizzare l’integrazione gerarchica di tutte le forze sociali, imponendo una partecipazione collettiva subordinata al potere assoluto di un capo in cui le masse riconoscono la sintesi di ogni valore. Ciò comporta la riduzione al minimo di ogni spazio privato e non funzionale all’obiettivo di potenza che lo Stato autoritario si propone di raggiungere.
Essenziale per questa totale integrazione è l’eliminazione di ogni dissenso e la demonizzazione di tutto ciò che è “altro” e nemico: assolutamente necessario è anzi avere dei nemici, inculcare nelle masse la paura dell’estraneo, a cui si può guardare solo per respingerlo e annientarlo, per ridurlo a capro espiatorio e vittima sacrificale.
Si crea così un consenso sulla base di istinti barbarici, come l’avversione alla riflessione critica, l’adesione consolatrice a una potenza che si presenta come invincibile, sicura e assoluta, lo scatenamento di aggressività e violenza primigenia: e a tutto ciò fanno da copertura ideologie irrazionalistiche e nazionalistiche, che esaltano la volontà di potenza e di conquista, le energie fresche e autentiche del popolo a cui si appartiene, la tradizione e i valori nazionali.
Si crea il culto di figure ed eroi esemplari, si diffondono linguaggi celebrativi, formule retoriche, miti grezzi ed elementari. Si fa un uso continuo delle forme spettacolari di massa come le adunate, le manifestazioni, le sfilate, i comizi e le celebrazioni, i riti sportivi e militari. Tutta una serie di istituzioni e di strumenti organizzativi diffondono capillarmente, in tutti gli strati della società, la partecipazione ai valori e ai rapporti collettivi. Momento celebrativo essenziale è il discorso con cui il capo, il duce (nel cui culto i diversi soggetti si riconoscono come un’unica collettività, e che ha il compito di guidare le masse verso il loro luminoso destino), comunica le imprese compiute e indica quelle nuove da compiere.

Il nazismo
Il nazismo tedesco riesce in pochi anni a realizzare una incredibile apoteosi dell’irrazionale, distruggendo sistematicamente ogni residuo elemento di convivenza civile, identificando ogni aspetto dell’esistenza con la volontà di potenza e di distruzione del popolo tedesco.
Col nazismo l’odio contro il diverso trova la sua espressione estrema e terrificante: l’organizzazione scientifica della persecuzione e dello sterminio degli Ebrei mette in uso tutti i mezzi della più moderna tecnologia per la riduzione di migliaia di uomini a cose, a oggetti da sfruttare fisicamente con la minima spesa e da distruggere nelle camere a gas.
Tutti uniti contro il nemico comune.
I campi di concentramento e di sterminio nazisti e la collaborazione data al nazismo da altri regimi totalitari europei, fanno toccare all’umanità il momento più orribile e abietto della sua intera storia.
Il fascismo
Fin dalla sua presa del potere, il fascismo oscilla tra tendenze opposte: da una parte una linea “rivoluzionaria” che privilegia l’aggressività squadristica, la giovinezza, l’energia e il movimento, che agita il fantasma d una nuova umanità “fascista”; dall’altra una linea “conservatrice”, che mira a imporre un severo ordine borghese, irrigidendo le forme dello Stato liberale in direzione autoritaria, reprimendo ogni possibile conflitto sociale e ogni minaccia di crisi. Sospeso tra queste due anime, il fascismo impianta il suo regime sul consenso di classi diverse, conciliandone le istanze contraddittorie: riesce nel contempo a rispondere al bisogno di ordine e di espansione della grande borghesia, alla velleità di protagonismo politico della piccola borghesia, agli intrecci clientelari della società meridionale, perfino alle più confuse aspirazioni delle classi popolari, davanti alle quali agita vaghe istanze sociali, prospettive di solidarietà e di partecipazione collettiva, difesa di “sani” principi tradizionali.
STORIA DELL’ARTE
L’urlo degli artisti
IL GRIDO di Munch
“Camminavo lungo la strada con due amici – quando il sole tramontò – il cielo si tinse di rosso sangue – mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto – sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco – i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.”
Edvard Munch, "Il grido", 1893, tempera su tavola, 83x66 cm - Oslo, Galleria nazionale
Il più celebre dipinto dell'artista norvegese è giustamente divenuto uno dei simboli della pittura espressionista europea e del disagio esistenziale contemporaneo.
In esso l'inquietudine del pittore è tradotta attraverso l'allucinata fusione delle linee e la violenza cromatica.
Alla base dell'opera è tuttavia mantenuta una logica compositiva di matrice razionale: il protagonista posto in primo piano al centro della tela (1), una strada vista di scorcio (2) con due figure che si allontanano (3), lo spazio aperto a destra su un paesaggio (4).
Su questo impianto tradizionale Munch interviene con quella che si definisce la “linea-forza”, cioè l'uso del segno pittorico in funzione espressiva. La definizione delle forme, disegnate a mezzo di una pennellata avvolgente e continua, comunica una sensazione di angoscia e tormento; la figura umana perde i propri connotati trasformandosi in un'immagine spettrale confusa, la cui sagoma sembra risucchiata nel movimento vorticoso del paesaggio (5). In questo non è più possibile distinguere il cielo dalla terra o individuare con certezza la linea dell'orizzonte: i colori sono usati in funzione antinaturalistica (6).
La superficie è in realtà il campo dell'espressione di una realtà allucinata - riflesso sulla tela del mondo interiore del protagonista del quadro - ottenuta attraverso l'uso del colore, privato di qualsiasi effetto decorativo.
Simboli
(1)
L’uomo in primo piano esprime, nella solitudine della sua individualità, il dramma collettivo dell’umanità intera.

La forma:

LA GUERNICA
Di Pablo Picasso
“In realtà si lavora con pochi colori. Quel che dà l'illusione del loro numero è l'essere stati messi al posto giusto.”
La grande tela, realizzata nel 1937 nel pieno della guerra civile spagnola su incarico del governo repubblicano ed esposta all'Esposizione Internazionale di Parigi, esprime la protesta rabbiosa di Pablo Picasso contro il bombardamento della cittadina basca di Guernica y Luno.
Il senso della drammaticità delle figure, della tensione delle opposizioni formali, dell'assenza del colore a evocazione di un mondo che esita tra le tenebre e la luce, si estende alla visione più ampia di una umanità sospesa tra la vita e la morte. Gran parte degli elementi presenti nella tela appartengono all'universo simbolico della corrida, che diviene dunque lo strumento metaforico ideale per la rappresentazione del dramma bellico.
Sebbene le forme spezzettate e il loro sovrapporsi suggeriscano un assemblaggio caotico degli elementi, la rappresentazione è in realtà strutturata in base a un impianto dal rigore quasi classico.
Lo spazio della tela si divide verticalmente in quattro parti uguali e si compone su un triangolo che culmina al centro della stessa. Con una serie di quinte giustapposte, su un suolo appiattito, senza prospettive né spessore, Picasso costruisce uno spazio che è allo stesso tempo aperto (come suggerisce l’edificio in fiamme all’estrema destra) e chiuso (come suggerisce il lampadario appeso in alto, quasi al centro del dipinto), privato e pubblico, diurno e notturno.
La luce fredda della lampada suggerisce uno spazio piramidale al vertice del quale domina la figura scalpitante del cavallo ferito, la cui testa ruota in un grido di dolore.
L'animale dal ventre squarciato, strumento dell'uomo nella battaglia contro la forza bruta, assurge a simbolo della tragedia umana.
Il toro, paradigma di serenità, forza, fierezza, nobiltà, è in realtà una figura estremamente ambigua: ispirato alla figura mitologica del Minotauro, in cui la passione fisica animale si fonde alla sensibilità umana, il toro diventa qui spettatore della tragedia del valore di fronte alla morte, assumendo un ruolo quasi protettivo nei confronti della donna col bimbo morto tra le braccia.
Il capo scultoreo, ovoidale, nudo del guerriero morto evidenzia occhi allucinati, diversamente orientati, in modo da suggerire un'idea di stasi e al tempo stesso di tensione dinamica. Il suo corpo svuotato, martoriato, con il braccio destro legato alla mano sinistra, si costituisce come vertice di un triangolo rovesciato che lo lega al toro e al cavallo.
Infine i soggetti femminili, figure ricorrenti nella figurazione picassiana: la donna con la lampada che sporge dalla finestra; la donna in fiamme, che fa da perfetto contrappunto della donna col bambino, anch'essa dagli occhi a forma di lacrima; la donna nuda in fuga, con lo sguardo angosciato rivolto verso l'alto, verso la morte che cala dal cielo.
Al centro del dipinto, un piccolo fiore rimasto intatto: simbolo della vita e della ragionevolezza che, nonostante tutto, avrà comunque la meglio sulla morte e sulla barbarie.
GEOGRAFIA ASTRONOMICA
…IL “DOLORE” DELLA TERRA…
Il nostro pianeta è geologicamente attivo; al suo interno agiscono forze che si trasformano e rendono instabile la crosta terrestre. Il vulcanesimo, insieme ai fenomeni sismici, è una delle manifestazioni più imponenti di tale attività.
I FENOMENI VULCANICI
All’interno della crosta e in regioni del mantello superiore sono presenti sacche di magma che possono solidificare in profondità (attività intrusiva) oppure risalire fino a raggiungere la superficie (attività effusiva).
Si chiamano plutoni i corpi solidi che derivano dalla solidificazione in profondità del magma. Si definisce vulcanismo l’insieme dei fenomeni collegati con la fuoriuscita di lave, gas e materiali solidi (materiali piroclastici) che si formano quando il magma raggiunge la superficie.
I magmi si originano quando si verificano variazioni delle condizioni termodinamiche. Possono essere acidi, basici o intermedi. Il tenore in silice determina la viscosità del magma: più il magma è acido più è viscoso. I magmi acidi tendono a solidificare in profondità, mentre i magmi basici tendono a raggiungere la superficie.
Il vulcano è la spaccatura della superficie terrestre da cui fuoriescono i materiali eruttati; l’edificio che si forma in conseguenza di tale attività costituisce nel suo insieme l’edificio o cono vulcanico. Gli elementi strutturali più importanti di un vulcano sono: la camera magmatica e il condotto o camino vulcanico.
Il meccanismo eruttivo può essere effusivo o esplosivo ed è determinato da due fattori: viscosità del magma e percentuale di gas e vapor d’acqua. I magmi viscosi sono poco mobili al contrario di quelli poco viscosi, che scorrono liberamente. I gas sono il motore delle eruzioni: in prossimità della superficie a causa della riduzione della pressione si espandono e trascinano il magma verso l’esterno.
Il magma basaltico, più caldo e fluido, scorre liberamente all’intero del condotto vulcanico, senza ostruirlo, fino a raggiungere la superficie, liberando via via e in modo regolare i gas contenuti (attività effusiva).
Il magma granitico, più freddo e viscoso, tende a solidificare all’interno del condotto vulcanico, formando un tappo che impedisce la fuoriuscita dei gas, che si accumulano finché la pressione esercitata vince il peso dei materiali sovrastanti, provocando un’esplosione (attività esplosiva).
I materiali emessi durante l’attività eruttiva sono costituiti da lave, piroclasti, gas e vapori.
Le lave possono avere composizione basaltica, andesitica o riolitica. Si distinguono:
- lave a corda (basaltiche);
- lave a blocchi scoriacei (basaltiche e riolitiche).
Le lave solidificate in ambiente sottomarino hanno struttura a cuscini.
I materiali piroclastici sono i frammenti eruttati dal vulcano in seguito alle esplosioni; per dimensioni crescenti si riconoscono: polveri, ceneri, lapilli e bombe.
Tra i gas rilasciati, il vapor d’acqua è il componente principale.

Un vulcano può essere attivo, quiescente o estinto; quando l’attività è intermittente si parla di attività parossistica, quando invece è continua si parla di attività persistente.
L’eruzione può avvenire attraverso un edificio vulcanico (eruzioni centrali) o attraverso fenditure della crosta terrestre (eruzioni lineari).
I vulcani possono essere classificati in:
- vulcani a scudo (tipo hawaiano), con fianchi poco inclinati e eruzioni con emissione di lave basaltiche fluide;
- stratovulcani (tipo stromboliano), con fianchi più ripidi e eruzioni con emissione di colate laviche di composizione variabile alternate a gas e materiali piroclastici;
- vulcani di tipo vulcaniano, con fianchi a pendenza accentuata e attività vulcanica esplosiva, con emissione di materiali solidi a composizione riolitica e andesitica, oltre che di gas;
- vulcani di tipo peleano, con emissione di lava fortemente viscosa che forma duomi e guglie e violenta attività esplosiva, accompagnate dal crollo delle pareti dell’edificio vulcanico e dall’emissione di nubi ardenti.
Le manifestazioni conclusive dell’attività vulcanica danno luogo a una serie di fenomeni detti di vulcanismo secondario; essi si originano a causa della presenza di magma in prossimità del suolo, che raffreddandosi, determina la liberazione dei gas o il riscaldamento delle acque del sottosuolo, con conseguente emissione di gas e vapor d’acqua (fumarole, soffioni boraciferi, geyser).
FENOMENI SISMICI
I terremoti consistono in rapide e violente vibrazioni della crosta terrestre, percepite in superficie come scosse.
Tali scosse possono essere di tipo:
- sussultorio, se il sisma si avverte come movimento verticale;
- ondulatorio, se il sisma si avverte come movimento orizzontale;
- rotatorio, se vi è interferenza tra i primi due tipi di scosse.
L’origine dei terremoti viene normalmente spiegata mediante la teoria del rimbalzo elastico; secondo tale teoria, quando i materiali della crosta terrestre sono sottoposti a sforzi dapprima si deformano elasticamente fino a raggiungere il limite di rottura, in seguito si spaccano, liberando l’energia accumulata sotto forma di calore e vibrazioni.
L’ipocentro o fuoco del terremoto è il luogo in profondità nel quale avviene la rottura della massa rocciosa e da cui partono le vibrazioni che si propagano come onde sferiche (onde sismiche) in tutte le direzioni.
Il punto della superficie terrestre raggiunto per primo e con maggiore intensità dalle onde sismiche, poiché situato sulla verticale dell’ipocentro, è invece detto epicentro.
La scossa principale di un terremoto può essere anche preceduta da un complesso di scosse premonitrici e seguita da una serie di scosse di assestamento.
I terremoti vengono classificati in base al meccanismo che li genera in:
- terremoti tettonici;
- terremoti vulcanici;
- terremoti da crollo;
- terremoti da esplosione (artificiali).
Le onde sismiche possono essere di tipo:
- longitudinale o di compressione;
- trasversale o di distorsione;
- superficiale.
Le onde longitudinali provocano una variazione di volume del materiale attraversato; possono propagarsi nei materiali allo stato solido, fluido o aeriforme.
Le onde trasversali provocano una variazione di forma del materiale attraversato; non possono propagarsi nei fluidi.
Le onde superficiali o onde L, vengono generate in corrispondenza dell’epicentro quando le onde longitudinali e trasversali raggiungono la superficie; poiché tali onde viaggiano in corrispondenza della superficie e la loro energia si disperde molto lentamente con la distanza, esse sono le maggiori responsabili dei danni provocati dai terremoti.
I sismografi registrano nei sismogrammi i tempi di propagazione dei diversi tipi di onde sismiche. Ciò può consentire di formulare ipotesi sulla natura chimica e fisica dei materiali che costituiscono l’interno della Terra.
Nei sismogrammi le onde longitudinali vengono registrate per prime (onde P o primarie), in quanto si propagano più velocemente delle onde trasversali (onde S o secondarie).
La forza di un terremoto viene attualmente valutata utilizzando due tipi di scale sismiche:
- la scala MCS;
- la scala Richter.
La scala MCS è una scala empirica: assegna a ogni sisma un grado di intensità variabile da I a XII, sulla base degli effetti che le scosse producono in superficie.
La scala Richter è invece una scala quantitativa, basata sulla determinazione della magnitudo di un terremoto, cioè sulla misura dell’ampiezza delle onde sismiche registrata da un sismografo, riferita a un’ampiezza standard di riferimento.
Bibliografia:
• LETTERATURA ITALIANA:
«La scrittura e l’interpretazione», Luperini, ed. Palumbo.
• LETTERATURA LATINA:
«Confessiones», Sant’Agostino;
«Episulae morales ad Lucilium», Seneca.
• LETTERATURA INGLESE:
«Views of literature», De Luca, ed. Loescher.
• FILOSOFIA:
«Il mondo di Sofia», Gaarder, ed. Mondadori.
• STORIA:
«Storia della letteratura italiana–Il Novecento», Ferroni, ed. Elemond;
«La città dell’uomo 3», Fossati, ed. scolastiche Mondadori.
• STORIA DELL’ARTE:
Enciclopedia multimediale Rizzoli Larousse cd n°3.
• GEOGRAFIA ASTRONOMICA:
«Geografia generale», Neviani, ed. SEI.
6

Esempio